I narcisisti al potere cercavano tifosi-adepti, hanno trovato cittadini-elettori

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La storia era già tutta nella mia testa…demagoghi, fanatici, truffatori, spettatori più o meno innocenti…tutto questo deriva dalla mia teoria che i supereroi sono disastrosi per l’umanità. È facile dimostrare che le strutture di potere tendono ad attrarre persone che desiderano il potere fine a se stesso e che una porzione significativa di queste persone non è equilibrata, ma piuttosto psicolabile.

Frank Herbert, “Dune Genesis”

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Rispetto alle elezioni di 1 anno fa:

-il Pd, che aveva il 41,49%, perde il 16,58%, perdita che si riduce all’11,2% se teniamo conto della quota presumibile delle civiche fiancheggiatrici

-il M5s, che aveva il 21,49%, cala del 6,01%

-Fi, che aveva il 17,39% scende all’11,16%

-La Lega sale dal 4,97% al 10,01%

Un governo espressione del 15-16% del corpo elettorale può benissimo giovarsi dell’ortopedia di un sistema elettorale che gli consegna il 54% dei seggi, ma che peso politico ha?

È la fine del bluff renziano e rientro del Pd nei suoi confini strutturali (anzi peggio visto che, soprattutto nelle regioni centro settentrionali il Pd renziano scende sotto i livelli dell’era Bersani e che proprio le candidate renziane Paita e Moretti sono quelle che fanno peggio). Il successo delle europee fu un accidente momentaneo dovuto al collasso di Scelta civica, al brutale calo berlusconiano ed alla passeggera sensazione di novità rappresentata da Renzi che, però, vinse più per demerito degli altri che per merito suo. Il progetto di Partito della Nazione non esiste più, anche se il Pd non ha ancora uno sfidante credibile.

Aldo Giannuli

http://www.aldogiannuli.it/analisi-regionali-matteo-stai-sereno/

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L’Italia ha risposto: “ma anche no!”

Due candidate sconfitte (una massacrata proprio laddove Renzi si era speso di più, in Veneto, l’altra imposta dal leader e rifiutata in una regione “rossa”); la terza candidata vincente solo di misura nella rossissima Umbria; la Lega al secondo posto in Toscana, che si tiene un governatore più vicino a Bersani che a Renzi; la Puglia governata da un leader indipendente che se ne infischia di Renzi e non lo vuole vedere a far campagna elettorale nella sua regione; il vincitore in Campania (grazie a De Mita!) che potrebbe essere sospeso.

Nonostante tutti i quotidiani nazionali e stranieri che l’hanno sostenuto parlino di sconfitta del PD, la dirigenza del partito non ha ammesso errori, battute d’arresto, risultati al di sotto delle aspettative, insuccessi, smacchi né tantomeno sconfitte.

Alessandra Moretti se l’è presa con l’opinione pubblica che “l’ha presa di mira”.

La direzione del PD insiste nel contare le regioni e non gli elettori, se la prende con gli astensionisti, con chi ha votato a sinistra o M5S, con i media non completamente allineati, con un’opposizione interna che, trattata a pesci in faccia per mesi, STRANAMENTE ha remato contro anche al momento del voto.

Capitan Fracassa è convinto di aver vinto pur avendo perso centinaia di migliaia di voti rispetto alle precedenti regionali, alle europee e alle politiche.

A suo tempo avevano apparentemente hanno vinto anche in Emilia Romagna, nonostante l’astensione alle stelle di elettori storicamente molto motivati.

Com’è possibile? si chiedono in molti.

Sono in malafede, ma c’è dell’altro.

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Non è solo che alla leadership del PD piace vincere facile. Il loro problema è che vincono solo se non hanno avversari credibili, se possono segnare a porta vuota e, quando perdono, diventano feroci, non sono disposti all’autocritica perché, stringi stringi, per loro l’agone politico è una faccenda che si riduce alla lotta di potere: conquista, mantenimento e sabotaggio di ogni progetto di ricambio al vertice.

Stiamo parlando di personalità marcatamente narcisistiche, e quindi insicure, rapaci, bramose di conferme:

  • Senso grandioso del sé ovvero senso esagerato della propria importanza;
  • È occupato/a da fantasie di successo illimitato, di potere, effetto sugli altri, bellezza, o di amore ideale;
  • Crede di essere “speciale” e unico/a, e di poter essere capito/a solo da persone speciali; o è eccessivamente preoccupato da ricercare vicinanza/essere associato a persone di status (in qualche ambito) molto alto;
  • Desidera o richiede un’ammirazione eccessiva rispetto al normale o al suo reale valore;
  • Ha un forte sentimento di propri diritti e facoltà, è irrealisticamente convinto che altri individui/situazioni debbano soddisfare le sue aspettative
  • Approfitta degli altri per raggiungere i propri scopi, e non ne prova rimorso;
  • È carente di empatia: non si accorge (non riconosce) o non dà importanza a sentimenti altrui, non desidera identificarsi con i loro desideri
  • Prova spesso invidia ed è generalmente convinto che altri provino invidia per lui/lei;
  • Modalità affettiva di tipo predatorio (rapporti di forza sbilanciati, con scarso impegno personale, desidera ricevere più di quello che dà, che altri siano affettivamente coinvolti più di quanto lui/lei lo sia);

http://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_narcisistico_di_personalit%C3%A0

La leggenda greca di Narciso illustra chiaramente come questa specie di “amore di sé” sia una calamità che nella sua forma estrema sfocia nell’auto-distruzione. È un’infatuazione tipica di chi non sa veramente amare né gli altri né se stesso.

Si può riconoscere la personalità narcisistica anche dalla sua ipersensibilità ad ogni genere di critica, che può esprimesi negandone a priori la validità e, appunto, reagendo con rabbia o depressione.

La personalità narcisista tende a percepire la critica come un attacco ostile e personale, poiché non può immaginare che essa sia giustificata.

Il narcisista è irrelato rispetto al mondo e conseguentemente è solo e spaventato, ma non lo può accettare. È questo senso di solitudine e di paura che viene compensato dalla sua auto-infatuazione narcisistica. Quando la sola protezione contro la sua paura, la sua auto-esaltazione, viene minacciata, la paura affiora e sfocia in furia intensa. L’individuo narcisista conquista il proprio senso di identità gonfiando ego.

I narcisisti non sono in grado di distinguere tra realtà e auto-percezione soggettiva. Emotivamente disconnessi dalla restante umanità, non provano rimorsi, sono ottimi seduttori, per loro le relazioni sono giochi e l’unica regola è che devono poter controllare chi li circonda. Ne consegue che sono spesso malevoli, ingannatori, incoscienti, irresponsabili, manipolatori.

Una volta colta questa dimensione patologica, il resto va da sé (nel PD come nella Lega Nord).

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Capitan Fracassa sa perfettamente che, se emergesse un leader moderato di destra credibile, il PD renziano evaporerebbe, perché perderebbe consensi a sinistra, al centro e a destra (e lo stesso Salvini – vale per lui quanto scritto sopra – ne uscirebbe fortemente ridimensionato: i nuovi voti li ha presi da Forza Italia).

Nessuno è realmente contento di votare per il meno peggio, per una brutta copia dell’originale, o tanto per vincere (“il partito ha sempre ragione”), indipendentemente dall’esito a livello di politiche concretamente attuate (il fine non giustifica ogni mezzo e comunque il fine renziano è deprecabile: lo status quo neoliberista ad oltranza, la sudditanza perpetua nei confronti della NATO).

Fatto sta che i maggiori quotidiani non si sono attenuti all’interpretazione renziana del voto. Questo è il vero smacco. Per i renziani è indispensabile passare per vincenti, perché ne hanno bisogno a livello psicologico e perché una parte dell’elettorato vota solo i vincenti.

Non basterà la visita a sorpresa in mimetica alle nostre truppe di occupazione per recuperare consensi. Se l’astensione rientrerà, sarà per mandarlo a casa, non certo per sostenerlo. Ha seminato vento e raccoglierà solo tempesta, ha ferito di spada e perirà di spada, venne per rottamare e sarà rottamato.

mose_corni_2_300Nel frattempo il Corriere della Sera ha prodotto una lista di direttive dall’alto per il governo, nel tentativo di limitare i danni (è il segnale che questa è l’ultima chance, poi verrà rimosso):

  • Senato elettivo (“con ogni probabilità tornerà a essere elettivo”); Ricomposizione della frattura interna al partito (“Il Pd può andare da solo, ma deve essere unito”); Rimpasto (“la squadra di governo non è all’altezza della sua grande ambizione di cambiare l’Italia”); Più populismo (“deve suscitare dietro di sé un movimento popolare autentico”); Secco no al reddito universale garantito che emanciperebbe i cittadini dal servaggio (“C’è un voto grillino irriducibile, antisistema, velleitario, che sogna di dare mille euro al mese a tutti in cambio di nulla”).

http://www.corriere.it/politica/15_giugno_01/regionali-2015-analisi-voto-cazzullo-9c68a372-07f1-11e5-811d-00d7b670a5d4.shtml

 

 

Maschilismo, patriarcato, femminicidio

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I nostri governi continuano a considerare la violenza contro le donne una questione di ordine pubblico o causa di “allarme sociale” invece che un problema culturale.

Nadia Somma, Fatto Quotidiano

Egli propone una soluzione finale del problema, la divisione dell’umanità in due parti diseguali. Una decima parte riceverebbe la libertà della personalità e un diritto illuminato sugli altri nove decimi. Questi dovrebbero perdere la personalità, trasformarsi come in una specie di gregge e per mezzo di una illuminata obbedienza raggiungere, attraverso una serie di rigenerazioni, l’innocenza primordiale, qualcosa come il paradiso primordiale, dove, tuttavia, dovrebbero lavorare.

Dostoevskij, “I demoni”

Cinque millenni di leadership patriarcale, in particolare per quello che attiene alla guerra, indicano che la psiche maschile resiste tragicamente ai processi di maturazione psicologica. Purtroppo i danni non sono limitati al genere maschile adulto, ma all’intera umanità ed all’ecosistema. Poteva forse essere utile nelle ere glaciali, quando la competizione era brutale, ma la tecnologia contemporanea rende superflua la competizione e agevola la collaborazione, se la buona volontà e l’interesse generale prevalgono.

Il patriarcato è, odiernamente, una patologia anacronistica, perché l’umanità si è evoluta al punto in cui abbiamo tutte le risorse a nostra disposizione e c’è solo bisogno di maturità psicologica, conoscenze scientifiche e tecniche, collaborazione, creatività, compassione e la sincera volontà di sviluppare una strategia di più equa ridistribuzione delle abbondantissime risorse.

La stragrande maggioranza delle persone affette da disturbo narcisistico di personalità e da socio/psicopatia è di sesso maschile. Maschi (o di donne dai tratti di personalità affini a quelli maschili) sono anche gli autori di quasi tutti gli stupri, atti di pedofilia, violenza domestica e omicidi. L’archetipo mascolino immaturo glorifica la guerra e l’aggressione, la prevaricazione, il “sesso forte” e preferirebbe l’estinzione alla prospettiva di non poter controllare e dominare. Perciò alimenta divisioni e contrapposizioni che favoriscono solo le personalità più sociopatiche, ossia completamente prive di scrupoli e compassione. Non è esagerato definirlo un cancro globale, dato che i suoi effetti sono devastanti (guerre, autoritarismi, terrorismo, tirannia dei mercati, austerismo, ecc.) e possono essere fatali in una civiltà munita di armi di distruzione di massa.

Il patriarcato è una patologia narcisistica e quindi è ossessionato dal controllo, dalla potenza, dalla purezza e dalla perfezione. Si alimenta di un desiderio irrefrenabile di controllare e dominare, soprattutto, ma non esclusivamente, le persone percepite come più deboli e vulnerabili. Auschwitz è la sua apoteosi, come anche i campi di lavoro sovietici e maoisti. Il senso di onnipotenza, grandiosità e rivendicazione nel narcisista impediscono alla coscienza di chi ne è affetto di cambiare, intossicato com’è da una fantasia di superiorità e dalla ferma convinzione che le sue opinioni siano indiscutibilmente corrette.

L’attribuzione di tratti caratteriali indesiderabile ad un’altra persona, l’idealizzazione di sé e di quelli che riteniamo rispecchino le nostre caratteristiche, la negazione delle imperfezioni, il rifiuto di essere e sentirsi vulnerabile, il desiderio di non dipendere dall’aiuto di nessuno, l’impulsività e l’ansia quando ci si sente minacciati, la proiezione sugli altri delle proprie responsabilità e colpe e l’incapacità di tollerare l’idea che si possa essere in disaccordo senza dover convertire l’altro al proprio punto di vista, per amor del quieto vivere e del pluralismo. Ogni volta che il suo controllo e visione di sé grandiosa e illusoria, costantemente e dolorosamente minacciata dalla realtà, sono messi a repentaglio, il narcisista reagisce categoricamente, con una rigidità manichea: “io sono buono, perfetto e giusto e chi non è d’accordo con me è cattivo, sbagliato e malvagio”. Le critiche causano ulteriori irrigidimenti. Il compromesso è insostenibile perché minaccia la sua onnipotenza.

È facile immaginare quanto ciò sia nocivo e tossico per il vivere democratico in una società con forti propensioni patriarcali. Nei casi estremi si manifesta una mentalità servo/padrone che si esprime attraverso le quattro classiche modalità: religione, sesso, razza/etnia e ceto.

Guai a noi se non saremo in grado di imparare a dissentire pacificamente e condividere le nostre risorse equamente. Se la coscienza maschile immatura, che può contagiare anche le donne (es. Thatcher, Merkel), continua a essere oscenamente avida e divisiva e non riesce a operare nel migliore interesse di ogni essere umano su questo pianeta, senza distinzione di religione, razza, etnia, educazione o status socio-economico, andremo incontro ad una brutta fine.

L’umanità, la nostra civiltà, se vuole sopravvivere, necessita di società eque, dove le risorse, le energie, la dignità siano assegnate e riconosciute equamente a uomini e donne. Più di tutto, dobbiamo costruire società in cui la violenza – psicologica e fisica e non solo verso le donne – sia tenuta sotto controllo, società in cui l’aggressività maschile possa trovare sbocchi costruttivi e creativi (come succede nell’arte, nell’esplorazione o nella ricerca tecnologica e scientifica, se non è pensata per applicazioni belliche), in ogni ambito della vita.

L’attuale società è troppo squilibrata in favore del mascolino e perciò non può che essere disfunzionale.

Quando l’umanità odia se stessa – la misantropia serrista

https://twitter.com/stefanofait

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Il disagio nei confronti della modernità, della tecnologia e del loro potenziale trasformativo ed emancipatore, unito alla nostalgia per un idilliaco passato rurale – inesistente se non per pochi privilegiati – ha impresso al movimento ambientalista delle origini un caratteristico conservatore. Molti tra i primi ambientalisti erano di estrazione nobiliare ed è stato questo sostrato culturale a generare l’ecologismo völkish mitteleuropeo – nazionalista, ruralista, etnocentrico – che poi confluì nel nazional-socialismo. Nel Nord America i maggiori magnati erano impegnati a finanziare generosamente tre cause principali: la conservazione ambientale, il controllo delle nascite e l’eugenetica. Erano convinti di essere gli unici a possedere quell’intelletto e sensibilità necessari a rispettare la natura e quindi tendevano a favorire ogni misura che ostacolasse la crescita demografica e la massificazione della natura. Quindi programmi di aborto e sterilizzazione di massa involontari, come quelli proposti dal biologo statunitense Paul Ehrlich (1968) e dall’esperto di ecologia e politiche energetiche John Holdren, ora consulente di Obama per le scienze e la tecnologia (Ehrlich & Holdren 1973). Dal canto loro i britannici James Goldsmith, John Aspinall (proprietario dello zoo di Londra) e Lord Lucan erano di simpatie franchiste e non nascondevano di parteggiare per chi avesse eseguito un colpo di stato autoritario nel Regno Unito e fosse stato in grado di ridurre la popolazione mondiale rimuovendo almeno tre miliardi di persone (Monbiot, 2002; Bright 2005).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/19/prossima-mossa-neoliberista-chi-non-paga-abbastanza-tasse-perde-il-diritto-di-voto-george-monbiot-sul-guardian/

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Il nemico comune dell’umanità è l’uomo. Alla ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci è venuta l’idea che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la fame ed altre cose del genere sarebbero adatti…Tutti questi pericoli sono causati dall’intervento umano ed è solo attraverso il cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti che essi possono essere superati. Il vero nemico, dunque è l’umanità stessa” [Alexander King, co-fondatore del Club di Roma (1991)]

Originale: “The common enemy of humanity is man. In searching for a new enemy to unite us, we came up with the idea that pollution, the threat of global warming, water shortages, famine and the like would fit the bill…All these dangers are caused by human intervention, and it is only through changed attitudes and behavior that they can be overcome. The real enemy then, is humanity itself.”

FONTE: “The First Global Revolution: A Report by the Council of the Club of Rome, di Alexander King & Bertrand Schneider” (p. 75)

http://books.google.com/books?id=8RNKHGbzUuAC&pg=PA75&dq=%22The+common+enemy+of+humanity+is+man%22&hl=it&%20ei=EvTQTYubENCUswbS28yoCw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CDQQ6AEwAQ#v=onepage&q=%22The%20common%20enemy%20of%20humanity%20is%20man%22&f=false

Dobbiamo garantirci un vasto supporto di base e catturare l’immaginazione del pubblico, il che implica un’amplissima copertura mediatica. Quindi dobbiamo presentare scenari spaventosi, fare dichiarazioni semplicistiche ma drammatiche tralasciando di citare i dubbi che potremmo avere…ciascuno deve decidere quale sia il giusto equilibrio tra efficacia e onestà”.

[Stephen Schneider, biologo a Stanford e paladino dell’AGW/serrismo, Discover, Ottobre 1989]

Originale: “We need to get some broad based support, to capture the public’s imagination… So we have to offer up scary scenarios, make simplified, dramatic statements and make little mention of any doubts… Each of us has to decide what the right balance is between being effective and being honest.”

http://fanuessays.blogspot.it/2011/12/10-miti-da-sfatare-sul-riscaldamento.html

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Essendo patologicamente narcisista e quindi antropocentrico, l’ecologista misantropico non può che distorcere la realtà pur di poter dare la colpa all’umanità di ogni misfatto.

Infatti, “non guidato da un super-io realistico e da un corrispondente adattamento ai limiti della realtà, privo in altre parole della guida di quel “genitore interno” che educa e protegge con retto rigore, il mondo del narcisista è fondamentalmente egoista, infantile e abitato dalla pretesa eccessiva verso gli altri e verso se stesso, dalla cui frustrazione originano i sentimenti di rabbia e odio a cui il narcisista oppone difese diverse, che lo portano ad esistere in una dimensione sempre più alienata e compensatoria di soddisfazioni mancate.

Centrata su aspettative che non possono trovare conferma e su una visione falsa e idealizzata della realtà, l’immagine che il narcisista ha di se stesso è deludente, così come lo è il mondo che lo circonda. È naturale che la vergogna di se stesso, la paura del mondo e la rabbia verso di esso siano le emozioni che fanno da corollario alla patologia narcisistica“.

http://www.aipt.it/Italiano/Pubblicazioni/LBG_ApprIntNarcisismo.htm

Traduzione di scambi di email tra serristi (Climategate II)

“Le osservazioni non mostrano alcun aumento delle temperature in tutta la troposfera tropicale a meno che non si accetti un singolo studio e si ignorino tutti gli altri. Questo è davvero pericoloso”

“Penso anch’io che la scienza sia manipolata a fini politici, il che potrebbe rivelarsi non particolarmente astuto nel lungo termine”

“sembra che poche persone impongano il loro punto di vista e, indipendentemente dai risultati del dibattito, prendano le grandi decisioni, all’ultimo momento, a nome di tutti”.

“Ci sono state diverse presentazioni ingannevoli dei risultati dei modelli da parte di certi autori e dell’IPCC”

“Il trucco potrebbe essere quello di stabilire quale sia il messaggio centrale e poi usarlo per decidere cosa includere e cosa escludere”

“Bisogna convincere i lettori che c’è stato un effettivo incremento della conoscenza, maggiore evidenza empirica. Qual è?”

“È vitale che nell’IPCC si introducano solo persone che conosciamo e di cui ci fidiamo”

“Ho notato che la questione del raffreddamento globale è diventata un problema di relazioni pubbliche con i media”

“Sono d’accordo che sia meglio usare l’espressione cambiamento climatico rispetto a riscaldamento globale”

“E se vien fuori che il cambiamento climatico è principalmente una fluttuazione naturale su base multi-decennale? Probabilmente ci uccideranno”

“Mi pare che se diamo maggior peso all’irradiazione solare nei modelli, allora gran parte del riscaldamento del diciannovesimo e ventesimo secolo sarebbe spiegato unicamente dal sole”.

“C’è un piccolo problema con il regresso dei ghiacciai tropicali. Sono diminuiti di molti negli ultimi 20 anni, eppure i dati indicano che le temperature non sono cresciute a questi livelli”.

“All’Università dell’East Anglia [importante centro di ricerca climatica legato all’IPCC] non ci dovrebbe essere qualcuno con un diverso punto di vista [sul tema: “le recenti estreme condizioni meteo sono dovute al riscaldamento globale”] – o per lo meno non un climatologo”.

“Non sono persuaso che valga la pena di cercare la verità se ciò danneggia le relazioni personali”.

“Phil, grazie per il tuo contributo – ti garantisco che non laveremo i panni sporchi in pubblico”.

“penso che il riscaldamento dovuto all’urbanizzazione dovrebbe essere più ridotto, ma non riesco a trovare un modo convincente di dirlo”.

“Abbiamo scoperto che l’effetto dell’urbanizzazione è piuttosto considerevole nelle aree che abbiamo analizzato…sfortunatamente i nostri commenti in materia sono stati rifiutati dall’IPCC”.

“Ci sono dei coglioni puntigliosi che hanno criticato i dati di Jones et al.: non li vogliamo qui in giro”.

“Il coglione a cui ti riferisci si chiama Gooderich e ha scoperto il riscaldamento urbano in tutte le aree californiane”.

“Abbiamo fatto ogni possibile sforzo statistico per usare dati che non tengano conto dell’effetto di urbanizzazione”

“Quel che Zwiers ha fatto porta ad una conclusione diversa rispetto a Caspar e Gene! Possiamo salvarci stando attenti alle parole che usiamo”

“Sono sicuro che anche tu sei d’accordo che l’articolo Mann/Jones era veramente patetico e non sarebbe mai dovuto essere pubblicato. Non voglio essere associato con quella “ricostruzione” di 2000 anni”

“Perché come si può criticare Crowley per aver espunto 40 anni di dati nel mezzo della sua calibrazione, quando noi stessi abbiamo tolto tutti i dati post-1960…”

“Non prendiamo abbastanza seriamente la responsabilità divina di prenderci cura della Terra…Si stima che 500 milioni di persone vedranno “L’Alba del giorno dopo”. Dobbiamo pregare che colgano il messaggio”.

“Il mio lavoro di direttore del centro nazionale di ricerca sul cambiamento climatico, un lavoro che mi richiede di tradurre in termini di ricerca ed azione la mia fede cristiana a proposito della cura (stewardship) del pianeta di Dio”.

“È inconcepibile che i politici siano disposti a prendere decisioni che costeranno miliardi e miliardi per potersi adattare ai cambiamenti climatici regionali sulla base di modelli che non sanno neppure descrivere e simulare i processi che strutturano la variabilità climatica”.

“Ho gettato la spugna con Judith Curry già da un po’. Non so cosa stia pensando di fare, ma non sta aiutando la causa”.

“Una maniera per tutelarvi potrebbe essere quella di cancellare tutte le email ala fine del processo”.

“Ogni lavoro che abbiamo fatto nel passato grazie alle borse di ricerca che otteniamo dev’essere tenuto nascosto. Ne ho discusso in passato con il principale finanziatore (il dipartimento per l’energia degli Stati Uniti) e sono ben lieti di non pubblicare i dati originali della stazione di rilevamento”.

http://tallbloke.wordpress.com/2011/11/22/breaking-news-foia-2011-has-arrived/#more-3471
*****
Altre traduzioni:

<1939> Thorne/MetO: Le osservazioni non mostrano alcun aumento delle temperature lungo la troposfera tropicale [il problema dell’hot spot troposferico], a meno che non si prendano in considerazione un singolo studio e un singolo approccio, trascurandone un mucchio di altri. Questo è davvero pericoloso. Dobbiamo comunicare l’incertezza ed essere onesti. Phil [Jones?], magari potremmo trovare il tempo di discuterne ulteriormente se necessario […]

<3066> Thorne: Penso anche che la scienza sia stata manipolata a fini politici, cosa che potrebbe rivelarsi non troppo intelligente a lungo andare.

Wils: Che si fa se il climate change si rivela essere essenzialmente una oscillazione multidecadale? Probabilmente ci uccideranno […]

<1485> Mann: La cosa importante è essere sicuri che stiano perdendo la battaglia delle pubbliche relazioni. Questo è lo scopo del sito [Real Climate].

<5111> Pollack: Ma sarà molto difficile far scomparire il Periodo Caldo Medioevale dalla Groenlandia.

<1790> Lorenzoni: Concordo con l’importanza degli eventi estremi come focus per l’opinione pubblica e governativa […] ‘il climate change’ deve essere presente nella vita di tutti i giorni della gente. Deve essere loro ricordato che è un fenomeno che accade e si evolve in continuazione.

<2428> Ashton/co2.org: Avendone stabilito l’urgenza, la sfida politica è ora di trasfromarla da un argomento che riguarda i costi dei tagli alle emissioni – cattiva politica – a uno concernente il valore di un clima stabile – politica molto migliore […] la cosa migliore da fare è raccontare la storia delle brusche variazioni in modo più vivido possibile.

<2267> Wilson: Sebbene sia d’accordo che i gas serra siano stati importanti nel 19° e 20° secolo (specialmente dal 1970), se ilpeso del forcing solare fosse stato maggiore nei modelli, certamente avrebbe diminuito la significatività dei gas serra. […] Mi sembra che assegnando un peso maggiore alla radiazione solare nei modelli, la maggior parte del riscaldamento del 19° e 20° secolo può essere spiegato dal Sole.

http://daltonsminima.altervista.org/?p=17487

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L’ecologista misantropico vede le evidenti e terribili offese perpetrate dagli umani all’ecosistema e conclude che il pianeta starebbe messo meglio se non ci fossero gli umani. Io la penso diversamente:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/26/il-mondo-non-starebbe-meglio-senza-gli-umani/

«Non dimenticherò tanto facilmente la mostra “ambientalista” organizzata negli anni ’70 dal Museo di Storia Naturale di quella città [New York], con una lunga serie di scenografie che mostravano al pubblico esempi di inquinamento e distruzione ecologica. L’ultima di esse, quella che concludeva la mostra, portava l’incredibile titolo “L’animale più pericoloso della Terra”, e consisteva unicamente di un grande specchio che rifletteva l’immagine del visitatore che si fosse trovato a sostare di fronte ad esso.

Murray Bookchin (1921 –  2006), ecologista non misantropico

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/11/contro-lecologismo-misantropico-che-occulta-cause-e-responsabili/

Internet e la mistica di Kubin, Russell, Hadot e Grünewald

Quanto segue sarebbe tecnicamente spiegabile all’interno di un nuovo paradigma scientifico: quello dell’universo elettrico.

Alfred Kubin, “L’Altra Parte” (1909):

“Acquistai una capacità sorprendente di meraviglia. Ogni oggetto, avulso dal rapporto con le altre cose, assumeva un significato nuovo. Il fatto che un qualsiasi corpo arrivasse a me dall’eternità, mi faceva rabbrividire. Il fatto che una cosa fosse proprio così, e non altrimenti, mi riempiva di stupore. Un giorno, davanti a una conchiglia, mi resi conto con la massima chiarezza che il suo modo di esistere non era così sordo come avevo pensato fino a quel momento. E presto mi accadde lo stesso per tutto, per il mondo intero. All’inizio le sensazioni più intense mi venivan prima di addormentarmi o subito dopo il risveglio, quando cioè il corpo era stanco e la vita, in me, si trovava in uno stato crepuscolare. Un mondo, non sempre vivente, doveva essere di continuo ricreato, e sempre nuovo.

Sentivo vieppiù il legame comune che c’era in tutte le cose. I colori, gli odori, i suoni e i sapori erano per me intercambiabili. E allora compresi: il mondo è forza d’immaginazione, immaginazione-forza. Dovunque andassi e qualsiasi cosa facessi, mi sforzavo di intensificare le mie gioie e i miei dolori, e in segreto ridevo di entrambi. Infatti sapevo ormai con certezza che il su e giù del pendolo rappresenta un equilibrio e che proprio nell’oscillazione più ampia e violenta esso può più chiaramente essere percepito.

Una certa volta vedevo il mondo come un tappeto di colori meravigliosi, coi contrasti più sorprendenti tutti composti in un’armonia; un’altra volta abbracciavo con lo sguardo un’incommensurabile filigrana di forme…

Mi sentivo astratto, come un punto di equilibro precario in un sistema di forze. …

Adesso ero tra i primi a ridere in mezzo a quelle farse grandiose, pur senza smettere di tremare insieme coi tormentati. In me c’era un tribunale che osservava ogni cosa, e sapevo ormai che in fondo non succedeva proprio niente…

Constatai con spavento che il mio io era composto di innumerevoli “io”, ognuno dei quali era sempre in agguato dietro l’altro. Ciascuno mi appariva sempre più grande e misterioso, mentre gli ultimi si perdevano nell’ombra, quando tentavo di comprenderli. Ognuno di essi aveva le sue idee particolari. Così, ad esempio, dal punto di vista della vita organica la concezione della morte come fine era giusta, mentre a un livello più alto della conoscenza l’uomo non esisteva affatto, quindi nulla poteva finire…”.

Pierre Hadot , La filosofia come modo di vivere“, 2001

“Ho sempre considerato la filosofia come una trasformazione della percezione del mondo…Successe una volta nella rue Ruinart, lungo il tragitto tra il Seminario minore e la casa dei miei genitori, dove rientravo tutte le sere, essendo allievo esterno. Era calata la notte e le stelle brillavano in un cielo immenso. A quell’epoca si poteva ancora vederle. Un’altra volta accadde in una stanza di casa nostra. In entrambi i casi fui invaso da un’angoscia insieme terrificante e soave, provocata dal sentimento della presenza del mondo, o del tutto, e di me in questo mondo. In realtà ero incapace di esprimere la mia esperienza, ma in seguito sentii che poteva corrispondere a domande come: “Chi sono?” “Perché sono qui?” Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci. Nello stesso tempo percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d’erba alle stelle. Il mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa impressione di appartenenza al Tutto, era ciò che Roman Rolland ha chiamato il “sentimento oceanico”. Credo di essere filosofo a partire da quel momento, se per filosofia si intende la coscienza dell’esistenza, dell’essere al mondo. Da allora ho cominciato a percepire il mondo in modo nuovo. Il cielo, le nuvole, le stelle, “le sere del mondo”, come dicevo a me stesso, mi affascinavano. Sporgendomi dalla finestra a testa in su, guardavo il cielo notturno, con l’impressione di immergermi nell’immensità stellata. Questa esperienza ha dominato la mia vita”. 

Bertrand Russell, nell’esperire empaticamente la sofferenza della moglie del collega Alfred North Whitehead (Russell, 1967):

“Sembrava tagliata fuori da tutto e da tutti da muri di agonia ed improvvisamente fui sopraffatto dal senso di solitudine di ogni anima umana. Da quanto mi ero sposato la mia vita emotiva era stata calma e superficiale. Mi ero scordato di tutte queste questioni più profonde, accontentandomi di frivole arguzie. All’improvviso mi sentii mancare il terreno sotto i piedi e mi trovai altrove…Al termine di quei cinque minuti ero diventato una persona completamente differente. Per un momento, una sorta di illuminazione mistica s’impadronì di me. Sentivo di conoscere i pensieri più intimi di tutte le persone che incontrato per strada ed anche se questo era indubbiamente un’illusione, mi trovai effettivamente a più stretto contatto con tutti i miei amici e molte delle mie conoscenze. Da imperialista, in quei cinque minuti, divenni un sostenitore dei Boeri ed un pacifista. Dopo aver passato lunghi anni interessandomi solo alla precisione ed all’analisi, mi ritrovai inondato di sensazioni semi-mistiche riguardanti la bellezza, con un intenso interesse per i bambini, e con un desiderio quasi altrettanto profondo di quello del Buddha di trovare una quale filosofia che rendesse tollerabile la vita umana. Fui preda di una strana eccitazione che conteneva in sé un dolore intenso ma anche degli elementi di trionfo per via del fatto che riuscivo a dominare la sofferenza, trasformandola, così credevo, in un cammino di sapienza. Da allora l’intuizione mistica che immaginavo di possedere si è annebbiata e l’abitudine all’analisi si è riaffermata. Ma qualcosa di quel che ho pensato di vedere in quel momento mi è restato dentro, motivando il mio atteggiamento nei confronti della prima guerra mondiale, il mio interesse per i bambini, la mia indifferenza per i piccoli inconvenienti ed un certo tono emotivo in tutte le mie relazioni umane”.

Philippe Daverio, “Il Cristo cosmico di Grünewald”, Avvenire 7 dicembre 2011

«Il posto sembrò essere sconquassato da un terremoto e i demoni, quasi abbattessero le quattro mura del ricovero, sembravano penetrare attraverso esse in forma di bestie e di cose striscianti…».

Così Atanasio di Alessandria raccontava delle battaglie con il demonio affrontato dal suo amico sant’Antonio abate. Oltre mille anni dopo, Grünewald racconta la stessa storia nel retro dell’altare di Isenheim, il quale nella sua complessità pittorica sarebbe come la Cappella Sistina dell’Europa del Nord, anzi di quella cultura della riva sinistra del Reno dove follie e fantasmi si sposano in un immaginario che dura fino ai giorni nostri.

Nell’anta di sinistra sant’Antonio parla con un eremita, san Paolo, in un paesaggio impervio dove la palma è così come se la può immaginare un tedesco che non ha mai visto il sud, ma dove il cerbiatto è simbolo di un’atmosfera pacata. In quella di destra la casa è diroccata dal terremoto e i diavoli ci ballano sopra; il santo viene trascinato dai demoni tra animali, uccellacci, strane chimere dal corpo di armadillo, teste da ippopotamo, improbabili cornuti con dentoni, che nell’immaginario tardomedioevale non sono affatto mostri inesistenti, ma solo ancora non incontrati, mentre in basso a sinistra l’orribile nanerottolo coperto di pustole, vestito da Medioevo mentre a Roma ci si veste già da Rinascimento, è invece essere sicuramente incontrato fra guerre e pestilenze, o probabilmente già visto nei dipinti del vicino di casa Hieronymus Bosch.

Il Cristo è morto, e così morto da sembrare afflitto dalle pustole della sifilide appena introdotta in Europa e che Dürer aveva rappresentato in una sua precedente piccola incisione. Il Battista lo indica con un gesto che più pedagogico di così non si può, la Madre è svenuta nelle braccia di Giovanni e il suo hanchement gotico si trasforma in un passo di tango. Il tutto si muove nella compassione. E il realismo è portato all’estremo del realismo con la catena di ferro alla quale è appeso un pezzo di tavola sulla quale è attaccato il cartiglio INRI, ovviamente in gotico.

La croce stessa nega tutte le croci preesistenti e la si ritrova analoga solo in Antonello e nei suoi amici fiamminghi. L’agnello mistico sotto è quello con il quale nacque la pittura a olio quando quasi un secolo prima i fratelli van Eyck lo dipinsero per la cattedrale di Gand. Sulla destra il pannello raffigura sant’Antonio abate col diavolo che spacca i vetrini della finestra per entrare. Non è l’unico diavolo presente. Quanti, quelli della tentazione delle predelle posteriori, dove i diavoli sono già quelli che Max Ernst porterà nella pittura surrealista. Goticissimo il pensiero, anche per un certo verso arretrati gli strumenti musicali rispetto a quelli che nei medesimi anni dipinge Raffaello.

Ma l’opera completa è una dichiarazione di fede, e mentre la sua contemporanea Cappella Sistina era destinata stabile alla gloria dei ricevimenti papali, questa è destinata all’istruzione del popolo che si ritrovava presso i monaci antoniani, dove la pala veniva articolata secondo i momenti liturgici. E forse per questo motivo il diavolo è onnipresente e viene cacciato solo dalla risurrezione d’un Cristo ciclamino, mentre il diavolo nel Rinascimento italiano quasi scompare, per sopravvivere solo nel Giudizio finale. Siamo attorno al 1515 e fra poco Martin Lutero affiggerà le sue proposte sulla porta della chiesa di Wittenberg.
Ma l’Europa, stilisticamente, era già divisa. Ben di più ancora testimonia la pala conclusiva di Isenheim. La stesura di Grünewald, all’apparenza visionaria, si fa spiegabile solo se rapportata ad alcune concezioni teologiche del XX secolo. In uno spazio da fantascienza fra i massi tellurici che volano appare la Teofania del Cristo Cosmico: il suo corpo risorto è racchiuso nell’Omega che è punto conclusivo della storia dei secoli. Il bordo della sfera lascia vibrare la nuova dimensione mistica dove s’incontrano, come prospetta la teologia dello scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin, le energie sommate della noosfera, la terza sfera dopo la geosfera e la biosfera, essendo questa il luogo dell’incontro delle menti.

Teilhard de Chardin, partendo da studi di geologia e di evoluzionismo, ipotizzava una evoluzione delle specie che, dall’Alpha della creazione e dell’insorgere della vita, avrebbe portato la specie più complessa, quella umana, al punto Omega d’incontro con il divino. Fu egli apprezzato con sospetto dai suoi superiori e mandato a studiare sassi nel Tibet da dove passò a New York e lì morì nel 1955. Il suo pensiero sottile fu recuperato dalla mente sottile di Paolo VI.

E certo, ora che l’intelligenza umana è costantemente collegata in una rete perenne dove le informazioni generano una dimensione inaspettata, tornano legittime due letture diverse del caso: una laica, a tutti nota, e una mistica, intuita visivamente da Grünewald, nella quale una pellicola sta per avvolgere il cosmo ormai definitivamente interconnesso grazie all’evoluzione del pensiero umano che s’incontra con il permanere del divino per il completamento dei tempi.

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/la-paura-della-morte-non-dovrebbe.html

Parliamo un po’ di droghe, legalizzazione e psichedelia (ma sì, dai!)

 

In un certo senso, siamo nello stesso dilemma etico e morale in cui si trovarono i fisici nei giorni precedenti al Progetto Manhattan. Quelli di noi che lavorano in questo campo vedono il potenziale di sviluppo per un controllo quasi totale delle emozioni umane.

Dr. Wayne Evans, U.S. Army Institute of Environmental Medicine, 1978

Il senno è in svendita per eccesso di offerta e nessuno lo compra. Tutti lo danno via convinti che non abbia valore o sia addirittura un disvalore.

Viviamo in un mondo in cui il termine “classe” è diventato sinonimo di “casta”, chi chiede giustizia sociale è “anti-europeista”, chi chiede pace è “antisemita” e chi chiede il rispetto dei diritti umani è “anti-americano”.

È ovvio che se una persona è appena appena in grado di intendere e volere la dissonanza cognitiva lo costringe a svendere il senno, o rifugiarsi nella droga,  oppure rassegnarsi a vivere come un paria.

Parliamo allora di chi trova conforto nella droga.

“La foglia di marijuana è il nuovo simbolo della pace”. Lady Gaga lancia così l’ultima provocazione durante il suo concerto ad Amsterdam. I suoi fan le lanciano sul palco uno spinello e la cantante lo accende, lo fuma e poi lo rilancia al pubblico. Non soddisfatta, la popstar ha dichiarato che la marijuana ha cambiato la sua vita facendole ridurre l’assunzione di alcol e che, combintata alla sua musica, è stata un’esperienza assolutamente spirituale. Scherzando, Lady Germanotta ha dichiarato che tenterà di parlare con il presidente Barack Obama per convincerlo a far diventare la cannabis legale in tutto il mondo”.

http://tv.liberoquotidiano.it/video/108028/Lady_Gaga_fuma_uno_spinello_sul_palco.html#.UFrbXK5vHGg

L’ultimo trend è chiedere la legalizzazione delle droghe leggere. Lo fanno un  po’ tutti: Saviano (personaggio di fama e stima immeritatissima), Veronesi (non particolarmente stimato dai suoi colleghi oncologi ed una ragione ci sarà), Lady Gaga, Vasco Rossi, Beppe Grillo, i quotidiani simbolo della crema dell’establishment: Economist e Washington Post, nonché Gianfranco Micciché (!!!) e Milton Friedman, il guru dei neoliberisti (degli interessi forti)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/25/il-criptofascismo-dei-liberalizzatori-e-dei-privatizzatori/

e teorico del capitalismo del disastro

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/shock-economy-il-capitalismo-del.html

Il che mi dà da pensare e dovrebbe far pensare un po’ tutti, anche perché ci sono innumerevoli studi medici che dimostrano che la marijuana ti fotte il cervello

http://www.populartechnology.net/2014/04/150-scientific-studies-showing-dangers.html

Mi dà da pensare anche l’opinione del professore di Economia della Sorbona Pierre Kopp: “Lo Stato deve supervisionare produzione e distribuzione”. Per il docente, il guadagno è assicurato: un miliardo di euro di tasse e 300 milioni ora spesi per le incriminazioni per chi si trova in possesso di cannabis

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/08/05/francia-la-legalizzazione-delle-drogheleggere-farebbe-bene-alleconomia/150030/

Penso infatti alla visione distopica di uno che era un insider in certi ambienti britannici, Aldous Huxley (Il Mondo Nuovo – Brave New World):

“Al tradizionale processo di educazione viene sostituito uno di condizionamento psico-fisico, che inizia sin dal concepimento…Il condizionamento viene considerato una pratica normale in questa società, tanto che gli individui usano il termine “condizionato” al posto di “educato”. Ognuno viene indottrinato ad amare la propria collocazione sociale, il colore della propria uniforme, la vita cui sarà destinato per la casta cui appartiene. Come “rimedio” per ogni eventuale infelicità, agli individui viene fornito un medicinale chiamato soma, in realtà una droga euforizzante e antidepressiva[2], garantendo così un ulteriore controllo della popolazione”.

http://it.wikipedia.org/wiki/Il_mondo_nuovo

“La rivoluzione definitiva, l’ultima rivoluzione, quella in cui l’uomo può agire in modo diretto sulla mente e sul corpo dei suoi simili”

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/11/la-rivoluzione-finale-di-aldous-huxley-ovvero-rivoluzione-non-e-sinonimo-di-emancipazione/

Paolo Borsellino [“Droga libera o uomini liberi?, in Idem, Oltre il muro dell’omertà. Scritti su verità, giustizia e impegno civile, Rcs, Milano 2011, p. 96] smentiva la tesi di Saviano che la liberalizzazione delle droghe leggere avrebbe inferto un duro colpo alla mafia. La considerava «semplicistica e peregrina», figlia di «fantasie sprovvedute».

La CIA ha, come sempre, le mani in pasta:

http://it.wikipedia.org/wiki/CIA_e_traffico_di_droga

“Alfred McCoy, The Politics of Heroin (pubblicato originariamente nel 1972 come The Politics of Heroin in Souiheast Asia, e ripubblicato in un formato grandemente rivisto ed ampliato nel 1991); The Great Heroin Coup: Drugs, lntelligence & International Fascism, del giornalista danese Henrik Kruger (1980); The Big While Lie: The CIA and The Cocaine/Crack Epidemic, dell’ex agente di vertice alla DEA Michael Levine (1993); Cocaine Politics: Drugs, Armies and the CIA in Central America, di Peter Dale Scott e Jonathan Marshall (1991); The Crimes of Patriots: A True Tale of Dope, Dirty Money and the CIA dell’ex reporter del Wall Street Journal Jonathan Kwitny (l987); In Banks We Trust, dell’ultimo Penny Lernoux (1984); Storming Heaven: LSD and the American Dream, di Jay Stevens (1987; il capitolo intitolato “Noises Offstage” riguardante gli esperimenti MK-ULTRA della CIA, che utilizzava LSD su cittadini americani inconsapevoli negli anni ’50 e ’60); e Acid Dreams: The CIA, LSD and the Sixties Rebellion, di Martin Lee e Bruce Shlain (1985). Malgrado le evidenze schiaccianti del coinvolgimento diretto di agenti dello Stato nello spaccio di eroina e cocaina, la posizione ufficiale dell’apparato è che sta diligentemente perseguendo una strategia di “tolleranza zero”, volta ad eliminare il “flagello delle droghe illegali” dalla nostra società. Come recita il cliché, la prima vittima in questa guerra è stata la verità”.

http://www.gotanotherway.com/IANNC/109/Controllare_sballati,_spacciatori_e_una_Nazione_di_eroinomani

Nota Bene: “Storming Heaven: LSD and the American Dream” di Jay Stevens è un capolavoro assoluto. Una di quelle inchieste metodiche, dettagliate ed argomentate che si fanno sempre più raramente

http://books.google.ca/books?id=WWmAE3kiNzsC&printsec=frontcover&source=gbs_book_other_versions_r&cad=5#v=onepage&q&f=false

L’Olanda, pioniera nel campo, sta facendo marcia indietro:

http://www3.lastampa.it/esteri/sezioni/articolo/lstp/413254/

http://www.ilgiornale.it/news/l-olanda-pensiona-mito-canna-marijuana-droghe-pesanti.html

http://www.ilpost.it/2012/04/28/i-coffee-shop-saranno-vietati-agli-stranieri/

Le argomentazioni conservatrici contrarie alla legalizzazione:

http://www.pontifex.roma.it/index.php/opinioni/laici/11409-droghe-leggere-o-dignita-umana-la-droga-di-stato-e-una-forma-di-resa-e-promuove-la-schiavitu-del-tossicodipendente

Io non propongo un argomento pro o contro la legalizzazione delle droghe leggere, ma un argomento antropologico contro l’uso delle droghe per spalancare le porte della coscienza e della percezione: un motivo che incontriamo su un settimanale ultra-establishment come Time:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=3382

Lo sciamanesimo è diventato il cavallo di battaglia di molti militanti New Age ma la sua venerazione acritica è altamente discutibile. Ad ogni buon conto, stando a quanto mi consta, la stragrande maggioranza di società “indigene” non fa uso di psichedelici ed anche quelle con una tradizione sciamanica di norma non vi fa ricorso, preferendo sollecitazioni visive ed acustiche per indurre una trance.

Le due tradizioni spiritualmente più avanzate – se ci si attiene ai parametri New Age –, ossia quella aborigena australiana e quella tibetana, non hanno sentito il bisogno di usare allucinogeni.

Ne facevano invece abbondantissimo uso gli Aztechi, con la loro industria del sacrificio umano, l’imperialismo e la loro assoluta devozione a dèi spietati, schiavisti e mortiferi che avrebbero fatto la felicità dei superuomini ariani che popolavano i sogni e le visioni di Hitler.

http://fanuessays.blogspot.it/2012/01/la-sindrome-del-feto-egoista-come.html

Il noto(rio) Carlos Castaneda, oltre ad essere un falsificatore professionista, si era anche costruito un culto personale ed un harem in cui proibiva l’uso di certe parole e di certi gesti legati alla sfera affettiva, il che non è propriamente in linea con il comportamento di una persona spiritualmente avanzata, che dovrebbe amare la verità, non la mistificazione, e l’emancipazione consapevole del prossimo, non il suo asservimento:

http://www.salon.com/2007/04/12/castaneda/

Se proprio uno volesse procedere lungo questa strada, alla ricerca di un’interconnessione con l’universo che non sa trovare in altro modo, ed a suo rischio e pericolo (si veda com’è finito David Icke), sarebbe auspicabile che abbandonasse fin dal principio l’approccio amatoriale e seguisse invece le istruzioni di Aldous Huxley, Alan Watts, Stanislav Grof e di tutti quegli studiosi autodisciplinati, non dediti all’eccesso (avrete forse incontrato persone che hanno abusato di sostanze psichedeliche ed è uno spettacolo miserevole – conoscevo una coppia che faceva la stagione in riviera e poi coi soldi guadagnati passava il resto dell’anno a fare il giro del mondo per provare ogni possibile sostanza psicotropa), che non hanno ripudiato l’uso dell’intelletto per obbedire alle intimazione della voce del sangue e di quella del “dio del peyote”.

Grinspoon e Bakalar, “Psychedelic Drugs Reconsidered”

Brian Wells, “Psychedelic Drugs”

Stafford e Golightly, “LSD The Problem-Solving Psychedelic”

Aaronson e Osmond, “Psychedelics: The Uses and Implications of Hallucinogenic Drugs”

David Solomon (a cura di), “LSD The Consciousness-Expanding Drug”

Pahnke, W., 1971. Psychedelic Mystical Experience in the Human Encounter with Death

www.maps.org/psychedelicreview/n11/n11004pah.pdf

Pahnke e Richards, 1966. Implications of LSD and experimental mysticism

www.psychedelic-library.org/pahnke4.htm

Griffiths, R. et al. 2006. Psilocybin can occasion mystical-type experiences having substantial, sustained personal meaning and spiritual significance

http://csp.org/psilocybin/Hopkins-CSP-Psilocybin2006.pdf

Griffiths, R., et al. 2008. Mystical-type experiences occasioned by psilocybin mediate the attribution of personal meaning and spiritual significance 14 months later

www.steffenlepa.de/oyster/psilostudie.pdf

Un cattivo esempio è invece quello di un Castaneda o di un Terence McKenna, che non sono migliori di un volgare Pifferaio di Hamelin e che hanno fatto dell’attacco alla ragione ed al metodo scientifico la loro ragione di vita e di un ritorno ad una fantomatica Età dell’Oro (quella di Oetzi?) l’utopia da ammannire ai propri seguaci per blandirli meglio ed aiutarli a fuggire dalla realtà, depotenziando così drammaticamente il potenziale di cambiamento e riformismo che c’è nei giovani. A quel punto, mille volte meglio William Blake, che almeno teneva un piede ben saldo nella realtà quotidiana e denunciava le iniquità del suo tempo. Chi fugge dalla realtà non è particolarmente incentivato ad aiutare a cambiarla in modo intelligente e ragionevole. È, di conseguenza, un perfetto conservatore.

Gli sciamani migliori, quelli più savi, erano sempre al servizio della comunità, per rendere felici, sane, integrate e prospere le altre persone. Non erano mai convinti di aver raggiunto una comprensione definitiva della realtà, anzi, e sapevano che, durante i viaggi, nell’altra dimensione, si fanno incontri anche pessimi, perché c’è un po’ di tutto, come in questa dimensione. Non erano materialisti “spirituali” e narcisisti in cerca di piacere, autostima e status. Non erano spietati e sprezzanti con chi non condivide il culto ed il gergo. Soprattutto, non cercavano potere sugli altri, ma sapienza (ossia conoscenza introspettiva e potere su di sé).

Il mondo non starebbe meglio senza gli umani

In risposta ai rischi sistemici mondiali, si vedrà in particolare crescere un’ideologia ecologica planetaria che raccomanda la riduzione della produzione per diminuire il consumo di energia ed attenuare i rischi d’inquinamento, imponendo restrizioni in tutti i settori in nome della frugalità e dei vantaggi a lungo termine. Dall’altra parte, un’ideologia religiosa – o più d’una – tenterà anch’essa di imporre regole conformi alle esigenze di un aldilà dove risiederà, secondo quanto sostiene, l’unica speranza di salvezza. Queste due ideologia fondamentaliste, ecologica e religiosa, convergeranno: l’una e l’altra affermeranno che il destino degli uomini è già scritto e che il vero padrone del mondo – la Natura o Dio – è altrove. L’una e l’altra, alla ricerca della purezza, denunceranno l’Occidente. L’una e l’altra sosterranno di pensare alla felicità degli uomini in termini di prospettiva. Potrebbe anche emergere un giorno un’ideologia che metta insieme le due dottrine: un fondamentalismo allo stesso tempo religioso ed ecologico. Un ossimoro, come lo fu il nazionalsocialismo. Già ha fatto la sua comparsa in Brasile, dove si sta sviluppando un fondamentalismo evangelico eminentemente interessato alla tutela dell’ambiente. Inoltre, nel 2002, Osama Bin Laden, nella sua “Lettera all’America”, accusò gli Stati Uniti di distruggere la natura più di qualsiasi altra nazione, con l’emissione di gas a effetto serra e la produzione di rifiuti industriali. Nel gennaio del 2010, sosteneva che “tutte le nazioni occidentali” sono colpevoli del cambiamento climatico. Nell’ottobre dello stesso anno, ribadiva che le vittime del cambiamento climatico sono più numerose di quelle delle guerre.
Jacques Attali, “Domani chi governerà il mondo?”, 2012, p. 289

L’ecologista misantropico vede le evidenti e terribili offese perpetrate dagli umani all’ecosistema e conclude che il pianeta starebbe messo meglio se non ci fossero gli umani.

Io la vedo diversamente.

In parte per la simpatia con cui guardo a questa corrosiva demolizione dell’ecologismo new-age:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/01/salvate-le-lumache-george-carlin-mi-mette-in-riga/

In parte per la mia adesione ad una prospettiva radicalmente diversa ed incompatibile con quella del panteismo naturalista.

Per me la realtà materiale non è la realtà ultima: né per gli umani, né per gli altri animali. La realtà materiale è solo l’espressione visibile di un piano di realtà in cui un colibrì e Mozart assumono un significato molto più grande di quel che ci appare qui e ora (o di quel che pensa un colibrì).

Questa prospettiva si chiama panENteista ed è in armonia con i fondamenti della fisica quantistica (cf. Alfred North Whitehead).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/18/viviamo-nellillusione-e-chi-lo-sa-ci-manipola-agevolmente/

Per il panenteista è tutta una questione di coscienza:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/e-tutta-una-questione-di-coscienza.html

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/il-sentimento-oceanico-etica-per-un.html

incluso l’ambientalismo:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/12/ambientalismo-per-un-mondo-nuovo.html

Per un panenteista il mondo senza l’umanità sarebbe incredibilmente triste, incapace di contemplarsi, creativamente impoverito. Un panenteista si augura che l’umanità capisca come disciplinare il proprio peggio ed esaltare il proprio meglio, ossia che apprenda come gestire il potere ed i rapporti di potere.

Per un panenteista un mondo senza Mozart, Heisenberg, Aung San Suu Kyi, Michelangelo, i Beatles, Truffaut, Kandinsky, Dostoevskij, Omero, Calvino, Socrate, Gesù, il Buddha, Goethe, senza le danze, canti e musiche tradizionali, senza i piatti tradizionali, i giardini zen, gli orti, l’artigianato, le chiesette di montagna, senza la moda al suo meglio, senza la fede, senza l’altruismo disinteressato, senza la capacità di tradurre i sogni in realtà, ecc. sarebbe triste e povero in senso assoluto, non solo per gli umani. Questo perché il panenteista considera l’umano come una data espressione di un “tutto” che è nella natura ma anche la trascende, simultaneamente; e da ciò consegue che la musica di Mozart, il messaggio di Gesù, il principio di dignità e la democrazia, tra le altre cose, hanno un significato universale che va ben oltre i confini di questo pianeta o di questo universo.

Quale animale potrebbe esperire e comunicare l’estasi poetica e spirituale di un Whitman nell’entrare in contatto con la natura? Tutti gli animali sono speciali, ma gli umani sono più speciali nella loro specialità:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/20/non-siamo-scimmie-nude-diritti-umani-diritti-degli-animali-specismo/

E questa peculiare specialità è probabilmente risibile se messa a confronto con altri esseri viventi che popolano il cosmo in tutti i suoi piani di realtà. La differenza sta nel grado di profondità con cui si percepisce e si comprende la realtà: la consapevolezza di una formica è meno profonda di quella di un gatto. Un gatto ha una comprensione di universali come la matematica e la musica più estesa e complessa di quella di una formica. Come noi rispetto agli scimpanzé. Come qualcun altro rispetto a noi.

Per tutte queste ragioni il panenteismo non è antropocentrico. È, semmai, teocentrico, di un teocentrismo che non ha nulla a che vedere con il vecchio barbuto e capriccioso dei monoteisti, essendo piuttosto in sintonia con la concezione tradizionale del “Grande Spirito” o di “Sofia”/“Anima Mundi”. Antropocentrico è, al contrario, il panteismo naturalista. Infatti pensare che la natura starebbe meglio senza di noi è antropocentrico, ed è il sintomo di un notevole narcisismo. Dobbiamo essere sempre noi, nel bene e nel male, al centro. Dobbiamo essere sempre noi i principali responsabili di ogni catastrofe naturale, dell’estinzione delle api, del riscaldamento globale e un giorno immagino persino degli impatti cosmici. Sempre noi al centro di tutto.

Michele Serra su Alex Schwazer (e sulla deriva eugenetica della nostra società)

 

Quest’analisi di Michele Serra mette in luce un certo genere di atteggiamento dominante nel nostro mondo che, a mio parere, ci porterà dritti nel gorgo dell’eugenetica (leggete con attenzione fino in fondo e capirete).

Se anche provassi a riscrivere 100 volte un post su questo argomento, non sarei mai all’altezza di Michele Serra. Lo invidio, ma se ci fosse una pillola che mi permettesse di diventare brillante come lui, sarebbe giusto prenderla? Che meriti avrei? La mia componente narcisista sarebbe realmente gratificata? Sarebbe giusto pianificare lo sviluppo di mio figlio dal concepimento alla maggiore età per poterne fare un nuovo Michele Serra?

Michele Serra, “I dopati della domenica”, da la Repubblica del 08/08/2012.

Il padre del povero Schwazer non riesce a darsi pace, «stava male e non ho saputo parlargli, non sono stato un buon genitore». Se la cosa può consolarlo, sappia che milioni di padri (e di madri, di fratelli, di sorelle, di figli, di innamorati) non trovano le parole per arginare la marcia trionfale delle dipendenze (dai farmaci, dagli stupefacenti, dagli eccitanti, dal gioco d’azzardo, dal computer, dal cibo, dall’alcol, da tutto) che sono la piaga più devastante della nostra epoca. Piaga di massa: perché non solamente gli eccellenti, i campioni, i molto sollecitati e molto osservati cedono al doping per reggere lo spasmo del primato, o più banalmente per sopportare meglio le fatiche dello sport e della vita. Dilettanti di ogni risma, anonimi di ogni età si impasticcano o si gonfiano i muscoli o alterano in qualche altro modo i propri connotati fisici e psichici per sentirsi più prestanti, più notati, più ammirati. Il mito antico della rana che voleva farsi bue trova ai nostri giorni la sua più compiuta realizzazione: gonfiarsi fino a esplodere. E se lo fa l’economia finanziaria, se l’idea stessa del limite viene abrogata pur di dare spazio all’illusione dell’illimitato, se perfino l’economia “pulita”, quella della produzione industriale e dei consumi, vive nel mito di una crescita senza fine, quali antidoti culturali possono darsi, i fantozzi delle palestre, delle tirate in bicicletta, dell’ossessione cronometrica? In una fiala, in una pillola, nel docile arrendersi al dominio di una sostanza, è contenuta una resa perfino più grande, e più grave: la resa all’applauso degli altri come sola misura del proprio valore. Il contraltare è il terrore panico che il giudizio degli altri non ti gratifichi, non ti assolva, non ti salvi. Dipendenza è il contrario di indipendenza. Gli indipendenti cercano, e a volte trovano, una maniera più appartata e più personale per misurarsi, per cercare di capire chi sono. Le legioni di dopati del sabato sera in discoteca o degli sport amatoriali sono dipendenti allo stato puro. Cercano di risalire la fila, di recuperare posizioni, di rendersi notevoli con qualunque mezzo: e nessuno che scarti di lato, decida di non voler fare più parte di quella fila. Schwazer, tra una Olimpiade e l’altra, la tentazione di lasciare la fila l’aveva avuta. Un momento difficile, una crisi salutare a patto di elaborarla fino in fondo, e decidere: resto anche se non sono più il numero uno, pazienza se non arrivo primo; oppure: lascio perché non sono più il numero uno. Non ha fatto né l’una né l’altra cosa: ha deciso di rimanere cercando di truccare le carte. Si suole dire, in questi casi, che il campione dovrebbe essere d’esempio, ed è perfettamente vero. Ma bastava, ieri, sentire le telefonate di molti ascoltatori a una popolare trasmissione radiofonica per capire che il doping di Schwazer ha milioni di mandanti, e milioni di alibi. Parecchi invitavano alla comprensione, indicavano la durezza della prova sportiva come giustificazione di un errore molto diffuso, e per questo, tutto sommato, non così grave. Accusavano i giornalisti di sciacallaggio, di accanirsi contro uno che, comunque, rischiava del suo. Rivangavano la tragedia di Pantani parlandone come di una vittima, un valoroso sputtanato dal moralismo della stampa. Quasi a nessuno veniva in mente che il doping, indipendentemente da ogni rischio per la salute, è un imbroglio. Una frode. Nello sport la più grave, la più imperdonabile nelle mancanze. Perché tanta indulgenza? Perché la storia di Schwazer è, qualunque sia il suo esito, la storia di un bravo ragazzo con la faccia da bravo ragazzo? Anche. Ma io credo che la voglia di assoluzione, di comprensione che spirava tra le parole di quei tifosi, di quegli italiani normali, né cinici né disonesti, derivasse da una complicità di fondo con le ragioni psicologiche del dopato. La debolezza del campione rispecchia, ai massimi livelli, la debolezza di tutti. La paura di non farcela non riguarda solo gli olimpionici. La paura di non farcela è l’ossessione di massa della società più competitiva mai vista sulla faccia della Terra; e tanto più competitiva quanto più disposta a reggersi l’anima con i denti, affilatissimi, delle droghe di ogni ordine e grado.

Heiliges Land Tirol / Fratelli d’Italia

 

Estratto da Stefano Fait e Mauro Fattor, “Contro i miti etnici: alla ricerca di un Alto Adige diverso“, Raetia, 2010, 224 pagine.

Ti sei mai chiesto cosa sia questa patria, questa nazione? Pure invenzioni di un piccolo gruppo di sciagurati che vogliono governare sui popoli! Quando la Terra venne creata non fu suddivisa in nazioni! …poi vennero gli uomini, con le loro strampalate idee di possedere il territorio, dimenticando, inoltre, che su questa Terra, mentre lei permane, noi veniamo e ce ne andiamo.

Mario Martinelli

 

Dopo lo spettacolare fallimento della moralità convenzionale (di stampo comunitario) nel corso del secolo scorso, la mansueta, meccanica identificazione dell’individuo ad una collettività, sia essa un’etnia, una patria o una corporazione, è estremamente problematica e va trattata come ogni altra forma di idolatria o tribalismo, ossia con il più lucido scetticismo. L’Heimat è un territorio dell’immaginario, non un’entità naturale. Gli esseri umani fanno già abbastanza fatica a non fuggire da se stessi per paura di essere inadeguati e a non essere prevenuti nei confronti degli sconosciuti per paura di scottarsi l’anima: indurli ad amare una finzione che esalta le differenze verso l’esterno ed annulla l’unicità di ciascuno di noi è irresponsabile.

Dunque il valore dell’Heimat/Patria non solo non esercita effetti virtuosi sulla società civile, ma addirittura la danneggia, sia a livello morale sia a livello pratico. Vediamo meglio come e in che misura ciò avvenga nel contesto altoatesino. C’è una significativa testimonianza di Bernhard Pircher che fu intervistato dalla rivista “UnaCittà” quando aveva 19 anni ed era membro della compagnia di Schützen venostana di Glurns/Glorenza (Pircher 1997). Illustrando le ragioni che lo avevano indotto a diventare uno Schütze, Pircher spiega che “Quello che mi affascinò di più era questo essere dalla parte della Heimat, delle tradizioni, della religione e anche del bisogno di coesione, il fatto cioè che ci si raduni per le celebrazioni pubbliche e per marciare insieme. L’ammissione nella compagnia degli Schützen di un nuovo membro deve essere unanime”. Questa scelta fu resa più facile da un evento particolarmente spiacevole, una rissa con degli italiani per futili motivi. Così Pircher confessava di essere stato per lungo tempo anti-italiano: “Adesso però la vedo diversamente. Anche gli italiani sono esseri umani e hanno quindi molto in comune con noi”. Una frase che chiarisce meglio di dozzine di saggi la natura disumana e de-umanizzante, per entrambi i gruppi etnici, della separazione etnica in vigore nella Heimat altoatesina, specialmente per i giovani, inesperti e quindi estremamente influenzabili. E l’Heimat? Cos’era l’Heimat per quel giovane Schütze della Val Venosta? “Heimat è quel luogo in cui ci si sente “a casa”. Qui da noi ci si conosce tutti. Ci si saluta anche se non ci si conosce e si ha fiducia negli altri…Heimat è per me lì dove si sta volentieri. Io nella mia terra posso fare le cose che amo fare…Nella mia Heimat io ho l’aria pura e un ambiente quasi incontaminato, che rispetto”. Per Pircher l’Heimat non è chiusa ai forestieri: “Essa è per tutti, questo lo voglio ben sperare. Anche per quegli italiani che sono nati qui. Io vorrei anche che ognuno si prendesse cura di questa Heimat, anche delle sue tradizioni. Quando ad esempio si preparano i fuochi per il “Sacro Cuore di Gesù”, è bello perché vecchi e giovani si incontrano, salgono insieme sulla montagna e condividono il piacere di queste tradizioni. Si ascoltano storie di tempi passati, e quando poi bruciano i falò, si sente dentro di sé una gioia e un senso di comunione così unico e profondo. Tutti aiutano, tutto il paese si dà da fare affinché queste feste riescano bene. È anche un modo per incontrare persone che altrimenti non si incontrerebbero. È un’alternativa al solito bar, e magari pure alla discoteca in cui i più vecchi in ogni caso non vanno. Anche questi incontri sono Heimat”. O forse no. Forse l’idea di Heimat è una sovrastruttura del tutto superflua. Tant’è che in italiano basta dire – “sentirsi a casa” – senza tanti fronzoli mistici politicamente manipolabili. Heimat non è l’unica risposta, o la migliore, allo spaesamento da globalizzazione. Il paesaggio emotivo tedesco non è poi così diverso da quello latino o slavo. Così in Trentino si possono fare le stesse cose e provare le stesse sensazioni senza che la mente chiami in causa come un automatismo del tipo “stimolo-risposta” la nozione di patria/Heimat. C’è chi si è chiesto come mai una parte del mondo germanico sia così fermamente aggrappata a questa idea di Heimat. Ad esempio Peter Blickle, docente di germanistica presso l’Università del Michigan, ritiene (Blickle 2002) che essa nasca dalla fusione di Romanticismo ed anti-Illuminismo e che il bisogno psicologico derivi in primo luogo dal desiderio di ricavarsi uno spazio idealizzato e protettivo, un’appartenenza di tipo neo-tribale percepita come naturale nella quale perdersi. È una provincia dello spirito che è emanazione di una spiritualità provinciale, locale e che impregna una “individualità collettiva” che “rassicura i germanofoni circa il loro valore, identità e unicità” (Blickle, op. cit., 50). Il sé, come detto, si perde nell’Heimat e diviene un sé diverso da quello descritto da Freud, un sé “preconscio, dipendente dal gruppo e sociale…bisognoso di radici. Un sé sradicato è percepito come sminuito o guastato” (ibidem, 69) che confonde persone e cose, l’errore ontologico del pensiero magico-superstizioso che un tempo si chiamava idolatria pagana.In passato quest’invenzione del pensiero umano è servita a tenere in piedi un sistema di valori, poteri e rapporti umani fortemente lesivo della dignità delle donne e discriminatorio nei confronti dei bambini e delle minoranze.

Inoltre l’aura di innocenza che spira attorno all’Heimat è saldamente legata alla semplice e perniciosa equazione di bello e buono. Se l’Heimat è un idillio di bellezza, innocenza e purezza, allora chi la ama è buono ed irreprensibile per definizione. Anzi, è un eletto. Non è quindi per nulla sorprendente che l’Heimat sudtirolese attiri le personalità narcisistiche. Tutti, anche se in misura diversa, siamo affetti da narcisismo. Il militante etnicista o patriottico va oltre, dando libero sfogo alla sua immaginazione ipertrofica. In talune circostanze la discrepanza tra realtà e immaginazione è tale che questo tipo di narcisista inveterato trova arduo non provare disgusto per ciò che stona, fosse pure una certa classe di esseri umani. Dimostra povertà di spirito e scarsa empatia, tratta gli altri come oggetti utili ad alimentare il proprio bisogno narcisistico, si chiude autisticamente nel suo bozzolo di certezze, nel suo personale universo di riduzionismi che lo deresponsabilizzano e spostano la colpa sui difetti congeniti degli altri. Necessita di ordine e chiarezza e li può trovare nella superstizione del gene onnipotente, della tradizione ordinatrice, dell’identità totalizzante e neo-tribale, cioè nell’idea in quanto tale, immacolata ed omogenea. Il Südtirol o l’Italia come filo a piombo dell’anima (Stecher 2008). Un’idolatria che è anche un terribile auto-inganno e che bolla come minaccia tutto ciò che contamina la purezza dell’idea, arrivando a negare la realtà, come nel risibile “no a un’Italia multi-etnicadi Berlusconi. Se questa minaccia non è opportunamente neutralizzata la condanna è all’alienazione. Un inconscio processo di alienazione è già comunque in atto, perché il narcisista immaginifico è già schiavo delle sue idee fisse. I totalitarismi altro non sono che manifestazioni su vasta scala del medesimo fenomeno, vere e proprie epidemie di narcisismo. Ciò potrà sembrare strano per chi è abituato, erroneamente, a pensare al narcisismo in termini di egocentrismo ed eccessivo amor proprio. In realtà il narcisista, se privato della sua sorgente di conferme e rassicurazioni, si sente vuoto e depresso, inutile, senza scopo, amorfo, ansioso ed insicuro. Soffre di considerevoli oscillazioni nell’autostima e può arrivare a credere che la vita non sia degna di essere vissuta. Per evitare questo tragico epilogo sente l’impulso di aggrapparsi ad una qualche figura o idea dominante che fornisca un sostegno solido. Anela la fama e l’ammirazione, perché queste portano con loro l’universale approvazione. Se non può conseguirla si attacca al culto della celebrità. Molti binomi padrone-servo potrebbero essere tranquillamente invertiti, perché entrambi sono narcisi ed hanno bisogno di quel tipo di rapporto patologico più di quanto necessitino di un certo status. È il vuoto interiore, l’inautenticità, la perdita di senso, l’incertezza del futuro che paventano più di ogni altra cosa. La superficialità non è un problema, il narcisista è in ogni caso antropologicamente pessimista, il suo pensiero non è mai profondo – è arendtianamente banale –, né lo è la sua stima nei confronti degli altri esseri umani, che non sono mai davvero suoi simili e per questo possono essere ordinatamente incasellati in categorie arbitrarie. Il feticismo, l’illusionismo nella sua accezione più ampia è il vizio caratteristico del narcisista. Non potendo contare su una vita ultraterrena, esorcizza lo spettro della morte concentrandosi sull’immagine e sull’idea – la Patria, l’Etnia –, rendendole immortali, e si autoipnotizza, dissipando il suo potenziale. Il suo amor proprio è dunque fragilissimo e la concentrazione su di sé in realtà è molto precaria e può mutarsi molto facilmente in attaccamento fanatico ad un movimento e ad un leader che incarnino le idee fisse che danno senso alla sua esistenza, almeno provvisoriamente. Insomma il narcisista non è autonomo ed indipendente, non ha alcun serio controllo sulla sua esistenza. Al contrario è eterodiretto, e si lascia facilmente assimilare da fazioni, sette, tribù, razze, campanilismi, integralismi e militanze varie, riflessi distorti della realtà. Si intossica di lusinghe, vezzeggiamenti, adulazioni, apprezzamenti di un sé illusorio, falso e privo di valore, che ha bisogno di ripetute conferme e le trova nella grandezza del Gruppo. È una comparsa nella sua vita, non il protagonista, anche se non se ne rende conto e profonde impegno e risorse per rinsaldare ancora di più questo stato di cose.

Oggi, in Alto Adige come in gran parte dell’Europa, la logica etnarchica, – essenzialmente narcisistica – che antepone il particolare all’universale sacrificando il motto Liberté, Égalité, Fraternité sull’altare della Cultura e dell’Identità, è sopravvissuta alla sconfitta del nazismo e del comunismo. Si è tornati a parlare di identità naturali, anche se nessuno ha saputo ancora spiegare cosa ci sia di naturale e di univoco in queste identità. D’altronde quello identitario non è un appello alla ragione, ma alle emozioni, ai sensi di colpa ed alla paura di chi, sentendosi in dovere di appartenere “anima e core” ad un insieme più ampio, non si sente di poter affrontare il giudizio altrui e l’ostracismo degli altri membri del gruppo. La moda etnarchica non va però affrontata in modo sbrigativo. Non è un atavismo incontrollabile ma piuttosto un nobile stimolo umano primordiale (quello al raggruppamento ed alla condivisione di sforzi ed aneliti) che può essere male indirizzato, nel qual caso trova pretesti e razionalizzazioni eminentemente moderne quando il modello universalista segna il passo, cioè ad ogni seria crisi internazionale o sotto la spinta dell’immigrazione di massa.

Essa rimane una strategia fallimentare sotto ogni punto di vista. A livello etico perché non rispetta la dignità intrinseca e l’autonomia delle persone e dissimula la loro unica, comprovabile appartenenza, quella alla specie umana. A livello pratico perché non esiste alcun modo per tenere sotto controllo le forze centrifughe ed atomizzanti messe in moto da una politica della differenziazione identitaria. Ci sarà sempre una minoranza che pretenderà il pieno autogoverno se non riceverà un’adeguata compensazione. Pensiamo a quel che sta avvenendo in Bosnia, dove la Republika Srpska a forte maggioranza serba sta già meditando di seguire l’esempio del Montenegro e Kosovo, distruggendo quindi ogni sforzo pacificatore ed unitario della comunità internazionale in Bosnia. Oppure pensiamo alla contrapposizione tra Scozia ed Inghilterra, tra Catalogna ed Andalusia, tra Fiandre e Vallonia, tra Padania e Meridione. In caso di separazione, il paradigma etnico che la giustifica sarebbe nel contempo il maggiore ostacolo alla realizzazione di una società equa, giusta, e solidale. La maggioranza etnica sarebbe autorizzata a decidere in funzione dell’interesse primario della conservazione della sua egemonia. E non è precisamente quel che avviene in Alto Adige – e in Italia –, con la ben remunerata connivenza di quasi tutti i partiti? Cosa succederebbe in Alto Adige se si arrivasse al distacco dall’Italia? Cosa farebbe la maggioranza italofona di Bolzano e dell’Oltradige-Bassa Atesina? E come si può evitare che degli standard etici locali logorino la coesione dell’Unione Europea attorno ai principi universalistici ereditati dall’ecumenismo cristiano, dall’Umanesimo e dall’Illuminismo? Il separatismo localistico ed il differenzialismo identitario non sono né assennati né moralmente giustificabili. Non possono costituire una risposta ai problemi dell’autogestione territoriale né possono mitigare l’impatto della globalizzazione a livello socio-economico, se non altro perché i movimenti etnopopulistici europei sono sempre ed invariabilmente libertari (di destra), in quanto il loro bacino elettorale si concentra soprattutto nella piccola e media impresa, cioè tra elettori che troppo spesso sono più propensi a pretendere tutele per sé stessi, anche se a discapito del resto della popolazione e degli immigrati che pure loro stessi assumono in gran numero (Tamás 2000). Quel che è scandaloso è che una parte della sinistra, in nome dell’anti-imperialismo, si sia sentita in dovere di combattere la destra su un campo come quello delle identità collettive, che è il terreno naturale della destra stessa.

Amleto e l’ingiustizia (iniquità)

Sono i potenti che rivendicano la felicità come diritto, la praticano e l’esibiscono, quasi sempre oscenamente, come stile di vita. […]. Sentiremo questo eterogeneo popolo degli esclusi e dei sofferenti chiedere non felicità ma giustizia. Un minimo di giustizia è ciò che ha preso il posto della felicità.

Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011.

 

Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli

Matteo 5, 20-26.

Bandita la giustizia, che altro sono i regni se non grandi associazioni di delinquenti? Le bande di delinquenti non sono forse dei piccoli regni? Non sono forse un’associazione di uomini comandati da un capo, legati da un patto sociale, e che si dividono il bottino secondo una legge accettata da tutti? Se questa compagnia recluta nuovi malfattori, se occupa un paese, stabilisce proprie sedi, se si impadronisce di città e soggioga popoli, prende il nome di regno; titolo che le viene conferito non perché sia diminuita la sua cupidigia, ma perché a questa si aggiunge l’impunità. Così disse un pirata, fatto prigioniero, con arguzia e verità ad Alessandro Magno. Interrogato da questo sovrano con quale diritto infestasse il mare, egli con audace franchezza rispose: “Per lo stesso diritto con cui tu infesti tutta la terra. Perché non ho che una piccola nave, sono chiamato corsaro, e perché tu hai una grande flotta sei chiamato imperatore!

Agostino, “De Civitate Dei”, libro IV, cap. 4

Sebbene ci gloriamo di essere gli eredi della sapienza greca, l’universo psicologico greco antico sembra avere più aspetti in comune con quello irochese che con il nostro. Noi siamo ancora legati al monoteismo (un dio, un principio supremo), al nesso lineare causa-effetto, crediamo di dover essere monofrenici (un’unica personalità), epistemologicamente monocoli (una prospettiva, un modo di vedere le cose). Al nostro peggio, ci convinciamo che i modi di vivere e pensare alternativi sono sbagliati, dannosi e pericolosi.

L’universo greco, come appunto quello irochese, era la sfera dell’unità nella diversità: l’unità era tale solo grazie alle interconnessioni tra i molteplici. L’epica greca, come quella irochese e come pure l’opera shakespeariana, poneva in risalto l’importanza dell’attenzione alla realtà, alla sua eterogeneità, alle sue alchimie ed equilibri. L’hybris – la tracotanza, la dismisura – attirava nemesis, la giusta punizione.

Seth L. Schein (1996) nota perspicacemente che l’Odissea è piena zeppa di personaggi che si dimenticano le cose, non pongono attenzione a quello che fanno, si formano una valutazione superficiale ed estremamente arbitraria della realtà e per questo falliscono e periscono. Il loro è un fallimento morale e pratico: vengono tutti puniti per aver preteso ciò che non spettava loro, per aver sottratto indebitamente i mezzi di sostentamento altrui senza dare nulla in cambio, per essersi comportati empiamente e parassitariamente.

Agostino Lombardo è dell’opinione che Amleto non sia un eroe, non è il classico uomo d’azione, come Odisseo (Lombardo, 1986). È un intellettuale, un uomo di pensiero ma, alla bisogna, si fa soldato. Se esita ad agire, non è per viltà ma è perché possiede una coscienza. Come Ulisse, però, con il passare del tempo matura una “prodigiosa consapevolezza” (p. 45):

“Ad Amleto non sfugge nulla di quanto accade intorno a lui, e in sua funzione… se gli altri personaggi si muovono in una sfera limitata, parziale, e vedono, della vita, soltanto una sezione, la sfera di Amleto abbraccia tutta la vita. Se gli altri personaggi vedono soltanto una parte dei rapporti che li legano gli uni agli altri e tutti ad Amleto, Amleto li vede tutti, e ha dispiegata davanti a sé la loro trama, il loro intrecciarsi”.

Il fido Orazio completa il suo campo visivo, già stupefacente. Da dove scaturisce questo suo talento? Dal suo attaccamento al principio di realtà ed il suo rifiuto della finzione, dell’inganno e della corruzione: “sempre egli stabilirà, anche attraverso la finta pazzia, un rapporto totale con la realtà, quasi partecipasse, o tentasse di partecipare, della dura, concreta essenza delle cose” (Lombardo, ibidem, p. 51).

I suoi avversari, al contrario, proprio come gli avversari di Ulisse e come molti contemporanei, scambiano i loro desideri per la realtà, condannandosi alla rovina. Amleto, ha una marcia in più. Lo dimostra quando si fa beffe di Polonio, senza che questi si renda conto del suo patetico conformismo (atto terzo, scena seconda):

Amleto: Vedete voi quella nuvola che ha quasi la forma d’un cammello?

Polonio: Per la messa, e assomiglia a un cammello davvero.

Amleto: Mi pare che assomigli a una donnola.

Polonio: Ha il dorso come una donnola.

Amleto: O come una balena.

Polonio: Proprio come una balena.

Polonio non può vedere una cosa da più di una prospettiva, ma può essere indotto a concordare sul fatto di vedere qualunque cosa. Anche Rosencrantz e Guildenstern sono presi in contropiede perché si attendono che lui agisca meccanicamente e prevedibilmente come sono soliti fare loro, in quanto motivati da ambizioni banali. Chi confonde il proprio ruolo con la propria vera, totale identità, non può capire né se stesso né gli altri. Continuerà a leggere la realtà e i comportamenti altrui in funzione dei ruoli, non delle indoli, non degli spiriti, non della tempra. Quando questi uomini e donne inautentici incontrano qualcuno che non ha tradito il proprio sé interiore asservendolo ad una persona fissa (un’identità fissa), si difendono dall’auto-esame, dalla messa in discussione di se stessi che in genere è provocata dall’incontro stesso. La persona autentica diventa allora un capro espiatorio: proiettano il loro tradimento di se stessi su di lui.

Molti potenti, come Rosencrantz e Guildenstern e i membri della famiglia di Polonio, sono alienati dalla loro autentica identità, sono ciechi e non riconoscono la vera identità di Amleto. Per questo Amleto ha buon gioco, contro ogni pronostico. L’ironia della cosa è che proprio Polonio declama la verità centrale della tragedia, senza neppure capirla, senza saperla applicare a se stesso, tanto radicata è la sua abitudine a banalizzarla, pronunciandola a comando: “Questo sopra tutto: a te stesso sii fedele, e deve seguirne, come la notte al giorno, che tu non puoi allora esser falso per nessuno” (Atto primo, scena terza). Socrate lo diceva più poeticamente ancora: “sarebbe meglio che la mia lira fosse scordata e stonata, e che lo fosse il coro che io dirigessi, e che la maggior parte della gente non fosse d’accordo con me e mi contraddicesse, piuttosto che sia io, anche se sono uno solo, ad essere in disaccordo con me stesso e a contraddirmi”. Si parla di fedeltà alla propria coscienza, non al proprio ego, naturalmente. L’iniquità, l’ingiustizia assoluta del nostro tempo è la risultante del nostro costante ossequio alle brame egoistiche, la banalità del male di chi ha smesso di credere alla coscienza e considera se stesso ed il suo prossimo come una mera macchina organica; uno strumento, non un fine.

Amleto è spronato a vendicarsi dall’apparizione del fantasma del padre, che gli rivela il terribile complotto ordito ai suoi danni dal fratello Claudio e dalla moglie. Un figlio non può lasciare invendicato il padre. Per alcuni il Fantasma appartiene ad un ordine di esistenza e di moralità antiquato, che è stato sopravanzato dal lento ma inesorabile progredire dell’umanità. Ma è proprio vero? Peter Alexander (1955) si compiace del fatto che ci siano persone capaci di concepire pensieri così nobili, ma sottolinea che indulgere in questo tipo di fantasie a spese del nostro intelletto non porta solo ad un indebolimento del nostro senso estetico ma anche all’incapacità di comprendere l’Amleto e, in ultimo, Auschwitz. Per Alexander Amleto vuole giustizia, prima ancora che vendetta. Vuole che le cose siano sistemate, perché sono state sovvertite e non ci sono spazi per una vera riconciliazione, a causa dell’hybris di chi ha la spada dalla parte del manico ed è responsabile dello squilibrio. Nel vendicare il padre senza macchiarsi di hybris (ossia senza produrre altro scompenso), nel ristabilire l’ordine, Amleto otterrà la redenzione, che peraltro non era quel che aveva in mente, all’inizio. Amleto vince la disfida con Claudio, lo zio usurpatore ed assassino, perché si vendica senza ridurre la sua identità di ego al ruolo del vendicatore. In altre parole, resta se stesso, non sacrifica la sua identità al ruolo costrittivo di vendicatore, che soffocherebbe la sua libertà e la sua coscienza: si limita a ristabilire il giusto ordine delle cose, la coincidentia oppositorum, ossia l’indispensabile armonia dei contrari (Driscoll 1983).

Alla fine anche lui, come Ulisse, subisce una palingenesi, la rinascita in una realtà più profonda e più giusta. Diventa l’anti-Narciso, l’iniziato che ascende spiritualmente e trascende il mondo auto-centrato, egotistico delle apparenze; cioè a dire il cittadino ideale, secondo il celebre filosofo francese Pierre Hadot (1999, pp. 99-100):

“Le città ben governate non sono quelle costituite da uguali. È come se si biasimasse un’opera teatrale perché non tutti i personaggi sono degli eroi, ma vi si trovano un servo o un uomo rozzo e sboccato. Eliminate questi ruoli secondari! L’opera non sarà più bella perché ne ha bisogno per essere completa…Se i malvagi sono al potere è per la viltà dei loro soggetti: è giustizia, e il contrario sarebbe ingiustoL’esperienza del male rende la conoscenza del bene più chiara per gli esseri che hanno una capacità troppo debole per poter conoscer il male semplicemente, senza farne esperienza. Il male morale, invece, porta qualcosa di utile all’universo intero: fornisce un esempio della giustizia divina e rende, di per sé, molti altri servizi. Sortisce l’effetto di rendere gli uomini vigili; desta lo spirito e la coscienza di quanti vogliono opporsi al progredire della perversità. Fa capire quale bene sia la virtù, in confronti ai mali destinati ai cattivi”.

Gli opportunisti dell’umanitarismo sono un pericolo per tutti noi (e ci porteranno in guerra)

Le guerre non sono catastrofi naturali, sono scelte, scelte variamente motivate, ma spesso dettate dalla brama di gloria, di potere, di ricchezza, ecc. Ci sono persone che le programmano e le scatenano.

Gli Osservatori ONU hanno confermato che l’ultimo massacro (in ordine di tempo), non ha colpito civili ma disertori e militanti (= ribelli armati). Il che conferma quando affermato dal regime siriano nella giornata di ieri: “Anche secondo i dati raccolti dal New York Times, quella di Tremseh più che una strage di civili è stata una carneficina di ribelli: uno scontro impari tra truppe siriane più numerose e ben armate e forze dell’opposizione in numero inferiore e dotate solo di armi leggere”.

http://www.repubblica.it/esteri/2012/07/14/news/siria_missione_onu-39073815/?ref=HRER2-1

Se non avessero estromesso le forze di opposizione che volevano negoziare fin dall’inizio con il governo, preferendo la via della violenza, non sarebbero morti a questo modo. Lo Yemen dimostra che si poteva fare altrimenti, ma nello Yemen l’Occidente voleva stabilità, in Siria no.

Ma la Repubblica riesce a distorcere quest’informazione, con un sapiente uso delle parole, al punto da far credere al lettore che invece confermano la versione dei ribelli (che ieri parlavano, invece, di civili disarmati).

Che interesse ha il gruppo la Repubblica/l’Espresso a spingerci verso l’intervento armato, a pochi mesi da quello in Libia, che si è concluso così:
“Nel caotico dopo-Gheddafi…in tutto il paese si registrano scontri armati. Bengasi da culla della Rivoluzione è diventata regno della paura controllato soprattutto dagli integralisti, con agguati e sparatorie (…) Gli islamisti si sentono i padri e i martiri della Rivoluzione e non sanno cosa sia il rispetto delle regole, delle leggi, dello Stato. Qualsiasi contrasto i bengasini lo risolvono con l’uso della forza (…) Oggi nel paese regna il caos. La tribù Mashashia ha combattuto con Gheddafi e oggi è in guerra con la tribù Gontran di Zintan. Misurata è in guerra con Taurga i cui uomini si schierarono con Gheddafi. Per Misurata, Taurga deve «sparire». Lo stesso accade tra Zwarah e Jmail e Regdaline. Tra Sabratah e Zwarah. E a Kufra è peggio ancora. A Derna, regno dei qaedisti e degli integralisti islamici, tutti gli occidentali, anche dei «paesi amici» come la Francia «sono nemici perché occidentali». La Libia è una polveriera, non c’è polizia e l’esercito nazionale, lasciando alle milizie il controllo del territorio”.

Guido Ruotolo, La Stampa, 29 giugno 2012

http://www.difesa.it/Sala_Stampa/rassegna_stampa_online/Pagine/PdfNavigator.aspx?d=29-06-2012&pdfIndex=26

Resta il fatto che i ribelli siriani hanno mentito, per l’ennesima volta (come facevano quelli libici), ma ogni volta i media italiani prendono per oro colato tutto quel che dicono.

Resta anche il fatto che i ribelli stanno perdendo e quindi c’è da attendersi un false flag, un falso attentato terroristico con armi chimiche: infatti “fonti dell’intelligence” affermano che il regime sta spostando armi chimiche a Homs. Di tutti i posti possibili, proprio la cosiddetta “capitale dei ribelli”, che peraltro è ancora sotto controllo governativo? Vogliono gasare i propri cittadini pur avendo il controllo della città?

http://news.sky.com/story/959953/syria-military-moves-chemical-weapons-to-homs

Stiamo avvicinandoci a grandi falcate ad una terribile guerra nel Medio Oriente che si ripercuoterà sull’intero globo, con embarghi incrociati, escalation militari e uso di armi di distruzione di massa e di nuove tecnologie belliche.

L’umanità è solo responsabile della sua inerzia e della sua credulità. Non è l’umanità a volere questa guerra. L’umanità non ama le guerre, preferisce coltivare il proprio campicello (vivi e lascia vivere):

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/02/lopinione-pubblica-occidentale-rifiuta-di-farsi-coinvolgere-nella-questione-siriana/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/01/mussalaha-riconciliazione-quei-siriani-che-rifiutano-gli-uni-e-gli-altri-e-vogliono-vivere-in-pace/

Non c’è un mostro sanguinario dentro di noi che è tenuto a bada dalle élite. Ci sono invece élite che, ripetutamente, per puntellare il proprio potere ed aumentare i propri profitti, ci mettono gli uni contro gli altri. élite occidentali ed euro-asiatiche.

Anche in Italia c’è un’élite che spinge per un intervento armato in Siria. Il nostro ministro degli esteri usa l’eufemismo “muscolare” al posto di “armato”.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/14/il-ministro-degli-esteri-italiano-auspica-una-missione-piu-muscolare/

Altri politici chiedono pressioni sempre più decise sulla Russia (“offensiva diplomatiche”)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/18/il-senatore-della-repubblica-e-la-questione-siriana/

Per avere successo, isolano le migliori personalità, quelle del dialogo, della negoziazione, del compromesso, quelle che veramente si spendono per la causa umanitaria, perché hanno sinceramente a cuore le sorti del proprio popolo e del proprio paese:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/24/leader-della-rivolta-anti-assad-condivide-le-mie-preoccupazioni-sulla-siria/

I falsi umanitaristi (quelli part-time: quando la causa ottiene il sostegno dei media e di Londra+Washington+Gerusalemme/Tel Aviv) spesso credono di essere in buona fede, sebbene siano lupi che si considerano agnelli. A differenza del lupo consapevolmente camuffato da agnello, l’umanitarista opportunista è un fanatico ed è quindi estremamente pericoloso per se stesso e per gli altri, specialmente per i popoli esotici:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/25/la-tirannia-umanitaria-e-i-falsi-profeti-cosa-ci-ha-insegnato-kony-2012/

Sono persone che ancorano la loro autostima ad una causa di vasto consenso e che piace ai potenti. Amano compiacere i potenti e lo fanno con veemenza ed estremismo, la fede cieca di chi, come tutti i narcisisti, ha bisogno di continuare a credere di non aver commesso un errore, pena il collasso del rispetto di sé. Sono quelli che in Germania combattevano per la patria nazista fino all’ultimo, per non dover ammettere di essersi schierati dalla parte sbagliata. Oggi sono gli utili idioti che facilitano l’incedere della macchina da guerra della NATO. Domani, quando la NATO sarà sconfitta a causa della sua hybris, faranno il salto della quaglia e sosterranno la causa dell’amicizia euroasiatica da Finisterre a Shanghai e Vladivostok.

Questo perché non è la propaganda ad ingannare le persone: le aiuta solo ad ingannarsi meglio.

Avendo poca fede in se stessi (tipico del narcisista che ha bisogno di continue rassicurazioni), si aggrappano ad un qualunque surrogato di fede, una santa causa, un relitto che funga da salvagente. Dichiarano di essere altruisti, di aver messo da parte il loro ego, di essere votati al bene del prossimo, ma in realtà la loro è vanità. Diversamente, si informerebbero in modo serio e responsabile a proposito della causa che appoggiano. Se non lo fanno è perché sono loro ad averne bisogno, non le persone che pretendono di voler aiutare. Le “vittime” sono solo un mezzo, uno strumento, perciò l’attenzione dell’umanitarista part-time sarà sempre altamente selettiva. Ci sarà sempre un Hitler di turno che perseguita degli eroi romantici. Ci sarà sempre una popolazione indifesa (la fanciulla, la principessa prigioniera) che necessita dell’aiuto di un cavaliere senza macchia e senza paura pronto a sfidare il drago (ma sempre e solo quando è certo di poterlo battere). Gli scettici saranno sempre complici dell’Hitler del menù del giorno, o idioti complottisti, indipendentemente dai precedenti storici (la storia è cancellata quando interferisce con la visione idealizzata della realtà che protegge un ego insicuro).

Il fatto è che chi non ha problemi ad ingannare se stesso è facile preda di chi lo vuole ingannare. Perciò circuire l’umanitarista opportunista è come rubare un leccalecca ad un bambino. E i risultati sono eccellenti: essendo isolato dalla realtà, non si rende neppure conto della sua meschinità, egocentrismo, vanità, superbia, faziosità, disonestà intellettuale, bullismo, ecc. Userà parole forti non per esprimere le sue emozioni, ma per evocarle in se stesso. Infatti c’è sempre una vocina che lo tormenta, che lo mette in discussione: va tacitata. Il fanatismo non è sintomo di ferma convinzione, ma di un’intollerabile ed intollerata incertezza.   

Oggi c’è la Siria, qualche decennio fa c’era il Vietnam.

Un Americano Tranquillo” è un eccellente romanzo-denuncia di Graham Greene scritto negli anni Cinquanta, quando l’autore era già in grado di prevedere gli esiti funesti del coinvolgimento statunitense nel Vietnam, allora una colonia francese che lottava per la sua indipendenza. Il tranquillo americano in questione è Alden Pyle, all’apparenza un medico volenteroso e posato, che si rivela poi essere uno zelante e spietato agente della CIA, disposto a massacrare decine di innocenti in nome della causa anti-comunista. Qui mi interessa soprattutto riproporre la caratterizzazione che Greene imprime sul personaggio: “Non era capace di immaginare il dolore o il pericolo per se stesso, allo stesso modo in cui non riusciva a riconoscere negli altri il dolore che causava loro” (Greene, 1983, p. 63) – “Mi accadde diverse volte di scorgere nei suoi occhi un’espressione di dolore e disappunto quando la realtà non corrispondeva alle idee romantiche che si era fatto, o quando qualcuno che amava o ammirava non riusciva ad dimostrarsi all’altezza dei suoi inarrivabili standard” (p. 75) – “Sarà sempre innocente, e non si può dare la colpa ad un innocente, perché sono sempre incolpevoli” (p. 183). Pyle è un fanatico ed il fanatico, diceva George Santayana, “è un uomo che raddoppia gli sforzi quando si dimentica dei fini”. Alla fine organizza un finto attentato terroristico (guarda caso!) che servirà a causare un’escalation e l’intervento militare americano: nella piazza devastata cerca prima di tutto di pulirsi i pantaloni dal sangue, invece di aiutare i feriti.

Sta succedendo di nuovo. Di nuovo le credenze sono più importanti dei fatti (loro continuano ad accusare i loro critici di non badare ai fatti, quando sono loro i primi a non degnarsi di considerare i fatti presentati dai critici), l’azione muscolare più importante della pace, le idee più vitali delle persone, la propria asserita innocenza più esiziale dell’innocenza delle vere vittime delle loro iniziative, dei loro errori, delle loro vulnerabilità e dei loro difetti caratteriali. Di nuovi gli opportunisti dell’umanitarismo si rifiutano di pensare e spengono il cervello. Mentre i soldati, che sanno cos’è la guerra, non venerano la forza, ma la temono e la rispettano, gli opportunisti dell’umanitarismo non si fanno troppi scrupoli. Professano di amare l’umanità, ma è lecito dubitarne, visto che non si domandano se certi attivismi siano generati da nobili motivazioni ed indirizzati a nobili scopi e se per caso l’esito finale non potrebbe essere una situazione molto più degradata (es. il narcofeudo del Kosovo, l’anarchia afghana e somala, i ghetti palestinesi).

Per proteggere la loro psiche hanno bisogno di credere ad una realtà manichea in cui la loro parte è sostanzialmente angelica e civile e l’altra è satanica e barbarica. Il fatto che la propria parte si proclami civile ma si comporti barbaramente dovrebbe farli esitare, ma non se lo possono permettere. Sono governati dalle parole, non dai fatti e dalle idee e, per quanto morte possano essere le parole della propaganda, le riempiranno loro di un conveniente e confortevole significato.

Sono pericolosi, perché le diversità di vedute “riconciliate” con l’uso della forza diventano contrapposizioni feroci, marcate da un odio viscerale, diventano un incendio difficilmente estinguibile, che rischia di bruciarci tutti.

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