Gli insaziabili


traduzione di Norats

FMI/ Lagarde:

Il debito dei paesi ricchi è vicino ai livelli da “Tempo di Guerra”

Il debito pubblico accumulato dai paesi ricchi si avvicina a dei livelli raggiunti in “Tempo di Guerra”, ha stimato venerdì la direttrice genrale del FMI Christine Lagarde, valutando che questo “ostacolo” non potrà essere superato che nel l’intraprendere un “percorso verso una direzione di rigore economico”.
“Il più grande ostacolo (alla crescita ndr), sarà senza dubbio l’immensa eredità legata dal debito pubblico che raggiunge in questo momento in media il 110%, (del prodotto interno lordo ndr), nei paesi sviluppati, esattamente un livello di “Tempi di Guerra”, ha dichiarato la Sig.a Lagarde a Tokyo davanti i rappresentanti dei 188 Stati membri del Fondo Monetario, riuniti in assemblea plenaria.

Secondo le previsioni dell’FMI pubblicate questa settimana, il debito pubblico nei paesi sviluppati dovrebbe superare il 110% quest’anno ed il 113% nel 2013. In Giappone questa quota si è innalzata al 236% nel 2011.

Secondo la Sig.a Lagarde, aggredire questo debito con una crescita atona sarà “difficile in una misura incredibile” e necessita di trovare “il buon ritmo” di riduzione dei deficit”. È un percorso verso una direzione di rigore economico, probabilmente un lungo cammino e per il quale non esistono scorciatoie”, ha stimato.

La direttrice del Fondo Monetario ha d’altro canto nuovamente fatto appello alla riforma di un sistema finanziario che “non è ad oggi più sicuro di quanto lo era al tempo del fallimento della banca americana Lehman Brothers, nel 2008, evento che ha scatenato la crisi”.

“Gli eccessi continui e gli scandali mostrano che la cultura, (della finanza ndr), non è in realtà cambiata realmente“. Il sistema “è ancora troppo complesso, le attività sono ancora troppo concentrate nei grandi stabilimenti”, ha precisato, aggiungendo che lo spettro di banche, “troppo grandi per poter fallire”, (+too big to fail+), ha continuato ad infestare il settore.

Fonte: Sources : Romandie / Le Journal du Siècle

http://lejournaldusiecle.com/2012/10/12/fmilagarde-la-dette-des-pays-riches-proche-des-niveaux-de-temps-de-guerre/

Ci hanno detto che se incoraggiavamo i ricchi a creare ricchezza, tutti ne avrebbero tratto profitto. Così, dai tempi di Reagan e Thatcher, passando per Blair e Berlusconi, Aznar, Schroeder, Merkel e Sarkozy, tutti i governi greci degli ultimi decenni, ecc. li hanno favoriti in ogni modo. Hanno privatizzato tutto quel che è stato possibile privatizzare (le chiamano liberalizzazioni, per fregarvi meglio, perché sono dei maestri della manipolazione linguistica e della propaganda; cf. Orwell), hanno detassato le loro rendite di posizione e abbassato le loro aliquote, hanno permesso l’evasione e l’elusione nei paradisi fiscali, cosicché cifre pari alla somma dei PIL degli USA e dell’eurozona (oltre 32mila miliardi di dollari!!!!) sono custodite offshore completamente esentasse, hanno deregolato dove si poteva deregolare, hanno paralizzato i sindacati, hanno smantellato il sistema sociale ed hanno salvato il sistema bancario a spese dei contribuenti. Un enorme trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi.

Ma non sono ancora contenti. Uno dei loro amministratori coloniali, Christine Lagarde, ci spiega che non è abbastanza. Il debito pubblico aumenta e questo vuol dire che siamo ancora troppo viziati e ci devono tagliare ancora altri “privilegi”. Perché, si badi bene, quelli che sono diritti civili conquistati con decenni di lotte e sacrifici e vittime dal loro punto di vista sono privilegi. Invece i loro privilegi sono, sempre dal loro punto di vista, diritti inalienabili. Poiché controllano l’informazione cosiddetta generalista sono riusciti a far fessi milioni di persone che altrimenti non sarebbero così ebeti.
Queste persone hanno finito per credere che le briciole che hanno ricevuto fossero immeritate e non si sono accorti che per vivere “meglio” dei loro genitori dovevano lavorare molto di più, spendere molto di più, indebitarsi molto di più, vedere la famiglia e gli amici e partecipare alla vita della propria comunità molto di meno. Il credito facile ha fatto sì che il debito privato salisse alle stelle a causa dei prezzi delle case gonfiati. Fino alla bolla immobiliare. Ora milioni di americani ed europei hanno perso o stanno per perdere le proprie case: finiranno nelle mani delle banche.

L’illusione di prosperità è crollata fragorosamente. Attraverso il debito ci hanno permesso di possedere case, auto proprie, ci hanno permesso di andare in vacanza. Ora il debito ci soggioga e le ricchezze stanno migrando verso le tasche di pochi. È, ovviamente, una truffa. Ci siamo fatti abbindolare. Ma questi ne vogliono ancora, sono intossicati dall’avidità. Sono fuori controllo.

Terreni, energia, ferrovie, sanità, istruzione, previdenza sociale, assicurazioni, strade, acqua, parchi naturali, qualunque bene pubblico è un obiettivo. Vogliono controllare tutto. Chiedono austerità per farci lavorare di più per meno, per costringere i giovani a lavorare gratis (si chiamava schiavitù o servitù della gleba), innalzare l’età pensionabile, tagliare le pensioni e l’assistenza ai disabili, ai poveri, ai disoccupati (ormai descritti sostanzialmente come parassiti dagli stessi ministri del governo Monti – e questi esodati che cazzo vogliono ancora? Vivere per caso?), impedirci di accedere a certe terapie e farmaci, comprimere i nostri diritti.

Quando non basta l’austerità c’è lo spauracchio islamico, le bombe atomiche iraniane, le armi di distruzione di massa del nostro ex alleato che ora dobbiamo uccidere, ecc.

Intanto le remunerazioni dei quadri dirigenziali aumentano a dismisura, nonostante l’austerità, perché, ci viene detto, solo i ricchi possono creare lavoro.

L’ennesima menzogna: siamo noi, i consumatori, nel nostro insieme, che facciamo andare avanti l’economia. La prova di ciò è evidente a tutti: ogni volta che la disuguaglianza eccede una certa soglia e i consumatori non possono più permettersi di spendere come prima, prontamente arriva una nuova crisi del capitalismo. Ed è anche vero l’inverso: i maggiori tassi di crescita sono garantiti dall’aumento degli standard di vita della classe media.

I parassiti sono loro e i moderati, tra loro, stanno semplicemente cercando di non farci schiattare per poter continuare a vampirizzarci.

I Greci, al contrario, pare abbiano deciso che sono sacrificabili (Untermenschen pure loro, altro che “questa è Sparta!”).

Amleto e l’ingiustizia (iniquità)

Sono i potenti che rivendicano la felicità come diritto, la praticano e l’esibiscono, quasi sempre oscenamente, come stile di vita. […]. Sentiremo questo eterogeneo popolo degli esclusi e dei sofferenti chiedere non felicità ma giustizia. Un minimo di giustizia è ciò che ha preso il posto della felicità.

Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011.

 

Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli

Matteo 5, 20-26.

Bandita la giustizia, che altro sono i regni se non grandi associazioni di delinquenti? Le bande di delinquenti non sono forse dei piccoli regni? Non sono forse un’associazione di uomini comandati da un capo, legati da un patto sociale, e che si dividono il bottino secondo una legge accettata da tutti? Se questa compagnia recluta nuovi malfattori, se occupa un paese, stabilisce proprie sedi, se si impadronisce di città e soggioga popoli, prende il nome di regno; titolo che le viene conferito non perché sia diminuita la sua cupidigia, ma perché a questa si aggiunge l’impunità. Così disse un pirata, fatto prigioniero, con arguzia e verità ad Alessandro Magno. Interrogato da questo sovrano con quale diritto infestasse il mare, egli con audace franchezza rispose: “Per lo stesso diritto con cui tu infesti tutta la terra. Perché non ho che una piccola nave, sono chiamato corsaro, e perché tu hai una grande flotta sei chiamato imperatore!

Agostino, “De Civitate Dei”, libro IV, cap. 4

Sebbene ci gloriamo di essere gli eredi della sapienza greca, l’universo psicologico greco antico sembra avere più aspetti in comune con quello irochese che con il nostro. Noi siamo ancora legati al monoteismo (un dio, un principio supremo), al nesso lineare causa-effetto, crediamo di dover essere monofrenici (un’unica personalità), epistemologicamente monocoli (una prospettiva, un modo di vedere le cose). Al nostro peggio, ci convinciamo che i modi di vivere e pensare alternativi sono sbagliati, dannosi e pericolosi.

L’universo greco, come appunto quello irochese, era la sfera dell’unità nella diversità: l’unità era tale solo grazie alle interconnessioni tra i molteplici. L’epica greca, come quella irochese e come pure l’opera shakespeariana, poneva in risalto l’importanza dell’attenzione alla realtà, alla sua eterogeneità, alle sue alchimie ed equilibri. L’hybris – la tracotanza, la dismisura – attirava nemesis, la giusta punizione.

Seth L. Schein (1996) nota perspicacemente che l’Odissea è piena zeppa di personaggi che si dimenticano le cose, non pongono attenzione a quello che fanno, si formano una valutazione superficiale ed estremamente arbitraria della realtà e per questo falliscono e periscono. Il loro è un fallimento morale e pratico: vengono tutti puniti per aver preteso ciò che non spettava loro, per aver sottratto indebitamente i mezzi di sostentamento altrui senza dare nulla in cambio, per essersi comportati empiamente e parassitariamente.

Agostino Lombardo è dell’opinione che Amleto non sia un eroe, non è il classico uomo d’azione, come Odisseo (Lombardo, 1986). È un intellettuale, un uomo di pensiero ma, alla bisogna, si fa soldato. Se esita ad agire, non è per viltà ma è perché possiede una coscienza. Come Ulisse, però, con il passare del tempo matura una “prodigiosa consapevolezza” (p. 45):

“Ad Amleto non sfugge nulla di quanto accade intorno a lui, e in sua funzione… se gli altri personaggi si muovono in una sfera limitata, parziale, e vedono, della vita, soltanto una sezione, la sfera di Amleto abbraccia tutta la vita. Se gli altri personaggi vedono soltanto una parte dei rapporti che li legano gli uni agli altri e tutti ad Amleto, Amleto li vede tutti, e ha dispiegata davanti a sé la loro trama, il loro intrecciarsi”.

Il fido Orazio completa il suo campo visivo, già stupefacente. Da dove scaturisce questo suo talento? Dal suo attaccamento al principio di realtà ed il suo rifiuto della finzione, dell’inganno e della corruzione: “sempre egli stabilirà, anche attraverso la finta pazzia, un rapporto totale con la realtà, quasi partecipasse, o tentasse di partecipare, della dura, concreta essenza delle cose” (Lombardo, ibidem, p. 51).

I suoi avversari, al contrario, proprio come gli avversari di Ulisse e come molti contemporanei, scambiano i loro desideri per la realtà, condannandosi alla rovina. Amleto, ha una marcia in più. Lo dimostra quando si fa beffe di Polonio, senza che questi si renda conto del suo patetico conformismo (atto terzo, scena seconda):

Amleto: Vedete voi quella nuvola che ha quasi la forma d’un cammello?

Polonio: Per la messa, e assomiglia a un cammello davvero.

Amleto: Mi pare che assomigli a una donnola.

Polonio: Ha il dorso come una donnola.

Amleto: O come una balena.

Polonio: Proprio come una balena.

Polonio non può vedere una cosa da più di una prospettiva, ma può essere indotto a concordare sul fatto di vedere qualunque cosa. Anche Rosencrantz e Guildenstern sono presi in contropiede perché si attendono che lui agisca meccanicamente e prevedibilmente come sono soliti fare loro, in quanto motivati da ambizioni banali. Chi confonde il proprio ruolo con la propria vera, totale identità, non può capire né se stesso né gli altri. Continuerà a leggere la realtà e i comportamenti altrui in funzione dei ruoli, non delle indoli, non degli spiriti, non della tempra. Quando questi uomini e donne inautentici incontrano qualcuno che non ha tradito il proprio sé interiore asservendolo ad una persona fissa (un’identità fissa), si difendono dall’auto-esame, dalla messa in discussione di se stessi che in genere è provocata dall’incontro stesso. La persona autentica diventa allora un capro espiatorio: proiettano il loro tradimento di se stessi su di lui.

Molti potenti, come Rosencrantz e Guildenstern e i membri della famiglia di Polonio, sono alienati dalla loro autentica identità, sono ciechi e non riconoscono la vera identità di Amleto. Per questo Amleto ha buon gioco, contro ogni pronostico. L’ironia della cosa è che proprio Polonio declama la verità centrale della tragedia, senza neppure capirla, senza saperla applicare a se stesso, tanto radicata è la sua abitudine a banalizzarla, pronunciandola a comando: “Questo sopra tutto: a te stesso sii fedele, e deve seguirne, come la notte al giorno, che tu non puoi allora esser falso per nessuno” (Atto primo, scena terza). Socrate lo diceva più poeticamente ancora: “sarebbe meglio che la mia lira fosse scordata e stonata, e che lo fosse il coro che io dirigessi, e che la maggior parte della gente non fosse d’accordo con me e mi contraddicesse, piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, ad essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi”. Si parla di fedeltà alla propria coscienza, non al proprio ego, naturalmente. L’iniquità, l’ingiustizia assoluta del nostro tempo è la risultante del nostro costante ossequio alle brame egoistiche, la banalità del male di chi ha smesso di credere alla coscienza e considera se stesso ed il suo prossimo come una mera macchina organica; uno strumento, non un fine.

Amleto è spronato a vendicarsi dall’apparizione del fantasma del padre, che gli rivela il terribile complotto ordito ai suoi danni dal fratello Claudio e dalla moglie. Un figlio non può lasciare invendicato il padre. Per alcuni il Fantasma appartiene ad un ordine di esistenza e di moralità antiquato, che è stato sopravanzato dal lento ma inesorabile progredire dell’umanità. Ma è proprio vero? Peter Alexander (1955) si compiace del fatto che ci siano persone capaci di concepire pensieri così nobili, ma sottolinea che indulgere in questo tipo di fantasie a spese del nostro intelletto non porta solo ad un indebolimento del nostro senso estetico ma anche all’incapacità di comprendere l’Amleto e, in ultimo, Auschwitz. Per Alexander Amleto vuole giustizia, prima ancora che vendetta. Vuole che le cose siano sistemate, perché sono state sovvertite e non ci sono spazi per una vera riconciliazione, a causa dell’hybris di chi ha la spada dalla parte del manico ed è responsabile dello squilibrio. Nel vendicare il padre senza macchiarsi di hybris (ossia senza produrre altro scompenso), nel ristabilire l’ordine, Amleto otterrà la redenzione, che peraltro non era quel che aveva in mente, all’inizio. Amleto vince la disfida con Claudio, lo zio usurpatore ed assassino, perché si vendica senza ridurre la sua identità di ego al ruolo del vendicatore. In altre parole, resta se stesso, non sacrifica la sua identità al ruolo costrittivo di vendicatore, che soffocherebbe la sua libertà e la sua coscienza: si limita a ristabilire il giusto ordine delle cose, la coincidentia oppositorum, ossia l’indispensabile armonia dei contrari (Driscoll 1983).

Alla fine anche lui, come Ulisse, subisce una palingenesi, la rinascita in una realtà più profonda e più giusta. Diventa l’anti-Narciso, l’iniziato che ascende spiritualmente e trascende il mondo auto-centrato, egotistico delle apparenze; cioè a dire il cittadino ideale, secondo il celebre filosofo francese Pierre Hadot (1999, pp. 99-100):

“Le città ben governate non sono quelle costituite da uguali. È come se si biasimasse un’opera teatrale perché non tutti i personaggi sono degli eroi, ma vi si trovano un servo o un uomo rozzo e sboccato. Eliminate questi ruoli secondari! L’opera non sarà più bella perché ne ha bisogno per essere completa…Se i malvagi sono al potere è per la viltà dei loro soggetti: è giustizia, e il contrario sarebbe ingiustoL’esperienza del male rende la conoscenza del bene più chiara per gli esseri che hanno una capacità troppo debole per poter conoscer il male semplicemente, senza farne esperienza. Il male morale, invece, porta qualcosa di utile all’universo intero: fornisce un esempio della giustizia divina e rende, di per sé, molti altri servizi. Sortisce l’effetto di rendere gli uomini vigili; desta lo spirito e la coscienza di quanti vogliono opporsi al progredire della perversità. Fa capire quale bene sia la virtù, in confronti ai mali destinati ai cattivi”.

Christine Lagarde e l’FMI desiderano una rivoluzione?

Già da tempo mi è sorto il sospetto che l’estrema crudeltà dimostrata dalle autorità internazionali, ormai esplicitamente guidate da criteri esclusivamente neoliberisti, nei confronti di Greci prima e Portoghesi, Spagnoli, Irlandesi, ecc. poi, non sia unicamente dettata dalla volontà di sfruttare la crisi, aggravandola, per varare riforme strutturali che annullino buona parte dei diritti che lavoratori e cittadini in genere hanno conquistato nel dopoguerra.

Sono sempre più convinto che il piano sia molto più subdolo e nocivo e vada ben al di là dell’obiettivo di creare gli Stati Uniti d’Europa molto prima del tempo, quando ancora non esiste una società civile europea, un linguaggio comune europeo, media europei, un parlamento europeo sovrano, ecc. (oltre all’élite, l’unica cosa autenticamente paneuropea che c’è è la rete degli indignati).

Ho, insomma, il terribile sospetto che chi detiene il potere non possa desiderare di meglio che il verificarsi di mali estremi che giustifichino estremi rimedi.

Un sospetto che si rafforza leggendo l’intervista di Christine Lagarde al Guardian, che contiene asserzioni a dir poco incendiarie, a poche settimane dal voto greco, quasi che Lagarde tifasse per Syriza e non per i due partiti dell’establishment pro-austerità. Perché la Lagarde dovrebbe voler favorire i suoi oppositori invece di usare toni più accomodanti che invoglierebbero gli elettori greci a tornare nell’ovile neoliberista di conservatori e “socialisti”?

E perché farle su uno dei maggiori quotidiani britannici, ossia rivolgendosi ad un’opinione pubblica già ferocemente ostile al FMI ed al rigore a senso unico (anti-settore pubblico, anti-disabili, anti-pensionati, pro-imprese e ricchi, ecc.) del governo conservatore?

http://www.guardian.co.uk/world/2012/may/25/payback-time-lagarde-greeks?INTCMP=SRCH

Le reazioni inglesi sono state rabbiose quasi quanto quelle greche, come si evince dal numero di “mi piace” assegnato ai commenti più esasperati.

Segnalo il primo commento, che è anche il più apprezzato ed è, a mio avviso, molto condivisibile: “parole degne di una vera e propria sociopatica

[cf. http://www.informarexresistere.fr/2012/01/16/golpe-psicopatico/]

Purtroppo non conosco il greco e quindi posso solo affidarmi alle citazioni altrui per documentare le reazioni greche (più educate):

http://it.euronews.com/2012/05/27/i-greci-arrabbiati-con-lagarde-per-la-frase-sui-bambini-e-sulle-tasse/

Infine, perché mostrare sfacciatamente la sua costosissima borsa griffata come se fosse un sacco per raccogliere le offerte?

A parole, tanta sensibilità nei confronti dei bambini del Niger, ma non abbastanza da condividere un po’ della sua ricchezza coi meno “fortunati”:

“Per vestirsi, per gli accessori, per i gioielli spende certo più di Angela (ho notato che sfoggia 3 diverse borse di Hermes, in particolare una Kelly grigia, una Birkin color cuoio naturale ed una rossa non ben identificata con le proprie iniziali, che costano oggi messe insieme certamente più di 12.000 euro) ma ottiene l’effetto di apparire sempre elegantissima, luminosa e mai sopra le righe…La classe, il dispendio di denaro, le giacche e gli abiti perfetti contestualmente griffati e sobri, ma soprattutto il ciuffo argento la rendono praticamente uguale a Miranda/Meryl Streep de Il diavolo veste Prada. Non sbaglia mai una calzatura, una borsa. Sciorina foulard di Hermes come se non costassero almeno 310 euro l’uno”.

http://www.lundici.it/2012/01/ci-sono-una-tedesca-una-francese-e-un%E2%80%99inglese%E2%80%A6/

Pochi sanno che Lagarde guadagna oltre 380mila euro all’anno e non paga un euro di imposte in quanto funzionaria di un’istituzione internazionale:

http://www.toutsurlesimpots.com/exoneration-d-impots-pour-le-salaire-annuel-de-380-989-euros-de-christine-lagarde-au-fmi.html

Lungi dall’aiutare l’Africa, l’FMI la sta distruggendo:
http://www.africaw.com/how-the-world-bank-and-the-imf-destroy-africa

Christine Lagarde è sotto inchiesta nell’affare Tapie:
http://www.dailymotion.com/video/xkcm27_francia-lagarde-sotto-inchiesta-per-il-caso-tapie_news

Sempre più persone si stanno accorgendo che questi non sono esseri umani come gli altri. Per nascita o per ragioni biografiche – quindi non per loro colpa –, sono privi di empatia, di scrupoli, di coscienza, di ritegno, di rimorsi, di sensibilità, di altruismo. Ce ne sono diverse centinaia di milioni nel mondo. Si chiamano psicopatici (o sociopatici) e, quando non sono disfunzionali e quindi non vengono emarginati nelle patrie galere o uccisi, si integrano molto bene in una società ipercompetitiva e spietata e si specializzano nello scalare la piramide sociale (agognano il potere sugli altri, non possono farne a meno e sono diretti solo da considerazioni utilitaristiche).

In futuro il fatto che i leader non siano mai sottoposti a qualche verifica che ne accerti le qualità umane e morali sembrerà altrettanto grottesco di quanto oggi ci apparirebbe mettere un portatore di difterite a dirigere il reparto lattanti di un ospedale”.

Erich Neumann, “Psicologia del profondo e nuova etica”, p. 82

Sospetto che il nostro tempo non sia semplicemente o principalmente un’età di follia ma un’età di psicopatia. Più precisamente: penso che una nota chiave della nostra epoca sia la manipolazione psicopatica di ansie psicotiche. Si fa leva sull’annichilimento apocalittico e su altri terrori catastrofici, approfittandosene.

Michael Eigen, “Età di psicopatia”, Milano: Angeli, 2007, p. 15.

Non deve dunque meravigliarci il fatto che molti psicopatici occupino delle posizioni di comando; ci meraviglia il fatto che in tali posizioni non ce ne siano in numero ancora maggiore…uno dei grandi problemi di ogni società, di ogni istituzione politica o di altre grandi istituzioni, consiste nell’impedire che, con il tempo, degli psicopatici privi di scrupoli, compensati e socialmente integrati, prendano in mano il potere…sono convinto che una democrazia nella quale i cittadini non siano in grado di smascherare gli psicopatici sia destinata a essere distrutta da demagoghi assetati di potere. In Svizzera, la “resistenza” contro le grandi personalità, la preferenza in politica per le figure mediocri sono connesse alla naturale tendenza a impedire, in ogni caso, che gli psicopatici prendano il potere…Questi “grandi criminali” (Alessandro Magno, Gengis Khan, Napoleone, Guglielmo II, Hitler, Stalin….) distruggono la vita di milioni di persone…Soltanto attraverso il dominio distruttivo e la seduzione dei popoli essi riescono a illudersi di non essere più degli emarginati.

Adolf Guggenbühl-Craig, “Deserti dell’anima: riflessioni sull’eros e sulla psicopatia”, Bergamo: Moretti & Vitali, 2001, pp. 177-179.

L’avidità, non trovo una parola migliore, è valida, l’avidità è giusta, l’avidità funziona, l’avidità chiarifica, penetra e cattura l’essenza dello spirito evolutivo. L’avidità in tutte le sue forme: l’avidità di vita, di amore, di sapere, di denaro, ha improntato lo slancio in avanti di tutta l’umanità Io non creo niente, io posseggo. E noi facciamo le regole: le notizie, le guerre, la pace, le carestie, le sommosse, il prezzo di uno spillo. Tiriamo fuori conigli dal cilindro mentre gli altri, seduti, si domandano come accidenti abbiamo fatto. Non sarai tanto ingenuo da credere che noi viviamo in una democrazia: vero, Buddy? È il libero mercato, e tu ne fai parte: sì, hai quell’istinto del killer…

Gordon Gekko, “Wall Street” (1987)

Io sono un operatore finanziario, non mi preoccupa la crisi, se vedo un’opportunità di fare denaro, la seguo. Noi non ci preoccupiamo di come sistemare l’economia o di come si supererà questa situazione. Il nostro lavoro e fare soldi e io personalmente ho sognato questo momento negli ultimi tre anni. Devo confessarlo, ogni notte vado a dormire sognando un’altra recessione, un altro momento come questo. Perché c’è molta gente che non lo ricorda, però la depressione degli anni 30 non è stata solo il crollo dei mercati. C’era gente preparata a fare soldi con quel crollo.

Alessio Rastani, operatore finanziario indipendente, intervista alla BBC, 2011

Se è la rivoluzione che vogliono, si può resistere senza farla. E’ sufficiente rifiutarsi di cooperare con il proprio asservimento e “puff”, l’incantesimo svanisce, il potere evapora e i “potenti” restano nudi come il re nudo, impotenti come il Mago di Oz:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/etienne-de-la-boetie-un-uomo.html

Sieht uns das Ausland so? (Dedicato a Pippo!)

[Mia riflessione preliminare: gli eurocrati continuano a ricattare i Tedeschi evocando il fantasma hitleriano per piegarli al loro volere tramite il senso di colpa (N.B. i sionisti fanno lo stesso con l’Olocausto).
Questa tattica è infame e mi auguro che sia presto smascherata e ricacciata indietro].

Yanis Varoufakis lehrt Politische Ökonomie an der Universität Athen. Gerade erscheint sein Buch zur Finanzkrise, „Der globale
Minotaurus“

In Griechenland wird Angela Merkel in Nazi-Uniform gezeigt, es werden deutsche Flaggen verbrannt.

Yanis Varoufakis: Ja, als Grieche schäme ich mich tatsächlich für diesen idiotischen Nationalismus. Ich schäme mich, wenn ich
ein Klischee über „die Griechen“ höre oder über „die Deutschen“. Beides gibt es nicht.

Haben die deutschen Politiker das richtige Rezept?

Varoufakis: Ich würde es drastischer ausdrücken. Diese Sparpolitik ist nicht nur nicht ausreichend – sie ist absolut schädlich.
Und Griechenland konnte trotzdem nur Ja dazu sagen. Unser Parlament wurde in eine Rolle gezwungen, ähnlich wie die deutschen Abgeordneten nach dem Ersten Weltkrieg. Die hatten damals keine andere Wahl, als dem Versailler Vertrag zuzustimmen – obwohl intelligenten Beobachtern klar war, dass es in einem Fiasko enden würde. Genauso wie jetzt in Athen.

Was wäre denn die Alternative zu den deutschen Forderungen an Athen?

Varoufakis: Wir müssen die Situation historisch betrachten. Deutschland sollte sich über seine ökonomische Rolle im heutigen
Europa klar werden. Nach dem Zweiten Weltkrieg haben die USA dem besiegten Land die Chance gegeben, sich zu einer funkelnden Fabrik zu entwickeln. Und Amerika garantierte, dass es immer Nachfrage nach Produkten aus dieser Fabrik geben würde. So bauten die USA von den 70er Jahren an ein wachsendes Handelsbilanzdefizit auf. Amerika hat die Exporte von Deutschland, Japan und später auch China wie ein riesiger Staubsauger aufgenommen. Dennoch hielten die USA über die Macht ihrer Finanzindustrie am Ende stets die Fäden in der Hand. Das entscheidende Element bei diesem Modell: Die USA sorgten nicht nur für Nachfrage, sondern auch für Investitionen.

Und jetzt soll Deutschland dieser Super-Staubsauger werden?

Varoufakis: Es muss vor allem seine Gewinne investieren. Im Falle der USA ließen die Exzesse an der Wall Street diesen Mechanismus 2008 zusammenbrechen. Jetzt wäre Deutschland an der Reihe, diesen Part zu übernehmen. Doch die Politiker in Berlin wollen nicht aufhören, ihr Land wie eine große Fabrik zu behandeln. Deutschland müsste aber zugleich so etwas wie eine Lokomotive sein. Es kann nur wirklich Führungsnation werden, wenn es in Europa tut, was die USA in den vergangenen Jahrzehnten weltweit getan haben: für Nachfrage sorgen und für Investitionen.

Brauchen wir also Hilfe beim Führen?

Varoufakis: Ich sehe das so wie der polnische Außenminister Radosław Sikorski. Der sagt, er fürchte deutsche Macht weniger als deutsche Untätigkeit.

… verschärfte Sanktionen für die ewigen Schuldner in Europa …

Varoufakis: Das war völlig absurd und unnötig. Merkel hat Cameron damit die Gelegenheit gegeben, seinen Hinterbänklern einen Gefallen zu tun.

http://varoufakis.files.wordpress.com/2012/03/stern-triple-interview.pdf

Perché il 10 marzo sarò in piazza per l’autonomia (sintesi)

di Stefano Fait

Il precedente post su questo argomento era troppo lungo:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/06/il-10-marzo-si-fa-la-storia-a-piccoli-passi/

L’ho sintetizzato perché è importante che siano chiare le mie motivazioni, che mi auguro siano ampiamente condivisibili e condivise.

Sarò anch’io in piazza a celebrare l’autonomia, il 10 marzo.

Questo per due ragioni.

La prima è la condivisione del progetto ventilato da Michele Nardelli e da altri di “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”.

La seconda ragione si è imposta ascoltando le parole di due parlamentari italiani, entrambi fautori di una Grande Coalizione a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013. La definivano un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!), bollati come “populisti” e “demagoghi”. Mi ha particolarmente colpito una frase: “Non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione, dobbiamo fare lo stesso”.

I due parlamentari dichiarano che esiste un unico modello di sviluppo possibile e che chi non lo condivide è un irresponsabile, proprio in una fase storica in cui le magagne del sistema sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene nostro e delle generazioni a venire.

Quel che è peggio è che s’intravede, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali sia sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere centrale siano al contrario sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi.

Viene così a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità, fonte di creatività, innovazione, miglioramento, autocritica, graduale maturazione della società civile. Si prospettano, al contrario, energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia potrebbe avere un significato molto importante, forse perfino epocale e voglio esserci anch’io.

Il 10 marzo si fa la storia, a piccoli passi

di Stefano Fait

Qui una sintesi delle riflessioni sviluppate nell’articolo che segue le citazioni:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/07/perche-il-10-marzo-saro-in-piazza-per-lautonomia-redux/

Se in piazza non ci saranno migliaia di persone, sarà un flop clamoroso.

Luis Durnwalder, “Trentino”, 2 marzo 2012

Il mio timore è che molti di noi, pur amando dissertare di autonomia, pur riconoscendone valore e utilità, non ne avvertano invece una sincera ed autentica passione.

Franco Panizza, “Trentino”, 3 marzo 2012

Una proposta, quella di fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale, mettendo in rete – come è stato per la Carta sull’autonomia del Tibet – i luoghi della ricerca di questa terra impegnati sul piano internazionale, dall’Università al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani all’Osservatorio Balcani Caucaso… Ne avevamo parlato qualche giorno fa con l’ambasciatore del Marocco e con il presidente Dellai, a partire dalla semplice considerazione che quello trentino è in sé un piccolo laboratorio sull’autonomia, guardato con attenzione da molti e in latitudini diverse.

Michele Nardelli

http://www.michelenardelli.it/diario.php?anno=2012&mese=03

L’autonomia, sia individuale sia collettiva, pietra angolare dei regimi democratici, corrisponde al diritto di cercare attraverso se stessi, non alla certezza di trovare.

Tzvetan Todorov, “Il secolo delle tenebre”

Difetta nei più, per miseria, per indifferenza, secolare rinuncia il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa sì che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano. Gli italiani hanno più spesso l’orgoglio della loro persona, nei suoi valori e rapporti esterni, che della loro personalità. […]. Mussolini fornisce la misura della sua banalità quando considera il problema della autorità e della disciplina come il problema pedagogico essenziale per gli Italiani. Vivaddio, non è questo che occorre insegnare agli Italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna vera rivoluzione di popolo.

Carlo Rosselli, “Socialismo liberale”

Ieri sera sono rimasto assolutamente sconcertato dalla visione del mondo delineata su Rai News 24 da due parlamentari italiani, Adolfo Urso (ex MSI, presidente della Fondazione i FareFuturo, e Guido Crosetto (PDL).

Entrambi fautori di una Grande Coalizione PDL-PD-Centro a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013, la definiscono un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!) che bollano come “populisti” e “demagoghi”, spiegando che “non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione l’Italia deve fare lo stesso”. I due parlamentari dividono il mondo tra i realisti che appoggiano Monti e la Tav e gli altri, gli anti-moderni, che rappresentano una zavorra per l’Italia e con i quali non si possono stabilire degli accordi, perché sono per definizione nel torto. La Grande Coalizione sarebbe allora una muraglia contro questi nuovi barbari, per preservare la civiltà. Se qualcuno pensa che io sia caduto in eccessi retorici, lo invito a seguire con attenzione le dichiarazioni di chi si schiera con il progetto della Grande Coalizione. Urso e Crosetto hanno promesso che nei prossimi mesi la separazione antropologica tra gli uni e gli altri sarà resa sempre più netta, “per poter chiarire le idee all’elettorato italiano, in special modo riguardo alla grande trasformazione della logica degli schieramenti che si renderà necessaria per dar vita alla Grande Coalizione”.

Considero un’assoluta priorità smascherare la reale natura di questo progetto, che è destinato a ridurre ulteriormente gli spazi democratici di questo paese e a confliggere con le autonomie locali.

La visione del mondo propagandata dai summenzionati parlamentari (ma anche dal governo Monti e da Napolitano) è quella, fatalistica, di una società governata da forze inarrestabili ed incontrollabili che si possono solo assecondare. Mentre la premessa della democrazia è l’autodeterminazione, la capacità dei cittadini di trasformare le proprie circostanze di vita eleggendo dei rappresentanti che incarnino la loro volontà, che può essere e spesso è in contrasto con quella di chi detiene il potere economico-finanziario e militare, la lettura della realtà di questi politici non è dissimile a quella che ha ostacolato l’abolizione dello schiavismo e dell’apartheid: esiste un unico modello possibile, chi dissente è un demagogo, chi sottoscrive è responsabile. Crosetto lo diceva con gli occhi bassi, senza guardare la telecamera. Forse una parte di lui si vergognava delle parole che gli uscivano dalla bocca. Urso, memore del suo passato alla direzione nazionale del Fronte della Gioventù, sembrava trovarsi molto a suo agio in questa cornice di ineluttabilità e di gerarchie inossidabili. Fosse stato per loro Rosa Parks, l’involontaria eroina dell’anti-segregazionismo, non sarebbe mai dovuta esistere: irresponsabile! Com’è irresponsabile, sempre dal loro punto di vista, una comunità autonoma che si oppone al volere delle autorità centrali.

Lo chiede Bruxelles! Lo chiedono le autorità mondiali!

Sarebbe bene che Durnwalder e Dellai – e chi verrà dopo di loro – riflettessero a lungo sulle implicazioni del varo della Grande Coalizione. Vi è, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali è sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere sono sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi. Tecnici e professori non sbagliano e, se sono dalla parte sbagliata, come nel caso dei no-Tav, è perché sono faziosi e non analizzano la realtà obiettivamente (altrimenti sarebbero pro-Tav).

In questa supponente Weltanschauung, gli autonomismi rappresentano un’incoerenza ed una contraddizione nel disegno generale, sono intellettualmente e psicologicamente irritanti, fomentano l’indisciplina ed il disordine.

L’aggressività montiana contro le autonomie non è esclusivamente motivata dalla dottrina dell’austerità senza se e senza ma. C’è dietro anche un impulso psicologico dettato dal senso di intangibilità morale (che normalmente appartiene alla sfera del sacro), il senso che le proprie decisioni sono insindacabili e moralmente ineccepibili e che chi punta il dito contro l’arbitrarietà di certe decisioni prese in nome del bene comune non sa quello che dice o è un fanatico, populista/demagogo, ecc. Questo paternalismo/maternalismo statalista mal tollera le autonomie e non è per nulla benevolo, anche se ritiene di esserlo: il potere di generare la vita e di nutrirla è anche quello che la fa appassire; la fiducia può mutarsi in ricatto.

Viene allora a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità come fonti di creatività, innovazione, miglioramento, proprio in un momento in cui le magagne del modello di sviluppo dominante sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene delle generazioni a venire.

Invece il conflitto viene riclassificato come caos: il mantenimento dell’ordine delle cose non va messo in discussione e chi lo fa è dogmatico, superstizioso o disadattato ed il suo atteggiamento è passibile di correzione. Giusto è quel che il potere stabilisce sia giusto e solo dei malvagi e degli egoisti si potrebbero opporre al giusto ed al bene: saranno dunque necessari degli energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali. Ciò che stona va rimosso, in nome dell’utilità sociale.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia avrà un significato molto importante, forse perfino epocale.

In Italia non se ne accorgerà nessuno, perché i media saranno occupati a coprire ben altre questioni, ma resta il fatto che questo evento molto piccolo crescerà, con il tempo, fino ad assumere proporzioni forse ingiustificate, perché noi esseri umani viviamo in una rete di miti ed archetipi e continuiamo a produrne di nuovi. Quel che è certo è che si tratta dell’inizio di un discorso più ampio che non sappiamo dove ci condurrà, ma che è diventato irrinunciabile ed è decisamente stimolante, come lo sono, di norma, le grandi trasformazioni.

Data la situazione attuale:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/prima-vennero-per-i-greci-e-non-dissi-nulla-perche-non-ero-greco/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

ad aprile, i Greci voteranno quasi certamente per un governo tenacemente ostile a Bruxelles, che molti prevedono indirà quanto prima un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Sfidando l’ira delle autorità europee, il nuovo primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato che sarebbe suicida inseguire i termini europei sul taglio del deficit, perché spingerebbe il tasso di disoccupazione oltre la soglia del 25% (quella giovanile è già oltre il 40%). La Spagna è un morto che cammina, anche se i riflettori si concentrano su Grecia e Portogallo, che in effetti, fino ad oggi, se la sono passata peggio. Si trascura la Spagna (in termini di PIL, 1XSpagna = 5XGrecia), perché la sua caduta segnerebbe la fine del progetto degli Stati Uniti d’Europa. Però alla fine del 2011 il deficit spagnolo ha toccato quota 8,51%, 2 punti e mezzo percentuali oltre quel che aveva preventivato Zapatero. Quello delle comunità autonome è più che raddoppiato in un solo anno. Una politica di rientro del deficit che eviti sommosse in ogni città spagnola è praticamente impossibile.

In Francia la notizia che la Merkel avrebbe fatto (slealmente: si può dire?) campagna elettorale per Sarkozy ha favorito il suo sfidante socialista, Hollande, molto critico della politiche europee di austerità e centralistiche:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-06/patto-antihollande-sarkozy-autogol-063917.shtml?uuid=AbRsOz2E

I potenti d’Europa non hanno ancora capito che la maggioranza dei cittadini li detesta?

La Repubblica Ceca si è saggiamente chiamata fuori dall’intesa fiscale (Fiscal Compact – la “regola d’oro” della disciplina del budget), assieme ai britannici. Il governo irlandese indirà un referendum sul Fiscal Compact, l’insieme delle nuove norme europee di controllo del budget fiscale. Gli Irlandesi hanno già bocciato il trattato di Nizza nel 2001 e quello di Lisbona nel 2008. Il giudizio dell’elettorato è, per il momento, negativo. Questo voto non rappresenta una minaccia per le autorità europee, dato che sono sufficienti 12 ratifiche su 25 stati firmatari per approvare il F.C. Tuttavia il no lancerebbe un chiaro segnale agli altri popoli europei che già associano il termine austerità all’idea di trasferimento dei beni dalla classe media ai ricchi.

Veniamo all’Italia, che registra una caduta dei consumi persino nel settore alimentare, quello che in tempi di crisi è l’ultimo a cedere. Nel frattempo il mercato delle auto sta tirando le cuoia (mentre Marchionne continua a pontificare su tutto):

http://www.unrae.it/primo-piano/categorie/comunicati-stampa/item/2287-immatricolazioni-di-autovetture-febbraio-2012

Quest’inverno migliaia di Europei sono morti assiderati (ipotermia) o di malattie stagionali perché non potevano permettersi di pagare le bollette e le medicine.

In Portogallo:

http://www.rtp.pt/noticias/index.php?article=530502&tm=8&layout=121&visual=49

nel Regno Unito:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2100232/Frozen-death-fuel-bills-soar-Hypothermia-cases-elderly-double-years.html?ito=feeds-newsxml

nell’Europa orientale ed occidentale:

http://it.euronews.net/2012/02/02/europa-ondata-di-freddo-killer/

Il prossimo inverno, se sarà rigido quanto il precedente (o più rigido),

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/verso-una-nuova-era-glaciale-il-quadro-dinsieme/

tutto questo non sarà accettato con fatalismo. Tra una tormenta e l’altra i cittadini andranno a prendersi con la forza quello di cui necessitano.

Il forte rallentamento dell’economia cinese (-1,5% rispetto all’anno precedente) e il nuovo boom dei junk bonds (i titoli spazzatura/obbligazioni ad alto rischio che ci hanno portato al disastro) ci fa capire che la crisi dell’eurozona è quasi certamente definitiva e che anche gli stati nazionali rischiano di essere trascinati nell’abisso di questo colossale fallimento, sotto il peso di un indebitamento senza rimedio.

Questo scenario può sfociare in due possibili direzioni: quella di uno stato centralizzato, sul modello degli Stati Uniti d’America (federazione), oppure quella di una proliferazione di piccoli stati confederati (confederazione), allineati allo spirito delle occupazioni degli indignati e della lunga tradizione dell’autonomismo/regionalismo/municipalismo italiano, che evolveranno verso nuove forme di auto-organizzazione collettiva.

Ahimè, ciò, verosimilmente, non avverrà pacificamente: nessun parto è pulito ed indolore.

L’AUTONOMIA PUÒ ESSERE IL VALORE-GUIDA DEL MONDO NUOVO

Ospitalità ed autonomia potrebbero rappresentare lo strumento del nostro riscatto, il volano per un Mondo Nuovo.

La libertà individuale, con annessa responsabilità personale, a volte ci sembra una zavorra. È più facile delegare le decisioni ad altri ed accusarli di aver sbagliato, se commettono degli errori. È ancora più facile distribuire la responsabilità tra i membri di un’intera comunità, enfatizzando la libertà collettiva e i narcisismi collettivi: “mal comune mezzo gaudio, e comunque tutte queste persone non possono aver torto” (chissà quanti Tedeschi l’hanno pensato o detto durante il nazismo!).

L’idea moderna di autonomia, però, è incentrata sul principio dell’importanza di assumere, almeno in una certa misura, il controllo delle proprie esistenze, coralmente, invece di vivere alla mercé degli agenti esterni, in un infantilismo protratto.

Ho già affrontato la questione della libertà, il principio da cui scaturisce quello dell’autonomia in un articolo di qualche tempo fa:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-liberta-quella-vera/

L’idea moderna di autonomia presuppone l’autodeterminazione personale (libertà) in una cornice di autodeterminazione comunitaria (responsabilità).

L’una non esclude l’altra: sono complementari.

Un cittadino adulto, maturo, non ripudia la sua autonomia di giudizio e si batte per espandere questo suo diritto inalienabile (giacché non è un privilegio né una concessione), a partire dalla sua comunità, perché sa che essere circondato da persone consapevoli, libere e responsabili, che sanno decidere in coscienza, va a tutto vantaggio suo e del bene comune. In questo senso la democrazia autonomista ha provato, per quanto è possibile, a realizzare (inverare) l’ideale delle prime comunità cristiane: la piena autonomia delle personalità nell’unità di un destino comune. Questo ideale, a sua volta, in un circolo virtuoso, si fa spontaneo promotore delle virtù dell’autonomia: la tolleranza (non paternalistica), il dialogo, l’apertura, l’autodisciplina e la disponibilità all’autocritica ed al cambiamento. 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, non dobbiamo commettere l’errore di ricadere in quello che chiamo “autonomismo tassidermico”, ossia la tendenza a fissare le identità come quando s’impaglia un animale, a bloccare il cambiamento, come i serpenti che cambiano pelle ma rimangono sempre gli stessi. Quella è la strada della morte dell’autonomismo e delle sue istituzioni, che diventano dei morti-viventi che pretendono devozione ed asservimento a beneficio della loro auto perpetuazione, invece di porsi al servizio dei cittadini, come sarebbero tenute a fare (è quella la loro ragion d’essere).

L’autonomia, l’autonomismo, le comunità autonome devono poter cambiare nel tempo, come cambiano gli esseri umani, altrimenti diventano ingabbiatori e vampiri, annichilitori della ragione e dignità umana. Un autonomismo etnicamente connaturato, per quanto si sforzi di passare per una crociata in favore dei più deboli, è ispirato al principio del diritto del più forte di prevalere ed infantilizza i cittadini invece di avviarli alla maturità. Infatti nessuno può definire me o chiunque altro: solo io posso assumermi la responsabilità di stabilire chi sono e come gestire responsabilmente questa mia identità mutevole, eterogenea, sfuggente.

Malauguratamente, la tendenza dominante al momento attuale è quella di un’unificazione europea di carattere tecnocratico ed autoritario, avversa alle autonomie locali. In ogni occasione ci viene ripetuto che questa è l’unica soluzione a tutti i nostri problemi.

Queste sono le mie argomentazioni in favore di un programma confederale (ossia contro il progetto degli Stati Uniti d’Europa):

  1. L’attuale configurazione dell’Unione Europea va già più che bene: c’è pace, c’è stabilità e ci sarebbe pure prosperità, se i politici prestassero più ascolto ai cittadini-elettori che alle sirene dell’alta finanza. Semmai, una sua riforma dovrebbe privilegiare le autonomie locali, non abolire la sovranità degli stati nazionali e, così facendo, minacciare le stesse autonomie locali (cf. Trentino-Alto Adige);
  2. tenuto conto dei successi indiscutibili delle nazioni più piccole di ogni continente, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una confederazione di repubbliche di dimensioni più ridotte, meno militariste, unite dalla gestione della politica estera e delle questioni di interesse generale;
  3. le riforme dovrebbero riguardare essenzialmente la regolamentazione dell’economia, della finanza, del fisco e del mondo del lavoro – nel senso della tutela di chi produce ricchezza, non di chi si comporta come un parassita e vive alle spalle dei lavoratori, investitori ed imprenditori (speculatori ed evasori);
  4. non si attua un radicale riorientamento delle istituzioni dall’alto se manca il consenso popolare (la democrazia prevede strumenti di consultazione della cittadinanza);
  5. è mai possibile che le lezioni del nazismo, del comunismo e dell’americanismo non siano state apprese?
  6. quando il potere si accentra cresce il rischio di corruzione e si rafforza la minaccia di sviluppi oligarchici e tirannici (“il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”);
  7. più ampia è la popolazione, più grande sarà la distanza tra elettori ed elettorato, perché ci saranno pochi rappresentanti per numerosissimi cittadini e ciò non può che nuocere alle dinamiche democratiche (Montesquieu docet: è improvvisamente diventato un pensatore irrilevante?);
  8. l’unionismo europeista comporta un drastico ridimensionamento dell’autonomia dei governi locali, gli unici strettamente a contatto con la realtà locale, eredità della lotta contro gli autoritarismi del passato: vogliamo più autonomie locali, non meno;
  9. un’unica capitale federale diventerebbe un ricettacolo di burocrati parassitari e politicanti. Pensiamo a Washington ed a Bruxelles. Hanno forse completamente torto i leghisti quando esclamano: “Roma ladrona”? Non c’è neppure un fondo di verità? Vogliamo che Bruxelles si degradi ulteriormente?
  10. in un ordinamento compiutamente confederale dotato di una carta dei diritti (o anche senza di essa, se le costituzioni dei vari stati vengono rispettate) ci potremmo permettere più ampie forme di democrazia diretta senza scivolare nella tirannia delle maggioranze. Saremmo tutelati dagli arbitri della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che stanno spogliando i cittadini dei loro risparmi per riassegnarli a chi già prospera;
  11. in una confederazione ci sarebbe il rischio di una burocrazia ipertrofica ed onnipotente come quella dell’attuale Unione Europea sarebbe attenuato;
  12. in una confederazione si introdurrebbero procedure che consentano le rotazioni periodiche degli incarichi politici di raccordo, per evitare che qualcuno si “incolli” alla sua poltrona, togliendo la delega in caso di incompetenza o disonestà;
  13. si bloccherebbe la strada del presidenzialismo, che assegna eccessive prerogative al presidente, senza che ci sia la minima certezza che sia invariabilmente una persona proba (es. Bush negli Stati Uniti e il mentitore, violatore del diritto internazionale e guerrafondaio Tony Blair, la cui candidatura alla presidenza dell’Unione Europea era stata ventilata da più parti);
  14. una confederazione abolirebbe gli eserciti professionali (permanenti), preferendo addestrare milizie locali, che non rappresentano mai una minaccia per la democrazia e i diritti civili e non instillano nei cittadini quella mentalità guerriera, aggressiva che affligge il mondo (cf. Merkel e Sarkozy e la vendita coatta di armi alla Grecia).

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/no-agli-stati-uniti-deuropa-le-ragioni-del-dissenso/#axzz1nlLMVkzb

La rabbia e l’amore – sulla violenza in Grecia

 

di John Holloway [docente all’Istituto per le Scienze Umane e Sociali dell’Università Autonoma di Puebla]

Non mi piace la violenza. Non penso che ci sia molto di guadagnato nel bruciare le banche e rompere le vetrine. E tuttavia mi sento bene quando vedo la reazione ad Atene ed in altre città della Grecia all’approvazione da parte del parlamento greco delle misure imposte dall’Unione Europea. Di più: se non ci fosse stata un’esplosione di rabbia, mi sarei sentito sprofondare in un mare di depressione. Questa gioia è quella che si prova a vedere il poveraccio sempre bistrattato, ribellarsi e ruggire.  La gioia di vedere quelli che hanno preso mille schiaffi, ridarli indietro.
Come possiamo chiedere alla gente che accetti con calma i feroci tagli al tenore di vita che implicano queste misure di austerità? Possiamo immaginarci che siano d’accordo sul fatto che il massiccio pontenziale creativo di così tanti giovani venga semplicemente eliminato, i loro talenti intrappolati in una vita di disoccupazione di lunga durata? E tutto ciò solamente per ripagare le banche e far diventare più ricchi i ricchi?
Tutto ciò solamente per mantenere un sistema capitalista che ha oltrepassato da molto tempo la sua data di scadenza, e che adesso offre al mondo soltanto distruzione. Per i greci, accettare queste misure con moderazione significherebbe moltiplicare la depressione con la depressione, depressione per un sistema fallito con l’aggiunta della depressione per la dignità perduta. La violenza della reazione in Grecia è un grido che si rivolge al mondo. Per quanto ancora staremo seduti a guardare mentre il mondo viene fatto a pezzi dai barbari cioè dai ricchi e dalle banche? Per quanto ancora staremo a guardare le ingiustizie che aumentano, il sistema sanitario smantellato, l’educazione ridotta ad un non-senso acritico, le risorse di acqua del mondo privatizzate, le comunità spazzate via e la terra devastata per i profitti delle compagnie minerarie?
L’attacco che si mostra così acuto in Grecia sta avvenendo ovunque nel mondo. Da tutte le parti il denaro sta assoggettando l’umano e la vita non umana alla sua logica, la logica del profitto. Ciò non è qualcosa di nuovo, ma l’intensità e l’ampiezza dell’attacco sono nuove, ed è nuova anche la generale consapevolezza che la dinamica attuale sia una dinamica di morte, che è verosimile che tutti ci stiamo dirigendo verso la scomparsa della vita umana sulla terra. Quando i commentatori esperti spiegano i dettagli delle ultime negoziazioni tra i governi sul futuro dell’eurozona, si dimenticano di menzionare che ciò che viene negoziato così biecamente è il futuro dell’umanità.
Siamo tutti Greci. Siamo tutti dei soggetti la cui soggettività è stata schiacciata dal rullo compressore di una storia determinata dal movimento dei mercati finanziari. O così sembra e così avrebbero voluto. Milioni di italiani hanno protestato a più riprese contro Silvio Berlusconi ma sono stati i mercati a farlo cadere. Lo stesso in Grecia: manifestazioni una dopo l’altra contro George Papandreou ma alla fine sono stati i mercati che l’hanno allontanato. In entrambi i casi, sono stati nominati dei servitori leali e fedeli per prendere il posto dei politici caduti, senza neanche uno straccio di consultazione popolare. Questa non è nemmeno la storia condotta dai ricchi e dai potenti, sebbene alcuni ne traggano vantaggi: è una storia fatta da una dinamica che nessuno controlla, una dinamica che sta distruggendo il mondo se la lasciamo fare.
Le fiamme di Atene sono fiamme di rabbia, e ci fanno gioire. E tuttavia la rabbia è pericolosa. Se viene personalizzata o si rivolge contro un gruppo di persone specifico (i tedeschi in questo caso) può facilmente diventare puramente distruttiva. Non è una coincidenza il fatto che il primo ministro a dare le dimissioni in segno di protesta contro l’ultima serie di misure di austerità in Grecia sia stato un leader del partito di estrema destra Laos. La rabbia può diventare facilmente una rabbia nazionalista, addirittura fascista; una rabbia che non fa niente per rendere il mondo migliore.
È importante dunque essere chiari sul fatto che la nostra rabbia non è contro i tedeschi, nemmeno contro Angela Merkel o David Cameron o Nicolas Sarkozy. Questi politici sono soltanto dei penosi ed arroganti simboli del vero oggetto della nostra rabbia – il potere del denaro, l’assoggettamento della vita intera alla logica del profitto.
Amore e rabbia, rabbia e amore. L’amore è stato un argomento importante nelle lotte che hanno ridefinito il significato della politica durante l’ultimo anno, un tema costante durante i movimenti Occupy, un sentimento profondo persino nel cuore dei violenti scontri avvenuti in molte parti del mondo. Dunque l’amore cammina mano nella mano con la rabbia, la rabbia del «come osano portarci via le nostre vite, come osano trattarci come oggetti». La rabbia di un mondo diverso che si sta facendo faticosamente strada attraverso l’oscenità del mondo che ci circonda. Forse.
Il farsi strada di un mondo diverso non è soltanto una questione di rabbia, anche se la rabbia ne fa parte. Riguarda necessariamente la costruzione paziente di un modo diverso di fare le cose, la creazione di forme diverse di coesione sociale e di mutuo soccorso. Dietro lo spettacolo delle banche che bruciano in Grecia c’è un processo più profondo, un movimento più calmo di persone che rifiutano di pagare i biglietti degli autobus, le bollette dell’elettricità, i pedaggi autostradali, i debiti con le banche; un movimento, nato dalla necessità e dalla convinzione, di persone che organizzano le proprie vite in un modo diverso, che creano comunità di mutuo soccorso e reti per l’alimentazione, che occupano edifici e terreni abbandonati, che creano orti comunitari, che ritornano nelle campagne, che girano le spalle ai politici (che adesso hanno paura farsi vedere per strada) e che creano direttamente forme democratiche di decisione sociale. Forse è ancora qualcosa di insufficiente e sperimentale ma di cruciale importanza. Dietro le fiamme spettacolari, è questa ricerca per la creazione di un modo diverso di vivere che determinerà il futuro della Grecia, e del mondo.