CasaPound, Alba Dorata, Breivik – Combattiamo le idee, non le persone

 a cura di Stefano Fait

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Casa Pound arriva a Trento, forte dei suoi 50mila voti scarsi

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alcune reazioni

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale…I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi...I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

Costituzione della Repubblica italiana (articoli 16, 17, 18)

“Uccidere i fascisti non è un reato” stava scritto sulla mia scuola, anni fa. Ho sempre odiato quello slogan. E detesto i fascisti.

Paolo Ghezzi

Un mondo fondato sulle quattro libertà umane: la libertà di parola e di espressione, la libertà per ogni persona di pregare Dio nel modo che preferisce, il diritto di vivere al riparo dall’indigenza e il diritto di vivere al riparo dalla paura.

Franklin D. Roosevelt, 6 gennaio 1941

In realtà, la libertà è aristocratica, non democratica. Dobbiamo riconoscere, sconfortati, che la libertà è cara solo a chi pensa creativamente. Non è necessaria per chi non dà valore al pensiero. Nelle cosiddette democrazie, che si fondano sul principio della sovranità popolare, una proporzione considerevole della cittadinanza non possiede ancora la consapevolezza di essere libera, di recare con sé la dignità della libertà

Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951

La libertà di espressione si afferma e si difende anche con l’ascolto di chi non la pensa come noi e magari utilizza metodi che non condividiamo. Questo non significa accettare acriticamente tutto ma penso sia necessario portare eventualmente chi professa idee contrarie alle nostre sul terreno del confronto, anche aspro ma sempre entro i limiti della tolleranza. La cultura della pace si coltiva anche in questo modo, smascherando quella che si definisce la banalità del male.

Roberto Maestri

CasaPound non è Alba Dorata. Ezra Pound non è Breivik.

Si definiscono “fascisti del terzo millennio”. Fascisti anti-xenofobi (“Nel Dna di Casapound non è contemplata la xenofobia” – homepage, 2011) e favorevoli al riconoscimento delle unioni di fatto tra cittadini dello stesso sesso. Come tutti i rosso-bruni, ammirano Mussolini (specialmente quello “sociale” di Salò, burattino nelle mani di Hitler e volonteroso complice dell’Olocausto) e, non sporadicamente, Hitler stesso, ma anche Che Guevara e Pier Paolo Pasolini.

Pound, poeta esoterista antisemita rosacrociano, l’uomo che, dopo la morte di Hitler, definì quest’ultimo “una Giovanna d’Arco, un santo. Un martire. Come molti martiri, porta con sé visioni estreme”, era anche ammiratore di Lenin e Stalin (così tipico di tutte le personalità autoritarie: rosso o nero, basta che sia granitico-fallico).

Per tre anni dimorò a Tirolo, capitale del Tirolo storico, dove gli è stato dedicato un centro studi.
Nei “Canti Pisani” interloquisce con Marinetti:

“Vai! Vai! Da Macalè sul lembo estremo del gobi, bianco nella sabbia, un teschio CANTA e non par stanco, ma canta, canta: -Alamein! Alamein! Noi torneremo! NOI TORNEREMO!-” “Lo credo”, diss’io, e mi pare che di codesta risposta ebbe pace” (72).

E fa una dedica ai volontari della Repubblica di Salò:

“Gloria della patria!…Nel settentrion rinasce la patria, / Ma che ragazza! / che ragazze, / che ragazzi, / portan’ il nero!” (73)

C‘è poco da aggiungere: “fascisti del terzo millennio”.

Eppure Ezra Pound godette della stima di Dag Hammarskjöld, segretario generale della Nazioni Unite, una delle figure che più ammiro in assoluto.

Ora arrivano a Trento: “Città blindata e alta tensione per l’inaugurazione di Casa Pound a Trento, oggi. In occasione dello sbarco in città del movimento neofascista, le associazioni di sinistra hanno organizzato una serie di manifestazioni di protesta. La festa per l’apertura di casa Pound è prevista per le 13, ma fin dalla mattina ci saranno manifestazioni di protesta. Alle 10, in piazza Pasi, il neonato Coordinamento unitario antifascista del Trentino ha organizzato un sit-in democratico in piazza Pasi. Ma il clou delle manifestazioni di protesta sarà alle 14 in piazza Dante dove il Centro Sociale Bruno ha promosso un’assemblea antifascista dal titolo più che eloquente: «No nazi in my town». Sono attese almeno 700 persone anche da fuori città”.

http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/cronaca/2013/11/09/news/casa-pound-oggi-la-citta-sara-blindata-1.8077255

Che si fa?

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L’ESTREMA DESTRA IN EUROPA E NEGLI STATI UNITI

Gli eccidi perpetrati negli Stati Uniti e nel Nord Europa da giovani neonazisti super-armati, da integralisti islamici, da neocrociati norvegesi islamofobi, hanno prodotto un sottofondo di costante tensione che autorizza implicitamente i governi a restringere le libertà civili di tutti i cittadini in nome della sicurezza. Nel corso del suo processo, Breivik in persona ha dichiarato che il suo obiettivo, nel breve e medio periodo, era quello di provocare una caccia alle streghe contro gli estremisti cristiano-nazionalisti come lui, perché solo così si sarebbe prodotta quella polarizzazione che innesca processi di radicalizzazione, “man mano che sempre più persone perdono fiducia e fede nella democrazia”. I nuovi radicali sarebbero poi stati reclutati [ma da chi?] per proteggere i popoli europei autoctoni e le loro culture dalla minaccia islamica, con l’uso della forza.

Una vera e propria strategia della tensione finalizzata alla sistematica destabilizzazione dello stato diritto, quasi certamente condivisa da altri attivisti con i quali si teneva in contatto, e che è sostanzialmente identica a quella descritta da Osama Bin Laden nei suoi farneticanti videomessaggi.

Possiamo escludere che quest’odio verso lo stato non si tradurrà, prima o poi, in azioni apertamente eversive, di stampo brigatista?

Negli anni bui del dopoguerra, le forze a difesa della democrazia e dello stato di diritto hanno trionfato, in Italia e in Germania. Lo si è fatto allora, lo si può rifare.

La Norvegia ci ha indicato la strada giusta, quella della dignità (verdighet). Le autorità e la popolazione norvegese si sono comportate con dignità, decoro, civiltà, umanità. Il rispetto che hanno dimostrato per l’imputato che si è comportato come un mostro, ma resta pur sempre un essere umano, onora la Norvegia e la democrazia. È certamente vero che gli è stata data la possibilità di avere un’audience mondiale a cui rivolgersi per comunicare il suo pensiero, ma è un prezzo che è stato ampiamente ripagato dall’effetto di questa sua performance. Molti dei sopravvissuti, dopo averlo visto al processo, si sono sentiti sollevati nel vedere un piccolo uomo con una vocina sottile. Tutt’altra cosa rispetto al carnefice di Utoya. Il mostro è stato esorcizzato, ed è tornato a essere un ometto viziato con la vocetta immatura.

Oggi oltre 40mila persone si sono trovate nel centro di Oslo per cantare insieme “Bambini dell’arcobaleno” (“Barn av regnbuen”), un adattamento in norvegese della canzone “Rainbow Race” di Pete Seeger del 1973. Lo hanno fatto come atto dimostrativo contro Anders Behring Breivik, l’autore degli attentati a Oslo e della strage di Utøya del luglio dello scorso anno, che nel corso del proprio processo ha detto di odiare la canzone di Seeger. Secondo Breivik la canzone ha contenuti chiaramente di stampo marxista e verrebbe utilizzata per fare il lavaggio del cervello ai bambini… Il testo della versione norvegese parla di un cielo pieno di stelle, del mare azzurro e di terre piene di fiori, dove vivono i bambini dell’arcobaleno. È una canzone di speranza, che invita a cercare il bene e a convivere in pace insieme, evitando la violenza”.

http://www.ilpost.it/2012/04/26/la-canzone-odiata-da-anders-breivik/

I norvegesi hanno ascoltato Breivik e gli hanno chiesto di ascoltare. Hanno sorpreso il mondo. Alcuni sono rimasti sbigottiti e negativamente impressionati. In realtà non è che non ci sia rabbia e desiderio di vendetta, in Norvegia, è che la cultura locale è una sorta di viatico a quell’ideale di disciplinamento delle emozioni che può essere riscontrato anche in Giappone e che avrebbe piacevolmente sorpreso Spock, o gli stoici, o i buddhisti, o i taoisti.

Questa umiltà, semplicità, padronanza di sé, rispetto per la dignità delle persone e per la diversità (“infinita diversità in infinite combinazioni”, direbbe Spock), ragionevolezza, sollecitudine, pacatamente ma senza fatalismo, l’espressione del dolore che non diventa esibizione, può sembrare quasi disumana, inquietante. È probabile che in diversi casi lo sia, o quantomeno sia una maschera per l’ipocrisia, il cinismo e un malcelato impulso autoritario (es. film “Festen” e tirannia umanitaria).

Ma, in questo caso, i norvegesi, con il loro atteggiamento, hanno comunicato a Breivik e a quelli come lui che i loro valori sono agli antipodi dei suoi e sono prevalenti, vale a dire che la sua crociata era persa in partenza. Si aspettava di essere ucciso dalle forze dell’ordine, oppure torturato. Non è successo nulla di tutto questo. Il principio guida è stato: non ci farà diventare come lui, altrimenti avrà vinto.

Re Haakon VII, che ha regnato tra il 1905 e il 1957, dichiarava di essere anche “il re dei comunisti”. Re Harald V ha annunciato alla popolazione che è anche “il re dei musulmani, sikh, ebrei e indù norvegesi”.

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LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Viviamo in un mondo spaventato dalla libertà. Il politicamente corretto soffoca preventivamente il pensiero critico, chiamando in causa il dovere di rispettare le sensibilità altrui (!!!). Certe idee non solo non possono essere espresse, ma non devono essere neppure concepite. Si cerca di proibire per legge persino a degli accademici di fare storiografia. Certe figure istituzionali sono poste automaticamente al di là del diritto di critica. I media impediscono a certi comici o a certi intellettuali di venire a contatto con lettori e spettatori. Intanto le comunicazioni dei nostri politici sono registrate sistematicamente per poterli ricattare o manipolare.

Chi è veramente libero di dire ciò che pensa all’alba del terzo millennio?

Com’è possibile che la popolazione occidentale abbia accettato passivamente tutto questo?

Non si dovrebbe avere paura di questa libertà, che include anche la libertà di non rispettare le idee altrui (pur rispettando l’interlocutore), di canzonare e di rappresentare un inconveniente per le opinioni altrui.

Un principio cardine della costituzione come la libertà d’espressione non può essere fatto valere in certi casi ed ignorato in altri, anche perché una parola è una parola e non serve dare alle parole più peso di quel che meritano. Non siamo automi che rispondono meccanicamente a sollecitazioni verbali e le nostre personali credenze non sono tutelate da alcun diritto inviolabile a non essere messe in discussione, con tutto il tatto ed il senso di responsabilità necessari. Sono le parole o gli atti che distruggono le persone e le cose? Un effetto indiretto è moralmente equivalente a un effetto diretto? Le parole esercitano un’influenza sulle persone solo se queste decidono che così dev’essere, perché attribuiscono credibilità ed autorevolezza a chi le pronuncia e perché vogliono o temono che il messaggio sia vero. Le parole hanno potere solo se chi le ascolta o legge glielo conferisce. Altrimenti sono solo vibrazioni nell’aria. Dunque attribuire uno speciale potere alle parole è una semplice credenza che ciascuno può respingere coscientemente. Se certe parole ci irritano la responsabilità è nostra, perché lasciamo che ciò avvenga. Possiamo forse plasmare il prossimo in modo da costringerlo ad essere più sensibile? Sarebbe giusto? È sbagliato cercare di controllare gli altri, è una forma di manipolazione tanto deprecabile quanto l’uso di parole al fine di ferire la sensibilità altrui. E siccome non è giusto controllare gli altri, non è nemmeno giusto censurare gli altri.

Senza la libertà di dire qualcosa di sconveniente non c’è libertà. Se le mie azioni sono giudicate in base alla sconvenienza, potrò fare solo quello che gli altri mi consentono graziosamente di fare e, poiché moltissimi sono suscettibili e permalosi, ciò decreterebbe la morte della libertà

Le società democratiche sono conflittuali perché sono formate da esseri umani con punti di vista anche molto diversi riguardo alla realtà, ciascuno convinto che il suo sia più fedele al vero. Nessuno di noi è consapevole dell’intera estensione delle sue credenze e convinzioni e ancor meno di quanto unica e peculiare sia la sua percezione della realtà. 

La libertà di espressione consente a superstizioni, preconcetti e pregiudizi di essere vagliati, separati e respinti dal maggior numero possibile di persone, che potranno invece avvalersi delle idee originali e promettenti. È quindi nel nostro stesso interesse rispettare la libertà del nostro prossimo di dire la sua, anche quando ci infastidisce, ci sciocca, c’indigna, ci oltraggia, ci disgusta, ci ferisce. Solo difendendo la libertà altrui posso continuare a difendere la mia, anche se questa libertà sarà da loro impiegata per ridursi in un angolo, per scegliere di condurre una vita convenzionale, di rinunciare a esercitare i propri diritti, di consegnarsi a rapporti vincolanti, affiliazioni soffocanti, appartenenze totalizzanti.

Se la ricerca della verità e dell’autenticità li conduce in quei paraggi, allora hanno la prerogativa di comportarsi di conseguenza senza che una tutela paternalistica li inibisca, senza trattarli come degli infanti plagiabili, plasmabili, eternamente sprovveduti, inculcando in loro il sospetto di esserlo veramente anche quando si tratta di una mera divergenza d’opinioni. Soprattutto, nessuno osi censurare il prossimo per il mero fatto di essersi permesso di esprimere un punto di vista differente. 

La casa comune dell’umanità che verrà, nel Mondo Nuovo dovrà essere tollerante. Se noi stessi decretiamo che un diritto universale non è più universale, ma vale solo quando pare a noi, la nostra credibilità ed autorevolezza saranno compromesse, la forza di quel principio sarà compromessa, la possibilità di tutelare le persone vulnerabili in nome di quello stesso principio sarà compromessa.

Se la nostra casa comune avrà timore di idee diverse, allora non avrà un futuro. Un soffio e il castello di carte cadrà: “Far apparire come necessario ciò che è assurdo – che si debba difendere il “mondo libero” rendendolo meno libero, salvare la civiltà occidentale minacciando i principi della sua identità –, e dall’altro cerca di rendere credibile ciò che è incredibile, ovvero che si possa diffondere nel mondo la libertà con l’occupazione militare, instaurare la democrazia con la coazione, istituire l’autonomia con l’eteronomia” (Bovero, 2004, p. X).

La libertà che conta è quella da forze e circostanze che trasformano l’uomo in una cosa e la sua vita interiore in un processo meccanico, automatico, prevedibile, inerziale, come la materia stessa. Se la libertà è come un volo, allora più si mozzano le ali per circoscriverla, più basso ed incerto sarà il volo stesso, a discapito dell’intera comunità. Non si può essere sicuri, nel volo, la libertà non è rassicurante, non dà garanzie, ma è l’unico modo che ci è dato di essere autentici (di non limitarci ad essere ciò che gli altri hanno stabilito per noi) e di diventare più vivi (gioia di vivere) e consapevoli, come il prigioniero rilasciato nella parabola della caverna di Platone. A quel punto la sicurezza che si acquista sarà più stabile, più affidabile, ma mai completa.

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CASA POUND A TRENTO

Trento può fungere da modello? Può incarnare il cambiamento che vuole vedere nel mondo? Può vedere una sfida laddove altri vedono unicamente una minaccia? Può odiare il fascismo ma vedere nei membri di CasaPound prima di tutto degli esseri umani con dei diritti fondamentali, poi dei cittadini con dei diritti civili, poi degli avversari da sfidare sul terreno delle idee e dei valori e infine dei fascisti?

Non vorrei che la formula della “banalità del male” diventasse una scusa per trovare demoni anche dove non ce ne sono e inscenare crociate, cacce alle streghe, “sante” inquisizioni, che servono solamente a estremizzare chi le subisce e chi le compie.

L’importante è che il Trentino divenga un territorio esente da fascismo per scelta, perché si dimostra un terreno infecondo per il fascismo, perché la sensibilità della popolazione l’ha immunizzata. Non per bullismo. Il bullismo lasciamolo ai fascisti.

È peraltro giusto e necessario che una comunità si mobiliti pacificamente e costruttivamente per testimoniare il suo pensiero, come hanno fatto meravigliosamente bene i norvegesi con Breivik, cantando la canzone che lui più odiava.

E poi rimane sempre la satira – la satira intelligente, che fa pensare, non quella pecoreccia, che spegne il senso critico –, che funziona eccellentemente quando dall’altra parte non c’è volontà di dialogo (e questo non va imposto).

Sei un terrorista? Sì, tu!

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“Attività criminale” e “terrorismo domestico”: sono questi i termini che l’Fbi avrebbe utilizzato per riferirsi a Occupy Wall Steet, la protesta degli indignati partita da New York nel settembre 2011 e diffusasi nei mesi seguenti per tutto il Paese, da San Francisco, in California, ad Anchorage, in Alaska…. Secondo i documenti, di cui parla l’Huffington Post, nel corso delle indagini l’Fbi avrebbe collaborato strettamente con le banche americane e le società private entrate nel mirino dei protestanti.

http://america24.com/news/fbi-riferimenti-a-occupy-wall-street-come-terrorismo-domestico-

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È emerso che solo grazie all’intervento provvidenziale di un giudice federale che ha interrotto l’interrogatorio dell’FBI Dzhokhar Tsarnaev si è visto leggere i suoi diritti, sebbene Tsarnaev avesse ripetutamente richiesto di poter parlare con un avvocato (cosa che rientra tra i suoi diritti fondamentali di cittadino statunitense)

http://www.latimes.com/news/nationworld/nation/la-na-boston-bombing-20130426,0,5051005.story

Ogni passo lungo la strada che conduce ad uno stato di polizia è piccolo e incrementale. Inizia con casi come questo, in cui la gente è restia a difendere il diritto dell’accusato ad un giusto processo, perché lo considera colpevole. Così non si preoccupa più di tanto se i suoi diritti sono stati violati, in primis quello a ricevere una rappresentanza legale ed essere trattato come una persona che è innocente finché non è stata comprovata la sua colpevolezza.

È precisamente quando è più spiacevole farlo che diventa particolarmente necessario difendere lo stato di diritto, perché non è concepito per consumare vendette o placare gli animi dei famigliari delle vittime, ma per onorare il principio di giustizia. Altrimenti ogni “nonchalance” ed omissione posteriore sarà giustificata da quella, eclatante, che l’ha preceduta: “se lo si è fatto per lui, lo si può fare anche per quest’altra”.

A ciò si aggiunge il fatto che l’opinione pubblica internazionale non ha mai avuto l’opportunità di assistere ad un singolo processo di una persona accusata di complicità in atti terroristici di matrice islamica da parte delle autorità statunitensi. Tutti i sospettati sono morti, oppure sono internati (in sciopero della fame), oppure sono stati sequestrati a nostra insaputa e giacciono in qualche prigione segreta della CIA che Obama aveva promesso di chiudere. L’occultamento non è una prassi democratica, è il classico comportamento di un governo che ha qualcosa da nascondere. o di un’organizzazione terroristica.

Tommy Ray Franks, il generale che guidò le invasioni dell’Afghanistan e dell’Iraq ha descritto molto realisticamente (Time, 21 novembre 2003) quel che succederebbe se dei terroristi si impadronissero di armi di distruzione di massa: “l’Occidente, il mondo libero, perderebbe ciò a cui tiene di più, la libertà che abbiamo ammirato per un paio di secoli in questo grande esperimento che chiamiamo democrazia…significherebbe la possibilità di una massiccia distruzione con moltissime vittime in qualche regione dell’Occidente – potrebbe essere negli Stati Uniti – che indurrebbe la nostra popolazione a mettere in discussione la nostra Costituzione ed iniziare a militarizzare la nostra nazione per poter evitare un altro evento del genere. Una decisione che finirebbe per cancellare la stessa Costituzione”.

Stiamo assistendo ad una svolta nella narrazione: l’islamofobia cederà il primo posto alla paura della minaccia interna. In questo modo l’establishment degli Stati Uniti potrà “fare ordine” all’esterno e contemporaneamente all’interno.

Nella Guerra al Terrore permanente, i due fratelli Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev sono il perfetto trait d’union tra l’islamismo e l’eversione domestica. Il primo era un integralista legalmente residente negli Stati Uniti, il secondo era un cittadino americano di origini cecene, perfettamente integrato (di più: un giovane di condotta esemplare) ed assolutamente insospettabile.

Abbiamo visto funzionari e commentatori volgere ogni notizia o diceria in un vantaggio tattico a breve termine, in vista delle elezioni del 2014. Come se l’unica vera importanza di questo orribile ma modesto attacco terroristico stesse nella sua capacità di comprovare la correttezza della propria visione del mondo. A destra, la gente era sicura che i terroristi di Boston facevano parte di un enorme complotto jihadista. A sinistra abbiamo sentito un sacco di teorie sulla Giornata dei Patrioti e Waco e Oklahoma City, assieme all’argomento che sarebbe stato meglio per la pace globale se gli attentatori fossero stati americani bianchi, piuttosto che musulmani stranieri…[…]. Lo spettacolo mediatico fatto di paura e irrazionalità, l’isteria nazionale che ha fatto di un atto atroce apparentemente perpetrato da due perdenti con zainetti esplosivi una “minaccia esistenziale” (per prendere a prestito un’espressione tratta dalla serie “Homeland”) per la nazione più potente del mondo”.

http://www.salon.com/2013/04/20/how_boston_exposes_americas_dark_post_911_bargain/?ok

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John W. Whitehead, giurista, Rutherford Institute:

Per quelli che, come me, hanno studiato l’emergere degli stati di polizia, la vista di una città posta sotto legge marziale, i suoi cittadini agli arresti domiciliari, elicotteri militareschi dotati di telecamere termiche che ronzano per i cieli, carri armati e veicoli blindati per le strade, cecchini appollaiati sui tetti, mentre migliaia di poliziotti vestiti di nero sciamavano per le strade e le squadre speciali in uniforme paramilitare effettuavano perquisizioni casa per casa alla ricerca di due giovani e apparentemente improbabile sospetti – evoca in noi un crescente disagio.

Intendiamoci, questi non sono più i segni premonitori di un crescente stato di polizia. Lo stato di polizia è già qui.

Altrettanto inquietante è la facilità con cui gli americani hanno accolto con favore il blocco della città, l’invasione routinaria della loro vita privata e lo smantellamento di ogni diritto costituzionale destinato a servire come un baluardo contro gli abusi del governo. Guardando lo svolgersi degli eventi, non ho potuto fare a meno di pensare alle osservazioni del feldmaresciallo nazista Hermann Goering, durante il processo di Norimberga:

Naturalmente, la gente comune non vuole la guerra; né in Russia, né in Inghilterra, né in America, né in Germania. Questo è chiaro. Alla fine, però, è il leader di un Paese a determinare la politica ed è sempre abbastanza semplice costringere la gente a seguirlo, che ci sia una democrazia, una dittatura fascista, un Parlamento o una dittatura comunista. Che abbiano voce o meno, le persone possono sempre essere portate a seguire i propri leader. È semplice. Tutto quello che bisogna fare è dire loro che sono sotto attacco e denunciare i pacifisti per la mancanza di patriottismo, per esporre la nazione al pericolo. Funziona allo stesso modo in ogni Paese.

Come gli eventi di Boston hanno dimostrato, funziona davvero allo stesso modo in ogni paese. Le stesse tattiche di propaganda e di stato di polizia che hanno funzionato per Adolf Hitler 80 anni fa continuano ad essere impiegate con grande successo nell’America post-11 settembre.

Qualunque sia la minaccia alla cosiddetta sicurezza – se si vocifera di armi di distruzione di massa, sparatorie scolastiche o presunti atti di terrorismo -, non ci vuole molto perché il popolo americano si metta in riga rispetto ai dettami del governo, anche se questo significa sottomettersi alla legge marziale, vedere le proprie case perquisite, essere spogliati dei propri diritti costituzionali senza alcun preavviso e dibattito.

[…].

Particolarmente sconfortante è il fatto che gli americani, consumati dal bisogno di vendetta, sembrano ancor meno preoccupati di proteggere i diritti degli altri, soprattutto se questi “altri” hanno un diverso colore della pelle o una diversa nazionalità. La risposta pubblica alla caccia all’uomo, la cattura e il successivo trattamento dei fratelli Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev è solo l’ultimo esempio della mentalità xenofoba dell’America, che è anche stata il motivo trainante del rastrellamento e detenzione di centinaia di arabi, persone provenienti dal subcontinente indiano e musulmani in conseguenza dell’11 settembre; dei campi di internamento che ospitavano più di 18.000 persone di origine giapponese durante la seconda guerra mondiale [in realtà furono decine di migliaia, NdT]; dell’arresto e deportazione di migliaia di residenti “radicali” durante le ondate di panico anticomunista statunitense (cf. Red Scare: http://it.wikipedia.org/wiki/Paura_rossa).

[…].

Come ha notato la giornalista Emily Bazelon (Slate): “Perché dovrei preoccuparmi del fatto che nessuno abbia letto i suoi diritti a Dzhokhar Tsarnaev? Perché quando la legge viene distorta per lui, è più facile farlo anche per il resto di noi”.

[…]

Poco dopo aver preso Tsarnaev in custodia, il dipartimento di polizia di Boston ha twittato “Catturato! La caccia è finita. La ricerca ha avuto successo. Il terrore è finito. La giustizia ha vinto”. Eppure, con Tsarnaev e suo fratello già accusati, processati e condannati dal governo, dai media e dalla polizia, il tutto senza aver mai messo piede in un’aula di tribunale, resta da vedere se la giustizia abbia davvero vinto.

La lezione per il resto di noi è questa: una volta che un popolo libero permette al governo di erodere la sua libertà o baratta quelle stesse libertà per la sicurezza, ci si trova su un piano inclinato verso una tirannia. E non importa che al governo ci sia un democratico o un repubblicano, perché la mentalità burocratica su entrambi i lati sembra ora incarnare la stessa filosofia di governo autoritario. Sempre più spesso quelli di sinistra, che una volta celebravano Barack Obama come un antidoto per il ripristino delle numerose libertà civili che erano state perse o compromesse a seguito delle politiche dell’era Bush, si ritrovano costretti a riconoscere che le minacce alle libertà civili sono anche peggiori sotto Obama.

Chiaramente le prospettive per le libertà civili sotto Obama diventano ogni giorno più tetre, dal suo appoggio alla detenzione a tempo indeterminato per i cittadini degli Stati Uniti, alle liste di bersagli umani per i suoi droni, alla sorveglianza telefonica, postale ed elettronica senza mandato, ai procedimenti contro le gole profonde (funzionari onesti che informano la popolazione di ciò che non va, NdT).

Più di recente, capitalizzando sulla confusione e paura della popolazione, la tragedia della maratona di Boston è stata usata come un mezzo per estendere la portata dello stato di polizia, a cominciare dall’approvazione a larga maggioranza della CISPA.

Questi sviluppi preoccupanti sono le manifestazioni esteriori di un cambiamento del modo in cui il governo vede non solo la Costituzione e la Carta dei Diritti, ma anche “noi il popolo” (“we the people”). Ciò riflette un allontanamento da un governo in cui vige lo stato di diritto a uno che cerca il controllo totale attraverso l’imposizione di leggi che lo favoriscono, a detrimento della popolazione.

Intanto, gli americani rimangono in gran parte ignari delle minacce incombenti sulle loro libertà, desiderosi di essere persuasi che il governo può risolvere i problemi che ci affliggono – che si tratti di terrorismo, di una depressione economica, di un disastro ambientale o anche di un’epidemia di influenza.

Eppure, dopo essersi bevuti la fallace idea che il governo può garantire non solo la nostra sicurezza, ma la nostra felicità e che si prenderà cura di noi dalla culla alla tomba, cioè dagli asili nido alle case di cura, abbiamo in realtà permesso a noi stessi di essere imbrigliati e trasformato in schiavi agli ordini di un governo che se ne infischia delle nostre libertà o della nostra felicità.

http://original.antiwar.com/jwhitehead/2013/04/22/boston-strong-marching-in-lockstep-with-the-police-state/

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Abbiamo già visto che le autorità americane mentono compulsivamente: ci era stato detto che il più giovane dei terroristi di Boston era stato preso dopo una sparatoria e che il suddetto si era ferito gravemente tentando di suicidarsi. Tutto falso.

Qui la foto di lui che esce dalla barca sulle sue gambe:

http://boston.cbslocal.com/2013/04/20/cbs-news-dzhokhar-tsarnaev-may-have-attempted-suicide-before-capture/

Non era armato, non ha mai potuto rispondere al fuoco, dovevano prenderlo vivo, ma hanno crivellato di colpi la barca:

http://www.washingtonpost.com/world/national-security/officials-boston-suspect-had-no-firearm-when-barrage-of-bullets-hit-hiding-place/2013/04/24/376fc8a0-ad18-11e2-a8b9-2a63d75b5459_story.html

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LA PROSSIMA MENZOGNA?

L’FBI e la CIA prepareranno l’opinione pubblica americana al nuovo credo della Guerra al Terrore: “la più grave minaccia per l’America è interna. Ci sono cellule eversive AMERICANE ben armate che pianificano l’abbattimento dello stato federale ed hanno come obiettivo la cattura di una città”. Prima o poi questo scenario si materializzerà magicamente e la santabarbara esploderà.

Il governo federale affermerà che ha il dovere di ristabilire l’ordine, i ribelli si appelleranno a questo tipo di argomentazione:

A tutti quelli che vorrebbero proibire le armi dico solo che se gli ebrei europei avesse avuto il diritto di portare armi prima dell’Olocausto i nazisti e i loro collaboratori avrebbero avuto un bel daffare nell’attuare la “Soluzione Finale”. (Questo tipo di situazione era precisamente il motivo per l’introduzione del 2° emendamento – serviva ad eliminare il monopolio di Stato sulla violenza, armando la popolazione). Questo è il problema fondamentale che riguarda il controllo delle armi in America. Senza un’arma da fuoco si è in balia del linciaggio, la vostra sicurezza dipende dalla buona volontà degli altri cittadini. Se improvvisamente questi se la prendono con te perché sei ebreo, musulmano, nero, gay, o qualsiasi altra cosa, allora tanti saluti. Per questo esiste un’associazione ebraica in favore del secondo emendamento come baluardo contro l’antisemitismo e per la stessa ragione il movimento delle Pantere Nere (Black Panther) lottò strenuamente contro il divieto di portare armi. Un’arma da fuoco dà alle minoranze una serie di diritti che non potrebbero altrimenti essere protetti, in particolare la garanzia di protezione dalla tirannia”.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/23/ora-sono-diventato-la-morte-il-distruttore-dei-mondi-100-1000-waco/

Stati Uniti di Polizia – la fase finale della Guerra al Terrore è cominciata

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Si dovevano attaccare i civili, la gente, donne, bambini, persone innocenti, gente sconosciuta molto lontana da ogni disegno politico. La ragione era alquanto semplice: costringere … l’opinione pubblica a rivolgersi allo stato per chiedere maggiore sicurezza.

Vincenzo Vinciguerra, ex agente Gladio, deposizione

War-2

La vera notizia è come è bastato un decennio per addomesticare i cittadini americani e far loro accettare detenzione permanente, tortura, esecuzione sommaria di cittadini americani, in patria o all’estero, una massiccia presenza di paramilitari nelle loro strade e nelle loro case. Ogni richiesta fatta dalle autorità era a titolo volontario, ma quasi nessuno si è rifiutato di ottemperare. E’ vero che Boston è un caso particolare: una città particolarmente rispettosa della legge e con forti simpatie per il presidente Obama. Tuttavia resta il dato davvero inquietante di una popolazione fin troppo facilmente malleabile e disposta a credere, obbedire, combattere la “Guerra al Terrore”. La buona notizia è che le voci di dissenso stanno facendosi sentire in rete e nei forum dei quotidiani, in modo articolato e fermo. Boston è servita da monito.

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Allo stato attuale, non vi è nulla di sostanziale che colleghi i due indagati al delitto. Ci sono voci, 32 secondi di video per nulla incriminante (così tante telecamere a circuito chiuso ma nessuna registrazione utile?), alcune fotografie non troppo chiare, i loro zaini sembrano diversi da quelli incriminati. Non c’è un movente, non c’è una  prova visiva che mostri i sospetti che dispongono la bomba sulla scena del crimine e non c’è alcun filmato dei sospetti in fuga da una qualunque scena del crimine. L’automobilista rapito che, ci viene detto, ha riferito che i due, prima di lasciarlo andare senza torcergli un capello, si sono autoaccusati dell’attentato (!!!??? per farsi prendere più facilmente?), non è stato intervistato da nessuno, si è letteralmente volatilizzato. Ci sono ben 6 versioni discordanti di come è avvenuta la cattura.
Al momento nessun giudice li condannerebbe.

Obama, in quanto presidente, non deve permettersi di emettere sentenze, come ha implicitamente fatto e come esplicitamente fa con le sue liste di persone da uccidere con i droni.
Il ragazzo è un cittadino americano, non un “nemico combattente” come John McCain vorrebbe che fosse considerato, in modo da farlo internare e processare da un tribunale militare, a porte chiuse .

Non deve essere interrogato dall’FBI e giudicato a livello federale. La giurisdizione è quella del Massachussetts: si sta forse cercando di sfruttare il caso per degli scopi che hanno poco a che vedere con la sicurezza dei cittadini e molto a che vedere con ulteriori restrizioni dei loro diritti (se possono fare a pezzi la costituzione per un cittadino americano, lo possono fare per tutti)? Oppure si sta cercando di evitare che qualcuno capisca in che rapporti erano stati il fratello maggiore e l’FBI nel corso degli ultimi 3 anni?

L’FBI organizza complotti terroristici, agevolando gli estremisti, fornendo loro idee, logistica, contatti ed armi per arrestarli preventivamente, senza che i cittadini si chiedano se non sia istigazione a delinquere, se queste persone avrebbero realmente compiuto certe azioni se non fossero stati inseriti in un certo tipo di dinamica:

http://www.nytimes.com/2012/04/29/opinion/sunday/terrorist-plots-helped-along-by-the-fbi.html?pagewanted=all&_r=3&

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/21/lfbi-organizza-e-sventa-la-maggior-parte-degli-attentati-terroristici-islamici-sul-suolo-americano-ricerca-della-ucla/

L’FBI ha addirittura consentito che il primo attentato alle Torri Gemelle, quello del 1993, andasse in porto
http://www.nytimes.com/1993/10/31/nyregion/bomb-informer-s-tapes-give-rare-glimpse-of-fbi-dealings.html?pagewanted=all&src=pm

L’FBI sorvegliava Tamerlan, il fratello maggiore, da 3 anni e lui lo sapeva, perchè avevano informato i suoi genitori (!). Allora perché quell’appello ai cittadini affinché aiutino ad identificare dei sospetti che già conoscono? 

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Il giovane Dzhokar Tsarnaev era un giovane cittadino Americano modello. Era un calciatore e si allenava tre volte in settimana con i suoi compagni di squadra e, non contento, era anche il capitano della squadra di wrestling del suo istituto: i suo compagni di wrestling lo ricordano come una persona sempre disponibile pronta ad elargire consigli. Aveva ottenuto una borsa di studio in medicina, voleva diventare un infermiere, era stato un bagnino perché “voleva salvare la gente”, nel tempo libero assisteva come volontario ragazzini affetti dalla sindrome di Down. Nessuno dei suoi amici più stretti l’ha mai considerato una persona religiosa. I suoi insegnanti lo hanno descritto come uno studente ideale. I suoi vicini come un ragazzo adorabile. Era l’incarnazione del sogno Americano ma, da un giorno all’altro, ci viene detto che è diventato uno jihadista che uccide civili ad una competizione sportiva (lui che adora lo sport) e la sera stessa va ad una festa (mentre il fratello va tranquillamente in palestra ad allenarsi), poi a dormire nella sua stanza. Il giorno dopo si rende conto che è in corso una caccia all’uomo, scappa con suo fratello maggiore, ruba un’auto ma rilascia il proprietario dopo avergli detto che è l’autore dell’attentato (!!! – questo sostengono le autorità investigative: nessuno ha visto e intervistato questo tizio), sfugge alla cattura anche se dopo la prima sparatoria è circondato da poliziotti.
Per qualche ragione le sue radici cecene non lo spingono ad attaccare la Russia ma gli Stati Uniti che gli hanno dato tutto quel che poteva desiderare, inclusa la cittadinanza (qualche mese fa). È uno jihadista ma non si immola e non si comporta come tale; è come se avesse due personalità e nessuno avesse mai visto quella islamista.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/20/informazioni-sui-presunti-bombaroli-di-boston-che-non-troverete-sul-corriere-della-sera/

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Ancora più drammatica è la criminalizzazione dei giovani: secondo la stessa versione ufficiale in cui cambiano i nomi e i connotati ma gli altri dettagli si ripetono, gli autori di attentati e stragi sono immancabilmente giovani immaturi, inquieti e, soprattutto, indignati con il governo. Questi escono di testa per ragioni che non sono mai chiare, agiscono da soli e sfruttano insospettabili abilità militari per uccidere degli innocenti e/o sfuggire alla cattura: fino alla loro uccisione o suicidio, come in ogni film americano che si rispetti.

Il copione è ripetitivo e meccanico, ma le serie TV (24, Homeland) ed i blockbuster lo hanno reso plausibile per un pubblico ovinizzato che delega ad altri le attività cerebrali non necessarie alla sopravvivenza fisica.

Le autorità ci assicurano che il fratello maggiore era un integralista, a dispetto delle apparenze (era appassionato di hip-hop, skateboard e droghe leggere)

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e, stando al racconto della madre, Zubeidat K. Tsarnaeva, negli ultimi anni l’FBI l’aveva avvertita del fatto che il figlio Tamerlan era su una brutta strada e che lo stavano sorvegliando [NB, l’FBI ha ammesso che le cose stavano così solo DOPO l’intervista della madre ad una TV russa]. Questo significa che dovevano sapere che aveva consultato dei siti per costruire bombe fatte in casa (se è vero) e che dovevano sapere che si era comprato un arsenale di armi…però…boh?
Nel 2011 l’intelligence russa aveva chiesto all’FBI di indagare su di lui, per capire se era “a rischio”. L’FBI fece delle scrupolose investigazioni (internet, telefonate, conoscenze, biografia, movimenti, domande a parenti e conoscenti, ecc.) senza trovare alcuna attività sospetta o legame con associazioni terroristiche, ma riferì di un’evidente tendenza integralista:

http://www.guardian.co.uk/world/2013/apr/20/fbi-quiz-dzhokhar-tsarnaev-suspect-capture

Dopo l’attentato Tamerlan non si è suicidato: è tornato a casa dalla bella moglie americana – Katherine Russell – e dalla figlia.

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Le autorità, a partire dal presidente, stanno trattando dei sospetti alla stregua di colpevoli già condannati.
Questo normalmente succede in un sistema giuridico primitivo come quello giapponese, dove l’imputato deve dimostrare di essere innocente. In un sistema giuridico civile l’accusa deve dimostrare la colpevolezza. Dal Patriot Act in poi gli Stati Uniti non sono più un paese civile e, anche grazie a certe leggi controfirmate da Obama, il nostro presunto terrorista rischia di scomparire per anni in un labirinto giudiziario, come se fosse a tutti gli effetti morto (morte civile):
http://www.informarexresistere.fr/2012/01/07/ndaa-torneranno-i-campi-di-concentramento-in-america/#axzz2QwmMcGkz

Nessuno si curerà della sorte di Tsarnaev, preventivamente condannato dall’opinione pubblica, allo stesso modo in cui praticamente nessuno si preoccupa dei diritti degli internati nei campi di prigionia antiterroristi americani. Però è così che i diritti di tutti vengono amputati: prima si colpiscono le figure marginali, detestate o appena tollerate (zingari, ebrei, comunisti, gay, ecc.) e poi, nel constatare che la popolazione non reagisce, l’abolizione della tutela giuridica si istituzionalizza, si espande e diventa sempre più arduo contestarla. Per abolirla non resta altro da fare che combattere e sacrificare la propria vita. E’ quel che succederà negli Stati Uniti nei prossimi anni, con buona pace degli obamofili.
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/28/children-of-men-i-figli-degli-uomini-un-film-preveggente/

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Boston, una città di oltre 600mila abitanti è stata, virtualmente, messa agli arresti domiciliari (chiunque si fosse trovato in strada era passibile di fermo e perquisizione corporale – in un caso un tizio è stato denudato e dei poliziotti hanno inveito contro i giornalisti) e sotto legge marziale (con migliaia di paramilitari che entravano nelle case per setacciarle, senza alcuna autorizzazione) per la durata della caccia allo studente diciannovenne modello-assistente di ragazzini down-terrorista jihadista a tempo perso.

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La militarizzazione della metropoli ora costituisce un precedente. Invece di usare i cani per rintracciare rapidamente il ricercato, che perdeva sangue ed aveva abbandonato l’auto, 9mila agenti militarmente equipaggiati hanno trascorso la notte perlustrando le abitazioni di una vasta sezione della città (senza un permesso, in piena violazione del quarto emendamento), come se fosse la cosa più naturale del mondo. Nessuno ha protestato, la folla alla fine festeggiava per le strade, senza rendersi conto dell’implicita carta bianca che hanno fornito al governo.
In nessun paese europeo, dopo la sconfitta di Hitler, la minaccia terroristica è mai stata gestita in questo modo. Queste sono “cose da Hollywood”:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/07/batman-leroe-della-controrivoluzione/

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Ora qualunque cellula terroristica (e presidente) sa che basta davvero poco per mettere in stand-by gli Stati Uniti e che la popolazione accetterà con entusiasmo che la sua libertà sia sacrificata in nome della sicurezza. Il sogno di Bush è realtà, ma con Bush tutto questo non sarebbe stato possibile. Obama il Buono, invece, può, perché è “animato dalle migliori intenzioni”, nonostante tutto:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/14/amerikarma-obamamania/

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Perciò non è un problema se il confino domestico dei cittadini elimina possibili testimoni delle azioni delle forze dell’ordine paramilitari (stavano cercando indizi o disseminando “prove”? Chi può dirlo?), se il ragazzo è stato scovato da un privato cittadino che aveva violato il coprifuoco perché non ne poteva più, se l’atmosfera diventa ancora più agghiacciante, amplificando gli effetti dell’atto terroristico.

Chiunque contesti questo genere di prassi poliziesca viene bollato come complottista (yawn/sbadiglio) o apologeta di terrorismo (!!!).

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Molti di quelli che hanno seguito Obama durante la crisi hanno osservato che il suo atteggiamento era freddo, distante, privo di emozioni, meccanico nel pronunciare parole di pura circostanza.

Il mio timore è che si stia chiudendo nel suo guscio, come accade agli schizoidi quando la situazione si fa seria. A quel punto è difficile distinguerli dagli psicopatici. A quel punto, tutto diventa possibile:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/03/10/obama-e-psichicamente-sano-oppure-e-schizoide/

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La questione, allora, è la seguente: gli americani sono stati ammaestrati come i tedeschi negli anni Trenta, oppure saranno capaci di ridestarsi dall’ipnosi collettiva?

Se vivessi negli USA sarei seriamente preoccupato e traumatizzato, perché saranno anni di lacrime, piombo e sangue:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/02/15/la-storia-dello-zombie-che-fu-bruciato-vivo-dalla-polizia-stati-uniti-2013/

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La democrazia diretta non ha mai ucciso nessuno…finora!

Non credete a chi vi dice che più democrazia diretta ci sarà, meno problemi avremo. Non è successo in Svizzera e non succederà altrove. La democrazia diretta è una buona cosa se usata con misura, sobrietà, buon senso, assennatezza e discernimento, altrimenti è un’arma micidiale. In ogni caso, i diritti fondamentali e la pari dignità di cittadini e residenti/soggiornanti NON DEVONO ESSERE MAI TOCCATI (se non per migliorarli ed ampliarli!)

Un estratto dal mio prossimo libro
:

“[…] Gli etnopopulisti elvetici dell’SVP, imprigionati dai vincoli costituzionali, adoperano la democrazia diretta, incluse le proposte di legge di iniziativa popolare e i referendum, per vincere delle battaglie che altrimenti non potrebbero neppure intraprendere. Questo, naturalmente, significa che la fede di carattere messianico dei campioni della democrazia diretta, che vedono nella democrazia diretta la soluzione alla gran parte del mali della società, è malriposta. Lungi dall’indebolire la partitocrazia, la democrazia diretta dal basso incentiva lo sviluppo di nuove forme di partitismo non meno manipolative e spregiudicate di quelle giustamente sotto accusa (Ladner/Brändle, 1999).

Uwe Serdült e Yanina Welp, due tra i massimi esperti elvetici di democrazia diretta, hanno studiato le iniziative popolari di democrazia diretta in tutto il mondo dalla prima (nel 1874) al 2009 (Serdült/Welp 2012) ed hanno scoperto che la diffusione della democrazia diretta non ha nulla a che vedere con la crisi della democrazia rappresentativa nelle democrazie consolidate. Infatti la spinta per una maggiore democrazia diretta ha riguardato soprattutto paesi non-europei. Sono solo quattro su 38 le nazioni dell’Europa occidentale che si sono dotate degli strumenti per attuare la democrazia diretta a partire dal basso. E di queste 38 nazioni solo 19 ne hanno fatto uso dalla fine degli anni Ottanta. La tanto bistrattata democrazia italiana risulta al secondo posto nel mondo, con 62 referendum a partire dal 1974, dopo la Svizzera (336 dal 1874) e davanti al Liechtenstein (56 dal 1925), San Marino (14 dal 1982) e Uruguay (11 dagli anni Cinquanta). Proprio in Uruguay dei referendum di riforma costituzionale sono stati promossi nel 1958, 1962 e 1966 per imprimere una svolta autoritaria al sistema di governo uruguagio. In Estonia, nel 1933, sotto la pressione della Depressione, il regime fascista fu instaurato proprio attraverso un’iniziativa popolare di democrazia diretta.

Più recentemente, numerosi studiosi hanno messo in guardia dal sottovalutare la capacità dei gruppi di pressione e dei poteri forti di influenzare l’andamento delle campagne referendarie e l’esito del voto: il cosiddetto “paradosso populista” (Gerber, 1999). David S. Broder (2000) ha evidenziato con abbondanza di riferimenti come, soprattutto in California, ma non solo, è tragicamente ingenua la fiducia che si ripone del potere taumaturgico dell’iniziativa popolare: laddove c’è un netto divario di risorse, demagoghi e lobbisti strumentalizzano la democrazia diretta senza che gli elettori se ne rendano conto e sussiste un rischio molto concreto che, prima o poi, il sistema democratico rappresentativo e, con esso, la cornice costituzionale, possa essere abbattuto dall’interno, a furor di plebiscito. In pratica, quella che doveva essere una cura contro il lobbismo si è trasformata in un’ulteriore opportunità di manipolazione degli orientamenti dei cittadini, perché la politica non ha ancora provveduto a regolamentare adeguatamente le attività di pressione e renderle trasparenti.

Barbara Gamble, che ha rianalizzato le esperienze di democrazia diretta negli Stati Uniti tra il 1959 ed il 1993, ha mostrato che le maggioranze hanno ripetutamente usato lo strumento referendario per tiranneggiare le minoranze, con iniziative contrarie ai loro diritti civili che hanno riscosso una serie straordinaria di successi (Gamble 1997, p. 261). Questo avviene ancora più di frequente nelle comunità più piccole, laddove manca quell’eterogeneità di interessi che rende più arduo formare delle maggioranze coese che possano spadroneggiare sulle minoranze (Donovan/Bowler 1998).

Il problema principale è che chi è in grado di investire molto denaro ha una concreta possibilità (statisticamente significativa) di far pendere la bilancia da una parte o dall’altra, in accordo con le sue preferenze (Hertig, 1982; Kriesi, 2005; Stratmann, 2006). Hanspeter Kriesi, direttore del dipartimento di politica comparata all’Università di Zurigo e specialista di democrazia diretta, ha rilevato che le iniziative di democrazia diretta in Svizzera sono molto spesso impregnate di emotivismi e di tenaci pregiudizi in favore delle indicazioni di voto del proprio partito di riferimento e moltissimi elettori decidono fin dall’inizio che cosa voteranno, cambiando idea molto di rado e facendo proprie le argomentazioni che raccolgono durante la campagna referendaria solo per razionalizzare scelte predeterminate e di carattere emotivo. In un intervento alla conferenza internazionale annuale dell’associazione di studi politici sul tema “in difesa della politica” (aprile 2012), Kriesi ha amaramente commentato che l’esercizio deliberativo nelle campagne di democrazia diretta non corrisponde ad uno scenario ideale in cui i votanti prendono delle decisioni sulla base delle argomentazioni più persuasive.

Mentre l’islamofobia e la xenofobia hanno pesantemente condizionato la pratica della democrazia diretta in Svizzera, ostacolando per esempio gli sforzi dei rappresentanti politici di naturalizzare gli immigrati e garantire i loro diritti civili (Hainmueller/ Hangartner 2012), l’omofobia ha più volte annullato virtualmente tutte le iniziative a livello rappresentativo negli Stati Uniti che volevano garantire pari diritti agli omosessuali. Negli Stati Uniti, tra il 1995 ed il 2004, gli stati che prevedevano la democrazia diretta hanno approvato molte più proposte di legge ostili alle minoranze di quelli che non la contemplano (Lewis, 2011). La Svizzera, avendo previsto questo tipo di risvolto, è meno affetta – ma tutt’altro che immune – da questa sindrome di populismo autoritario e discriminatorio perché ha cercato di mettere al sicuro i principi costituzionali ed i diritti civili già garantiti dalle aggressioni di un elettorato volubile (ma sulle naturalizzazioni ha potuto fare ben poco).

Dobbiamo, tristemente, prendere atto del fatto che James Madison, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, aveva ragione quando ammoniva che “quando una maggioranza è unita da un comune interesse, i diritti della minoranza sono incerti” (1787)”.

“Children of Men” (“I figli degli uomini”) – un film preveggente?

ART. 1 “Gli stranieri, sudditi dei governi con i quali la Repubblica è in guerra, saranno detenuti fino alla pace”

ART. 2 “Le donne, unite in matrimonio con dei francesi prima del 18 del corrente mese, non sono comprese nella presente legge, a meno che non siano sospette o mogli di sospetti”

ART. 10 “Il comitato di Salute Pubblica è egualmente autorizzato a trattenere in requisizione permanente tutti gli ex nobili e gli stranieri che crederà utile adibire ai lavori pubblici”

ART. 23 “Tutti gli oziosi, che saranno riconosciuti colpevoli di essersi lagnati della Rivoluzione, che non abbiano compiuto i sessant’anni e che non siano infermi, saranno deportati alla Guyana”.

Saint-Just, articoli proposti alla Convenzione.

Perché allora non ricorriamo ai detenuti nobili ordinando loro di compiere ogni giorno questi lavori di riassetto delle grandi strade?

Saint-Just, 1794

Occorre obbligare ogni cittadino a collaborare all’attività nazionale…non abbiamo forse navi da costruire, officine da migliorare, terre da bonificare?

Saint-Just, 1794

Un vero e proprio capolavoro visionario e tecnico della cinematografia, “Children of Men” (“I figli degli uomini”) di Alfonso Cuarón – tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice britannica P.D. James, prefigura l’instaurazione di una democrazia autoritaria nella Gran Bretagna del 2027. I due protagonisti, Theo e Kee, arrivano ad un campo di internamento di rifugiati in fuga dai disordini dell’Europa continentale per scoprire che  i guardiani si sono gradualmente metamorfizzati, assumendo le sembianze e gli atteggiamenti delle guardie dei lager nazisti. È peraltro probabile che la coppia in fuga non sia rimasta particolarmente sorpresa nello scoprire il livello di abbrutimento delle forze dell’ordine britanniche, visto che nel corso dell’intero film si notano mezzi pubblici blindati e trasformati in gabbie per la deportazione degli “immigrati illegali”, insegne e comunicati che esortano i cittadini inglesi a denunciare i medesimi, indipendentemente dal rapporto di fiducia che si può essere instaurato con loro. Un evidente riferimento alla caccia nazista agli ebrei, rafforzato dalla scelta di mostrare la cattura e probabile esecuzione sommaria di una loro compagna di fuga (Miriam) al campo profughi di Bexhill con nel sottofondo un brano dei “The Libertines”, intitolato “Arbeit Macht Frei”.

La grandezza dell’opera risiede appunto in questa sua capacità di esplorare i risvolti di questioni centrali del nostro tempo come l’immigrazione, la gestione di rifugiati e profughi, la xenofobia, il razzismo, in un contesto degenerato a causa della lotta al terrorismo – si intuisce che un ordigno nucleare è stato fatto esplodere a New York e che è stato possibile salvare solo alcune opere d’arte italiane e spagnole dalle devastazioni causate da una qualche rivoluzione – e di una possibile terza guerra mondiale, con ricaduta radioattiva sull’Africa.

In un’intervista, Cuarón spiega che l’intento era proprio quello di far riflettere gl spettatori sulle implicazioni dell’esistenza di realtà come Abu Ghraib, Guantánamo e Bagram, in Afghanistan. Nessuna democrazia formale è al sicuro dal rischio di deteriorarsi, precipitando verso l’estremo nazista: le cose brutte non succedono solo alle persone di colore. Per questo la vista del rifugiato italiano implorante ed incapace di esprimersi in inglese che viene trascinato via con la forza da un militare inglese con al guinzaglio il classico pastore tedesco ha l’effetto di un pugno nello stomaco: non è un arabo, non è un nero, non è “uno degli altri”; è “uno dei nostri”. Uno dei nostri ridotto alla condizione di “nuda vita” (cf. Agamben), di essere vivente senza diritti e senza dignità, alla mercé dell’arbitrio e della violenza, condannato a morte non per aver commesso un crimine indicibile, ma solo per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, appartenendo alla categoria umana “sbagliata”, quella che non è più protetta dalle leggi dello Stato. Un individuo reso apolide, snazionalizzato, e quindi privato di ogni diritto. Un individuo segregabile e scartabile.

A pochi anni dalla realizzazione del film, questi scenari non sono più fantascientifici o comunque futuribili. Il futuro è dietro l’angolo.

Nel giugno del 2010, il senatore israelo-americano Joseph Lieberman – ex candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti – ed il senatore Scott Brown hanno presentato una proposta di legge – Terrorist Expatriation Act, S.3327, HR 5237 – che priverebbe della cittadinanza americana chiunque sia sospettato di appoggiare il terrorismo o una nazione in guerra con gli Stati Uniti. Questi non potrebbe avvalersi del giusto processo e delle altre forme di tutela specificate dalla Costituzione (cf. Miranda: l’insieme dei diritti costituzionali di cui si viene informati al momento dell’arresto nel diritto statunitense). Questo disegno di legge è motivato, così si sostiene, dalla necessità di impedire a cittadini come Faisal Shahzad, l’aspirante terrorista di Times Square, di fruire della protezione delle leggi americane, essendo un traditore. A parte il fatto che la possibilità di togliere la nazionalità escludendo un cittadino dei suoi diritti svuoterebbe di ogni significato lo stato di diritto e i principi sanciti dalla Costituzione Americana, la proposta di legge è così generica che potrebbe essere applicabile a migliaia di cittadini sospettati di “legami” con gruppi terroristici o nazioni ostili, che scomparirebbero letteralmente in una rete di centri di detenzione militare, senza che i loro avvocati possano rintracciarli e difenderli. Sarebbe, come vedremo, la prosecuzione delle logica adottata in passato, quando migliaia di cittadini di origine giapponese, italiana e tedesca furono internati per il tutto il corso della guerra, violando la Costituzione, per decisione di uno dei migliori presidenti americani di ogni tempo, F.D. Roosevelt.

Tra l’altro, è sconcertante che Joe Lieberman non si renda conto che una tale normativa, un giorno non troppo lontano, potrebbe anche giustificare la detenzione di decine, forse centinaia di migliaia di cittadini americani di religione ebraica, o ex coscritti nell’esercito israeliano, o titolari della doppia cittadinanza israelo-americana, come appunto lui. I terribili precedenti dovrebbero servire da monito.

A questa minacciosa proposta di legge si aggiunge quella promossa dal senatore John McCain, già candidato alla presidenza degli Stati Uniti e sconfitto da Obama, la S.3081 del 4 marzo – “Enemy Belligerent Interrogation, Detention, and Prosecution Act”. Presentata assieme al recidivo Joseph Lieberman e al potente senatore e fondamentalista cristiano James Inhofe, questa legge annullerebbe l’habeas corpus (la fondamentale tutela da un arresto illegittimo) agli Americani considerati “nemici belligeranti” (enemy combatants), in teoria, vista la vaghezza e quindi l’interpretabilità del testo, anche solo per aver apprezzato azioni di natura bellica contrarie agli interessi americani. Questi cittadini non avrebbero diritto ad un avvocato o a un giusto processo e sarebbero sottoposti a detenzione a tempo indeterminato in un centro di internamento militare. Queste due proposte, assieme al Patriot Act (prorogato da Obama fino al 2015) ed al Military Commissions Act del 2006, fanno letteralmente a pezzi la Bill of Rights americana allo stesso modo in cui la legislazione nazista preparava la strada ai campi di concentramento per i nemici del Terzo Reich.

Nessuno, a quel tempo, immaginava che cosa sarebbe avvenuto in seguito, allo stesso modo in cui quasi nessuno, al giorno d’oggi, potrebbe immaginarsi che il destino degli Stati Uniti sia quello di trasformarsi in una tirannia che incarcera arbitrariamente migliaia di cittadini e li fa processare da tribunali militari per aver osato opporsi alle politiche statunitensi.

Questa incapacità anche solo di concepire un tale sviluppo è essenzialmente dovuta ad ignoranza o attenzione selettiva. Nessuno può più sentirsi al sicuro, specialmente quando si profilano attentati anche più drammatici di quelli dell’11 settembre. Lo scenario descritto dal politologo ed ex leader politico canadese Michael Ignatieff, sul New York Times Magazine del 2 maggio 2004 è assolutamente plausibile: “Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza”.

I due summenzionati disegni di legge, che hanno incontrato il favore di Hillary Clinton, se convertiti in legge – il che avverrebbe in modo quasi automatico nel caso di un altro attentato terroristico, proprio come avvenne con il tremendo Patriot Act, approvato praticamente senza essere discusso –  conferirebbero al presidente degli Stati Uniti poteri straordinari, pressoché dittatoriali – incluso l’uso di tribunali militari, che non sono autorizzati a giudicare cittadini americani, finché a questi ultimi non viene tolta la cittadinanza – che si sommerebbero a quelli già previsti in seguito all’11 settembre. Nessun cittadino americano che dissentisse dalle decisioni del governo potrebbe dirsi al sicuro. Con il Patriot Act serviva una giusta causa, ora sarebbe sufficiente il mero sospetto, ossia l’insinuazione, un castello accusatorio fittizio fondato su un’arbitraria definizione di affiliazione ad un’organizzazione terroristica, che nessuna procedura processuale civile potrebbe smontare. Lo stesso Patriot Act, la cui bozza conteneva misure analoghe a quelle proposte da Lieberman ma che, alla fine, molto saggiamente, non furono approvate, fino al 2009 aveva già portato all’incarcerazione di oltre 200 passeggeri aerei per “cattive maniere” (Los Angeles Times, 20 gennaio 2009).

Barack H. Obama ha dichiarato solennemente che “non autorizzerà la detenzione militare a tempo indeterminato senza processo di cittadini americani. Una cosa del genere violerebbe le tradizioni e i valori più importanti della nostra nazione”. A parte il fatto che una tale misura sarebbe scandalosa anche se ad esservi sottoposti fossero cittadini non-Americani – e potrebbe accadere a chiunque, in qualunque luogo – la tragica verità è che, a dispetto delle sue promesse, Obama non ha chiuso il campo di concentramento di Guantánamo Bay, non ha bloccato le deportazioni illegali (extraordinary renditions), non ha soppresso i tribunali militari speciali istituiti da Bush, ha esteso la rete globale di prigioni segrete americane e la sua amministrazione è stata ancora più ostile all’habeas corpus della Bush-Cheney.

Alla fine del 2011 Obama ha controfirmato una legge (National Defense Authorization Act) che trasferisce all’esercito buona parte delle competenze in materia di operazioni anti-terroristiche e prevede la possibilità di imprigionare i sospetti terroristi a tempo indeterminato e senza processo. Persino il New York Times, normalmente molto pro-Obama, ha dedicato all’evento un devastante editoriale (16 dicembre 2011) che lo definisce maldestro e descrive il testo approvato come “così pieno di elementi discutibili che non c’è lo spazio per esaminarli tutti”, in particolare “nuove, terribili misure che renderanno la detenzione a tempo indefinito e i tribunali militari un aspetto permanente della legge americana”. In sintesi, “una deviazione dall’immagine che questa nazione si è fatta di se stessa, ossia di un luogo in cui le persone che hanno a che fare con lo stato o sono sottoposti ad un’accusa formale oppure restano a piede libero”.

Un gruppo di ventisei generali ed ammiragli in pensione, che si era già impegnato sul fronte del probizionismo della tortura, ha scritto ai rispettivi senatori spiegando che questa è una legge che arreca più danni che benefici. Trentadue parlamentari democratici hanno inviato le loro lettere di protesta alle due camere, temendo che la legge minerà alle fondamenta il quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo emendamento della Costituzione. Ulteriori critiche severe sono giunte da un articolo di Forbes, che la descrive come “la più grave minaccia alle libertà civili degli Americani”, dall’American Civil Liberties Union (ACLU) e da Human Rights Watch, che sostengono che l’ultima volta che poteri di detenzione così ampi sono stati conferiti allo stato è stato al tempo di McCarthy, con l’Internal Security Act. Secondo Jonathan Hafetz, avvocato ed uno dei massimi esperti di questo ambito giuridico, questa è la prima volta nella storia americana che si autorizza per legge l’incarcerazione militare illimitata e senza processo.

Quel che è grave è che questa disposizione non solo viola l’articolo 7 della Dichiarazione universale dei diritti umani – “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione” – ma stabilisce un obbligo di detenzione militare per cittadini non-americani, inclusi quelli arrestati sul suolo americano e, di conseguenza, anche l’obbligo di approntamento di una rete di centri di detenzione militari sul suolo americano.

Queste leggi e proposte di legge si fanno beffe delle convenzioni di Ginevra e violano gli articoli 8, 9, 10 e 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e rendono impossibile chiudere Guantánamo e gli altri campi di detenzione/concentramento americani sparsi nel mondo (es. sezioni 1026 e 1027 di NDAA 2011), nonostante la dichiarazione di Obama che “il carcere di Guantánamo Bay compromette la sicurezza nazionale e la nostra nazione sarà più sicura il giorno in cui questa prigione sarà finalmente e responsabilmente chiusa”.

Sempre riguardo a NDAA, dei gravi problemi interpretativi affliggono la sezione 1021 (precedentemente 1031), che contempla la detenzione a tempo indefinito, senza un giusto processo, di persone accusate di essere stati o essere membri o di aver appoggiato in misura sostanziale al-Qaeda, i Talebani o forze ad essi associate in stato di belligeranza con gli Stati Uniti ed i loro alleati.

Dunque anche la resistenza palestinese, siriana e libanese all’occupazione israeliana? Saddam Hussein era stato falsamente collegato ad Al-Qaeda, pur essendone un nemico dichiarato: cosa succederà ai cittadini iraniani, siriani, palestinesi, libanesi, somali, yemeniti, pachistani, indonesiani, venezuelani, cubani?

L’amministrazione Bush è sempre stata molto elastica nella sua lettura di quel che era autorizzata o meno a fare e varie corti, in diversi gradi di giudizio, hanno simpatizzato con questo approccio che erodeva i diritti degli accusati/imputati (cf. Matteo Tondini, “Hamdan v. Rumsfeld. Se il diritto si svuota dei suoi contenuti”). Robert M. Chesney (University of Texas) ha criticato la scelta di non fare chiarezza, lasciando il testo in termini così vaghi da consentire interpretazioni restrittive e radicali. Il risultato è che Obama, o chi gli succederà, avrà una discrezionalità interpretativa senza precedenti nella storia americana e, quasi senza eccezione, chi arriva al potere tende a fare il massimo uso possibile delle sue prerogative.

D’altronde forse non bisognerebbe stupirsi di tutto questo, sapendo che gli Stati Uniti si fregiano del primato mondiale di possedere un quarto della popolazione carceraria del mondo (con il 5% della popolazione totale mondiale).

La mia conclusione è che esistono le premesse perché negli Stati Uniti si ripeta quel che accadde tra il 1941 ed il 1945 ai cittadini americani di etnia giapponese a Manzanar ed in altri campi di concentramento, ma anche ai trentini nel corso della Grande Guerra (cf. Katzenau).

Zuccotti Park e Piazza Battisti: il fallimento di indignati ed autonomisti ci serva di lezione

di Stefano Fait

Ho notato (numero di visualizzazioni) che c’è un certo interesse per il mio punto di vista sulla questione: “autonomia al bivio”.

Mi fa ovviamente molto piacere e mi auguro vivamente di non deludere i lettori: non posso fare molto altro per la mia comunità se non cercare di analizzare quel che vedo e sento quanto più lucidamente mi sia possibile fare.

Dice bene il direttore del Trentino Alberto Faustini, nel suo editoriale: “A mancare erano…le facce delle persone che ogni giorno vivono d’autonomia, ma che sentono il Palazzo meno vicino d’un tempo…I cittadini, in piazza, non ci sono scesi proprio: chi di dovere, si chieda perché“.

È un fatto: Piazza Battisti era affollata, ma non piena, e certamente non più di un terzo dei presenti non è stato “convocato”.

Il tanto deprecato e vezzeggiato popolo non si è visto.

Sono stato intervistato e non ho idea di cosa sarà trasmesso in TV di quanto ho detto.

Ne approfitto per riproporre ed elaborare i punti nodali che ho toccato.

Primo, ma non per importanza. L’assessore Panizza doveva usare maggior circospezione. La situazione richiede una certa coesione, non visibilità personale e a vantaggio del proprio partito: uniti nella diversità, con pari dignità. Le strumentalizzazioni politiche allontanano la gente e costringono il dibattito nei binari del monologo. Un manifestazione per l’autonomia è diventata una manifestazione per gli autonomisti, non particolarmente riuscita. Bah…
Mettiamo da parte le partigianerie e lavoriamo tutti assieme per il bene comune (con diritto di critica e di dissociarsi).

Secondo. Faustini ha scritto un’altra cosa importante, che è venuta in mente anche a me. Lui l’ha espressa molto meglio: “Il Trentino…può scegliere di chiudersi a riccio, interpretando l’autonomia come un privilegio, oppure può mettere la propria esperienza al servizio dell’Italia come esempio. L’evento di ieri avrà senso solo se perseguirà la nuova strada”.

La strategia del riccio è nobilmente nonviolenta, perché fa male solo a chi aggredisce, ma è anche futile ed autodistruttiva, quando l’aggressore è di un certo peso. Appallottolarsi per resistere all’attacco di un’automobile è istintivo, però è anche suicida.

Per questo il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street sta, temporaneamente, fallendo, com’è fallita la mobilitazione trentina.
Gli indignati non hanno combinato nulla, non hanno ottenuto nulla e ora li stanno scacciando da tutti i luoghi occupati, uno dopo l’altro. Succederebbe lo stesso ai no-Tav, se le comunità della Val di Susa non fossero determinate a resistere. Il fallimento è dovuto alla pateticità del fine principale, che pare essere solo quello di far vedere che ci siamo, che non possiamo essere ignorati, non di cambiare le cose in modo duraturo.

La gente si mobilita quando vede che c’è una ragionevole possibilità che un movimento possa cambiare le cose, che possa ristabilire la giustizia sociale o la libertà, quando è stata persa.

Al momento i Trentini non hanno ancora sentito i veri morsi della crisi, ma solo dei mordicchiamenti sopportabili. Molti non si sono resi conto che ciò è successo soprattutto grazie all’autonomia. I negozi del centro chiudono, ma la maggior parte dei Trentini può continuare a credere che è solo questione di tempo e tutto si sistemerà.

In quei paesi dove l’autonomia non esiste, la gente ha invece capito che la situazione è ben diversa:

Che ci piaccia o no, i dati indicano che è in atto una lotta di classe scatenata unilateralmente da un’oligarchia di ricchi contro la classe media. Dove questo conflitto ci potrebbe condurre l’ha spiegato Gustavo Zagrebelsky senza tanti giri di parole:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/29/gustavo-zagrebelsky-sul-nuovo-ordine-mondiale-e-lapocalisse/
Perché sia stata intrapresa proprio ora non è una questione da affrontare in questa sede, ma è probabilmente legata ad un progressivo risveglio della società civile globale, reso possibile da internet (e forse dalla consapevolezza di altri grandi eventi imminenti).

Data la situazione, credo senza precedenti, si rende necessaria una stategia diversa, che pretenda dai politici di rispettare la sovranità e la volontà popolare e di difendere lo stato sociale. Questo è un altro punto che ho toccato nell’intervista. L’autonomia è il fondamento della democrazia, che è nata per contrastare incessantemente ed instancabilmente la tendenza del potere ad accentrarsi in poche mani e per promuoverne la diffusione tra tutti i cittadini, assieme alla consapevolezza ed alle competenze necessarie ad usarlo saggiamente.

Ora, quel che è mancato ad indignati ed autonomisti è la capacità di fare richieste. Il potere non concede nulla se non c’è una richiesta specifica. Se vogliamo qualcosa dobbiamo domandarlo.
Dellai
e Durnwalder hanno chiesto maggiori competenze, ossia hanno assicurato che le due province autonome si faranno carico di maggiori spese, alleviando ulteriormente i costi che spettano allo Stato. È una buona mossa, ma non credo che avrà alcun successo, perché a Roma e Bruxelles la tendenza prevalente è quella dell’accentramento, della sottrazione di fette sempre più ampie di sovranità ai paesi membri.

Trentini ed Alto Atesini/Sudtirolesi non devono dividersi, devono fare fronte comune e farsi sentire, devono parlare la lingua di tutti, proprio come raccomanda di fare Faustini.

Ho scritto con Mauro Fattor il saggio “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” proprio in previsione di questo tipo di evenienza globale con ripercussioni locali (cf. introduzione, pp. 15-20). Gli eventi ci stanno dando ragione.

Si devono fare richieste concrete che riguardino tutti e che possano realisticamente cambiare le cose, altrimenti Roma avrà buon gioco a mettere Lombardi e Veneti contro i Trentini, mentre i separatisti sudtirolesi frazioneranno ancora di più la società civile della provincia di Bolzano. Dobbiamo dare l’esempio a tutte le comunità italiane e non solo. Dobbiamo batterci per tutti e non solo per noi stessi. Dobbiamo agire localmente, ma pensare globalmente, pensare ad un Mondo Nuovo, dove il neoliberismo dei monopoli politico-economico-finanziari sia ricacciato indietro e si riprenda il cammino tracciato dai padri dell’autonomia e dai padri della Costituzione.

O si fa così, oppure le piazze non si riempiranno mai: né le nostre, né quelle altrui.

Concludo con una serie di interrogativi che spero riceveranno una risposta corale e positiva.
L’Alto Adige può imparare dagli errori trentini e vice versa?
Possiamo creare assieme un modello autonomistico che serva da piattaforma per tante altre realtà, disgiuntamente dal fattore etnico-linguistico?
Possiamo, cioè, essere “glocali”?
Come suggerisce Michele Nardelli, è possibile “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”?
http://www.michelenardelli.it/
Ma, soprattutto, Bruxelles sarà capace di superare il paradigma centralista ed accettare questo genere di sperimentazioni?

Perché il 10 marzo sarò in piazza per l’autonomia (sintesi)

di Stefano Fait

Il precedente post su questo argomento era troppo lungo:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/06/il-10-marzo-si-fa-la-storia-a-piccoli-passi/

L’ho sintetizzato perché è importante che siano chiare le mie motivazioni, che mi auguro siano ampiamente condivisibili e condivise.

Sarò anch’io in piazza a celebrare l’autonomia, il 10 marzo.

Questo per due ragioni.

La prima è la condivisione del progetto ventilato da Michele Nardelli e da altri di “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”.

La seconda ragione si è imposta ascoltando le parole di due parlamentari italiani, entrambi fautori di una Grande Coalizione a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013. La definivano un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!), bollati come “populisti” e “demagoghi”. Mi ha particolarmente colpito una frase: “Non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione, dobbiamo fare lo stesso”.

I due parlamentari dichiarano che esiste un unico modello di sviluppo possibile e che chi non lo condivide è un irresponsabile, proprio in una fase storica in cui le magagne del sistema sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene nostro e delle generazioni a venire.

Quel che è peggio è che s’intravede, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali sia sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere centrale siano al contrario sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi.

Viene così a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità, fonte di creatività, innovazione, miglioramento, autocritica, graduale maturazione della società civile. Si prospettano, al contrario, energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia potrebbe avere un significato molto importante, forse perfino epocale e voglio esserci anch’io.

Il 10 marzo si fa la storia, a piccoli passi

di Stefano Fait

Qui una sintesi delle riflessioni sviluppate nell’articolo che segue le citazioni:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/07/perche-il-10-marzo-saro-in-piazza-per-lautonomia-redux/

Se in piazza non ci saranno migliaia di persone, sarà un flop clamoroso.

Luis Durnwalder, “Trentino”, 2 marzo 2012

Il mio timore è che molti di noi, pur amando dissertare di autonomia, pur riconoscendone valore e utilità, non ne avvertano invece una sincera ed autentica passione.

Franco Panizza, “Trentino”, 3 marzo 2012

Una proposta, quella di fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale, mettendo in rete – come è stato per la Carta sull’autonomia del Tibet – i luoghi della ricerca di questa terra impegnati sul piano internazionale, dall’Università al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani all’Osservatorio Balcani Caucaso… Ne avevamo parlato qualche giorno fa con l’ambasciatore del Marocco e con il presidente Dellai, a partire dalla semplice considerazione che quello trentino è in sé un piccolo laboratorio sull’autonomia, guardato con attenzione da molti e in latitudini diverse.

Michele Nardelli

http://www.michelenardelli.it/diario.php?anno=2012&mese=03

L’autonomia, sia individuale sia collettiva, pietra angolare dei regimi democratici, corrisponde al diritto di cercare attraverso se stessi, non alla certezza di trovare.

Tzvetan Todorov, “Il secolo delle tenebre”

Difetta nei più, per miseria, per indifferenza, secolare rinuncia il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa sì che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano. Gli italiani hanno più spesso l’orgoglio della loro persona, nei suoi valori e rapporti esterni, che della loro personalità. […]. Mussolini fornisce la misura della sua banalità quando considera il problema della autorità e della disciplina come il problema pedagogico essenziale per gli Italiani. Vivaddio, non è questo che occorre insegnare agli Italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna vera rivoluzione di popolo.

Carlo Rosselli, “Socialismo liberale”

Ieri sera sono rimasto assolutamente sconcertato dalla visione del mondo delineata su Rai News 24 da due parlamentari italiani, Adolfo Urso (ex MSI, presidente della Fondazione i FareFuturo, e Guido Crosetto (PDL).

Entrambi fautori di una Grande Coalizione PDL-PD-Centro a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013, la definiscono un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!) che bollano come “populisti” e “demagoghi”, spiegando che “non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione l’Italia deve fare lo stesso”. I due parlamentari dividono il mondo tra i realisti che appoggiano Monti e la Tav e gli altri, gli anti-moderni, che rappresentano una zavorra per l’Italia e con i quali non si possono stabilire degli accordi, perché sono per definizione nel torto. La Grande Coalizione sarebbe allora una muraglia contro questi nuovi barbari, per preservare la civiltà. Se qualcuno pensa che io sia caduto in eccessi retorici, lo invito a seguire con attenzione le dichiarazioni di chi si schiera con il progetto della Grande Coalizione. Urso e Crosetto hanno promesso che nei prossimi mesi la separazione antropologica tra gli uni e gli altri sarà resa sempre più netta, “per poter chiarire le idee all’elettorato italiano, in special modo riguardo alla grande trasformazione della logica degli schieramenti che si renderà necessaria per dar vita alla Grande Coalizione”.

Considero un’assoluta priorità smascherare la reale natura di questo progetto, che è destinato a ridurre ulteriormente gli spazi democratici di questo paese e a confliggere con le autonomie locali.

La visione del mondo propagandata dai summenzionati parlamentari (ma anche dal governo Monti e da Napolitano) è quella, fatalistica, di una società governata da forze inarrestabili ed incontrollabili che si possono solo assecondare. Mentre la premessa della democrazia è l’autodeterminazione, la capacità dei cittadini di trasformare le proprie circostanze di vita eleggendo dei rappresentanti che incarnino la loro volontà, che può essere e spesso è in contrasto con quella di chi detiene il potere economico-finanziario e militare, la lettura della realtà di questi politici non è dissimile a quella che ha ostacolato l’abolizione dello schiavismo e dell’apartheid: esiste un unico modello possibile, chi dissente è un demagogo, chi sottoscrive è responsabile. Crosetto lo diceva con gli occhi bassi, senza guardare la telecamera. Forse una parte di lui si vergognava delle parole che gli uscivano dalla bocca. Urso, memore del suo passato alla direzione nazionale del Fronte della Gioventù, sembrava trovarsi molto a suo agio in questa cornice di ineluttabilità e di gerarchie inossidabili. Fosse stato per loro Rosa Parks, l’involontaria eroina dell’anti-segregazionismo, non sarebbe mai dovuta esistere: irresponsabile! Com’è irresponsabile, sempre dal loro punto di vista, una comunità autonoma che si oppone al volere delle autorità centrali.

Lo chiede Bruxelles! Lo chiedono le autorità mondiali!

Sarebbe bene che Durnwalder e Dellai – e chi verrà dopo di loro – riflettessero a lungo sulle implicazioni del varo della Grande Coalizione. Vi è, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali è sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere sono sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi. Tecnici e professori non sbagliano e, se sono dalla parte sbagliata, come nel caso dei no-Tav, è perché sono faziosi e non analizzano la realtà obiettivamente (altrimenti sarebbero pro-Tav).

In questa supponente Weltanschauung, gli autonomismi rappresentano un’incoerenza ed una contraddizione nel disegno generale, sono intellettualmente e psicologicamente irritanti, fomentano l’indisciplina ed il disordine.

L’aggressività montiana contro le autonomie non è esclusivamente motivata dalla dottrina dell’austerità senza se e senza ma. C’è dietro anche un impulso psicologico dettato dal senso di intangibilità morale (che normalmente appartiene alla sfera del sacro), il senso che le proprie decisioni sono insindacabili e moralmente ineccepibili e che chi punta il dito contro l’arbitrarietà di certe decisioni prese in nome del bene comune non sa quello che dice o è un fanatico, populista/demagogo, ecc. Questo paternalismo/maternalismo statalista mal tollera le autonomie e non è per nulla benevolo, anche se ritiene di esserlo: il potere di generare la vita e di nutrirla è anche quello che la fa appassire; la fiducia può mutarsi in ricatto.

Viene allora a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità come fonti di creatività, innovazione, miglioramento, proprio in un momento in cui le magagne del modello di sviluppo dominante sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene delle generazioni a venire.

Invece il conflitto viene riclassificato come caos: il mantenimento dell’ordine delle cose non va messo in discussione e chi lo fa è dogmatico, superstizioso o disadattato ed il suo atteggiamento è passibile di correzione. Giusto è quel che il potere stabilisce sia giusto e solo dei malvagi e degli egoisti si potrebbero opporre al giusto ed al bene: saranno dunque necessari degli energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali. Ciò che stona va rimosso, in nome dell’utilità sociale.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia avrà un significato molto importante, forse perfino epocale.

In Italia non se ne accorgerà nessuno, perché i media saranno occupati a coprire ben altre questioni, ma resta il fatto che questo evento molto piccolo crescerà, con il tempo, fino ad assumere proporzioni forse ingiustificate, perché noi esseri umani viviamo in una rete di miti ed archetipi e continuiamo a produrne di nuovi. Quel che è certo è che si tratta dell’inizio di un discorso più ampio che non sappiamo dove ci condurrà, ma che è diventato irrinunciabile ed è decisamente stimolante, come lo sono, di norma, le grandi trasformazioni.

Data la situazione attuale:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/prima-vennero-per-i-greci-e-non-dissi-nulla-perche-non-ero-greco/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

ad aprile, i Greci voteranno quasi certamente per un governo tenacemente ostile a Bruxelles, che molti prevedono indirà quanto prima un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Sfidando l’ira delle autorità europee, il nuovo primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato che sarebbe suicida inseguire i termini europei sul taglio del deficit, perché spingerebbe il tasso di disoccupazione oltre la soglia del 25% (quella giovanile è già oltre il 40%). La Spagna è un morto che cammina, anche se i riflettori si concentrano su Grecia e Portogallo, che in effetti, fino ad oggi, se la sono passata peggio. Si trascura la Spagna (in termini di PIL, 1XSpagna = 5XGrecia), perché la sua caduta segnerebbe la fine del progetto degli Stati Uniti d’Europa. Però alla fine del 2011 il deficit spagnolo ha toccato quota 8,51%, 2 punti e mezzo percentuali oltre quel che aveva preventivato Zapatero. Quello delle comunità autonome è più che raddoppiato in un solo anno. Una politica di rientro del deficit che eviti sommosse in ogni città spagnola è praticamente impossibile.

In Francia la notizia che la Merkel avrebbe fatto (slealmente: si può dire?) campagna elettorale per Sarkozy ha favorito il suo sfidante socialista, Hollande, molto critico della politiche europee di austerità e centralistiche:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-06/patto-antihollande-sarkozy-autogol-063917.shtml?uuid=AbRsOz2E

I potenti d’Europa non hanno ancora capito che la maggioranza dei cittadini li detesta?

La Repubblica Ceca si è saggiamente chiamata fuori dall’intesa fiscale (Fiscal Compact – la “regola d’oro” della disciplina del budget), assieme ai britannici. Il governo irlandese indirà un referendum sul Fiscal Compact, l’insieme delle nuove norme europee di controllo del budget fiscale. Gli Irlandesi hanno già bocciato il trattato di Nizza nel 2001 e quello di Lisbona nel 2008. Il giudizio dell’elettorato è, per il momento, negativo. Questo voto non rappresenta una minaccia per le autorità europee, dato che sono sufficienti 12 ratifiche su 25 stati firmatari per approvare il F.C. Tuttavia il no lancerebbe un chiaro segnale agli altri popoli europei che già associano il termine austerità all’idea di trasferimento dei beni dalla classe media ai ricchi.

Veniamo all’Italia, che registra una caduta dei consumi persino nel settore alimentare, quello che in tempi di crisi è l’ultimo a cedere. Nel frattempo il mercato delle auto sta tirando le cuoia (mentre Marchionne continua a pontificare su tutto):

http://www.unrae.it/primo-piano/categorie/comunicati-stampa/item/2287-immatricolazioni-di-autovetture-febbraio-2012

Quest’inverno migliaia di Europei sono morti assiderati (ipotermia) o di malattie stagionali perché non potevano permettersi di pagare le bollette e le medicine.

In Portogallo:

http://www.rtp.pt/noticias/index.php?article=530502&tm=8&layout=121&visual=49

nel Regno Unito:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2100232/Frozen-death-fuel-bills-soar-Hypothermia-cases-elderly-double-years.html?ito=feeds-newsxml

nell’Europa orientale ed occidentale:

http://it.euronews.net/2012/02/02/europa-ondata-di-freddo-killer/

Il prossimo inverno, se sarà rigido quanto il precedente (o più rigido),

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/verso-una-nuova-era-glaciale-il-quadro-dinsieme/

tutto questo non sarà accettato con fatalismo. Tra una tormenta e l’altra i cittadini andranno a prendersi con la forza quello di cui necessitano.

Il forte rallentamento dell’economia cinese (-1,5% rispetto all’anno precedente) e il nuovo boom dei junk bonds (i titoli spazzatura/obbligazioni ad alto rischio che ci hanno portato al disastro) ci fa capire che la crisi dell’eurozona è quasi certamente definitiva e che anche gli stati nazionali rischiano di essere trascinati nell’abisso di questo colossale fallimento, sotto il peso di un indebitamento senza rimedio.

Questo scenario può sfociare in due possibili direzioni: quella di uno stato centralizzato, sul modello degli Stati Uniti d’America (federazione), oppure quella di una proliferazione di piccoli stati confederati (confederazione), allineati allo spirito delle occupazioni degli indignati e della lunga tradizione dell’autonomismo/regionalismo/municipalismo italiano, che evolveranno verso nuove forme di auto-organizzazione collettiva.

Ahimè, ciò, verosimilmente, non avverrà pacificamente: nessun parto è pulito ed indolore.

L’AUTONOMIA PUÒ ESSERE IL VALORE-GUIDA DEL MONDO NUOVO

Ospitalità ed autonomia potrebbero rappresentare lo strumento del nostro riscatto, il volano per un Mondo Nuovo.

La libertà individuale, con annessa responsabilità personale, a volte ci sembra una zavorra. È più facile delegare le decisioni ad altri ed accusarli di aver sbagliato, se commettono degli errori. È ancora più facile distribuire la responsabilità tra i membri di un’intera comunità, enfatizzando la libertà collettiva e i narcisismi collettivi: “mal comune mezzo gaudio, e comunque tutte queste persone non possono aver torto” (chissà quanti Tedeschi l’hanno pensato o detto durante il nazismo!).

L’idea moderna di autonomia, però, è incentrata sul principio dell’importanza di assumere, almeno in una certa misura, il controllo delle proprie esistenze, coralmente, invece di vivere alla mercé degli agenti esterni, in un infantilismo protratto.

Ho già affrontato la questione della libertà, il principio da cui scaturisce quello dell’autonomia in un articolo di qualche tempo fa:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-liberta-quella-vera/

L’idea moderna di autonomia presuppone l’autodeterminazione personale (libertà) in una cornice di autodeterminazione comunitaria (responsabilità).

L’una non esclude l’altra: sono complementari.

Un cittadino adulto, maturo, non ripudia la sua autonomia di giudizio e si batte per espandere questo suo diritto inalienabile (giacché non è un privilegio né una concessione), a partire dalla sua comunità, perché sa che essere circondato da persone consapevoli, libere e responsabili, che sanno decidere in coscienza, va a tutto vantaggio suo e del bene comune. In questo senso la democrazia autonomista ha provato, per quanto è possibile, a realizzare (inverare) l’ideale delle prime comunità cristiane: la piena autonomia delle personalità nell’unità di un destino comune. Questo ideale, a sua volta, in un circolo virtuoso, si fa spontaneo promotore delle virtù dell’autonomia: la tolleranza (non paternalistica), il dialogo, l’apertura, l’autodisciplina e la disponibilità all’autocritica ed al cambiamento. 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, non dobbiamo commettere l’errore di ricadere in quello che chiamo “autonomismo tassidermico”, ossia la tendenza a fissare le identità come quando s’impaglia un animale, a bloccare il cambiamento, come i serpenti che cambiano pelle ma rimangono sempre gli stessi. Quella è la strada della morte dell’autonomismo e delle sue istituzioni, che diventano dei morti-viventi che pretendono devozione ed asservimento a beneficio della loro auto perpetuazione, invece di porsi al servizio dei cittadini, come sarebbero tenute a fare (è quella la loro ragion d’essere).

L’autonomia, l’autonomismo, le comunità autonome devono poter cambiare nel tempo, come cambiano gli esseri umani, altrimenti diventano ingabbiatori e vampiri, annichilitori della ragione e dignità umana. Un autonomismo etnicamente connaturato, per quanto si sforzi di passare per una crociata in favore dei più deboli, è ispirato al principio del diritto del più forte di prevalere ed infantilizza i cittadini invece di avviarli alla maturità. Infatti nessuno può definire me o chiunque altro: solo io posso assumermi la responsabilità di stabilire chi sono e come gestire responsabilmente questa mia identità mutevole, eterogenea, sfuggente.

Malauguratamente, la tendenza dominante al momento attuale è quella di un’unificazione europea di carattere tecnocratico ed autoritario, avversa alle autonomie locali. In ogni occasione ci viene ripetuto che questa è l’unica soluzione a tutti i nostri problemi.

Queste sono le mie argomentazioni in favore di un programma confederale (ossia contro il progetto degli Stati Uniti d’Europa):

  1. L’attuale configurazione dell’Unione Europea va già più che bene: c’è pace, c’è stabilità e ci sarebbe pure prosperità, se i politici prestassero più ascolto ai cittadini-elettori che alle sirene dell’alta finanza. Semmai, una sua riforma dovrebbe privilegiare le autonomie locali, non abolire la sovranità degli stati nazionali e, così facendo, minacciare le stesse autonomie locali (cf. Trentino-Alto Adige);
  2. tenuto conto dei successi indiscutibili delle nazioni più piccole di ogni continente, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una confederazione di repubbliche di dimensioni più ridotte, meno militariste, unite dalla gestione della politica estera e delle questioni di interesse generale;
  3. le riforme dovrebbero riguardare essenzialmente la regolamentazione dell’economia, della finanza, del fisco e del mondo del lavoro – nel senso della tutela di chi produce ricchezza, non di chi si comporta come un parassita e vive alle spalle dei lavoratori, investitori ed imprenditori (speculatori ed evasori);
  4. non si attua un radicale riorientamento delle istituzioni dall’alto se manca il consenso popolare (la democrazia prevede strumenti di consultazione della cittadinanza);
  5. è mai possibile che le lezioni del nazismo, del comunismo e dell’americanismo non siano state apprese?
  6. quando il potere si accentra cresce il rischio di corruzione e si rafforza la minaccia di sviluppi oligarchici e tirannici (“il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”);
  7. più ampia è la popolazione, più grande sarà la distanza tra elettori ed elettorato, perché ci saranno pochi rappresentanti per numerosissimi cittadini e ciò non può che nuocere alle dinamiche democratiche (Montesquieu docet: è improvvisamente diventato un pensatore irrilevante?);
  8. l’unionismo europeista comporta un drastico ridimensionamento dell’autonomia dei governi locali, gli unici strettamente a contatto con la realtà locale, eredità della lotta contro gli autoritarismi del passato: vogliamo più autonomie locali, non meno;
  9. un’unica capitale federale diventerebbe un ricettacolo di burocrati parassitari e politicanti. Pensiamo a Washington ed a Bruxelles. Hanno forse completamente torto i leghisti quando esclamano: “Roma ladrona”? Non c’è neppure un fondo di verità? Vogliamo che Bruxelles si degradi ulteriormente?
  10. in un ordinamento compiutamente confederale dotato di una carta dei diritti (o anche senza di essa, se le costituzioni dei vari stati vengono rispettate) ci potremmo permettere più ampie forme di democrazia diretta senza scivolare nella tirannia delle maggioranze. Saremmo tutelati dagli arbitri della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che stanno spogliando i cittadini dei loro risparmi per riassegnarli a chi già prospera;
  11. in una confederazione ci sarebbe il rischio di una burocrazia ipertrofica ed onnipotente come quella dell’attuale Unione Europea sarebbe attenuato;
  12. in una confederazione si introdurrebbero procedure che consentano le rotazioni periodiche degli incarichi politici di raccordo, per evitare che qualcuno si “incolli” alla sua poltrona, togliendo la delega in caso di incompetenza o disonestà;
  13. si bloccherebbe la strada del presidenzialismo, che assegna eccessive prerogative al presidente, senza che ci sia la minima certezza che sia invariabilmente una persona proba (es. Bush negli Stati Uniti e il mentitore, violatore del diritto internazionale e guerrafondaio Tony Blair, la cui candidatura alla presidenza dell’Unione Europea era stata ventilata da più parti);
  14. una confederazione abolirebbe gli eserciti professionali (permanenti), preferendo addestrare milizie locali, che non rappresentano mai una minaccia per la democrazia e i diritti civili e non instillano nei cittadini quella mentalità guerriera, aggressiva che affligge il mondo (cf. Merkel e Sarkozy e la vendita coatta di armi alla Grecia).

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/no-agli-stati-uniti-deuropa-le-ragioni-del-dissenso/#axzz1nlLMVkzb

Nella malaugurata evenienza di un altro 11 settembre, ma peggiore

a cura di Stefano Fait

L’immagine è tratta da:
http://it.wikipedia.org/wiki/Southland_Tales_-_Cos%C3%AC_finisce_il_mondo

L’esito finale di questa deriva sarà probabilmente un conflitto con l’Iran e con gran parte del mondo islamico. Uno scenario plausibile di uno scontro militare con l’Iran presuppone il fallimento [del governo] iracheno nell’adempiere ai requisiti [stabiliti dall’amministrazione statunitense], con il seguito di accuse all’Iran di essere responsabile del fallimento, e poi, una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati Uniti che sarà attribuito all’Iran, [il tutto] culminante in un’azione militare “difensiva” degli Stati Uniti contro l’Iran.
Zbigniew Brzezinski, dichiarazione davanti ad una commissione del senato americano (1 febbraio 2007)

http://foreign.senate.gov/imo/media/doc/BrzezinskiTestimony070201.pdf.

Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza. E se le istituzioni della nostra democrazia fossero incapaci di proteggerci dai nostri nemici, potremmo andare anche oltre e farci giustizia da soli. Abbiamo una tradizione di linciaggi in questa nazione e quando la paura e la paranoia ci saranno entrati nelle ossa, potremmo finire per ripetere i peggiori episodi del nostro passato, uccidendo i nostri vicini, i nostri amici.

Michael Ignatieff, New York Times Magazine, il 2 maggio 2004

http://www.treccani.it/enciclopedia/michael-ignatieff/

[Già leader del Liberal Party of Canada, che non ha quasi più nulla di liberale, come succede spesso nel mondo della neolingua orwelliana]

Mi sono occupato della questione di un’eventuale istituzione di campi di concentramento negli Stati Uniti, qui:
http://www.informarexresistere.fr/tag/campi-di-concentramento/#axzz1mLNsw14z

Se scivoliamo in un conflitto con l’Iran, in un modo o nell’altro, le conseguenze saranno disastrose per noi, enormemente disastrose e, contemporaneamente, globali.

Zbigniew Brzezinski, 14 dicembre 2011

Nel film Southland Tales gli attacchi nucleari si verificano in Texas, ma potrebbero anche avvenire nel New Mexico, o in Arizona, o comunque nei pressi del confine col Messico, infatti:
http://www.informarexresistere.fr/2011/12/17/cuba-venezuela-brasile-messico-e-il-nuovo-11-settembre-atomico/#axzz1mLNsw14z

N.B. Una curiosa coincidenza: il prossimo film di Richard Kelly si intitolerà “Corpus Christi” e proprio di Corpus Christi (Texas) era il presunto terrorista iraniano arrestato per, ci dicono, aver tentato di uccidere l’ambasciatore saudita (si veda il link precedente)