Baltimora, Ferguson e le altre rivolte sintetiche

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Queste montature non meritano più di poche righe anche perché, forse a causa della crisi (camuffata), evidentemente non ci sono abbastanza soldi per pagare gente in grado di fare un buon lavoro (seminare zizzania in maniera credibile).
Nei prossimi mesi si moltiplicheranno i video che mostreranno come certi agitatori “professionisti” (leggi: dilettanteschi e prima o poi qualcuno rischierà di essere linciato) stiano incanalando la rabbia della popolazione nella direzione dello scontro razziale.
Nazione, fede, razza, etnia, cultura, ecc. sono gli strumenti da sempre adoperati da chi detiene il potere per dividere una popolazione in blocchi identitari contrapposti, neutralizzando il potenziale per una seria, implacabile lotta per rivendicazioni egalitarie e di giustizia sociale.
Se ho ragione nelle prossime settimane ci sarà un’escalation di “violenze bianche” vs “violenze afroamericane” (“scontri etnici”, “scontri razziali”). Così ce le presenteranno i media, perché la gente non deve sapere che l’economia americana è disastrata e milioni di statunitensi non ce la fanno più (Renzi: dobbiamo prendere esempio dagli USA).
Le leggi emergenziali sono già in vigore, grazie alla Guerra al Terrore: vanno solo applicate al primo pretesto “credibile” che verrà creato sinteticamente.
Ma siccome siamo nell’era di youtube, presto o tardi gli americani capiranno che li stanno fuorviando e usando e questo becero, disperato tentativo di abbindolamento che dovrebbe giustificare uno stato di polizia motivato dalla necessità di pacificazione interrazziale, scatenerà precisamente quella rivolta trasversale tanto temuta dai potentati trincerati.

Tra parentesi, non escludo una futura ingerenza umanitaria della “comunità internazionale” negli USA in nome del R2P (responsabilità di proteggere).  Che ironia della sorte!

Perciò, paradossalmente, ben vengano questi giochini, perché costringeranno la gente ad aprire gli occhi, non solo oltreoceano.

Egitto all’inferno e oltre – Corriere della Sera, Gad Lerner travolti da un bisogno di degrado morale filo-golpista

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https://twitter.com/stefanofait

Questo è il destino di chiunque nel mondo provi a usare la religione per interessi politici o di parte. L’esperienza di governo dei Fratelli musulmani è fallita prima ancora di cominciare, perché va contro la natura del popolo.

Assad si prende la sua puerile vendetta su Morsi e, nel farlo, delegittima le elezioni siriane dell’anno prossimo

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Il Corriere della Sera, che parla di “golpe dolce“, istruisce i suoi lettori su chi siano i buoni e chi siano i cattivi e che cosa sia veramente importante, cioè a dire non la democrazia, ma il controllo di Suez e la sicurezza di Israele: “Morsi, presuntuosamente, ha pensato soltanto a sopravvivere, affidandosi ad un pigro provincialismo. Senza comprendere di essere al timone del primo Paese arabo, che è proprietario dei diritti su quel cordone ombelicale che collega due mondi – il canale di Suez -, che confina con Israele, che è la patria di una cultura millenaria a cui tutti noi dobbiamo qualcosa.

http://www.corriere.it/editoriali/13_luglio_04/Golpe-popolare-egitto-morsi-ferrari_8431ef42-e468-11e2-8ffb-29023a5ee012.shtml

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Gad Lerner: Guardo in tv piazza Tahir che ribolle, una massa di popolo impressionante.  Lo so che dietro ci sono anche i generali, lo so che Morsi può rivendicare la legittimità derivante da una vittoria elettorale [ecco Gad, fermati qui e rifletti prima di proseguire oltre…]. Ma non c’è dubbio che sta manifestandosi in Egitto una spinta di libertà che l’islamismo politico invano ha vervato di reprimere.  Ormai anche le nazioni della sponda sud del Mediterraneo vivono la dialettica di società plurali e complesse, irriducibili all’omogeneità della norma religiosa così come alla militarizzazione del rapporto tra Stato e cittadinanza. È un’energia giovanile prorompente quella che si manifesta in una regione che non possiamo permetterci di considerare estranea alla nostra. Con questa energia vitale, che oggi destabilizza l’Egitto ma domani potrebbe favorirne la crescita economica, saremo chiamati a fare i conti non solo in Israele, dove ancora mi trovo, ma anche in Italia.
http://www.gadlerner.it/2013/07/03/egitto-morsi-e-travolto-da-un-bisogno-di-liberta

Commento di un lettore di Gad: “che triste fine lerner. Dalla parte dei colonnelli golpisti. A quando la rivalutazione di stefano delle chiaie e junio valerio borghese???????

Commento di un altro lettore di Gad: “Lerner fa torto alla nostra intelligenza. Credere che una rivoluzione appoggiata dai militari pagati da chissachì, sia foriera di benessere, progresso e libertà, e persino meno verosimile del fatto che Ruby era nipote di Mubarak!

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Commento di Michele Serra (dall’Amaca): “Che legittimità ha un potere non eletto dal popolo che contraddice e annulla un potere eletto dal popolo? L’esercito ha prestigio, spiegano gli analisti, e rappresenta l’unità del Paese. Ma della democrazia, quando è d’impiccio, che ne facciamo? Facciamo finta di niente?

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Jonathan Steele, Guardian:

“Rifiutare i risultati di elezioni che sono state ampiamente ritenute libere e legittime e mettere da parte il diritto fondamentale di un paese è un passo che nessun esercito dovrebbe mai prendere. Il fatto che la mossa dell’esercito sia stata accolta da molti dei rivoluzionari che per primi hanno avuto il coraggio di andare in piazza contro Mubarak nel 2011 è un drammatico sintomo della loro ingenuità e miopia politica…. Imputare a Morsi tutte le delusioni degli ultimi due anni è assurdo. Non è stato lui, ma la Corte suprema amministrativa ad aver sciolto l’assemblea del popolo, la camera bassa del parlamento. Non è stato lui, ma i leader dei partiti di opposizione che hanno prodotto un governo in gran parte dominato dai Fratelli Musulmani. Morsi li ha invitati a partecipare al gabinetto ma loro hanno rifiutato…. Certamente non è il presidente che deve essere incolpato per l’incapacità dell’economia egiziana di fornire sufficienti posti di lavoro per decine di migliaia di giovani che si laureano ogni anno, per non parlare di una generazione più vecchia che è senza lavoro.

Morsi ha seguito i piani del Fondo monetario internazionale per porre fine ai sussidi sui prodotti alimentari e le bollette che hanno creato ancora più austerità, ma così avrebbe fatto la maggior parte dei leader dell’opposizione che ora chiede a gran voce il potere…. Si è parlato molto e giustamente della minaccia alla democrazia egiziana che viene dal cosiddetto “stato profondo”: la burocrazia ancora radicata, fatta di funzionari del partito di Mubarak, imprenditori suoi sodali e una gerarchia dell’esercito che sfrutta i beni dello Stato o trae profitto dalle industrie e aziende di recente privatizzazione.

Alcuni hanno accusato Morsi di essersi unito a questa élite autoritaria. Ma la vera accusa era di aver fatto troppo poco per contrastarla e per tenere sotto controllo i loro tirapiedi, una forza di polizia corrotta e brutale. L’ironia degli eventi degli ultimi giorni è che coloro che hanno così energicamente denunciato il presidente in piazza Tahrir e nelle strade di altre città stanno cadendo nella trappola tesa dalla stessa elite che vorrebbero riportare sotto il loro controllo.

È vero che i Fratelli Musulmani e i loro sostenitori sono conservatori e possono costituire una minaccia per certi diritti civili degli egiziani. Ma il pericolo maggiore e più immediato per il paese è quello dei diritti politici che tutti gli egiziani hanno conquistato con il rovesciamento di Mubarak. L’abolizione della norma del partito unico, il diritto di tutti i tipi di gruppi politici di organizzarsi liberamente, l’abolizione della censura dei media e l’alleggerimento della reclusione per chi dissente sono vantaggi che non dovrebbe essere abbandonati alla leggera.

Coloro che credono che l’obiettivo principale dei militari sia quello di preservare le nuove libertà saranno presto delusi. Dal Cile nel 1973 al Pakistan nel 1999 (e i numerosi precedenti), lunga è la storia di golpe militari che sono stati accolti positivamente nelle loro prime ore e giorni, ma deplorati negli anni di disperazione che seguirono. Per l’Egitto sarebbe un disastro seguire questa tradizione”.
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/jul/03/egypt-coup-ruinous-army

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QUESTO E’ IL NODO DELLA QUESTIONE: chi approva un golpe militare contro un governo democraticamente eletto non può contestualizzare.
I fratelli musulmani venivano torturati e fatti sparire sotto la precedente dittatura militare: tutto bene tanto sono islamici e quindi chissenefrega? Salvador Allende in fondo era un comunista, no? Lo diceva anche Kissinger che i comunisti sono incompatibili con la democrazia. Meglio un sano golpe.

Presto scopriremo se l’esercito egiziano permetterà ai partiti di ispirazione islamica di presentarsi alle prossime elezioni “democratiche” o se li bandirà, come al tempo di Mubarak.

Stiamo attraversando un campo minato, la democrazia è in crisi, ci vengono imposti tecnocrati e quisling, Grillo&Casaleggio dimostrano tutto il loro dispotismo e non è dato di sapere che altro (di peggio?) ci riserva il futuro. Non è tollerabile questa nonchalance nei confronti di un colpo di stato dell’esercito.

L’islamofobia è una pessima ragione per appoggiare un golpe.

I manifestanti di piazza Tahrir che esultano per i carri armati nelle strade con i fuochi d’artificio si renderanno conto molto presto di cosa è successo e di quali siano le implicazioni.

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Pochi mesi e siamo di nuovo alla casella di partenza, con l’esercito di nuovo al potere, i media dei fratelli musulmani interdetti, il presidente democraticamente eletto agli arresti domiciliari, il potere giudiziario filo-Mubarak e anti-islamico che gongola, la dirigenza dei Fratelli Musulmani arrestata in blocco e la costituzione sospesa. Se ci saranno le elezioni vincerà un burattino dell’esercito. Bel risultato! Complimenti fighetti di piazza Tahrir: avete chiuso il cerchio!

L’esercito egiziano, il secondo più generosamente foraggiato da Washington nel mondo dopo quello israeliano, per qualche ragione ha deciso di essere più democratico e costituzionale di un governo eletto democraticamente; che non aveva imposto la sharia (c’era già); che fin dall’inizio aveva dovuto accettare le umilianti e devastanti condizioni imposte dal FMI (austerità!), in pratica suicidandosi (aggravamento crisi economica = rivolte); che aveva dovuto esortare gli egiziani ad andare a combattere in Siria per non subire ritorsioni da Qatar e Arabia Saudita. Un governo non particolarmente efficace – ma chi lo sarebbe in un paese complesso, arretrato e in crisi economica sparata come l’Egitto? Si possono pretendere miracoli in pochi mesi? – non educato alla democrazia, ma non certo una dittatura e nulla che meritasse di essere esautorato con la forza. Se in una singola occasione aveva cercato di conferirsi maggiori poteri costituzionali era solo per poter controllare un establishment fedele a Mubarak che non aveva alcuna intenzione di mollare l’osso: certi magistrati egiziani, nominati da Mubarak, avevano il potere di sciogliere il parlamento, un’autorità che non ha nulla a che vedere con una democratica divisione dei poteri. In ogni caso aveva subito interrotto il tentativo di fronte alle pressioni della folla. Troppo moderato per piacere ai salafiti (estremisti islamici), negli ultimi giorni aveva anche manifestato la sua disponibilità a formare un governo di unità nazionale con l’opposizione ed ad anticipare le elezioni pur di scongiurare uno scontro. Che cos’altro si pretendeva da lui?

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Cosa succederebbe in Europa? Gli europei approverebbero un colpo di stato militare per liberarsi dei governi austeristi che distruggono le loro economie e il loro tessuto sociale? Ci sarebbero fuochi artificiali come a Tahrir? Se un governo è impopolare è giusto che intervengano populisticamente le forze armate? Come si può esultare nel democratico Occidente per una cosa del genere? Sdoganiamo i colpi di stato militari?

Se Obama avesse cercato veramente di ridimensionare il complesso militare-industriale sarebbe stato deposto? Potrebbe succedere in futuro? Sta rischiando grosso già adesso? In futuro vedremo manifestazioni di massa del Tea Party, guidate da Rand Paul, al grido di “impeachment, impeachment”? Come si comporteranno le forze armate americane?

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/06/10/la-siria-e-il-golpe-anti-obama-il-momento-monica-lewinsky-di-obama/

È solo l’Egitto ad essere governato da dietro le quinte dagli uomini in uniforme? Oppure le dirigenze civili sono molto più effimere di quanto si pensi in diverse nazioni “civili”?

Qualche giorno fa l’esperta ambasciatrice americana Anne Patterson aveva garantito il sostegno a Morsi

http://www.ilfoglio.it/soloqui/18900

Ma subito dopo Hagel aveva incontrato il generale golpista Sisi

http://www.guardian.co.uk/world/middle-east-live/2013/jul/03/egypt-countdown-army-deadline-live

Per tenerlo calmo o per spronarlo? Chi controlla l’esercito egiziano? Obama o i neocon-sionisti? Obama ha pugnalato alle spalle Morsi oppure ha perso un’altra pedina importante nell’area? Chi controlla il Pentagono?

Che senso hanno altre elezioni se chi vince ha questa spada di Damocle che pende sul suo capo? Come potrà governare? Come potrà non obbedire allo stato maggiore dell’esercito?

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I soldati e ufficiali egiziani che hanno votato per Morsi si ammutineranno?

Dopo la rimozione della fratellanza musulmana dal governo del paese, cosa farà la maggioranza di egiziani che non si riconosce in un governo laico appoggiato dai militari o in una giunta militare? Si rivolgerà ai salafiti, gli stessi che seminano il caos dalla Libia alla Siria?

I cristiani copti si sono schierati con l’esercito – ricordo che c’erano i copti e i neocon americani dietro l’atroce filmetto su Maometto che scatenò la furia islamica in Egitto e in Libia (uccisione dell’ambasciatore americano).

Le manifestazioni pro-Morsi urlano “abbasso la giunta militare”. Morsi si considera ancora il presidente.

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È assai probabile che entro la fine dell’anno gli egiziani saranno di nuovo in piazza a manifestare contro la giunta militare che non garantisce delle elezioni veramente democratiche e sembra intenzionata a restare al potere quanto più a lungo possibile (abituata com’è a gestirlo – con Mubarak era il generale Tantawi a reggere la barra cleptocratica – l’esercito lucra attraverso un enorme business fatto di latifondi, alberghi, imprese edili, industrie, ecc.).

Oltre 80 milioni di persone impoverite dalla crisi e sottoposte ad austerità (FMI colpisce anche in Egitto) sono una massa incredibile ed ingovernabile. Scopriremo molto presto cosa ciò significhi in un’area cruciale come quella intorno al Canale di Suez, che tiene in vita le nostre economie.

Si rischia una guerra civile infinitamente peggiore di quella siriana, con Israele pronto a riprendersi il Sinai con una qualche operazione anti-terrorismo e di pacificazione.

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Adesso gli jihadisti che combattono in Siria si trasferiranno in Egitto per combattere l’esercito egiziano e i copti?

Sarebbe interessante capire fin dove si spingerebbe la ginnastica mentale e dialettica dei filo-golpisti nello sforzo di negare che si tratti di un colpo di stato [“è un recall un po’ brusco ma legittimo”], se fosse Obama o un presidente/premier europeo e subirlo. Magari finiremo per scoprirlo.

La primavera turca manderà in fumo i piani NATO

Turkish Prime Minister Tayyip Erdogan gives a thumbs-up sign from the cockpit of the Turkish Primary and Basic Trainer Aircraft "Hurkus" during a ceremony at the Turkish Aerospace Industries in Ankara

Migliaia di auto nella notte ad Ankara con i guidatori con la mano sul clacson, bandiere turche e ritratti di Mustafah Kemal Ataturk che sporgono dai finestrini, hanno invaso il centro per protestare contro la dura repressione oggi da parte della polizia delle manifestazioni contro il governo del premier Recep Tayyip Erdogan a Istanbul e in decine di altre città del Paese. Migliaia di manifestanti sono ancora concentrati nel centro della capitale turca. La polizia turca ha arrestato 939 persone in oltre 90 manifestazioni contro il governo in tutta la Turchia  (ANSA del 1 giugno)

Le proteste hanno ben poco a che vedere con la tutela di pochi alberi e molto a che vedere con il tradimento dell’eredità di Mustafa Kemal Atatürk, il padre della Turchia moderna, un grande uomo e grande leader che riuscì a sospingere una nazione imbarazzantemente arretrata e autoritaria verso una modernità fatta di laicità, democrazia e crescita economica. Il cammino era ben lungi dall’essere completato (non lo è per noi, figuriamoci se lo potrebbe essere per la Turchia), ma l’arrivo dei musulmani al potere ha invertito la rotta: neoliberismo, completo asservimento della politica estera agli obiettivi della NATO, islamizzazione della società, alleanza con Israele e Arabia Saudita, coinvolgimento diretto nel tentativo di effettuare un cambio di regime in Siria. Erdogan è stato rieletto unicamente in virtù dei suoi successi economici, ma la pacchia è finita e le conseguenze di una crescita realizzata con il doping finanziario si stanno per abbattere sulla Turchia. Queste proteste sono solo l’inizio ed è possibile che, per cavarsela, Erdogan scelga la via della guerra con la Siria, dopo l’ennesimo, ridicolo false flag, come questo:

Le forze speciali turche anti-terrorismo hanno arrestato 12 sospetti, membri del Fronte Al-Nusra, il gruppo affiliato di Al-Qaeda che è stato definito “il braccio più aggressiva e di successo” dei ribelli siriani, che si presume stessero preparando un attentato chimico nella città meridionale turca di Adana.
http://arabworld360.blogspot.it/2013/05/turkey-finds-sarin-gas-in-homes-of.html#.Uanovdh4NQE

Se lo farà, anche i suoi sostenitori lo abbandoneranno alla sua sorte.
In caso di conflitto, ci sarà una primavera europea. Meno di un quarto degli inglesi approva la decisione del proprio governo di fornire armi agli insorti siriani, figuriamoci come prenderebbero un costoso e sanguinoso coinvolgimento diretto delle loro forze armate:
http://www.guardian.co.uk/world/2013/jun/01/syria-hague-arms-intervention-military

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BACIARSI IN PUBBLICO È CONTRARIO ALLA MORALE?

La stampa turca riferisce di incidenti registrati ieri sera ad Ankara, dove circa 200 giovani che si erano riuniti per una ‘protesta del bacio’ contro cartelli che esigevano il rispetto delle ”legge morali” nella metropolitana sono stati prima bloccati dalla polizia e poi attaccati da integralisti islamici…circa 30 giovani islamici aderenti all’Akp [partito al governo] che hanno cercato di separare le coppie usando anche violenza fisica. Un ragazzo che partecipava alla ‘protesta del bacio’ e’ stato ferito da una coltellata e ha dovuto essere ricoverato. ”L’immoralita’ non e’ liberta”’ ha detto a Hurriyet un esponente dei giovani Akp, Celal Karaman. L’opposizione laica accusa Erdogan di seguire una ‘agenda occulta’ di reislamizzazione del paese.

http://www.ansa.it/web/notizie/photostory/primopiano/2013/05/26/Turchia-islamici-polizia-contro-protesta-bacio-_8768262.html

TOLLERARE LIVELLI ALLUCINANTI DI VIOLENZA DOMESTICA SULLE DONNE È MORALE?

A luglio del 2011 le Nazioni Unite hanno pubblicato un dossier sulla Turchia, nel quale si legge che il paese della Mezzaluna ha la maglia nera rispetto all’Europa e agli Stati Uniti quanto a violenze domestiche sulle donne. Il 39 per cento delle donne turche ha patito abusi psicologici e fisici all’interno delle mura domestiche, contro il 22 per cento delle donne statunitensi e un range che va dal 3 al 35 per cento in Europa. Ciò dimostra che ad Ankara l’allarme è decisamente alto, visto che dai dati Onu risulta che peggio della Turchia ci sono solo i Paesi dell’Africa sub-sahariana e l’isola di Kiribati nel Pacifico…Secondo HRW circa il 42 per cento delle donne turche che hanno più di 15 anni e il 47 per cento di quelle che vivono nelle aree rurali del Paese hanno sperimentato sulla loro pelle abusi e violenze domestiche di ogni genere, da quelle fisiche a quelle psicologiche…Le contraddizioni del governo e la sua risposta “inconsistente” per prevenire gli abusi sulle donne è però lo specchio fedele dell’ambivalenza che regna all’interno della società turca in merito alla questione di genere. Molte persone in Turchia sono convinte che “il successo delle donne rappresenti il fallimento della famiglia“. Queste persone sono generalmente di credo islamico e hanno una visione tradizionalista (e maschilista) della società…Recep Tayyip Erdogan ha lanciato un appello accorato a tutte le famiglie turche affinché abbiano “almeno tre figli“, perché – secondo il primo ministro – “la forza di una nazione risiede nelle sue famiglie e la forza delle famiglie risiede nel numero dei loro figli”. Un’immagine che riporta indietro nel tempo e che sottolinea l’immagine delle donne come mere “incubatrici” di pargoli che possano assicurare l’aumento del tasso di turchità della società. Ma Erdogan si è spinto anche oltre, legando la natalità all’economia: “Uno o due bambini significa bancarotta – ha detto – Tre bambini invece significa che stiamo migliorando”.

http://news.panorama.it/esteri/turchia-femminicidio-violenza-donne-erdogan-islam

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REPRIMERE CON LA VIOLENZA LE PROTESTE POPOLARI PACIFICHE È MORALE?

Era iniziata come una protesta di cittadini contra la distruzione di un parco, il Gezi Park di Taksim, e dei suoi 600 alberi, nel cuore di Istanbul. Ma il movimento si fa ogni giorno di più simile alle rivolte della stagione degli indignados di Madrid, Londra o New York. Da lunedì ogni notte, prima centinaia di giovani, ora migliaia, si accampano nel parco, per impedire la mattina ai bulldozer di sradicare gli alberi dell’ultimo polmone verde del cuore europeo della megalopoli del Bosforo, al posto del quale deve essere costruito un mega centro commerciale. All’alba ogni giorno i reparti anti-sommossa della polizia prendono d’assalto il parco, usando lacrimogeni, spray urticanti, cannoni ad acqua.

http://www.ilmessaggero.it/PRIMOPIANO/ESTERI/turchia_rivolta_gezi_park_governo_erdogan/notizie/286448.shtml

http://www.asianews.it/notizie-it/Istanbul-sconvolta-dalle-proteste-e-dalle-violenze-della-polizia-28080.html

DETENERE IL RECORD MONDIALE DI INCARCERAZIONE DI GIORNALISTI È MORALE?

La Turchia detiene il record mondiale di giornalisti in carcere. Lo dice un rapporto pubblicato oggi dal Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), una Ong con sede a New York, secondo la quale nel Paese è in atto “una delle più vaste operazioni di repressione della libertà di stampa nella storia recente”.

il numero di giornalisti in prigione in Turchia oggi è superiore a quello di altri Paesi più repressivi, come l’Iran, l’Eritrea e la Cina”, afferma il Cpj.

Oltre alle retate di giornalisti con il pretesto delle lotta al terrorismo, l’ong denuncia anche “tattiche di pressione per convincere all’autocensura” nelle redazioni. Il Cpj ha anche fatto appello al premier Erdogan perché smetta di denunciare sistematicamente per diffamazione “i giornalisti critici”, di “disprezzarli pubblicamente” e di esercitare “pressioni su media critici perché adottino un tono più moderato”.

http://www.lastampa.it/2012/10/22/esteri/in-turchia-il-record-mondiale-di-giornalisti-in-carcere-sono-p3OdQkPmPNmxVjIZEuRRXO/pagina.html

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ALLEARSI CON ISRAELE E L’ARABIA SAUDITA E DESTABILIZZARE UN PAESE CONFINANTE INFISCHIANDOSENE DELLA VOLONTÀ POPOLARE È MORALE?

Se gli Stati Uniti proponessero una no-fly zone sulla Siria, noi risponderemmo subito di sì

Recep Tayyip Erdogan, premier turco (membro della NATO), intervistato dalla NBC

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/17/israele-e-turchia-mano-nella-mano-verso-labisso/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/25/labbattimento-dellaereo-turco-non-e-un-semplice-incidente-e-i-cittadini-turchi-non-vogliono-la-guerra/

Un sondaggio promosso dal popolare quotidiano Hurriyet ha confermato che, come indicato da diversi recenti sondaggi, la maggioranza della popolazione turca è fortemente ostile a un conflitto con Damasco. L’instant poll di Hurriyet ha rilevato un livello di opposizione al 55%. Recenti sondaggi hanno rivelato anche che una maggioranza della popolazione turca non approva la politica muscolare del premier islamico nazionalista Recep Tayyip Erdogan sulla crisi siriana e il suo dichiarato appoggio ai ribelli sunniti contro l’ex-amico Bashar al Assad.

http://www.lettera43.it/cronaca/turchia-siria-ankara-non-vogliamo-guerra_4367566771.htm

OPTARE PER UNA GESTIONE NEOLIBERISTA DELL’ECONOMIA È MORALE?

Economia in forte frenata, mentre la bolla creditizia continua ad espandersi, finanziata da un forte deficit commerciale (10% del PIL). Il debito privato è triplicato negli ultimi 4 anni: il governo prima ha chiesto ai turchi di consumare per far crescere il paese, poi dirà che sono vissuti al di sopra delle proprie possibilità. Faranno la fine della Spagna e del Regno Unito. Ed Erdogan è stato rieletto solo perché pareva aver trovato il modo di arricchire la popolazione (strappare alla povertà milioni di turchi).

http://online.wsj.com/article/SB10001424127887323296504578396200677967468.html

http://www.atimes.com/atimes/Middle_East/MID-01-230413.html

Chi salverà la Turchia dalla bancarotta?

http://www.bloomberg.com/news/2013-05-30/rally-ending-as-bernanke-exit-seen-matter-of-time-turkey-credit.html

http://blogs.wsj.com/emergingeurope/2013/05/30/oecd-offers-skeptical-view-of-turkey/

FARE IN MODO CHE ALL’AUMENTO DEL BENESSERE IL TASSO DI DISUGUAGLIANZA RESTI ELEVATISSIMO È MORALE?

La Turchia è oltre il sessantesimo posto nel mondo, davanti a Gabon e Cina e dietro il Perù

http://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_inequality-adjusted_HDI

L’AUTORITARISMO È MORALE?

C’è sempre sullo sfondo la questione della presunta “agenda segreta islamica” a turbare i sonni dei secolaristi seguaci di Ataturk, il padre della Turchia moderna e laica, («l’Akp non è laico come i partiti democratici cristiani nei paesi occidentali, loro vogliono introdurre lo studio del Corano nella scuola pubblica» dice Kiliçdaroglu).

«All’inizio l’Akp – dice Kiliçdaroglu – ha combattuto per la democrazia contro il sistema, ma ora sta occupando ogni spazio dello stato e hanno ordinato perfino la confisca preventiva di un libro sgradito al potere (si tratta di un testo di un giornalista su un personaggio controverso vicino al governo, Fetullah Gulen, n.d.r.)».

Insomma il rischio è che l’Akp si stia trasformando in un partito-stato. Una preoccupazione isolata del partito laico e socialdemocratico? No. Oktay Vural, vice presidente del gruppo parlamentare dell ‘MHP, il partito nazionalista del professor Bacheli, che ha ottenuto il 13% dei voti alle ultima elezione, dice: «L’Akp, il partito di Erdogan, è un partito-stato. I media sono minacciati o sotto controllo diretto del governo e spesso i media sono proprietà di gruppi con altri interessi economici che poi vengono minacciati in questi settori se sono critici con il governo. Ci sono molti giornalisti in galera o che hanno perso il posto perché sgraditi e non siamo liberi di comunicare senza il timore di senza essere intercettati. Inoltre ho l’impressione che il sistema giudiziario sia sotto controllo dell’esecutivo».

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-04-03/stretta-autoritaria-agenda-segreta-180705.shtml?uuid=Abl3paIF

Di carattere forte, secondo molto autoritario, Erdogan in questi 10 anni è finito più volte sui giornali con l’accusa di voler islamizzare il Paese, utilizzando l’ingresso in Unione Europea solo per indebolire lo strapotere dei militari, da sempre strenui difensori dello Stato moderno e laico fondato da Atatürk. Già durante il suo mandato da sindaco di Istanbul, dal 1994 al 1998, il futuro premier aveva fatto parlare di sé per aver criticato i dipendenti dal comune che servivano bevande alcoliche, e perché non stringeva la mano alle donne.

La sua nomina a primo ministro, avvenuta ufficialmente nel 2003, lo ha portato a più miti consigli, ma per poco. È dello stesso anno il tentativo del primo governo Erdogan di fare entrare gli studenti delle imam-hatip (scuole vocazionali islamiche) all’università.

Nel 2012 viene approvata la riforma scolastica che consente ai genitori di inviare i bambini alle scuola vocazionali già dall’età di 10 anni. In alcuni quartieri di Istanbul scoppia la polemica per alcuni studenti trovatisi iscritti d’ufficio alle imam-hatip e non in istituti laici come avevano richiesto, per mancanza di posti. Il premier dice: «alleveremo generazioni di giovani devoti».

Gli appelli di Erdogan alle donne turche a fare almeno tre figli sono all’ordine del giorno. Dietro le sue parole si cela anche il timore per il peso demografico della componente curda, concentrata nel Sud-Est del Paese e dove non hanno problemi di natalità. Ma parallelamente ha portato avanti una campagna serrata contro l’aborto, minacciando di cambiare la legge, che attualmente fissa l’interruzione di gravidanza a 10 settimane, e una vera e propria «crociata» contro una telenovela, campione di ascolti in Turchia e all’estero, rea di aver ritratto il sultano Solimano il magnifico come troppo dedito all’alcol e troppo succubo delle donne.

Infine, in questi anni, la Turchia di Recep Tayyip Erdogan è finita più volte nell’occhio del ciclone per la questione della libertà di stampa e pressioni sui media.

http://www.lastampa.it/2013/03/11/esteri/la-rivoluzione-di-erdogan-piu-velo-e-meno-liberta-x7s7XIoWe4o686itwhj5zM/pagina.html

https://twitter.com/stefanofait

Lacrimogeni al ministero di Grazia e Giustizia: ha ragione il questore

Ero partito molto prevenuto in quanto la versione ufficiale mi sembrava ridicola e avevo messo in dubbio il giudizio di un amico che affermava che il rimbalzo c’era. Mi ha indicato dove lo vedeva: ho visionato un’altra volta e non ho potuto fare a meno di ricredermi e dargli ragione.

Sono sicuro che lo può fare chiunque. Non fate le pecore e ragionate con la vostra testa! Lo scetticismo dev’essere a 360 gradi, altrimenti diventa complottismo.

A 37″ c’è il rimbalzo, chiaro come il sole, per chi lo vuol vedere.

Non è possibile che questa falsa interpretazione degli eventi possa essere strumentalizzata per fomentare la violenza eversiva e non è possibile che l’informazione in Italia abbia raggiunto un tale livello di degrado, salvo alcune eccezioni. Se continueremo a pensare che le forze dell’ordine sono sempre e comunque fasciste, avremo già perso la partita (e faremo la figura dei fanatici).

Breve lista dei crimini commessi contro il popolo greco dai premi Nobel per la Pace

C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? Uguale al loro, va perduto, tutto, servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.
— Italo Calvino – Il sentiero dei nidi di ragno

I Greci sono stati letteralmente calpestati, trattati come una casta di paria, come dei parassiti, per salvare le banche europee dall’effetto domino che tanto arriverà comunque.

Ecco alcuni degli effetti (a un certo punto ho interrotto l’elencazione perché mi mancava il respiro) dei diktat della troika.

Un greco su quattro è disoccupato (oltre il 55% dei giovani), un lavoratore su tre non si può permettere assicurazioni sanitarie e non riceverà una pensione, ogni giorno mille greci perdono il lavoro o il sussidio di disoccupazione, l’inflazione è in costante crescita, oltre 400mila bambini greci soffrono la fame (fonte: Unicef), le organizzazioni mediche internazionali lanciano insistenti allarmi sui rischi epidemici causati dal collasso del sistema sanitario e della prevenzione, i manifestanti vengono torturati dalla polizia, l’estrema destra perpetra pogrom contro gli immigrati, un possibile golpe militare è stato sventato nel novembre del 2011 con la sostituzione di alcune figure chiave delle forze armate elleniche, migliaia di disabili e pazienti di ospedali psichiatrici sono stati abbandonati alla loro sorte, malati di cancro non si possono permettere le cure e reparti di oncologia rinviano le operazioni per mancanza di fondi e personale, suicidi in forte aumento, un negozio su tre nel centro di Atene costretto a chiudere per cessata attività, uffici comunali devono sospendere le attività per mancanza di fondi, deputati tedeschi e ministri finlandesi raccomandano alla Grecia di svendere i suoi beni, incluse le isole e i monumenti e di impegnare il Partenone, la Bild titola in prima pagina “Vendete le vostre isole, Greci bancarottieri!”, i prodotti scaduti sono venduti legalmente nei supermercati ad un terzo del prezzo per aiutare la gente a procurarsi i pasti quotidiani, creditori suggeriscono al governo greco di far evacuare le isole con una popolazione inferiore a 150 residenti per poter risparmiare (e magari per renderle disponibili a ricchi acquirenti stranieri? Per il momento sono 40 le isole disabitate disponibili per leasing della durata di 50 anni).
Per inciso, il ministro delle finanze fiammingo Philippe Muyters ha proposto di alzare le tasse a chi vuole vivere in aree remote delle Fiandre: migliaia di persone che vivono da generazioni nelle borgate rurali costrette a trapiantarsi nelle aree metropolitane per non finire in galera per debiti. Il criterio è identico, nella sua disumanità.

I rapporti del FMI ammettono di aver commesso gravi errori nel gestire la crisi greca e nel 1953 tutti i paesi creditori abbuonarono i debiti tedeschi. Qualche anno prima si era messo in piedi il piano Marshall per salvare la democrazia in Europa e far ripartire l’economia (il nome ufficiale era “Piano per la ripresa europea”).

Ciò nonostante, proseguono le iniziative prive di giudizio, di senno, di buon senso, che rischiano di forze impossibili da controllare. Come si può pensare di poter fare tutto questo senza pagare uno scotto, senza fare la fine degli apprendisti stregoni?

Com’è possibile che milioni di persone chiudano volontariamente gli occhi e le orecchie e le bocche per non vedere, per non sentire, per non protestare, per non capire.

Si faceva lo stesso con gli Ebrei nell’Europa di qualche decennio fa. La storia ha condannato gli aguzzini di allora e condannerà quelli di oggi che impongono ad un popolo i lavori forzati: “Arbeit macht frei!” spiegano ai Greci mentre milioni di loro vivono sotto la soglia di povertà.

Il prossimo passo, possiamo supporre, saranno i lavori forzati per i disoccupati greci insolventi in campi di lavoro gestiti da imprese e banche del Nord Europa.

Chi non ha denunciato queste iniquità, chi ha fatto il gioco delle tre scimmiette, è complice di tutto questo. Se ha una coscienza, non gli/le sarà facile placarla quando il velo della propaganda sarà stracciato e sociologi, storici, economisti, antropologi, medici e politici potranno dire quel che andava detto e queste diventeranno pagine nerissime del passato della “civiltà” europea, degna del premio Nobel per la Pace!

Primi fuochi della rivoluzione del 2012

Il disagio sociale e diffuso legato alla mancanza di lavoro in Italia e’ piu’ ampio di quello che le statistiche dicono. E’ a rischio la tenuta sociale del Paese
Corrado Passera, ministro dello Sviluppo Economico, 11 maggio 2012

E se non c’è ancora l’assalto ai forni o l’incendio dei municipi, sono almeno 270 i “fuochi” di rivolta contro Equitalia.
Francesco Merlo, La Repubblica, 12 maggio 2012

Lo spirito di resistenza al governo è così prezioso in certe occasioni che mi auguro sia sempre mantenuto vivo. Spesso lo si eserciterà in modo sbagliato, tuttavia meglio esercitato così che non esercitato affatto.
Thomas Jefferson, lettera ad Abigail Adams, 1787

Sono sempre le tasse a scatenare le rivoluzioni, fin dai tempi dei despoti sumeri e greci. La Rivoluzione non è la risposta giusta, ma quasi certamente sarà la risposta inevitabile delle persone che vogliono resistere ad un sistema che ha attribuito allo stato sociale (ai diritti civili) le colpe di quel vero e proprio gioco d’azzardo e gioco al massacro che è la finanza speculativa globale dei nostri giorni.

“Si alza la tensione contro Equitalia. Aggressioni, assalti e intimidazioni sono, ormai, all’ordine del giorno. Da Milano a Roma si moltiplicano i blitz contro il Fisco.

Scontri alla sede di Equitalia a Napoli
Scontri alla sede di Equitalia a Napoli

Soltanto oggi tre i casi di cronaca: a Napoli decine di manifestanti hanno attaccato la sede di corso Meridionale innescando violenti scontro con la polizia; nel capoluogo lombardo un imprenditore ha preso a pugni e calci due finanziari di Equitalia; nella Capitale invece è stato spedito un busta contenente polvere pirica nella sede di via Grezar. Giovedì prossimo il presidente del Consiglio Mario Monti incontrerà i vertici di Agenzia delle Entrate e di Equitalia.

Sassaiola e scontri nella sede di Napoli

Monta la protesta contro il Fisco. Questa mattina, a Napoli, una nuova manifestazione contro il luogo simbolo della pressione fiscale e delle tasse: Equitalia. I manifestanti hanno preso d’assalto la sede di corso Meridionale incendiando numerosi cassonetti che erano stati utilizzati per sbarrare la strada. Contro gli uffici di Equitalia sono stati lanciati secchi di vernice rossa mentre i manifestanti cercavano di entrare nella sede partenopea. Immediata la reazione degli agenti in tenuta antisommossa che sono intervenuto spintonando e allontanando i manifestanti.

Scontri alla sede di Equitalia a Napoli

A quel punto si sono sentite due esplosioni, forse petardi o bombe carta. Mentre le forze dell’ordine cercavano di aprire un varco al traffico veicolare formando un cordone a circa 50 metri dall’ingresso, è iniziato un lancio di pietre contro di loro e un nuovo tentativo di incursione negli uffici. Così c’è stata una carica: tra i manifestanti c’è un giovane ferito alla testa da una manganellata.

Picchiati due ispettori a Milano

A Melegnano, nella provincia di Milano, due ispettori di Equitalia sono stati aggrediti da Giuseppe Neletti, 50enne nato a Gela titolare di una impresa. I due funzionari sono stati presi a calci e pugni nella sede legale di un’impresa edile in via Turati 5 a Melegnano. I due avevano un appuntamento con l’imprenditore che li ha aggrediti nello studio del commercialista. Subito dopo l’aggressione i due sono andati al pronto soccorso per essere medicati.

Busta con polvere pirica a Roma

Una busta con all’interno della polvere pirica è stata recapitata questa mattina alla sede di Equitalia di via Giuseppe Grezar 14. Secondo quanto si è appreso dagli investigatori, la busta recapitata alla sede Equitalia non poteva esplodere: il plico non presenta, infatti, alcun tipo di innesco. L’allarme è scattato intorno alle 11.30 quando tra la corrispondenza è stata notata la busta da lettera sospetta. La busta, che è stata recapitata alla sede Equitalia di via Giuseppe Grezar, è stata sequestrata e verrà sottoposta ad accertamenti per risalire alla provenienza”.

http://www.ilgiornale.it/cronache/a_napoli_manifestazione_contro_equitaliatra_lanci_pietre_e_cariche_polizia/manifestazione-fisco-scontri-napoli-protesta-equitalia/11-05-2012/articolo-id=587362-page=0-comments=1

Cos’è il Grande Fratello? (La dittatura “morbida”)

 

 

a cura di Stefano Fait

 

 

 

Il re prende nota di tutte le loro intenzioni,

Con mezzi che nemmeno possono immaginare

William Shakespeare, “Enrico V”

Chi sorveglierà i sorveglianti stessi?

Giovenale, “Satire”, VI, 347

Un uomo di vetro in una società trasparente: è questo il nostro futuro? Torna l’antico interrogativo: qual è il prezzo della libertà? E di quale misura di libertà godremo in un ambiente tecnologicamente ridisegnato in forme tali da ridurre diritti fondamentali delle persone? Noi, e usando il plurale parlo di tutti noi cittadini, siamo chiamati a sciogliere una contraddizione tra una trasparenza crescente e l’inconoscibilità o l’incontrollabilità di chi ci rende visibili, rimanendo egli stesso lontano o oscuro. Ma può la democrazia lasciar crescere al suo interno quello che, per dirla con Conrad, può diventare il ‘cuore di un’immensa tenebra’?

Stefano Rodotà, “Relazione annuale dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali”, Roma, 3 maggio 2000.

http://www.treccani.it/enciclopedia/stefano-rodota/

Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza.

Michael Ignatieff, New York Times Magazine, il 2 maggio 2004

http://www.treccani.it/enciclopedia/michael-ignatieff/

Il governo inglese sta mettendo a punto un nuovo programma anti terrorismo che prevede l’archiviazione di tutte le telefonate, messaggini sms, email e siti internet visitati dagli utenti. Lo scrive il Telegraph, precisando che operatori telefonici e service provider saranno obbligati a conservare i dati per un periodo di 12 mesi per metterli così a disposizione dei servizi di sicurezza. I contenuti delle chiamate e delle mail non saranno registrati, al contrario dei numeri delle chiamate e gli indirizzi mail dei mittenti e dei destinatari delle mail. Il ministero dell’Interno, secondo il quotidiano, avrebbe già intavolato i negoziati con le internet company negli ultimi due mesi. Il piano potrebbe essere annunciato ufficialmente a maggio”.

http://www.corrierecomunicazioni.it/tlc/13906_londra-il-governo-monitorachiamate-sms-e-email.htm

“Dopo il no di Repubblica Ceca, Bulgaria, Slovenia e Polonia, anche i governi di Germania e Olanda sono orientati a votare contro l’Acta, l’accordo che imporrebbe limitazioni alla libertà della Rete delegando inediti poteri di polizia e di oscuramento ai service provider. La contrarietà di Amsterdam e Berlino è emersa dopo le manifestazioni di protesta che hanno animato le piazze di molte capitali: segno tangibile dell’esistenza di una nuova opinione pubblica internazionale che vuole difendere il Web da ogni tentativo di controllo politico, magari travestito da “accordo commerciale”. Anche in Italia sono in corso proteste contro l’Acta (come quella di Firenze, il 25 febbraio) seppur poco riprese dalla grande stampa. E anche da noi sta crescendo l’attivismo trasversale pro-Internet, talvolta in grado di influenzare i decisori della politica: com’è di recente capitato, ad esempio, per l’infausto “emendamento Fava” approvato in commissione all’unanimità e poi ritirato nell’imbarazzo generale dei partiti, dopo che era esplosa la contestazione on line.

Anche per questo lascia un po’ perplessi il fatto che il governo italiano non abbia preso una posizione pubblica sull’Acta: sarà uno di quei Paesi che al Parlamento europeo, l’11 giugno prossimo, ne proporranno la ratifica oppure no? Non si sa”.

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/libero-web-monti-balbetta/2175050/1111

“Irresponsabile, anacronistico, anti-europeo e liberticida: sono questi gli aggettivi che – assieme  a molti altri – possono essere utilizzati per definire l’emendamento alla legge comunitaria 2011, con il quale l’on. Fava (Lega Nord) minaccia di attuare, nel nostro Paese, l’infausto progetto – nome in codice Sopa – che il Congresso degli Stati Uniti d’America è stato costretto ad abbandonare dopo lo sciopero della Rete dichiarato, nei giorni scorsi, dai giganti del Web.

L’emendamento, approvato giovedì scorso dalla Commissione per le politiche comunitarie, stabilisce – tra l’altro – che chiunque possa chiedere a un fornitore di servizi di hosting di rimuovere qualsivoglia contenuto pubblicato online da un utente sulla base del semplice sospetto – non accertato da alcuna Autorità giudiziaria né amministrativa – che violi i propri diritti d’autore e che, qualora il provider non ottemperi alla richiesta, possa essere ritenuto responsabile.

Un’inaccettabile forma di privatizzazione della giustizia: la permanenza o meno di un contenuto nello spazio pubblico telematico non dipenderà più dalla decisione di un Giudice ma da una semplice segnalazione – autonoma ed arbitraria – di un singolo.

E’, probabilmente, la più concreta e attuale minaccia per la libertà di espressione sul web registrata negli ultimi anni nel nostro Paese.

[…]

Il ministro per le politiche europee Enzo Moavero Milanesi, infatti, nel prendere la parola in Commissione, giovedì scorso ha dato parere favorevole al testo del disegno di legge, limitandosi a rilevare che l’emendamento Fava, affrontando “un tema – quello del commercio elettronico – di particolare delicatezza, che incontra sensibilità diverse…, avrebbe meritato di essere affrontato in uno specifico provvedimento”.

Nessun veto, tuttavia, né una parola sulla circostanza che le disposizioni in questione siano oggetto di una richiesta inoltrata dallo stesso Governo italiano a Bruxelles.
Cos’altro aggiungere?

La sensazione è quella che – Governo dei professori o governo del Cavaliere – il Paese rimanga saldamente in mano ad un manipolo di dilettanti allo sbaraglio, prezzolati dai soliti noti delle solite lobby e, soprattutto, totalmente ignoranti e disinteressati a proposito di Internet, futuro e innovazione”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/22/sopa-italiano-la-legge-che-minaccia-il-web/185580/

Orwell, in 1984, immaginava l’esistenza di una Psicopolizia, capace di intercettare suoni, gesti, pensieri. L’incubo di ognuno era rappresentato dallo psicoreato, il delitto che consisteva nell’aver pensato male del governo del Grande Fratello. (125) Non siamo a questo punto, né mai, si spera, ci arriveremo. Ma è anche vero che molti sistemi di controllo ed intercettazione attualmente esistenti fanno temere per la libertà e la dignità dei cittadini che li subiscono loro malgrado. Molti di questi sistemi sono stati a lungo occultati alla conoscenza dell’opinione pubblica, altri sono stati invece adottati in quasi totale mancanza di rispetto verso le regole più elementari della democrazia. Oggi, con una guerra al terrorismo in atto dal famigerato 11 Settembre 2001, con gli attentati sempre più frequenti, in un clima di paura che aleggia su ogni scelta politica recente, alcuni potranno pensare che siano più che giustificate delle misure di massima sorveglianza. Ma non va dimenticato che alcuni degli apparati di controllo delle comunicazioni più potenti esistono da molto tempo prima dell’11 Settembre: Echelon, Enfopol, il Sistema Informativo Schengen, ed altri sistemi di intercettazione elettronica su scala mondiale, dimostrano che la sorveglianza a scopo di sicurezza ha una lunga storia alle sua spalle.

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/control/surace/cap1.htm

“Non si può nutrire più alcun dubbio in merito all’esistenza di un sistema di intercettazione delle comunicazioni a livello mondiale, cui cooperano in proporzione gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda nel quadro del patto UKUSA. Che tale sistema o parti dello stesso abbiano avuto, almeno per un certo tempo, il nome in codice “ECHELON” può essere plausibile, alla luce degl’indizi a disposizione e delle numerose dichiarazioni concordanti provenienti da cerchie assai disparate, comprese fonti americane. Ciò che conta è che tale sistema serve non già all’intercettazione di comunicazioni militari, ma all’ascolto di comunicazioni private e commerciali. […]. Nella sessione del 30 marzo 2000 il Consiglio ha messo in chiaro che non intende accettare la creazione o l’esistenza d’un sistema d’intercettazione che non rispetti gli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che violi i principi fondamentali del rispetto della dignità umana”.

Gerhard Schmid, Relazione sull’esistenza di un sistema d’intercettazione globale per le comunicazioni private ed economiche (sistema d’intercettazione ECHELON, 2001/2098 (INI), Parlamento Europeo, 11 luglio 2001

Le distopie della letteratura e del cinema, soprattutto quelle che tentano di immaginare un futuro prossimo per le nostre società, sono sempre state caratterizzate da un’atmosfera di oscura premonizione, che si palesa attraverso concetti ben scelti: spesso si tratta delle capacità di sorveglianza di un apparato tecnologico sofisticatissimo, o di un Grande Fratello che osserva chiunque, oppure della manipolazione di soggetti resi acquiescenti attraverso il controllo. Durante gli ultimi anni, però, la realtà in cui è immerso l’uomo contemporaneo occidentale ha subito mutamenti profondi, divenendo sempre più simile alle narrazioni distopiche di tipo orwelliano. E’ inutile negarlo: viviamo in una società sorvegliata, dove la dimensione privata si fa rarefatta e l’uso intrusivo delle nuove tecnologie, attuato da aziende private e governi, ci sta obbligando a condurre una “vita continuamente pubblica”.

[…].

La scena urbana descritta da Ridley Scott in Blade Runner non è più così immaginifica. Si tratta di un vero e proprio digital divide, un sistema di separazione tra coloro che sono in possesso delle informazioni e tutti gli altri. Non riguarda solo le diseguaglianze tra Nord e Sud del mondo, ma anche le interazione interne alle società capitaliste più sviluppate. Si tratta di un digital divide che concerne i differenti livelli di accesso alle informazioni ed ai servizi. […].

Dopo gli attentati dell’11 Settembre 2001, ed i più recenti tragici avvenimenti del Luglio 2005, la sorveglianza generalizzata che trasforma le popolazioni in una massa di sospetti, mette a dura prova ogni discorso in difesa della privacy. La pretesa degli stati è, molto spesso, che si rinunci a diritti fondamentali come la riservatezza e le libertà di circolazione ed opinione, in cambio di una società più sicura. La guerra al terrorismo ha portato ad una crescita esponenziale dei sistemi di sorveglianza, legittimando prassi che ledono gravemente le libertà individuali, a volte in maniera assolutamente sproporzionata rispetto al fine ed ai risultati. Termini come Internet e globalizzazione perdono ogni significato, se quello che ci aspetta è una società in cui ognuno si sente autorizzato a sospettare del proprio vicino, alimentando la crescita di una società sorvegliata, in cui noi stessi siamo i controllori ed i controllati. Non ci si deve abbandonare agli allarmismi, ma nemmeno arrendersi ad una realtà che appare immodificabile. Soprattutto, non bisogna permettere che il diritto a mantenere l’anonimato, essenziale affinché ognuno si senta libero di esprimere il proprio pensiero senza timore di ripercussioni e conseguenze dannose, venga leso in nome di controllo globale e generalizzato, costruito sul pretesto di una società al riparo da attacchi esterni. E’ difficile, infatti, pensare a che tipo di democrazia ci troveremmo a difendere, se lasciassimo che i nostri più elementari diritti venissero elusi in cambio della vana speranza di sentirci più al sicuro.

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/control/surace/conclus.htm

LA QUESTIONE DELLA VIDEOSORVEGLIANZA

La Guerra al Terrore e la Guerra al Crimine ci hanno trascinati, a strattoni, spinte, strappi e pungoli, verso un collage surreale di autoritarismo messianico e burocratismo invasivo in una società del rischio, satura di timori e paranoia, che ha finito per prendersi talmente sul serio da non essere più in grado di distinguere una minaccia fantomatica da una minaccia reale.

In troppi animi alberga il desiderio che il potere sia collocato nelle mani delle Autorità, in una polarizzazione che sospinge figure sinistre al potere e riduce ad una condizione ovina cittadini che in passato aveva dato miglior prova di sé. Un cittadino democratico non vorrebbe essere comandato o guidato ma, più semplicemente, avrebbe l’aspettativa legittima di essere rappresentato da un suo delegato. La storia insegna che più forti sono stati i leader, più roboanti sono stati i disastri: affidarsi anime e corpo all’Autorità equivale a giocare alla roulette russa.

Parallelamente a questi sviluppi è diventato invalso un uso piuttosto generoso ed arbitrario del pronome noi, che dovrebbe includere tutti, ma classicamente si riferisce ad una conventicola di eletti o ad un ipotetico popolo, coeso ed unitario, eccezion fatta per poche pecore nere. Un noi che, a giudicare dalle tendenze, finirà per criminalizzare certe categorie di cittadini e concittadini prima ancora che possano persino essere sfiorati dall’idea di commettere un reato. Sono criminali in potenza. Questo noi plebiscitario e tirannico è un conveniente pretesto che giustifica ogni decisione imposta alla collettività. Sarebbe opportuna una maggiore umiltà nell’impiego dei pronomi plurali, ma non è una virtù che è saggio attendersi da chi presume di poter condannare il prossimo sulla base di una presunta colpa collettiva (“voi musulmani”, “voi ebrei”, “voi zingari”, “voi comunisti”, ecc.), sebbene sia impossibile stabilire che cosa una persona farà in futuro con un ragionevole margine di certezza – persino i chiaroveggenti ammettono che il futuro non è predeterminato – e punire le persone preventivamente distrugge il rispetto per la legge, il che non è nell’interesse di nessuno.

Allora perché le CCTV (telecamere a circuito chiuso) sono endemiche nei quartieri popolari e non in quelli dei ricchi, dove pure si concentrano i furti? Perché bastano le telecamere private o perché i ricchi non vogliono essere sorvegliati? Non abbiamo diritto ad una vita che non sia perennemente sorvegliata anche in pubblico? Ad una telecamera non posso chiedere perché mi stia monitorando, ad un poliziotto sì. Nel caso delle CCTV l’osservatore non è visibile, essendo remoto e spesso dissimulato. Si chiama sorveglianza asimmetrica: una parte reclama per se stessa il diritto di esercitare il controllo sullo spazio pubblico senza essere presente, senza essere in una condizione “da pari a pari”.

È anche uno spreco di denaro pubblico. Nel Regno Unito si stima un costo di circa 3000 sterline all’anno per ogni telecamera. I risultati sono magri e si sottraggono preziosi fondi che potrebbero essere destinati all’effettivo miglioramento delle condizioni di vita (Welsh and Farrington, 2002; Gill and Spriggs, 2005; Groombridge, 2008). Le telecamere rendono alcune persone insicure ed insinuano in altre una sensazione di falsa sicurezza. Più grave è la possibilità, più che plausibile, che instillino nella gente il senso che l’autorità sia onnipresente, addestrandola a credere che sia giusto, opportuno ed inevitabile e che lo spazio pubblico non appartenga a loro ma al potere centrale. La presenza di CCTV mortifica inoltre la dignità che dovrebbe essere accordata ad ogni cittadino onesto (presunzione di innocenza), ricorda ai cittadini in ogni momento che il prossimo potrebbe non essere degno di fiducia ed infine espone la popolazione al rischio che in futuro possa essere impiegato da un regime malevolo (o falsamente benevolo) per accanirsi su certe categorie di cittadini classificati come dissidenti o eterodossi. Basta che ciò avvenga una volta sola. Una sola volta è già di troppo.

Non è difficile immaginare che le valutazioni negative delle forze di polizia sull’efficacia delle CCTV possano anche dipendere dalla prospettiva di diventare superflui, come certi operai sostituiti dalle macchine. Senza dubbio le telecamere costano infinitamente meno degli agenti, come i droni (aerei spia teleguidati) costano infinitamente meno dei piloti. Ma il cittadino, in una democrazia, può conversare con il poliziotto, che è un cittadino come lui, al suo servizio, non una macchina. Con una telecamera il rapporto diventa asimmetrico ed univoco.

In un recente esperimento (Williams/Ahmed, 2009) dei ricercatori hanno fermato per strada 120 passanti scelti a caso, mostrando loro l’immagine di un ambiente urbano che include uno skinhead, una donna ben vestita, o nessuna persona e la presenza o meno di una vistosa telecamera di sorveglianza. I risultati mostrano che l’immagine con skinhead e telecamera accresce la preoccupazione ed ansia dei passanti, che descrivono la situazione dell’ordine pubblico come più seria rispetto a quelli che vedevano le altre foto in cui la CCTV era assente, compresa quella con lo skinhead. La combinazione di telecamera e skinhead si è dimostrata una miscela esplosiva per le ansie represse, perché attiva tutti gli stereotipi latenti riguardanti quel tipo di persona (un balordo sfaccendato). È ragionevole pensare che se l’immagine avesse raffigurato un poliziotto e non una CCTV la reazione sarebbe stata ben diversa, perché la sua inattiva ma visibilmente partecipe presenza avrebbe neutralizzato il potenziale di minaccia rappresentato dallo skinhead (“se il poliziotto non lo ferma significa che non è un pericolo”).

Il problema è che un crescente numero di cittadini è incline a presumere che ci siano valide ragioni per ogni ulteriore dispiegamento di tecnologie e misure per la sicurezza. Così quanto maggiore è l’incremento di leggi, droni, chip sottocutanei, telecamere, ecc., tanto più drammatica sarà la percezione di vivere un’esistenza minacciata dal crimine e dal terrorismo. “Altrimenti, perché spenderebbero i soldi in quel modo? Sanno certamente quello che fanno”. Il modo migliore per spaventare la gente è continuare a rassicurarla, ripetere che tutto andrà bene, che sarà al sicuro e che si sta facendo tutto il possibile per proteggerla. Alla moltiplicazione delle rassicurazioni corrisponderà l’impressione che ci sia una minaccia terribile della quale non si è messi al corrente, per non gettarci nel panico.

Un’isteria che è una miscela di mancanza di prospettiva, mancanza di senso delle proporzioni, mancanza di coraggio, ignoranza (del business della videosorveglianza), stoltezza e ignobile interesse a mantenere alta la tensione nella popolazione.

Sarebbe sbagliato associare l’orientamento autoritario e di dominanza sociale unicamente all’elettorato di destra. È un fenomeno trasversale e si nutre di una fiducia assoluta nell’autorità, nel bisogno compulsivo di leggi ed ordini dall’alto e nella tendenza a categorizzare gli altri in gruppi ben definiti invece di vedere il prossimo per quello che è, un altro essere umano come noi. Un criminale sa come camuffarsi e muoversi per evitare lo sguardo di una videocamera mentre il cittadino che passeggia vede occhi elettronici che lo scrutano e non può sfuggire. Difficile che non lo assalga il sospetto di vivere in una società insicura.

Questi sono gli interrogativi che cittadini e amministrazione pubblica dovrebbero porsi: quanti casi sono stati risolti dalle telecamere e quanti da un normale lavoro di investigazione? Quanto costano le telecamere? Quali sono i risultati di una valutazione costi-benefici dell’installazione di telecamere per l’ordine pubblico? Quali sono i costi sociali di piazzare telecamere ovunque, allarmando la popolazione, che così si sente insicura e circondata da delinquenti? Si è mai visto un paese eliminare le telecamere in caso di diminuzione della criminalità (che è comunque costante)? Chi controlla i sorveglianti? Chi controlla la circolazione delle immagini registrate?

L’Italia non è certo un paese noto per la meticolosità con la quale si rispetta la privacy dei cittadini e per il rispetto delle norme di gestione dei dati personali.

Si sostiene che i criminali hanno tutto da temere, gli innocenti nulla. Ma naturalmente tutto questo dipende dalla solidità del sistema democratico e dalla stabilità della nozione di crimine e criminale. Una volta introdotto un certo sistema di monitoraggio è particolarmente arduo toglierlo. C’è e, dato l’investimento iniziale, continuerà ad esserci, anche se i termini del contratto con la società civile sono cambiati. Applicando la stessa logica, un giorno si arriverà ad accettare l’installazione di tracciatori-localizzatori su tutte le nostre automobili e l’inserimento di biochip sottocutanei per essere monitorati in ogni momento, per la nostra sicurezza, tanto “se non hai niente da nascondere non hai nulla da temere” e  “le libertà civili vanno bene, ma ci sono cose più importanti…”

Durante la Seconda Guerra Mondiale il sistema olandese di schedatura di ogni cittadino, percepito come benevolo ed utile dai cittadini, che mai avrebbero immaginato che la loro amministrazione pubblica l’avrebbe potuto impiegare ai loro danni, diventò un’arma micidiale nell’Olanda occupata dai Nazisti, quando solerti burocrati resero possibili rastrellamenti efficienti di oppositori ed ebrei.

Rimane infine l’analisi dell’efficacia, che è comunque accessoria rispetto alla centralità dei diritti fondamentali dei cittadini (compreso quello alla privacy e ad una vita non-sorvegliata). Finora non ci sono prove incontrovertibili che la videosorveglianza serva da deterrente. Il Ministero degli Interni inglese ha riscontrato che in metà dei casi gli esiti sono stati lievemente positivi (max. 4 per cento) e nell’altra metà dei casi sono stati insignificanti o addirittura negativi. Nel 2007 a Londra operavano 10 mila telecamere anti-crimine. La polizia non è riuscita a rilevare una significativa differenza nella cattura di fuorilegge tra aree più o meno video-sorvegliate. Anzi, in quattro aree su cinque tra quelle con una maggiore concentrazione di videocamere si è registrato un minor numero di casi risolti. Nel 2008 un rapporto della polizia inglese ha rivelato che solo il 3 per cento dei crimini sono stati risolti grazie alla videosorveglianza. Analogamente, secondo i dati della polizia metropolitana di Londra, nel 2008 le videocamere hanno fornito un aiuto decisivo solo in un caso su mille.

Io penso che sarebbe più saggio destinare quei soldi alle forze di polizia (poliziotti di quartiere), o ad una migliore illuminazione stradale, opzioni che hanno registrato risultati tangibili e non rappresentano una minaccia per i diritti civili.

Infine, per gli amanti del bello, vale la pena di citare in conclusione anche la questione dell’imbruttimento progressivo delle città, sempre più simili a prigioni a cielo aperto.

LA MARCHIATURA ELETTRONICA DEI CITTADINI

 Il Sistema Elettronico Epidermico (epidermal electronic system – EES) è un adesivo elettronico che si sistema sulla pelle come un tatuaggio provvisorio senza incollarlo, sfruttando la forza di van der Waals:

http://it.wikipedia.org/wiki/Forza_di_van_der_Waals

È stato presentato sulla rivista “Science” di agosto 2011:

http://subitotechs.com/2011/08/15/tatuaggi-elettronici-tracciare-segni-vitali-pazienti-16156/

Non si sente, non si vede (50 micron; 1 millimetro = 1000 micron) e quasi privo di peso: come se uno non lo indossasse. Flessibile e soffice come la pelle, può servire a monitorare cervello, cuore e tessuti muscolari, ma anche a comunicare ed interfacciarsi con le macchine e registra con il 90% di accuratezza i comandi vocali di chi parla, se posto sulla gola. Si alimenta autonomamente con l’energia solare o ricevendo impulsi elettromagnetici. Può contenere sensori, LED, transistor, radioricevitori, antenne senza fili (wireless), celle solari, conduttori elettrici:

http://www.breitbart.com/article.php?id=CNG.6e1e2ad90e2d94b12b6258b7e9c5b33d.611&show_article=1

Eccolo, collocato su un polso:

http://www.physorg.com/news/2011-08-smart-skin-electronics-temporary-tattoo.html.

Un lettore commenta: “Potrei mettere la mia carta di credito sul polso”.

Qualcuno ha naturalmente già evocato il Marchio della Bestia (Apocalisse 13: 16-17):

E faceva sì che a tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e servi, fosse posto un marchio sulla mano destra o sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere se non chi avesse il marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome”.

In Messico migliaia di persone, terrorizzate dal caos causato dalla guerra tra narcotrafficanti e forze dell’ordine, hanno richiesto di farsi impiantare dei chip di localizzazione:

http://www.washingtonpost.com/world/americas/scared-mexicans-try-under-the-skin-tracking-devices/2011/08/14/gIQAtReNUJ_story.html?wprss=rss_world

Si inizia così, e poi…

COME SI SCIVOLA IN UNA TIRANNIA

In un futuro non troppo lontano alcune nazioni cominceranno a richiedere ai propri cittadini di farsi impiantare dei dispositivi di localizzazione miniaturizzati, come quelli già disponibili per gli animali domestici. Sebbene sia arduo crederlo, la popolazione ottempererà a tale richiesta, in parte entusiasticamente, in parte di malavoglia. Ma alla fine tutti si atterranno alle nuove disposizioni, anche perché chi non lo farà non potrà esistere in società.

Ecco le ragioni che saranno addotte dalle autorità. Ce ne sarà per tutti:

– lo Stato è prossimo alla bancarotta, anche gli altri stati non sono messi meglio. Serve un nuovo sistema monetario in cui tutte le transazioni siano controllate da un’istituzione finanziaria centrale. I contanti saranno aboliti. N.B. Già se ne discute:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/16/labolizione-dei-contanti/#axzz1nNrT1Utx

– ci saranno sforbiciate alle tassazioni di chi adempie. Chi disobbedisce pagherà più tasse;

– i servizi sanitari saranno garantiti solo a chi adempie: in questo modo si ridurranno i casi di malasanità;

– il crimine ed il terrorismo svaniranno, dato che le forze dell’ordine potranno rintracciare tutti in ogni momento;

– i soccorritori sapranno immediatamente dove intervenire, i bambini saranno ritrovati in men che non si dica;

– non si faranno più file negli aeroporti;

– i passaporti saranno aboliti;

– casse self-service in ogni negozio, nessuna fila perché ognuno pagherà con il suo impianto identificativo che fungerà anche da carta di credito (es. film “in time”);

– nessun rischio di frode: nessuno potrà clonare una carta di credito o sottrarre un documento di identificazione;

– i diritti civili saranno garantiti;

– saremo tutti una grande famiglia;

– i generi di prima necessità costeranno di meno, risparmi per tutti, debito pubblico sotto controllo;

– evasione fiscale eliminata, non ci saranno più furbi: ogni transazione sarà registrata;

– dite addio ai commercialisti: saranno inutili;

– l’impianto è semplice, rapido ed indolore. Non vi accorgerete neppure che c’è;

– la Chiesa non è contraria;

– non ci saranno più disservizi, tutto funzionerà meglio;

– chi è onesto non ha nulla da temere;

– se il sistema non funziona lo abbandoneremo e tutto tornerà come prima;

– è un vostro dovere di cittadini fare quanto è necessario per aiutare gli altri e la nazione: siamo tutti nella stessa barca.

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