Rivoluzioni colorate e primavere arabe – preludio alla terza guerra mondiale

 

 

IL QUADRO GEOSTRATEGICO COMPLESSIVO

Una “coalizione cinese-russo-iraniana” – che costituisce la base di una contro-alleanza globale – sta emergendo. USA e Gran Bretagna piuttosto che optare per una guerra diretta, potrebbero scegliere di cooptare Iran e Siria attraverso una manipolazione macro-economica e le rivoluzioni di velluto.

La guerra contro l’Iran e la Siria, tuttavia, non può essere esclusa. Ci sono preparativi di guerra reali sul terreno in Medio Oriente e nell’Asia centrale. Una guerra contro l’Iran e la Siria avrebbe conseguenze di vasta portata in tutto il mondo.

Mahdi Darius Nazemroaya, 2007

http://www.eurasia-rivista.org/lalleanza-sino-russa-una-sfida-alle-ambizioni-statunitensi-in-eurasia/13638/

Alfredo Macchi, “Rivoluzioni S.p.A.: chi c’è dietro la Primavera Araba”, Alpine studio, 2012.

Alfredo Macchi, pluripremiato inviato di Mediaset

 

RIVOLUZIONI COLORATE IN EURASIA

pp. 78-80: “Si comincia in Serbia nell’ottobre del 2000. è ormai documentato dagli storici che alcune ONG statunitensi, in particolare Open Society [Soros], Freedom House e il NED, abbiano sostenuto “Otpor!” e le grandi manifestazioni di piazza a ridosso delle elezioni presidenziali, senza attendere il risultato definitivo delle urne, che vedeva i due candidati andare verso un probabile ballottaggio…Dopo l’assalto della folla alla sede del Parlamento e alla tv di Stato, Slobodan Milosevic è costretto a lasciare il potere. In seguito sarà arrestato e consegnato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, dove morirà prima di essere giudicato. Sotto il nuovo governo le truppe americane realizzano la gigantesca base militare di Bondsteel, in Kosovo, e rendono l’ex provincia serba uno stato indipendente nel 2008, in un tripudio di bandiere a stelle e strisce.

In Georgia, nel 2003, si ripete lo stesso schema. L’opposizione guidata dal movimento “Kmara!” denuncia brogli elettorali nelle elezioni legislative. A migliaia scendono in piazza sostenendo che i risultati del voto sono quelli indicati dal ISFED, una società di sondaggi e monitoraggio elettorale vicina a Open Society Georgian Foundation, NED, IRI e NDI. È la cosiddetta “rivoluzione delle rose”, con la quale i manifestanti costringono il presidente Edward Shevarnadze a dimettersi. Il suo successore, Mikhail Saakashvili, apre il paese agli interessi economici americani e si muove in direzione dell’entrata della Georgia nella NATO e nell’UE, mentre raffredda i rapporti con il vicino russo. Cinque anni più tardi, nell’agosto del 2008, Sakashvili bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud. Mosca risponde all’offensiva militare georgiana con l’invio delle forze speciali, arrivando a un passo da un possibile conflitto diretto con Washington.

Nel 2004 è la volta dell’Ucraina e della rinomata “rivoluzione arancione”. I due sfidanti alle elezioni presidenziali sono Viktor Yanoukovitch (filorusso) e Viktor Iouchenko (con il sostegno degli Stati Uniti e della comunità internazionale). Alla chiusura dei seggi e ai primi risultati sfavorevoli, migliaia di giovani, guidati dal movimento “Pora!”, si raggruppano nella piazza centrale di Kiev indossando indumenti color arancione, per sostenere Viktor Iouchenko. Dopo due settimane di manifestazioni, sotto una forte pressione mediatica e internazionale esercitata da OCSE, NATO, Consiglio d’Europa e Parlamento europeo, il risultato delle elezioni viene annullato e si torna alle urne. Nella nuova votazione vince Iouchenko..Una volta alla guida del paese, il nuovo leader stringe forti rapporti con la Georgia e stipula accordi sulle forniture di gas favorevoli agli Stati Uniti. Nel 2010 viene però clamorosamente eliminato al primo turno delle elezioni da Viktor Yanoukovitch che si prende la rivincita.

Anche in Kirghizistan nel 2005 l’opposizione contesta il risultato delle elezioni legislative e porta nella capitale Bichkek i manifestanti del sud del paese per rovesciare il presidente Askar Akaiev: è la “rivoluzione dei tulipani”. L’assemblea nazionale elegge come presidente il candidato filo-americano Kourmabek Bakaiev, che occuperà contemporaneamente il posto di presidente e di primo ministro. Stabilizzatasi la situazione, Bakaiev vende le poche risorse del paese a società statunitensi e installa una base militare USA a Manas, prima di essere allontanato dal potere da una nuova rivoluzione popolare nel 2010.
L’esito delle rivoluzione colorate, insomma, sembra essere stato quasi sempre quello di rafforzare la politica americana e della NATO ai confini di Mosca, assicurando a Washington importanti basi militari in posizione strategica e l’accesso ai corridoi energetici nel cuore dell’Eurasia”.

“PRIMAVERA ARABA”

pp. 215-217: “I miliziani che hanno combattuto per rovesciare Gheddafi in Libia, si sarebbero spostati in Siria a combattere Al Assad. Le prime indiscrezioni su questa milizia araba vengono da siti israeliani. Nel corso dei mesi alcuni giornalisti entrati in Siria hanno detto di aver visto soldati libici tra le file dei guerriglieri ribelli. Si tratterebbe di centinaia di uomini che hanno raggiunto l’Iraq e la Turchia in aereo per poi da lì entrare in Siria. Dietro l’operazione, sostiene il sito israeliano Debkafile, fonte ben informata su terrorismo, servizi segreti e ambienti militari, ci sarebbe il Qatar. L’emirato, in accordo con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, avrebbe preparato una sorta di forza militare islamica da impegnare ove necessario, a cominciare dalla Siria; una piccola e agguerrita armata, formata da duemilacinquecento miliziani libici ed iracheni soprattutto, che si sarebbe unita ai disertori siriani nel Free Syrian Army, l’esercito ribelle in guerra con il regime di Damasco. […] Nell’autunno 2011 sarebbe avvenuto l’arruolamento di un migliaio di combattenti del Libyan Islamic Fighting Group [al-Qaedisti], reduci dalla guerra a Gheddafi, e di centinaia di miliziani del Ansar al-Sunna, il gruppo salafita iracheno protagonista della guerra contro gli americani. I volontari si sarebbero riuniti nella città meridionale turca di Antakya, non distante dal posto di frontiera di Hatay, dove ha sede il centro di comando dell’esercito dei ribelli siriani”.

RICAPITOLANDO

pp. 261-263: “Gli attivisti hanno quasi sempre ricevuto sostegni finanziari dall’estero, in particolare da Washington, attraverso la galassia “quango” e in nome della “democrazia”, dalle capitali del Golfo Persico tramite organizzazioni caritatevoli e in nome dell’”Islam sunnita”.

Diverse fondazioni e organizzazioni private a Washington, a Belgrado e a Doha, hanno offerto assistenza agli attivisti. Alcuni di loro sono stati addestrati da associazioni dietro le quali si possono intravedere la CIA o altri servizi segreti. Quasi tutte le rivolte sono state precedute da un’intensa attività di blogging sul web e sui social network: un mondo virtuale…dietro cui si può nascondere chiunque.

Alcune insurrezioni hanno seguito lo schema tattico della non violenza, quello teorizzato da Gene Sharp, Robert Helvey e Peter Ackerman, altre sono degenerate in guerre civili. In quel caso le forze speciali inglesi, francesi e americane hanno addestrato e aiutato i ribelli, soldati e mercenari hanno combattuto sul campo, sostegno logistico e armamenti sono stati offerti dai servizi segreti di mezzo mondo.

[…]

Una partita che raramente si gioca con le armi, ma quasi sempre attraverso il soft power, con quei metodi che una volta la CIA chiamava di “destabilizzazione” e che possono comprendere politiche commerciali ostili, campagne mediatiche per creare isolamento internazionale e sostegno a rivolte interne fino all’appoggio dei ribelli per il rovesciamento dei paesi “scomodi”.

[…]

Barack Obama, dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, nel gennaio 2009, ha corretto e affinato il progetto, da un punto di vista di metodo, ma l’obiettivo strategico è rimasto immutato”.

“Children of Men” (“I figli degli uomini”) – un film preveggente?

ART. 1 “Gli stranieri, sudditi dei governi con i quali la Repubblica è in guerra, saranno detenuti fino alla pace”

ART. 2 “Le donne, unite in matrimonio con dei francesi prima del 18 del corrente mese, non sono comprese nella presente legge, a meno che non siano sospette o mogli di sospetti”

ART. 10 “Il comitato di Salute Pubblica è egualmente autorizzato a trattenere in requisizione permanente tutti gli ex nobili e gli stranieri che crederà utile adibire ai lavori pubblici”

ART. 23 “Tutti gli oziosi, che saranno riconosciuti colpevoli di essersi lagnati della Rivoluzione, che non abbiano compiuto i sessant’anni e che non siano infermi, saranno deportati alla Guyana”.

Saint-Just, articoli proposti alla Convenzione.

Perché allora non ricorriamo ai detenuti nobili ordinando loro di compiere ogni giorno questi lavori di riassetto delle grandi strade?

Saint-Just, 1794

Occorre obbligare ogni cittadino a collaborare all’attività nazionale…non abbiamo forse navi da costruire, officine da migliorare, terre da bonificare?

Saint-Just, 1794

Un vero e proprio capolavoro visionario e tecnico della cinematografia, “Children of Men” (“I figli degli uomini”) di Alfonso Cuarón – tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice britannica P.D. James, prefigura l’instaurazione di una democrazia autoritaria nella Gran Bretagna del 2027. I due protagonisti, Theo e Kee, arrivano ad un campo di internamento di rifugiati in fuga dai disordini dell’Europa continentale per scoprire che  i guardiani si sono gradualmente metamorfizzati, assumendo le sembianze e gli atteggiamenti delle guardie dei lager nazisti. È peraltro probabile che la coppia in fuga non sia rimasta particolarmente sorpresa nello scoprire il livello di abbrutimento delle forze dell’ordine britanniche, visto che nel corso dell’intero film si notano mezzi pubblici blindati e trasformati in gabbie per la deportazione degli “immigrati illegali”, insegne e comunicati che esortano i cittadini inglesi a denunciare i medesimi, indipendentemente dal rapporto di fiducia che si può essere instaurato con loro. Un evidente riferimento alla caccia nazista agli ebrei, rafforzato dalla scelta di mostrare la cattura e probabile esecuzione sommaria di una loro compagna di fuga (Miriam) al campo profughi di Bexhill con nel sottofondo un brano dei “The Libertines”, intitolato “Arbeit Macht Frei”.

La grandezza dell’opera risiede appunto in questa sua capacità di esplorare i risvolti di questioni centrali del nostro tempo come l’immigrazione, la gestione di rifugiati e profughi, la xenofobia, il razzismo, in un contesto degenerato a causa della lotta al terrorismo – si intuisce che un ordigno nucleare è stato fatto esplodere a New York e che è stato possibile salvare solo alcune opere d’arte italiane e spagnole dalle devastazioni causate da una qualche rivoluzione – e di una possibile terza guerra mondiale, con ricaduta radioattiva sull’Africa.

In un’intervista, Cuarón spiega che l’intento era proprio quello di far riflettere gl spettatori sulle implicazioni dell’esistenza di realtà come Abu Ghraib, Guantánamo e Bagram, in Afghanistan. Nessuna democrazia formale è al sicuro dal rischio di deteriorarsi, precipitando verso l’estremo nazista: le cose brutte non succedono solo alle persone di colore. Per questo la vista del rifugiato italiano implorante ed incapace di esprimersi in inglese che viene trascinato via con la forza da un militare inglese con al guinzaglio il classico pastore tedesco ha l’effetto di un pugno nello stomaco: non è un arabo, non è un nero, non è “uno degli altri”; è “uno dei nostri”. Uno dei nostri ridotto alla condizione di “nuda vita” (cf. Agamben), di essere vivente senza diritti e senza dignità, alla mercé dell’arbitrio e della violenza, condannato a morte non per aver commesso un crimine indicibile, ma solo per essersi trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, appartenendo alla categoria umana “sbagliata”, quella che non è più protetta dalle leggi dello Stato. Un individuo reso apolide, snazionalizzato, e quindi privato di ogni diritto. Un individuo segregabile e scartabile.

A pochi anni dalla realizzazione del film, questi scenari non sono più fantascientifici o comunque futuribili. Il futuro è dietro l’angolo.

Nel giugno del 2010, il senatore israelo-americano Joseph Lieberman – ex candidato alla vicepresidenza degli Stati Uniti – ed il senatore Scott Brown hanno presentato una proposta di legge – Terrorist Expatriation Act, S.3327, HR 5237 – che priverebbe della cittadinanza americana chiunque sia sospettato di appoggiare il terrorismo o una nazione in guerra con gli Stati Uniti. Questi non potrebbe avvalersi del giusto processo e delle altre forme di tutela specificate dalla Costituzione (cf. Miranda: l’insieme dei diritti costituzionali di cui si viene informati al momento dell’arresto nel diritto statunitense). Questo disegno di legge è motivato, così si sostiene, dalla necessità di impedire a cittadini come Faisal Shahzad, l’aspirante terrorista di Times Square, di fruire della protezione delle leggi americane, essendo un traditore. A parte il fatto che la possibilità di togliere la nazionalità escludendo un cittadino dei suoi diritti svuoterebbe di ogni significato lo stato di diritto e i principi sanciti dalla Costituzione Americana, la proposta di legge è così generica che potrebbe essere applicabile a migliaia di cittadini sospettati di “legami” con gruppi terroristici o nazioni ostili, che scomparirebbero letteralmente in una rete di centri di detenzione militare, senza che i loro avvocati possano rintracciarli e difenderli. Sarebbe, come vedremo, la prosecuzione delle logica adottata in passato, quando migliaia di cittadini di origine giapponese, italiana e tedesca furono internati per il tutto il corso della guerra, violando la Costituzione, per decisione di uno dei migliori presidenti americani di ogni tempo, F.D. Roosevelt.

Tra l’altro, è sconcertante che Joe Lieberman non si renda conto che una tale normativa, un giorno non troppo lontano, potrebbe anche giustificare la detenzione di decine, forse centinaia di migliaia di cittadini americani di religione ebraica, o ex coscritti nell’esercito israeliano, o titolari della doppia cittadinanza israelo-americana, come appunto lui. I terribili precedenti dovrebbero servire da monito.

A questa minacciosa proposta di legge si aggiunge quella promossa dal senatore John McCain, già candidato alla presidenza degli Stati Uniti e sconfitto da Obama, la S.3081 del 4 marzo – “Enemy Belligerent Interrogation, Detention, and Prosecution Act”. Presentata assieme al recidivo Joseph Lieberman e al potente senatore e fondamentalista cristiano James Inhofe, questa legge annullerebbe l’habeas corpus (la fondamentale tutela da un arresto illegittimo) agli Americani considerati “nemici belligeranti” (enemy combatants), in teoria, vista la vaghezza e quindi l’interpretabilità del testo, anche solo per aver apprezzato azioni di natura bellica contrarie agli interessi americani. Questi cittadini non avrebbero diritto ad un avvocato o a un giusto processo e sarebbero sottoposti a detenzione a tempo indeterminato in un centro di internamento militare. Queste due proposte, assieme al Patriot Act (prorogato da Obama fino al 2015) ed al Military Commissions Act del 2006, fanno letteralmente a pezzi la Bill of Rights americana allo stesso modo in cui la legislazione nazista preparava la strada ai campi di concentramento per i nemici del Terzo Reich.

Nessuno, a quel tempo, immaginava che cosa sarebbe avvenuto in seguito, allo stesso modo in cui quasi nessuno, al giorno d’oggi, potrebbe immaginarsi che il destino degli Stati Uniti sia quello di trasformarsi in una tirannia che incarcera arbitrariamente migliaia di cittadini e li fa processare da tribunali militari per aver osato opporsi alle politiche statunitensi.

Questa incapacità anche solo di concepire un tale sviluppo è essenzialmente dovuta ad ignoranza o attenzione selettiva. Nessuno può più sentirsi al sicuro, specialmente quando si profilano attentati anche più drammatici di quelli dell’11 settembre. Lo scenario descritto dal politologo ed ex leader politico canadese Michael Ignatieff, sul New York Times Magazine del 2 maggio 2004 è assolutamente plausibile: “Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza”.

I due summenzionati disegni di legge, che hanno incontrato il favore di Hillary Clinton, se convertiti in legge – il che avverrebbe in modo quasi automatico nel caso di un altro attentato terroristico, proprio come avvenne con il tremendo Patriot Act, approvato praticamente senza essere discusso –  conferirebbero al presidente degli Stati Uniti poteri straordinari, pressoché dittatoriali – incluso l’uso di tribunali militari, che non sono autorizzati a giudicare cittadini americani, finché a questi ultimi non viene tolta la cittadinanza – che si sommerebbero a quelli già previsti in seguito all’11 settembre. Nessun cittadino americano che dissentisse dalle decisioni del governo potrebbe dirsi al sicuro. Con il Patriot Act serviva una giusta causa, ora sarebbe sufficiente il mero sospetto, ossia l’insinuazione, un castello accusatorio fittizio fondato su un’arbitraria definizione di affiliazione ad un’organizzazione terroristica, che nessuna procedura processuale civile potrebbe smontare. Lo stesso Patriot Act, la cui bozza conteneva misure analoghe a quelle proposte da Lieberman ma che, alla fine, molto saggiamente, non furono approvate, fino al 2009 aveva già portato all’incarcerazione di oltre 200 passeggeri aerei per “cattive maniere” (Los Angeles Times, 20 gennaio 2009).

Barack H. Obama ha dichiarato solennemente che “non autorizzerà la detenzione militare a tempo indeterminato senza processo di cittadini americani. Una cosa del genere violerebbe le tradizioni e i valori più importanti della nostra nazione”. A parte il fatto che una tale misura sarebbe scandalosa anche se ad esservi sottoposti fossero cittadini non-Americani – e potrebbe accadere a chiunque, in qualunque luogo – la tragica verità è che, a dispetto delle sue promesse, Obama non ha chiuso il campo di concentramento di Guantánamo Bay, non ha bloccato le deportazioni illegali (extraordinary renditions), non ha soppresso i tribunali militari speciali istituiti da Bush, ha esteso la rete globale di prigioni segrete americane e la sua amministrazione è stata ancora più ostile all’habeas corpus della Bush-Cheney.

Alla fine del 2011 Obama ha controfirmato una legge (National Defense Authorization Act) che trasferisce all’esercito buona parte delle competenze in materia di operazioni anti-terroristiche e prevede la possibilità di imprigionare i sospetti terroristi a tempo indeterminato e senza processo. Persino il New York Times, normalmente molto pro-Obama, ha dedicato all’evento un devastante editoriale (16 dicembre 2011) che lo definisce maldestro e descrive il testo approvato come “così pieno di elementi discutibili che non c’è lo spazio per esaminarli tutti”, in particolare “nuove, terribili misure che renderanno la detenzione a tempo indefinito e i tribunali militari un aspetto permanente della legge americana”. In sintesi, “una deviazione dall’immagine che questa nazione si è fatta di se stessa, ossia di un luogo in cui le persone che hanno a che fare con lo stato o sono sottoposti ad un’accusa formale oppure restano a piede libero”.

Un gruppo di ventisei generali ed ammiragli in pensione, che si era già impegnato sul fronte del probizionismo della tortura, ha scritto ai rispettivi senatori spiegando che questa è una legge che arreca più danni che benefici. Trentadue parlamentari democratici hanno inviato le loro lettere di protesta alle due camere, temendo che la legge minerà alle fondamenta il quarto, quinto, sesto, settimo ed ottavo emendamento della Costituzione. Ulteriori critiche severe sono giunte da un articolo di Forbes, che la descrive come “la più grave minaccia alle libertà civili degli Americani”, dall’American Civil Liberties Union (ACLU) e da Human Rights Watch, che sostengono che l’ultima volta che poteri di detenzione così ampi sono stati conferiti allo stato è stato al tempo di McCarthy, con l’Internal Security Act. Secondo Jonathan Hafetz, avvocato ed uno dei massimi esperti di questo ambito giuridico, questa è la prima volta nella storia americana che si autorizza per legge l’incarcerazione militare illimitata e senza processo.

Quel che è grave è che questa disposizione non solo viola l’articolo 7 della Dichiarazione universale dei diritti umani – “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione” – ma stabilisce un obbligo di detenzione militare per cittadini non-americani, inclusi quelli arrestati sul suolo americano e, di conseguenza, anche l’obbligo di approntamento di una rete di centri di detenzione militari sul suolo americano.

Queste leggi e proposte di legge si fanno beffe delle convenzioni di Ginevra e violano gli articoli 8, 9, 10 e 11 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e rendono impossibile chiudere Guantánamo e gli altri campi di detenzione/concentramento americani sparsi nel mondo (es. sezioni 1026 e 1027 di NDAA 2011), nonostante la dichiarazione di Obama che “il carcere di Guantánamo Bay compromette la sicurezza nazionale e la nostra nazione sarà più sicura il giorno in cui questa prigione sarà finalmente e responsabilmente chiusa”.

Sempre riguardo a NDAA, dei gravi problemi interpretativi affliggono la sezione 1021 (precedentemente 1031), che contempla la detenzione a tempo indefinito, senza un giusto processo, di persone accusate di essere stati o essere membri o di aver appoggiato in misura sostanziale al-Qaeda, i Talebani o forze ad essi associate in stato di belligeranza con gli Stati Uniti ed i loro alleati.

Dunque anche la resistenza palestinese, siriana e libanese all’occupazione israeliana? Saddam Hussein era stato falsamente collegato ad Al-Qaeda, pur essendone un nemico dichiarato: cosa succederà ai cittadini iraniani, siriani, palestinesi, libanesi, somali, yemeniti, pachistani, indonesiani, venezuelani, cubani?

L’amministrazione Bush è sempre stata molto elastica nella sua lettura di quel che era autorizzata o meno a fare e varie corti, in diversi gradi di giudizio, hanno simpatizzato con questo approccio che erodeva i diritti degli accusati/imputati (cf. Matteo Tondini, “Hamdan v. Rumsfeld. Se il diritto si svuota dei suoi contenuti”). Robert M. Chesney (University of Texas) ha criticato la scelta di non fare chiarezza, lasciando il testo in termini così vaghi da consentire interpretazioni restrittive e radicali. Il risultato è che Obama, o chi gli succederà, avrà una discrezionalità interpretativa senza precedenti nella storia americana e, quasi senza eccezione, chi arriva al potere tende a fare il massimo uso possibile delle sue prerogative.

D’altronde forse non bisognerebbe stupirsi di tutto questo, sapendo che gli Stati Uniti si fregiano del primato mondiale di possedere un quarto della popolazione carceraria del mondo (con il 5% della popolazione totale mondiale).

La mia conclusione è che esistono le premesse perché negli Stati Uniti si ripeta quel che accadde tra il 1941 ed il 1945 ai cittadini americani di etnia giapponese a Manzanar ed in altri campi di concentramento, ma anche ai trentini nel corso della Grande Guerra (cf. Katzenau).

Siamo quelli col cappello nero, quelli che alla fine del film schiattano (Kosovo nella NATO e nell’UE!)

a cura di Stefano Fait

La NATO ha usato la forza per obbligare il regime semi-autoritario di Milosevic a cessare la sanguinosa persecuzione degli albanesi del Kosovo. Ma la Guerra ha prodotto più danni di quelli preesistenti e ha generato le condizioni di un nuovo turno di persecuzione, meno violenta di quella precedente, e a parti invertite: è la maggioranza albanese che adesso discrimina la minoranza serba. […]. La guerra del Kosovo è stata, infatti, un facile successo militare e un completo fallimento politico. […]. I leader politici occidentali che l’hanno iniziata hanno dichiarato di combatterla per il bene delle popolazioni locali. Ma queste sono uscite dal conflitto in condizioni certamente peggiori di prima.
[…]. Prima del 24 marzo 1999, le vittime della guerra civile tra il Fronte di Liberazione del Kosovo (Kla) e le forze ufficiali e paramilitari serbe erano state circa 3mila, e non c’era evidenza di un piano di sterminio di massa da parte del governo di Belgrado. Durante le 11 settimane di bombardamenti sono state
uccise nella provincia oltre 10mila persone. […]. Il tentativo di pulizia etnica, quindi, se c’è stato, è stato un effetto perverso della guerra e non una sua causa
.

Pino Arlacchi, prefazione ad Antonio Evangelista, “La torre dei crani. Kosovo 2000-2004”, Roma: Editori Riuniti, 2007.

Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento

Henry Kissinger, Daily Telegraph, 28 June 1999.

Penso che i termini imposti a Milošević a Rambouillet fossero assolutamente intollerabili; come avrebbe mai potuto accettarli? Fu una scelta deliberata

John William Gilbert, ministro della difesa inglese, 20 giugno 2000

Molte grandi opere pertanto della città vostra (Atene) si ammirano, ma a tutte una ne va di sopra per grandezza e per valore; perocché dice lo scritto di una immensa potenza [Atlantide] cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaso insieme l’Europa tutta e l’Asia, venendo fuori dal mare Atlantico.

Platone, “Timeo”.

Inizialmente chi, come me, era contrario all’intervento in Libia, è stato oggetto di feroci critiche. Poi alcuni di quei critici hanno ammesso che avevo ragione, altri forse lo hanno ammesso solo con se stessi ed altri ancora hanno chiuso il capitolo libico ed ora si dedicano alla Siria, dimostrando che della sorte dei Libici e della verità non gliene poteva fregar di meno. La cosa non mi disturba più di tanto: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Spero comunque che, come nel caso libico, nei prossimi anni risulterà più chiaro a molti che NATO+Israele sono stati (finché hanno potuto, poiché verranno sconfitti: è quel che succede sempre ai bulli impenitenti) la vera minaccia per la pace e la prosperità del mondo e che la Russia (sì, la Russia di Putin!) era di gran lunga il male minore (pur essendo un male, appunto: ci mancherebbe!).
In uno scontro NATO-Russia non ho alcun problema a dire che tiferò, provvisoriamente, per la Russia e contro di “noi”, quali che siano le conseguenze per la mia persona (l’integrità della coscienza viene prima di tutto il resto).

Chi sta con la NATO non ha ancora capito molto di quel che sta succedendo e pensa davvero che in Libia e Siria i “nostri” interventi siano stati umanitari e che non abbiamo gettato noi nel caos quei paesi, offrendoci poi come soluzione (un classico, e funziona sempre, forse anche su altri pianeti!).
Eppure la vicenda del Kosovo (per non parlare di Afghanistan e Iraq) è lì a testimoniare la letale malafede occidentale.
Mi rendo conto che sia difficile andare oltre la propaganda dei nostri media, come lo è sempre stato per ogni popolo, eternamente convinto di essere dalla parte del bene o comunque del male minore, fino alla sconfitta ed all’emersione di tutto il marcio che era stato celato dai rispettivi governanti. Molti sono convinti che Bush fosse una parentesi e che l’Europa è un’altra cosa rispetto agli Americani. Queste sono convinzioni frutto di ignoranza, ingenuità, pregiudizio e carenza di quell’umiltà necessaria a confrontarsi con i fatti. Fatti che parlano chiaro:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/un-po-di-chiarezza-sullintervento-in.html

“E così oggi sappiamo che abbiamo fatto la guerra del Kosovo per far vincere i peggiori criminali. Lo dicevamo già da tempo, ma a darcene conferma oggi è il Consiglio d’Europa: “I leader di etnia albanese dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) erano responsabili dei traffici di organi umani alla fine degli anni novanta. Lo afferma nel suo ultimo rapporto Dick Marty, che indaga su tali crimini per conto del Consiglio d’Europa“.

E questa non è una notizia “tendenziosa” lanciata da un giornale pacifista. La troviamo oggi sul sito web del quotidiano La Stampa di oggi.

Che cosa è accaduto? “I membri indipendentisti dell’Uck rapivano serbi e altri civili per condurli in Albania, dove venivano loro espiantati gli organi che venivano poi venduti al mercato nero”. Ci hanno raccontato nel 1999 che andavamo a fare una guerra umanitaria per liberare il Kosovo dalla “pulizia etnica”. Ma ci siamo alleati con i trafficanti di droga dell’Uck, l’esercito indipedentista kosovaro che chiedeva a gran voce la “guerra umanitaria”.

I boss della droga hanno partecipato alle trattative prima della guerra.

Ai negoziati francesi che portarono alla guerra c’era proprio Hashim Thaci, accusato si essere coinvolto anche in un traffico di armi e di droga.  E’ oggi ritenuto un boss mafiososecondo l’inchiesta del Consiglio d’Europa sul crimine organizzato che oggi campeggia su tutte le informazioni.

Tachi dette un contributo determinante alla “guerra umanitaria” e in questo momento governa il Kosovo.

Che nell’Uck ci fossero dei trafficanti di droga lo si sapeva ma lo si è taciuto perché mica potevamo dire che si faceva una guerra umanitaria con dei delinquenti incalliti. Racconta Ennio Remondino, giornalista RAI autore del libro “La televisione va alla guerra” (ed. RAI-ERI), che fu trovata una notevole quantità di “polvere bianca” nel bagaglio di uno dei delegati kosovari dell’Uck a Rambouillet, durante le trattative svolte in Francia che decretarono il via libera alla guerra. “Non era farina o borotalco”, annota Remondino nel capitolo “Borotalco” che nel libro è dedicato a questa paradossale vicenda.

Ma era bene tacere e non indagare oltre.

Si andava verso una guerra “giusta” e nessun dubbio doveva tormentare la coscienza degli italiani.

D’Alema difese la l’intervento armato perfino in un libro titotalo “Gli italiani e la guerra”.

Ancora oggi sul sito web di D’Alema si legge che con quella guerra l’Italia veniva “restituita al ruolo e al prestigio internazionali che merita; i cittadini italiani che hanno dimostrato, ancora una volta, quanto profonda e radicata sia in loro la vocazione alla solidarietà“.

E così con quella guerra si è affermato Hashim Thaci, ora capo di governo.

“Il capo del governo del Kosovo – anticipano il Guardian e la Bbc – viene indicato come il boss di un racket che ha iniziato le sue attività criminali nel corso della guerra del Kosovo proseguendole nel decennio successivo. Il rapporto, che conclude due anni di indagini e cita fra le sue fonti l’Fbi e altri servizi di intelligence, scrive che Thaci ha esercitato un “controllo violento” nell’ultimo decennio sul commercio di eroina

Secondo le testimonianze raccolte dal rapporto del Consiglio d’Europa (Ce), venivano uccisi con un colpo di arma da fuoco alla testa i prigionieri di guerra serbi e altri civili vittime del traffico di organi di cui sarebbero responsabili i leader di etnia albanese dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck).

Forse sarebbe utile una nuova edizione aggiornata del libro di D’Alema su Kosovo”.

http://www.peacelink.it/conflitti/a/32941.html

Non contenti, ora siamo pronti ad accogliere nell’Unione Europea e nella NATO proprio il Kosovo, un narcofeudo mafioso che è stato riconosciuto come paese indipendente solo da 89 delle 193 nazioni aderenti all’ONU (51 sono contrari) e che ha un tasso di disoccupazione che fa impallidire quello dei giovani spagnoli, naturalmente con la sponsorizzazione statunitense:

http://www.eubusiness.com/news-eu/us-kosovo-diplomacy.fz2/

Perché USA, NATO e UE sono così eccitati all’idea di ufficializzare la sovranità kosovara, facendosi carico di un paese che corrompe tutto ciò con cui entra in contatto?

http://eastjournal.net/2012/04/10/kosovo-arrestato-per-corruzione-il-capo-dellanti-corruzione-chi-controlla-i-controllori/

Un po’ perché il Kosovo stesso è diventato una base americana, una vera e propria Guantánamo europea (tra l’indifferenza generale):

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Una-Guantanamo-nei-Balcani

Un po’ per questioni sconvenienti che è opportuno sottacere:

http://eastjournal.net/2011/10/28/mafija-la-via-dei-balcani-tra-la-mafia-e-la-guerra/

Un po’ perché, a dispetto della caduta del Muro di Berlino, la Russia è rimasta l’obiettivo principale delle strategie americane.

I Russi volevano controllare l’Afghanistan? Si invade l’Afghanistan.

I Russi vogliono una base navale a Bengasi ed ottengono il benestare di Gheddafi?

http://www.france24.com/en/20081031-gaddafi-offers-host-russian-naval-base-libya

Rivolta in Libia.

I Russi si accontenterebbero di una base navale a Tartus in Siria?

http://www.wallstreetitalia.com/article/1300412/siria-flotta-russa-attraccata-in-base-navale-tartus.aspx.

Rivolta in Siria.

I Russi stringono accordi con l’Iran e collaborano al suo programma nucleare?…

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/24/e-se-liran-avesse-gia-latomica-osservazioni-sconvenienti-sullarmageddon-che-verra/

Siamo i cattivi, credetemi.
Siamo quelli col cappello nero e gli altri hanno un cappello grigio scuro.
Quelli col cappello nero alla fine ci lasciano le penne.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: