Il partito che si disse trasparente, e un bel giorno svanì

 

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https://twitter.com/stefanofait

…Dunque la paura del cambiamento, qualunque sorpresa, qualunque incognita possa riservarci il futuro, è per la sinistra un indugio mortale. Ogni pigrizia conservatrice, dentro la sinistra e dentro le sue parole, parla prima di tutto di quella paura. Compresa la paura di sbilanciarsi, di dire cose azzardate, di sembrare stravaganti o ingenui o imprecisi. La paura dell’errore intellettuale. Ma per dire qualcosa di sinistra sarà obbligatorio, di qui in poi, ricominciare a rischiare. Chi si ferma è perduto. E chi tace acconsente.

Michele Serra

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Se poi si calcolano i soli voti validi, centrosinistra e centrodestra rappresentano meno di 20 milioni di “aventi diritto”, cioè poco più del 40% degli italiani. Le coalizioni guidate da Pd e Pdl hanno perso in cinque anni qualcosa come 12 milioni di elettori, per effetto dell’emorragia che ha colpito soprattutto i due principali partiti: il Pd, che ne ha smarriti quasi 3 milioni e mezzo, con una flessione del proprio “capitale elettorale” vicina al 30%, e soprattutto il Pdl, la cui euforia si spiega solo con il precedente terrore della scomparsa, e che in queste elezioni ha perso quasi 6 milioni e mezzo di voti.
Marco Revelli sulla vocazione minoritaria dei partiti di maggioranza relativa

„Una lettera drammatica. Il frutto di un lungo travaglio: la conclusione di un percorso politico diventato negli ultimi anni sempre più accidentato”. Così Sardinia Post racconta le dimissioni di Valentina Sanna, presidente dell’assemblea regionale (il ‘parlamentino’ del Pd sardo), che ha annunciato al segretario Silvio Lai la decisione di lasciare il Partito democratico da dirigente e anche da militante.“ “Lascio questo Pd”, scrive Sanna al segretario regionale “perché, pur con il rispetto verso le tante persone che ho cercato di rappresentare con dignità e onestà e verso le quali resta immutata la vicinanza, la stima e la disponibilità a un lavoro comune, non mi riconosco affatto in chi lo governa realmente a livello nazionale e regionale“.

http://www.today.it/rassegna/valentina-sanna-dimissioni-pd.html

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La strategia elettorale del PD trentino:

– blocca le candidature di Borgonovo Re e Zeni alle primarie interne del PD perché sono “divisive” (= non coalizionali, ossia non sufficientemente centriste) e perché il loro appeal è urbano mentre bisogna prendere voti anche nelle valli;

– seleziona un candidato coalizionale, Olivi, che rappresenta la continuità e può prendere voti anche nelle valli;

– presentati alle primarie di coalizione del centrosinistra e scopri che Olivi perde nelle valli, e nelle città non riesce a recuperare perché l’affluenza è imbarazzante: 705 voti a Pergine, 3807 a Trento, 1261 a Rovereto, 557 ad Arco, 265 a Riva del Garda: questa è la misura della Waterloo del Pd trentino, incapace di mobilitare perfino il suo zoccolo duro;

prenditela con il sindaco di Rovereto, che era in ferie programmate da prima che si stabilisse la data delle primarie, anche se a Trento, dove il sindaco ha fatto campagna elettorale per Olivi, l’astensione è stata in proporzione anche maggiore;

– prenditela con quei candidati che volevano discontinuità: «Ora saranno contenti i girotondini delle primarie interne! non capitatemi a tiro perché potrei far male!»;

– lamentati di doverti presentare alle elezioni provinciali con un leader in cui ti riconosci, anche se era “coalizionale”: “Rossi entra nel cortile. In pochissimi tra i democratici gli stringono la mano, «ci mancherebbe altro», sono le parole smozzicate tra delusione e rabbia”;

ripudia le primarie perché è colpa loro se i cittadini non approvano i candidati prescelti (anzi, è colpa degli elettori se non vogliono scegliere la continuità);

Alcuni esponenti del PD trentino contrari alla continuità credono che il partito possa essere riformato. Io sono molto più pessimista. Quel che avverto è la assoluta convinzione che quella imboccata sia la strada giusta, o comunque l’unica percorribile, e che se non viene premiata dall’elettorato è perché i cittadini non possiedono abbastanza informazioni per capirlo. Se sapessero quello che sanno i dirigenti del PD, apprezzerebbero certe scelte scomode ma realistiche.
Posso dirlo con cognizione di causa, avendo seguito il dibattito interno: il PD trentino è un partito molto più cinico ed elitario di quel che si potrebbe credere e di quel che vorrebbe credere. Per questo non può essere realmente democratico. Ogni sconfitta elettorale lo allontana dall’elettorato, lo spinge a rinchiudersi sempre più nella sua fortezza di “progressismo realista”, dietro il paravento del “non ci sono alternative” e del “destra e sinistra sono concetti superati”. E’ stato infettato dal cinismo e dall’hybris e non è più chiaro se potrà mai ammettere che, in fondo, non rispetta gli elettori che hanno smesso di votarlo e in parte li disprezza, o comunque attende solo che capiscano i loro errori e ritornino sui loro passi.
E’ un circolo vizioso che lo sta spingendo a fondo e che, lungi dal contrastare le tendenze paternalistiche della Provincia Autonoma di Trento, incentiva una modalità di intendere le relazioni tra governanti e cittadini che favorisce i leviatani tecnocratici (e misantropici), che sanno meglio delle persone comuni cosa sia meglio per loro.

tze-tze-blog-grillobest practice da tenere a mente anche a livello partitico

“Il Partito democratico si fonda precisamente su due equivoci culturali, quelli che lo rendono ab origine una forza politica del tutto inservibile per qualsivoglia riforma (e tutt’al più utile per alcune controriforme): la pretesa di essere al tempo stesso liberisti e socialdemocratici, da un lato; e quella di essere laici e filoconfessionali, dall’altro. Questo determina l’impasse, poi l’immobilità, via via fino al rigor mortis.

[…]

Il governo del non-fare, che in questo momento occupa la plancia del Titanic facendo finta di pilotare, ha in organico una ministra la cui designazione può significare una cosa sola: ius soli. Ma lo ius soli non potrà mai essere finché si ha la necessità di abbozzare con gli alleati di governo e di normalizzare certi avversari impresentabili. Di stare cioè tutti insieme appassionatamente sul transatlantico.

Così come non si potrà mai avere una legge decente sulla fecondazione eterologa, né i matrimoni gay ormai approvati in tutto il mondo occidentale, né l’attuazione della legge 194 sull’interruzione di gravidanza (attualmente disattesa grazie alla presenza dell’80 per cento di obiettori di coscienza negli ospedali italiani), né la riduzione dei finanziamenti alle scuole private paritarie confessionali in favore del rifinanziamento della scuola pubblica… se si deve tenere buona la propria componente confessionalista cattolica.

I sedicenti democratici non possono scegliere tra gli operai e Marchionne, tra lo stato laico e la chiesa, tra la libertà e la discriminazione, perché hanno deciso che tutto si può tenere assieme, che il conflitto può essere negato, e di questa negazione hanno fatto la propria ragione sociale. Ma è una ragione sociale fallata, che infatti ha prodotto una débâcle clamorosa. Un partito che era nato con tre obiettivi: sconfiggere Berlusconi, diventare maggioritario, fare le riforme, è riuscito a mancarli tutti. Date le premesse, le cose non sarebbero potute andare diversamente.

http://www.internazionale.it/opinioni/wu-ming/2013/07/15/il-partito-del-non-senso/

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Un profetico Piergiorgio Cattani: “cronologia di un disastro” (maggio 2013)

In questo modo, con tutta probabilità, il Partito Democratico non avrà il candidato presidente. Ma questo è un particolare completamente insignificante, perché ormai il giudizio politico è irrevocabile: il PD è sempre gregario, in quanto strutturalmente incapace di assumere autentiche responsabilità di governo e meno che mai di imprimere alcuna svolta. Anzi, non ci pensa nemmeno: per la nomenclatura sono gli organigrammi (dettaglio secondario per i cittadini) ad essere il faro di ogni pensiero, di ogni azione.

Gli elettori hanno dimostrato, vedi i recentissimi risultati elettorali, nel resto dell’Italia come a Pergine, di essere sia apertissimi al nuovo, sia in parte significativa ancora attaccati al partito, cosa che però non è detto si ripeta in ottobre. Il fallimento cronico della sinistra è infatti ora conclamato e non si intravedono possibilità di cambiamento in tempi brevi“.

http://www.questotrentino.it/qt/?aid=13898

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Un profetico Piergiorgio Cattani (giugno 2013)

Gli autonomisti hanno già vinto. Aumenteranno di certo i loro voti, magari avranno il candidato presidente. La loro però è una vittoria politica e culturale di lungo periodo“.

Jacob Needleman sul nostro rapporto patologico con i soldi e con il tempo

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The Meaning of Money in the 21st Century

An Interview with JACOB NEEDLEMAN 

By Alexander M. Dake

Filosofo in un’università statale, mistico ma anche consulente finanziario. È Jacob Needleman, che ha previsto correttamente l’esplosione della bolla della new technology (il boom finanziario legato ad internet che ha preceduto l’ultima bolla dei subprime e le cui conseguenze sono state neutralizzate dall’11 settembre e dalla Guerra al Terrore – una buona ragione per attendersi qualche altro incidente internazionale nei prossimi mesi).

Intervistato sul significato dei soldi, per un interessante confronto con l’approccio di Giampiero Mughini

http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2012-05-14/soldi-sono-poesia-difesa-173456.shtml?uuid=AbKtcacF

AD: Cosa c’è di così attraente e seducente nei soldi?

JN: Il denaro ha il potere di far sentire le persone potenti, felici ed importanti. Ecco dove sta il pericolo, perché si tratta di un falso senso di comfort. Se ti preoccupi di piccole cose quando sei povero, continuerai a preoccuparti di cose più grandi quando sarai ricco. Il denaro non cambierà la vostra interiorità ed è lì che la maggior parte delle persone cade in errore. Pensano che il denaro cambierà la loro vita e questo è vero, ma non nella maniera attesa. Se non sai come ti poni nei confronti del denaro e comprendi questo rapporto, non sai chi sei veramente. Un ansioso rimarrà tale, una persona sicura resterà tale, indipendentemente dal suo benessere.

AD: Lei spiega nei suoi saggi che l’importanza del denaro è aumentata sostanzialmente a causa del protestantesimo. Può chiarire meglio questo punto?

JN: Mi si consenta innanzitutto di spiegare che cosa vuol dire che il denaro è diventato più importante che mai. Prima di tutto il denaro entra in ogni tipo di relazione nella società, molto più che in qualsiasi altra epoca e civiltà. Tutto è stato monetizzato. C’è stato un tempo in cui le questioni che riguardavano le relazioni personali, i medici e la medicina, le relazioni accademiche, la vita artistica erano esentate dalle considerazioni monetarie. Un artista poteva essere apprezzato per quello che faceva senza riscuotere un successo finanziario. Un medico era disposto a curare senza necessariamente essere pagato subito o l’intera somma, se il paziente non se lo poteva permettere. Ora, però, se si parla di malattie, spesso il costo della sanità è una parte importante della discussione. Per esempio, parlando delle morti causate dal tabacco, il fatto che le imprese produttrici di tabacco debbano pagare miliardi di dollari di danni sembra più importante delle morti e malattie causate dal tabacco. Tutto ha un prezzo al giorno d’oggi. Questo non è necessariamente un male, ma mostra come il denaro si sia insinuato in ogni angolo della nostra vita. Parte di questo processo ha a che fare con la polverizzazione dei valori nella nostra cultura. Il denaro ha colmato un vuoto. Di nuovo, questo potrebbe non essere un male: invece di uccidersi a vicenda, ci si fa causa. Il potere del denaro sta nel fatto che ha iniziato a quantificare la vita, cancellando gli aspetti qualitativi della vita. Questo coincide con un altro sviluppo nella nostra cultura: usiamo le nostre menti sempre di più e il nostro cuore sempre di meno quando prendiamo delle decisioni. Comunque, è stato all’inizio del XX secolo che il sociologo Max Weber ha detto che il protestantesimo è stato la causa principale del capitalismo. Il capitalismo esisteva anche in altre culture, ma la cultura protestante è stata l’unica che ha dato un significato religioso ai guadagni.

AD: Come si spiega la differenza tra l’atteggiamento nei confronti del denaro nei paesi protestanti dell’Europa occidentale, come la Svizzera e l’Olanda, e negli Stati Uniti, dove l’importanza del denaro pare endemica?

JN: Quando Weber faceva le sue osservazioni in merito al protestantesimo faceva uno specifico riferimento agli sviluppi negli Stati Uniti, in cui il denaro aveva quasi assunto il ruolo della religione. Ciò era cominciato con l’inizio della storia americana, con leader come Benjamin Franklin, che aveva fatto dei soldi una misura del proprio rapporto con Dio. Questo esiste in misura limitata in Svizzera e anche in Olanda, ma negli Stati Uniti gli americani hanno interpretato lo spirito del protestantesimo a modo loro ed accresciuto l’importanza del denaro ed il suo ruolo religioso.

 

AD: Avendo appena stabilito l’influenza pervasiva del denaro nella nostra società, continua a sostenere che abbiamo bisogno di rendere i soldi più significativi nella nostra vita. Perché?

JN: L’uomo deve dimostrare maggior rispetto per il denaro. Il denaro di per sé non è male, diventa una cattiva influenza solo quando distrugge o sostituisce ciò che è prezioso nella nostra vita. Il denaro è un mezzo attraverso il quale il desiderio umano si esprime in tutto il mondo e il desiderio umano di per sé è una grande cosa, che merita rispetto. Per questo la gente deve prendere più sul serio i soldi, in quanto mezzo (per un fine). Non sul serio nel senso di mettere le mani su quanto più denaro sia possibile, ma sul serio nel senso di riconoscere che il denaro è una parte importante della vita umana. Al fine di comprendere la propria vita è necessario capire il ruolo del denaro nella propria vita.

 

AD: Lei consiglia tante persone diverse su come gestire i soldi nella loro vita. Da dove comincia quando fornisce una consulenza? Esamina la loro vita personale o il modo in cui trattano i soldi nella loro vita?

JN: Parto dal secondo punto. La gente nutre ogni sorta di paura, illusione ed auto-inganno in materia finanziaria. Esiste un’enorme ipocrisia riguardo ai soldi. Il tabù che circonda il sesso ora circonda il denaro. Si deve avere il coraggio e l’onestà di studiare il proprio atteggiamento verso i soldi, senza giudicarsi. Nella mia esperienza questi atteggiamenti sono spesso basati su nozioni molto primitive sepolte nella psiche delle persone: gli esempi più ovvi sono le persone che credono veramente che il denaro sia sporco [lo “sterco del demonio”, lo si chiamava nel Medio Evo, NdT] e poi ci sono persone che credono che il denaro sia la cosa più importante nella vita. Soprattutto quest’ultima è la visione radicata nella cultura americana. E poi ci sono molte persone che credono vere entrambe le cose e diventare ancora più ipocrite sui soldi. Non ci si può sbarazzare in fretta di questi preconcetti.

 

AD: Come spiega la spontanea ammirazione, in particolare negli Stati Uniti ma anche in altri paesi, per le persone facoltose, spesso senza sapere altro su di loro?

JN: Questo è un altro esempio di ipocrisia intorno al denaro. Quando negli Stati Uniti si incontra qualcuno che si rivela essere un miliardario, l’atteggiamento cambia improvvisamente. Non è una risposta razionale, ma profondamente emotiva. Le persone rispettano i ricchi più di chiunque altro. Una volta ho chiesto a un miliardario, che aveva iniziato la sua carriera con niente in mano, qual è stata la cosa più sorprendente che ha scoperto quando è diventato ricco. Ha detto che la gente lo trattava con immenso rispetto e valutava le sue opinioni come se fosse ben informato su tutto. Ha poi aggiunto che l’unica cosa che sapeva fare era far soldi. L’autopercezione della gente è legata a quanti soldi fanno. Questo è molto più forte negli Stati Uniti che in Europa, anche se l’Europa si sta muovendo in questa direzione pure lei. Il rovescio della medaglia è che gli uomini d’affari americani possono essere molto più diretti ed onesti nel loro business, mentre gli uomini d’affari europei sembrano nascondere l’importanza di realizzare un profitto. Ma anche lì le cose stanno cambiando.

 

AD: Come pensa che gli storici del futuro giudicheranno quest’epoca in cui i soldi governare la nostra cultura?

JN: Come uno straordinario periodo di ricchezza, ma anche decisamente barbaro. Non possiamo sopravvivere se diamo importanza solo al denaro ed al potere. Non credo che nessuna società o cultura possa esistere senza dei valori spirituali come suo fondamento. Penso che stiamo raggiungendo una situazione di crisi, se non cambiamo il nostro amore per il denaro [profetico: pochi anni dopo è arrivata la Seconda Depressione NdT].

AD: Qual è la sua esperienza con la nuova ricchezza guadagnata e persa negli ultimi anni da molti manager della Silicon Valley?

JN: Due anni fa sono stato invitato da Microsoft per offrire consigli su come trattenere i loro giovani dirigenti sui 30-35 anni di età, che se ne andavano perché erano diventati ricchi per conto loro. Era chiaro che non sarebbe stato il denaro a trattenerli. Forse solo un lavoro pieno di significato avrebbe potuto farcela. La Silicon Valley è stata descritta come il più grande accumulo legale di ricchezza della storia.

 

[…]

 

AD: Cos’è il successo per questi specialisti della conoscenza [knowledge workers]?

JN: Sorprendentemente, non lo definiscono solo in termini monetari. Pensano di avere successo quando fanno qualcosa di pionieristico, qualcosa di nuovo ed interessante, e possibilmente che sia di beneficio per il genere umano e per la società. Sono prigionieri dell’illusione che, se lavorano ad un computer o modem più veloce, sarà automaticamente un bene per l’umanità. La chiamo l’illusione delle nuove tecnologie. Noi, come società, crediamo che la nuova tecnologia ci abbia assicurato ogni genere di vantaggio, ma ci potremmo chiedere che cosa abbia ottenuto, oltre ad accelerare la vita delle persone. La tecnologia risolve spesso un problema per crearne due di nuovi, che a loro volta richiederanno nuova tecnologia per risolverli. E questo processo continua imperterrito. Invenzioni progettate per risparmiare tempo e fatica, eppure la maggior parte degli americani lavora più a lungo e non ha mai avuto meno tempo libero.

 

AD: Perché la nostra società non sembra valorizzare alcune professioni molto importanti, come l’insegnamento, la sanità e la cura dei bambini, delle arti e della scienza, se monetizzate?

JN: Le persone che toccano i punti più deboli della natura umana sono quelle che fanno di gran lunga più soldi di tutti gli altri messi insieme. Le persone sono disposte a pagare di più per dei servizi che soddisfano il desiderio di eccitazione, l’autoinganno, la vanità, il piacere. Sono quelle le situazioni in cui le persone si sentono più vive, non quando ascoltano un’insegnante premurosa o sono assistite da un infermiere capace in ospedale. Questo potrebbe apparire come ingiusto, ma il denaro non ha a che fare con la giustizia, bensì con le emozioni e con l’apprendere a gestirle.

AD: Il denaro è il modo giusto di valutare il lavoro? Per esempio, un insegnante in una cittadina non sarà mai in grado di estendere i suoi servizi o il suo pubblico e ha quindi un limite massimo al suo reddito, mentre una pop star teoricamente può ampliare il suo pubblico fino ad includere il mondo intero, con un reddito virtualmente senza limiti.

JN: Usare altri mezzi per premiare le persone non cambierà la natura umana alla base di queste grottesche differenze di retribuzione. Non so se apprezzeremo mai il valore di un insegnante in termini paragonabili al valore che diamo ad una pop star. Forse è meglio così. Forse un insegnante insegna meglio se non guadagna due milioni di dollari all’anno. Inoltre la gente potrebbe arrivare a rendersi conto che il punto non è pagare di più gli insegnanti, ma capire che hanno una vita migliore di una pop star. Ci sono esempi di persone che hanno abbandonato posti di lavoro ben retribuiti per fare delle cose che gli piacevano molto, ma con una paga molto inferiore.

AD: Lei si è anche occupato del tempo e dell’esistenza di una povertà di tempo. I problemi associati al tempo sono paragonabili a quelli collegati al denaro?

JN: Sì, tempo e denaro sono al centro di analoghe illusioni. La proliferazione del desiderio è stata la base della nostra economia capitalistica. Non è la soddisfazione del desiderio, ma la creazione di desideri artificiali. Le persone non hanno bisogno del 99% dei prodotti immessi sul mercato. Se i cosiddetti desideri “normali” fossero soddisfatti, allora l’economia crollerebbe. L’economia si basa su illusioni e falsi desideri. Chi ha bisogno di 20 tipi di succo d’arancia al supermercato? È qui che entra in gioco la questione del tempo. A causa di tutti questi desideri dobbiamo lavorare per molte più ore e molto più duramente per poterceli permettere e poi abbiamo troppo poco tempo per acquistare i prodotti o servizi, per non parlare di goderne. Questo, a sua volta, è un riflesso della vita nelle nostre teste che ci mantiene continuamente impegnati con i nostri desideri di futuri possibili. Il tempo sembra quindi scorrere sempre più velocemente. Semplicemente non abbiamo abbastanza tempo per fare tutto quello che pensiamo di dover fare, non abbiamo nemmeno il tempo di fare ciò che realmente dobbiamo fare. Questa è la povertà di tempo. Proprio come nel caso del denaro, con il tempo stiamo assistendo alla perdita di valori e del senso di cosa sia un essere umano.

AD: Sembra una situazione miserevole, all’inizio del 21° secolo.

JN: È una crisi molto grave, e non potrà andare avanti così ancora a lungo.

http://www.paraview.com/features/needleman.htm

I media globali e il terrorismo climatico 1895-2013

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Maggio 1978: Leonard Nimoy (Spock) avverte che molti climatologi ritengono che il mondo si stia avviando verso una glaciazione.

Uno dei climatologi consultati era Stephen Schneider, poi divenuto consulente di Al Gore. Gli domandarono cosa si poteva fare per scongiurare la glaciazione e lui rispose che sarebbe stato sconsiderato usare l’energia atomica per rendere meno compatte le calotte polari: “Possiamo fare queste cose? Sì. Ma faranno migliorare le cose? Non ne sono sicuro. Non possiamo prevedere con certezza cosa sta succedendo al nostro futuro climatico. Come possiamo intervenire se siamo così ignoranti? Si potrebbero sciogliere le calotte polari e cosa succederebbe alle città costiere? La cura potrebbe essere peggiore del male. Sarebbe meglio o peggio del rischio di un’era glaciale?”

Col passare degli anni pare abbia perso questo suo equilibrio e rigore, per diventare un iper-interventista, allo scopo inverso (bloccare il riscaldamento globale).

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Feb. 24, 1895, “Geologists Think the World May Be Frozen Up Again.” –
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1895-1932: glaciazione in arrivo
1929-1969: riscaldamento globale
1954-1977: glaciazione in arrivo
1981-2013: riscaldamento globale
http://www.mrc.org/node/30586
150 anni di sensazionalismo sul riscaldamento globale e raffreddamento globale al New York Times (dal 5 gennaio 1855) http://newsbusters.org/node/11640
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DAGLI ARCHIVI DELLA STAMPA
Grazie a Maurizio Morabito
22 giugno 1976 (n.145, p.14): “Entro cento anni avremo una era glaciale”
19 ottobre 1976 (n.229, p.21): “Fra pochi anni inverni freddissimi – In Siberia spariranno i cereali?”
14 febbraio 1977 (n.29, p.3): “E’ giunta l’era glaciale”
3 gennaio 1978 (n.1, p.3): “Si torna all’era glaciale?”
14 aprile 1978 – (n.85, p.15): “Aiuto, arriva l’era glaciale”
27 aprile 1978 (n.95, p.9): “Siamo alla soglia dell’era glaciale?”
4 gennaio 1979 (n.3, p.4): “Sta per cominciare un’era glaciale – secondo meteorologi giapponesi”
19 febbraio 1979 (n.48, p.3): “Cambia il nostro clima – Il mondo va verso una nuova era glaciale?”
21 aprile 1982 (n.25, p. 3): “Questo freddo di aprile farà scendere i ghiacciai?”
30 gennaio 1985 (n.155, p. 2): “Dietro l’angolo c’è un’era glaciale?”

40 anni fa i media diffondevano l’idea che, per colpa dell’inquinamento, stavamo per entrare in una glaciazione. La soluzione, ieri come oggi, era una sola: DECRESCITA+TECNOCRAZIA.

L’ammonimento del solito Paul Ehrlich: la sovrappopolazione ci spedirà dritti in un’era glaciale (1971): bisogna decrescere!

1970 – Colder Winters Held Dawn of New Ice Age – Scientists See Ice Age In the Future (The Washington Post, January 11, 1970)
1970 – Is Mankind Manufacturing a New Ice Age for Itself? (L.A. Times, January 15, 1970)
1970 – New Ice Age May Descend On Man (Sumter Daily Item, January 26, 1970)
1970 – Pollution Prospect A Chilling One (Owosso Argus-Press, January 26, 1970)
1970 – Pollution’s 2-way ‘Freeze’ On Society (Middlesboro Daily News, January 28, 1970)
1970 – Cold Facts About Pollution (The Southeast Missourian, January 29, 1970)
1970 – Pollution Could Cause Ice Age, Agency Reports (St. Petersburg Times, March 4, 1970)
1970 – Pollution Called Ice Age Threat (St. Petersburg Times, June 26, 1970)
1970 – Dirt Will .Bring New Ice Age (The Sydney Morning Herald, October 19, 1970)
1971 – Ice Age Refugee Dies Underground (The Montreal Gazette, Febuary 17, 1971)
1971 – U.S. Scientist Sees New Ice Age Coming (The Washington Post, July 9, 1971)
1971 – Ice Age Around the Corner (Chicago Tribune, July 10, 1971)
1971 – New Ice Age Coming – It’s Already Getting Colder (L.A. Times, October 24, 1971)
1971 – Another Ice Age? Pollution Blocking Sunlight (The Day, November 1, 1971)
1971 – Air Pollution Could Bring An Ice Age (Harlan Daily Enterprise, November 4, 1971)
1972 – Air pollution may cause ice age (Free-Lance Star, February 3, 1972)
1972 – Scientist Says New ice Age Coming (The Ledger, February 13, 1972)
1972 – Scientist predicts new ice age (Free-Lance Star, September 11, 1972)
1972 – British expert on Climate Change says Says New Ice Age Creeping Over Northern Hemisphere (Lewiston Evening Journal, September 11, 1972)
1972 – Climate Seen Cooling For Return Of Ice Age (Portsmouth Times, September 11, 1972)
1972 – New Ice Age Slipping Over North (Press-Courier, September 11, 1972)
1972 – Ice Age Begins A New Assault In North (The Age, September 12, 1972)
1972 – Weather To Get Colder (Montreal Gazette, September 12, 1972)
1972 – British climate expert predicts new Ice Age (The Christian Science Monitor, September 23, 1972)
1972 – Scientist Sees Chilling Signs of New Ice Age (L.A. Times, September 24, 1972)
1972 – Science: Another Ice Age? (Time Magazine, November 13, 1972)
1973 – The Ice Age Cometh (The Saturday Review, March 24, 1973)
1973 – Weather-watchers think another ice age may be on the way (The Christian Science Monitor, December 11, 1973)

1974 – New evidence indicates ice age here (Eugene Register-Guard, May 29, 1974)
1974 – Another Ice Age? (Time Magazine, June 24, 1974)
1974 – 2 Scientists Think ‘Little’ Ice Age Near (The Hartford Courant, August 11, 1974)
1974 – Ice Age, worse food crisis seen (The Chicago Tribune, October 30, 1974)
1974 – Believes Pollution Could Bring On Ice Age (Ludington Daily News, December 4, 1974)
1974 – Pollution Could Spur Ice Age, Nasa Says (Beaver Country Times, December 4, 1974)
1974 – Air Pollution May Trigger Ice Age, Scientists Feel (The Telegraph, December 5, 1974)
1974 – More Air Pollution Could Trigger Ice Age Disaster (Daily Sentinel – December 5, 1974)
1974 – Scientists Fear Smog Could Cause Ice Age (Milwaukee Journal, December 5, 1974)
1975 – Climate Changes Called Ominous (The New York Times, January 19, 1975)
1975 – Climate Change: Chilling Possibilities (Science News, March 1, 1975)
1975 – B-r-r-r-r: New Ice Age on way soon? (The Chicago Tribune, March 2, 1975)
1975 – Cooling Trends Arouse Fear That New Ice Age Coming (Eugene Register-Guard, March 2, 1975)
1975 – Is Another Ice Age Due? Arctic Ice Expands In Last Decade (Youngstown Vindicator – March 2, 1975)
1975 – Is Earth Headed For Another Ice Age? (Reading Eagle, March 2, 1975)
1975 – New Ice Age Dawning? Significant Shift In Climate Seen (Times Daily, March 2, 1975)
1975 – There’s Troublesome Weather Ahead (Tri City Herald, March 2, 1975)
1975 – Is Earth Doomed To Live Through Another Ice Age? (The Robesonian, March 3, 1975)
1975 – The Ice Age cometh: the system that controls our climate (The Chicago Tribune, April 13, 1975)
1975 – The Cooling World (Newsweek, April 28, 1975)
1975 – Scientists Ask Why World Climate Is Changing; Major Cooling May Be Ahead (PDF) (The New York Times, May 21, 1975)
1975 – In the Grip of a New Ice Age? (International Wildlife, July-August, 1975)
1975 – Oil Spill Could Cause New Ice Age (Milwaukee Journal, December 11, 1975)
1976 – The Cooling: Has the Next Ice Age Already Begun? [Book] (Lowell Ponte, 1976)
1977 – Blizzard – What Happens if it Doesn’t Stop? [Book] (George Stone, 1977)
1977 – The Weather Conspiracy: The Coming of the New Ice Age [Book] (The Impact Team, 1977)
1976 – Worrisome CIA Report; Even U.S. Farms May be Hit by Cooling Trend (U.S. News & World Report, May 31, 1976)
1977 – The Big Freeze (Time Magazine, January 31, 1977)
1977 – We Will Freeze in the Dark (Capital Cities Communications Documentary, Host: Nancy Dickerson, April 12, 1977)
1978 – The New Ice Age [Book] (Henry Gilfond, 1978)
1978 – Little Ice Age: Severe winters and cool summers ahead (Calgary Herald, January 10, 1978)
1978 – Winters Will Get Colder, ‘we’re Entering Little Ice Age’ (Ellensburg Daily Record, January 10, 1978)
1978 – Geologist Says Winters Getting Colder (Middlesboro Daily News, January 16, 1978)
1978 – It’s Going To Get Colder (Boca Raton News, January 17, 1978)
1978 – Believe new ice age is coming (The Bryan Times, March 31, 1978)
1978 – The Coming Ice Age (In Search Of TV Show, Season 2, Episode 23, Host: Leonard Nimoy, May 1978)
1978 – An Ice Age Is Coming Weather Expert Fears (Milwaukee Sentinel, November 17, 1978)
1979 – A Choice of Catastrophes – The Disasters That Threaten Our World [Book] (Isaac Asimov, 1979)
1979 – Get Ready to Freeze (Spokane Daily Chronicle, October 12, 1979)
1979 – New ice age almost upon us? (The Christian Science Monitor, November 14, 1979)

CIA 1974 National Security Threat: Global Cooling/Excess Arctic Ice Causing Extreme Weather (climatedepot.com)
1974 Shock News: Global Cooling To Kill One Billion People (junkscience.com)
NCAR 1974 : Global Cooling And Extreme Weather Is The New Normal (stevengoddard.wordpress.com)

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Giornali e riviste, ma anche articoli scientifici e monografie:

http://www.masterresource.org/2009/09/the-global-cooling-scare-revisited/

Scienziati che invece stanno facendo il loro dovere e contestano il presunto “consenso” dei nostri giorni:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/06/esperti-di-climatologia-che-contestano-la-versione-ufficiale-del-riscaldamento-globale/

“Questa volta ricorderemo tutto, Professoressa Fornero” (Blicero, La Privata Repubblica)

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È a dir poco sconcertante l’imponderabile casualità della brutalità verso certe categorie di esseri umani che guida le azioni delle molte persone ancora prigioniere di una visione pre-copernicana dell’universo, in cui loro sono al centro di tutto ciò che è vero, buono e giusto. È questa antiquata visione della realtà che permette loro di premere un interruttore e spegnere la coscienza, trasformandoli, a tutti gli effetti, in sociopatici.

Chi invece non riesce a spegnere la coscienza si trova nella scomoda posizione di essere circondato da specchi: gli sfruttati, i perdenti della competizione sociale, gli Untermenschen, sono degli specchi per le loro coscienze e l’immagine riflessa è desolante, a volte repellente. Non è sempre facile far finta di niente. La filantropia è solo un palliativo. La soluzione, molto spesso, è quella di dare la colpa agli specchi, i capri espiatori delle coscienze sporche. È complicato assumersi delle colpe finché non sei costretto a farlo.

Che cosa ci insegna, al riguardo, Elsa Fornero, che gode della stima di Bersani?

Blicero, La nostra cara Fornero, La Privata Repubblica, 1 dicembre 2012

“Eccoci, Professoressa Fornero. Ministro Fornero, a rapporto. Dott.ssa Fornero, iniziamo.

Le origini working class della Fornero. Fornero e l’aspra scalata sociale. Fornero e la scalata sociale ancora possibile, negli anni del miracolo. Fornero e quel lontanissimo 1965. Fornero, allieva di III B all’istituto tecnico Luigi Einaudi, su La Stampa. Fornero, «studentessa brillante» ma «non sgobbona». Fornero, «la prima della classe» nonostante «si limiti a studiare tre ore al giorno e mai di sera». La 17enne Fornero, «costretta a coricarsi molto presto in vista di una sveglia che suona sempre all’alba». La Fornero che abitava a San Carlo Canavese, oltre Ciriè, e raggiungeva Torino col pullman che partiva alle ore 6,30. Il mazzo di fiori regalato dal prof. Allemanno alla Fornero. «Non credo di meritare tutte queste attenzioni», arrossì la Fornero. La Fornero, che magari sotto sotto apprezzava. Rivalsa sociale per Fornero.

Un Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali senza alcuna preparazione, dice il Ministro del Lavoro Fornero. Fornero: «Me lo ha chiesto Mario Monti». La Fornero e la stima imperitura per il Presidente del Consiglio. La Fornero che non può rifiutare – in un momento come questo, poi. La Fornero che obbedisce. Allez Fornero. Fornero e la macroeconomia. Fornero e l’economia del risparmio, della previdenza e dei fondi pensione. Fornero, una vita passata a studiare i «sistemi previdenziali, pubblici e privati, le riforme previdenziali, l’invecchiamento della popolazione, le scelte di pensionamento, il risparmio delle famiglie e le assicurazioni sulla vita». Fornero la «tecnica», già consigliere comunale a Torino dal 1993 al 1998, eletta con una lista a sostegno del sindaco di centrosinistra. Fornero e l’opportunità di applicare la sua scienza alla realtà – finalmente. Fornero e i sacrifici. La Fornero che piange. Le lacrime della Fornero che precipitano dagli occhi incastonati nel reticolato di rughe. La Fornero in mondovisione. Fornero e il ritorno della Politica, quella vera, sentimentale, viscerale. La Fornero che, 46 anni dopo il mazzo  di fiori del prof. Allemanno, in fondo un po’ si è messa a cercarle, queste attenzioni. La Fornero che inizia a non disdegnarle, le attenzioni.

La Fornero nelle stanze del Potere. Primadonna Fornero. La diva Fornero. La Fornero che buca media, video e l’Internet. La Fornero che «si comporta come una star». L’enfant prodige Michele Martone – ipotizzano spifferi maligni di Palazzo – mobbizzato dalla Fornero. Fornero e la battaglia delle pensioni. La Fornero e gli esodati: centomila, no, trecentomila, aspetta, forse si arriva al milione. Fermi tutti, dice Fornero. Professoressa Fornero, guardi che qui nessuno ci capisce più un cazzo. La Fornero allora si scusa, fa ammenda, tutto sommato ridimensiona: «sugli esodati abbiamo sbagliato». «Tutti sbagliamo», aggiunge la Fornero. La Fornero che poi spiega dettagliatamente: «L’errore è stato fatto perché abbiamo dovuto agire in fretta, in 20 giorni, visto che il Paese era sull’orlo di un baratro finanziario». Ma questo, si lamenta stizzita la Fornero, «la gente l’ha già dimenticato». Già, la gente tende a perdere la memoria quando scorge davanti a sé l’orrore di un futuro decimato, Ministro Fornero. La vita è agra quaggiù, Fornero.

Nessuna variabile umana nelle previsioni della Fornero. La Fornero e l’incomprensione. La Fornero che cerca di addentrarsi nel campo minato della comunicazione. Il rapporto complicato tra Fornero e parole. Il tempo delle cattedre è finito, Professoressa Fornero. Il «totem» dell’articolo 18 picconato dalla Fornero. Fornero e il licenziamento per motivi economici. Fornero e l’esenzione per i ticket sanitari ai disoccupati. Un insignificante «refuso», s’affretta a precisare la Fornero. La Fornero e l’articolo 4 della Costituzione della Repubblica italiana. «Il lavoro non è un diritto, deve essere guadagnato, anche attraverso il sacrificio», rivela la Fornero al Wall Street Journal. Fornero e le polemiche. Fornero e l’atteggiamento delle persone che «deve cambiare». Fornero e la rivoluzione culturale. Fornero e la macellazione sociale.

La Fornero e le porte del suo Ministero, «sempre aperte, anche per quelli che protestano». Fornero e il desiderio di essere invitata in piazza. L’implicita provocazione della Fornero. L’invito mai pervenuto alla Fornero. Niente bagno di folla per Fornero. La Fornero che si avvicina alle finestre dell’ufficio, scosta le tende e osserva. I 2 milioni e 870mila disoccupati per strada guardano in alto e cercano di incrociare lo sguardo della Fornero. La Fornero che serra le tende. La Fornero che torna a sedersi dietro la scrivania. Un plico per Fornero: «Disoccupazione giovanile». Il groppo nella gola della Fornero.

La Generazione Perduta™ e la Fornero. Fornero, fine analista: «Giovani e donne sono i più penalizzati perché la via italiana alla flessibilità ha riguardato solo loro, risparmiando i lavoratori più anziani e garantiti». La doppia faccia della Fornero: «Siamo il paese dei “bamboccioni”», diamine; e sarebbe anche ora «di far crescere i nostri ragazzi». I ragazzi son già cresciuti, Ministro Fornero, i ragazzi son diventati grandi: il 36,5% è senza lavoro e 2 milioni 447 mila sono precari. I ragazzi ci sono sfuggiti di mano, Professoressa Fornero. I «nostri» ragazzi, bollati come troppi «choosy» dalla Fornero. «Meglio prendere la prima offerta e poi vedere da dentro e non aspettare il posto ideale», esorta Fornero. Piccolo problema, Ministro Fornero: «dentro» non si riesce più ad entrare. Nuova ondata di polemiche sulla Fornero. La Fornero addirittura querelata. Esplosione di rabbia nei confronti della Fornero. La Fornero e la rivolta dei «choosy». I «choosy» odiano: la Fornero non può riformare.

La Fornero fraintesa. La Fornero contraddetta. La Fornero colpita dal fuoco incrociato della protesta e dagli sberleffi degli opinionisti. Fornero, la donna politica più perseguitata d’Italia. La difesa d’ufficio del Ministro della Salute, Renato Balduzzi: «Fornero ha tutta la mia solidarietà in quanto è oggetto di persecuzione». La Fornero che «affama la gente», secondo un ferroviere fiorentino. Il ferroviere che per protesta decide di saltare il pranzo (una peperonata) e lo regala al Ministro Fornero: «Chissà se si ricorda gli antichi sapori». Le papille gustative della Fornero. Accanimento giornalistico contro la Fornero. «Parlerò molto lentamente perché ogni parola dovrò pensarla, naturalmente farò degli errori, e saranno gli errori a fare i titoli», deplora Fornero in conferenza stampa. Le fughe della Fornero dalle conferenze stampa. La Fornero sommersa dalle malignità. La dignità della Fornero: «Mi dicono maestrina, o anche professorina, sono professore all’Università di Torino». Vendetta sociale per Fornero.

Scorrete lacrime, disse la Fornero. Niente fondi per i malati di Sla, e Fornero che piange ancora, questa volta dentro le mura di Palazzo Chigi. La Fornero e il lutto privato. La Fornero e la disperazione pubblica. I coccodrilli che sguazzano placidi nelle pozzanghere prodotte della Fornero. I dolori della Fornero. «Deve capire com’è difficile la vita di un ministro», svela la Fornero a Salvatore Usala. Salvatore Usala che scruta la Fornero dalla sua carrozzina tecnologica da malato di Sla. L’empatia di Salvatore Usala indirizzata alla Fornero: «Io la capisco». La frase della Fornero e le insinuazioni velenose della stampa. Nessuna smentita da parte del Ministro Fornero. La Fornero e l’esistenza travagliata della Tecnocrazia.

I dogmi della Fornero. La Fornero e la meritocrazia über alles. L’ideologia della Fornero. L’ingegneria dell’austerità e la Fornero. Fornero e il welfare, le fabbriche dismesse, i capannoni in fiamme, le proteste sui tetti, gli operai abbarbicati sulle gru, i passamontagna del Sulcis, gli elicotteri dei ministri, i celerini che caricano selvaggiamente i disoccupati/cassintegrati/licenziati, i posti di lavoro evaporati, la crescita zero, la ripresa, il tunnel, le immolazioni, l’Italia che si uccide, la morte lasciva, l’universo in fibrillazione, l’entropia e tutto il resto. Fornero e l’incertezza del diritto. Fornero e il ribaltamento delle regole. La dott.ssa Fornero che affonda il bisturi nel corpo maciullato dello Statuto dei Lavoratori. La sofferenza della Fornero. Che compito ingrato, Ministro Fornero.

La Fornero & i colleghi tecnici che hanno salvato il Paese – affossandolo. La Fornero che dice a La Stampa: «ora tocca alle imprese». Le imprese allo stremo, le imprese che resistono, le imprese strangolate dal fisco, le imprese che sopravvivono, le imprese che soccombono, le imprese che rispondono alla Fornero: «Noi, più di così, non sappiamo davvero cosa fare». Gli occhi lucidi della Fornero. L’orgoglio latente della Fornero. La Fornero e l’incrollabile convinzione: «Il ministro passa, ma la riforma resterà per un po’». E allora avanti, forza, andiamo a ritagliarci questo posto nella Storia, Ministro Fornero. Anzi, già che ci siamo: proviamo a scriverla insieme questa storia, Professorezza Fornero.

La Fornero e l’implosione dei partiti. La Fornero e l’anno in cui l’Italia tornò a essere credibile. La Fornero e i costi umani della credibilità. Lo spread e la Fornero. La Fornero e l’orlo del burrone. La Fornero e l’autunno caldo. La Fornero e il lungo inverno europeo. Il gorgo della recessione e lo spurgo della Fornero. La Fornero e il prestigio comunitario. La Fornero e la burocrazia bruxelloise. La Fornero e i regolamenti, le direttive, i fondi strutturali, il debito pubblico, i tagli lineari. La Fornero che passerà. I contorni sfumati della Fornero. Il tono compassato della Fornero. La Fornero e il timbro ieratico. I gesti della Fornero. I dolori della Fornero. La Fornero e lo slittamento inesorabile nel ripostiglio della memoria. La Fornero che verrà dimenticata. Paura dell’oblio per Fornero. La Fornero che spera di non essere dimenticata. Non lo sarà, Ministro Fornero – non così facilmente.

Ce lo ricorderemo bene, quest’anno passato con la Fornero. Ce lo ricorderemo a lungo, perché ci è stato scavato sulla pelle. Ce lo ricorderemo, e proveremo a raccontarlo.

Questa volta ricorderemo tutto, Professoressa Fornero”.

http://www.laprivatarepubblica.com/la-nostra-cara-fornero/

I choosy e i gobj – “Se non hanno polenta, che mangino brioches!”

Ogni mattina in Italia, quando sorge il sole, un giovane si sveglia e sa che dovrà essere meno choosy o verrà rampognato dalla maestra.

 

Stay hungry, stay choosy.

 

La brillante carriera della figlia di Elsa Fornero. Due posti fissi nell’università di famiglia

Insegna nell’ateneo dei genitori e guida una fondazione finanziata dalla Sanpaolo, di cui la madre era vicepresidente.

http://www.corriere.it/politica/12_febbraio_07/La-titolare-del-welfare_1369e9e4-5167-11e1-bb26-b734ef1e73a5.shtml

“Elsa Fornero, nostra Maria Antonietta” di Salvatore Cannavò

È facile, ormai, ironizzare sulle presunte gaffes del ministro Fornero. Piena di sé e della propria missione “civilizzatrice”, la responsabile del Welfare non perde occasione per esibire un atteggiamento professorale che sta logorando la sua immagine, oltre che il nostro futuro. Le sue esternazioni sfociano ormai nello psicodramma e diventano occasione di una reazione popolare fatta di rabbia e disorientamento. Ma nel caso dell’ultima, in ordine cronologico, brutta figura, quel “choosy” rivolto ai giovani che cercano lavoro, colpisce non tanto il disprezzo e l’altezzosità quanto la buona fede del ministro.

Perché a Fornero quelle espressioni vengono naturali e rappresentano l’effetto genuino della sua estraneità dalla vita reale. Quali giovani frequenta, infatti, il ministro per parlare così? Dove sono questi giovani così schizzinosi? Tra coloro che, nonostante siano laureati e con un dottorato alle spalle, si “accontentano” di fare i camerieri, di lavorare in un call center, di fare le supplenze nelle scuole private senza contratto? Oppure tra quelli che accettano contratti a tempo determinato che non si determinano mai e aprono partite Iva per svolgere un lavoro dipendente? Nelle aziende in cui si ripetono all’infinito gli stage di formazione che sono prestazioni lavorative a tutti gli effetti? O tra i giovani che fuggono dall’Italia e cercano di farsi una vita all’estero?

I ministri tecnici, in realtà, sembrano guardare alla vita vera dall’alto di un Olimpo immaginario, con la lente dei grafici finanziari oppure con il ricordo delle stanze ovattate in cui hanno passato la propria, agiata, vita. Quella di qualche fondazione bancaria o di polverosi palazzi del centro di Roma, al riparo dalle intemperie, accucciati su un ricco conto corrente o accovacciati su una pensione d’oro. Tante nuove Maria Antonietta in cerca di moderne brioches da lanciare alla malcapitata folla di “schizzinosi”, esodati, precari e lavoratori a sbafo.

La classe dirigente italiana, quella della finanza, dell’alta burocrazia, della tekné, vive una propria vita parallela ma decide beatamente sulle vite degli altri, nascondendosi dietro a un simulacro di democrazia.

[…].

La democrazia che non c’è è il vero nervo scoperto del nostro tempo e la rivoluzione democratica quello che ci manca. In fondo, bisogna dire grazie a frasi come quelle di Elsa Fornero, perché ci aiutano a vedere le cose come stanno. E magari a indignarci davvero.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/23/elsa-fornero-nostra-maria-antonietta/390535/

*****

Maria Antonietta non ha mai detto una frase del genere, però il senso di un certo modo di atteggiarsi nei confronti del mondo era quello. E siamo tornati a quel punto. Ed è per questo che considero inevitabile lo scoppio di una rivoluzione. Se non è ancora successo è solo perché il simulacro di democrazia in cui viviamo ci trattiene: non vogliamo gettare la spugna, crediamo che sia ancora riformabile, che con le persone giuste al posto giusto si può tornare almeno nell’ambito della decenza.

Purtroppo temo che i predoni siano qui per restare, costi quel che costi.

La cosa buona è che sono congenitamente irrazionali: la loro avidità ed estraneità alla vita reale è un handicap insormontabile. Di esternazione insulsa in esternazione esasperante si stanno scavando la fossa da soli ed ogni volta che parlano di democrazia e meritocrazia mettono in risalto la loro appartenenza ad un universo differente ed incompatibile con questo.

Il Nobel per la Pace all’UE: burla atroce o celebrazione della superbia eurocentrica?

Dopo il premio Nobel per la Stabilità…erg…volevo dire per la Pace ai Romani per la pax romana e a Carlo Magno per la pax carolingia, arriva anche il premio Nobel per la Pace all’Unione Europea per:

1. i nuovi record di produzione e vendita di armi nel mondo:

http://it.peacereporter.net/articolo/26355/Armi%3A+record+europeo+di+vendite

2. le guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Serbia:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/14/siamo-quelli-col-cappello-nero-quelli-che-alla-fine-del-film-schiattano-kosovo-nella-nato/

3. e quelle imminenti in Siria, Iran…

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/01/con-favoloso-candore-gli-apprendisti-stregoni-ci-dicono-come-intendono-far-scoppiare-la-guerra/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/05/il-voto-sulla-siria-spacca-lonu-e-contrappone-nato-e-brics-nigeria-e-pakistan/

4. politiche sull’immigrazione che condannano a morte nei mari e nei deserti migliaia di esseri umani, o li concentrano nei campi di internamento:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/28/children-of-men-i-figli-degli-uomini-un-film-preveggente/

5. gli embarghi che uccidono migliaia di persone innocenti e le guerre economiche e commerciali/protezionistiche al Terzo Mondo:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/23/lunione-europea-prima-distrugge-le-economie-del-terzo-mondo-poi-condanna-il-razzismo/

6. l’austerità che condanna alla miseria o all’emigrazione verso le ex colonie milioni di Europei, mettendoli gli uni contro gli altri.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/12/maiali-zingari-cicale-e-formiche-nella-fattoria-degli-animali-europea/

Lo si chieda ai Greci ed agli Spagnoli cosa ne pensano della Pax Europaea:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/07/arbeit-macht-frei-cari-greci-quando-lo-capirete/

7. il sostegno alla NATO e ad Al-Qaeda, note organizzazioni pacifiste internazionali:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/01/al-qaeda-alleata-della-nato-in-siria/

8. la spogliazione della sovranità dei cittadini europei a beneficio dei mercati;

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/02/mercati-mercatini-e-monti-bis/ 

Davvero non c’erano persone più meritevoli?
È un caso che Thorbjørn Jagland, presidente del comitato norvegese che assegna il premio Nobel, sia un militante europeista nonché Segretario Generale del Consiglio d’Europa che già nel 2008 aveva detto di voler vedere una vittoria dell’Unione Europea?

Non hanno forse ragione le organizzazioni pacifiste norvegesi ad aver chiesto le sue dimissioni per il conflitto di interessi e perché l’Unione Europea è colpevole di numerose violazioni dei diritti umani e civili?

E a chi consegneranno il premio? Al viscido, non-eletto Barroso?

Ma dove stiamo finendo?

Abbiamo già raggiunto il fondo ed abbiamo cominciato a scavare oppure il fondo è ancora più in basso?

Umile proposta: il prossimo anno Nobel per l’Economia alla troika per la gestione della crisi dell’eurozona.

Nota Bene: Ai benpensanti che ribattono che l’Unione Europea nulla può se i singoli stati decidono di entrare in guerra per conto loro. Comoda la cosa: ma se è così impotente a quel punto non si vede perché dovrebbe avere un qualche merito nell’aver pacificato il continente. E teniamo presente che è anche possibile che sia stata la riluttanza a distruggersi a vicenda che ha salvato il processo di unificazione europea, non il contrario. L’UE sarebbe l’effetto, non la causa della pace.

Maiali, zingari, cicale e formiche nella fattoria degli animali europea

Se riprendiamo in mano i giornali tedeschi o olandesi della seconda metà degli anni Novanta, quando si dibatteva del diritto di questo o quello Stato di entrare nell’euro, vi troviamo gli stessi stereotipi che corrono di nuovo oggi, sull’onda della crisi partita dalla Grecia: PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna = maiali), Club Med e altre simpatiche definizioni di stampo antropologico. Categorie irrazionali ma potentemente radicate nelle opinioni pubbliche e nelle élite, che illustrano il presunto carattere dei vari popoli, echeggiando le teorie di Schumpeter sulla cultura monetaria come espressione della cultura nazionale. Quindici anni dopo, senza dracma né peseta né lira ma con l’euro in mano, siamo ancora a questo genere di polemica etnomonetaria. Un razzismo soft. Alla faccia dell’ affratellamento europeo che l’euro avrebbe inevitabilmente generato.

Lucio Caracciolo, “L’Europa è finita?”, 2010

Nessuno ha raccontato ai tedeschi che molte delle misure adottate sinora non servivano per salvare i “fannulloni” greci o spagnoli ma per salvare i sistemi bancari tedesco e francese (che detenevano molti titoli di questi paesi, ndr). Molti dei finanziamenti alla Grecia non sono mai arrivati ad Atene, hanno semplicemente fatto un giro da Francoforte a Francoforte.

Giovanni Dosi, economista della Scuola Superiore Sant’Anna e collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz alla Columbia University, 28 luglio 2012

I sondaggi dell’eurobarometro indicano che tra l’autunno del 2009 e la primavera del 2012 la fiducia nelle istituzioni europee è crollata dal 48% al 31%; quella nei governi e parlamenti nazionali è al 28%. È utile rilevare che il presidente meno amato della storia americana, George W. Bush, non è mai sceso sotto il 33% nel livello di fiducia tra i cittadini statunitensi. Nell’Europa del dopoguerra non si è mai registrata una crisi di legittimità così imponente. Solo il 52% dei cittadini europei difende l’euro e il 51% sente che la distanza dai cittadini degli altri paesi dell’Unione Europea sta continuando a crescere, invece di diminuire. È assai probabile che questa crescente distanza sia dovuta ad una serie di errate percezioni delle cause e della natura della crisi dell’eurozona.

Lo scrittore e giornalista austriaco Robert Misik, in un articolo pubblicato dalla Tageszeitung il 12 luglio del 2012 (“A ranghi serrati dietro la cancelliera”) denunciava la litania di stereotipi, luoghi comuni, frasi fatte e scorciatoie logiche che imperversavano sui media di lingua tedesca influenzando pesantemente la comprensione della crisi tra i cittadini di lingua tedesca ed alimentando sfiducia, paura, rancore, risentimento e sentimenti razzisti.

È opportuno fare chiarezza in merito e ristabilire la verità perché non è sulle interpretazioni di comodo che tirano acqua al proprio mulino che si fa buona politica.

Anche gli economisti Massimo D’Angelillo e Leonardo Paggi (cf. “Deutschland, Deutschland …Über Alles”, in “Oltre l’austerità”, 2012) si sono domandati come sia possibile che sui media tedeschi la pretesa lassitudine degli Europei meridionali abbia finito per eclissare le responsabilità dei mercati finanziari nella creazione della bolla e nel convogliamento delle risorse pubbliche degli stati europei verso il salvataggio di banche improvvide? E, non secondariamente, come sia possibile che il tracollo verticale dell’economia greca, la disoccupazione di massa, l’aumento dei suicidi, l’implosione del sistema sanitario nazionale, le centinaia di migliaia di bambini denutriti in un paese con meno di 11 milioni di abitanti, la forte crescita dei neonazisti greci, la redistribuzione concentrativa delle ricchezze greche nelle mani di pochi capitali privati greci e stranieri che hanno lucrato sulle privatizzazioni siano considerati effetti indesiderati ma necessari di misure peraltro giudicate ancora insufficienti?

Uno dei massimi esperti di geopolitica in Italia, Lucio Caracciolo (“La guerra virtuale dell’Eurozona”, Limes 6/11) ha puntato il dito contro gli architetti dell’eurozona, che hanno più o meno consapevolmente indebolito le fondamenta dell’Unione Europea, imponendo una camicia di forza monetaria a nazioni sensibilmente diverse per cultura e storia fiscale, vocazioni e strutture economiche, dinamiche sociali e demografiche, in omaggio ad una peculiare concezione della valuta, cara a Joseph Schumpeter, secondo il quale la moneta esprime quel che un popolo vuole, compie, soffre, è; “la spiritualità della moneta: per noi latini, un concetto avvolto nelle nebbie nibelungiche”, è il commento sardonico di Caracciolo.

Se le cose stessero così, non si capirebbero come mai nel 2000 l’economia tedesca sia stata salvata da un gigantesco bail-out da parte della Banca Centrale Europea, in seguito all’esplosione della bolla speculativa precedente, quella della cosiddetta “New Economy” (cf. Richard Koo, capo-economista dell’Istituto di Ricerca Nomura, la più grande agenzia di consulenza giapponese nel settore IT, intervistato da Joe Weisenthal, Business Insider, 19 giugno 2012).

Inoltre, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha certificato che la Germania e la Grecia hanno ricevuto lo stesso sostegno finanziario nel corso della crisi, almeno fino al 2012:

Nei milioni di parole scritte sulla crisi del debito in Europa, la Germania è in genere presentata come l’adulto responsabile e la Grecia come il figliol prodigo. La prudente Germania, dice la storia, è riluttante a salvare la Grecia scroccona, che ha preso in prestito più di quanto poteva permettersi e ora deve subire le conseguenze. Vi sorprenderebbe sapere che in Europa i contribuenti hanno fornito alla Germania lo stesso sostegno finanziario offerto alla Grecia? Lo suggerisce un esame dei flussi monetari Europei e dei bilanci delle banche centrali (Bloomberg, “Hey, Germany: You Got a Bailout, Too”, 24 maggio 2012).

Nonostante questo, l’ideologia che domina la percezione di questa crisi è che ci sono nazioni spericolate e dissolute e nazioni prudenti ed efficienti, popolate da cittadini rigorosi, puntuali e precisi. La ripetizione di questo mantra è quasi nauseante nella sua monotonia e sorvola sul fatto che le nazioni prudenti sono anche quelle che hanno continuato a prestare soldi alle nazioni imprudenti e che alcune delle loro maggiori banche si sono comportate a dir poco temerariamente e continuano a farlo, come se nulla fosse. Ma ai mercati conviene che faccia presa una nozione di colpa storica, di stampo razziale, un revival della dottrina del Volksgeist e di quella dei malati contagiosi che vanno messi in quarantena. È nella natura del capitalismo creare polarizzazioni che consentano di massimizzare i profitti di una parte a spese delle altre. Diversamente, non potrebbe auto-perpetuarsi e crescere.

Poco importa se questa propaganda, che sarebbe stata inconcepibile fino al 2008, renda impossibile un’ulteriore integrazione europea e metta i popoli gli uni contro gli altri. I media ed i politici euro-americani non si sono lasciati frenare dalle inibizioni del politicamente corretto ed hanno dato fondo alla retorica nordista di una presunta superiorità culturale rispetto al sud, esaltando l’azione salvifica di Germania, Olanda, Danimarca e Finlandia ed invocando la rieducazione dei popoli del sud alla scuola stoica, puritana ed innovatrice del nord (neoliberista, con un deciso voltafaccia rispetto alla tradizione socialdemocratica). Contemporaneamente politici e media del Sud, invece di descrivere la realtà in maniera più obiettiva, non hanno mancato di invitare all’emulazione, anche quando questa sfociava in un discutibile servilismo. Così 130 milioni di sudisti si sono sentiti etichettare come pigri, scialacquatori, corrotti, inefficienti, improduttivi, non sufficientemente ambiziosi ed industriosi, maiali (PIGS, oppure GIPSI, cioè a dire “zingari”) che si affollano intorno alla mangiatoia europea. Il Nord è ragionevole, ligio alle regole, rispettoso della legge, obiettivo, neutrale, disciplinato, attento. Il Sud è irrequieto, insofferente a regole e disciplina, soggettivo, parziale, emotivo, impetuoso. Questo ha creato una massiccia frattura psicologica tra nord e sud, con i sudisti costretti a riesaminare il loro ruolo e status in seno alla famiglia europea.

L’eurozona non è divisa tra formiche nordiche e cicale meridionali. Cicale e formiche si trovano a nord, come a sud. Le formiche hanno lavorato duramente senza sapere che su di loro incombeva una crisi che avrebbe permesso alle cicale di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, mettendo alcune formiche contro le altre ed accumulando ricchezze nei paradisi fiscali. Non è difficile immaginare come mai milioni di Greci onesti, sentendosi accusare dai Tedeschi di essere disonesti, corrotti, dissipatori, imprevidenti, ecc. abbiano finito per riesumare i terribili ricordi dell’occupazione nazista, cadendo nell’altrettanto infelice trappola del più vieto stereotipo anti-tedesco. Invece la fiaba di Esopo aveva il fine di mettere in guardia dai rispettivi eccessi – e relativi risentimenti – sia le formiche sia le cicale. La formica, nella sua inestinguibile smania di accumulazione, non si faceva scrupoli di sottrarre alle altre formiche le loro scorte.

Frédéric Lordon, sociologo ed economista francese, ravvisando la stessa deriva razzista a livello mediatico, ricorda ai lettori di Le Monde Diplomatique (“Au-delà de la Grèce : déficits, dettes et monnaie”, 17 febbraio 2010; “Euro, terminus?”, 24 maggio 2012) che la natura umana è una sola e che il razzismo delle élite non ha nulla da invidiare a quello del “popolino”, stigmatizzato da quegli stessi media che indulgono nelle più funeste e squallide generalizzazioni. Con buona pace delle promesse di abolizione della guerra in Europa e di eterna amicizia tra i popoli europei, sta prendendo piede un “clima ideale per i nemici dell’Europa e per chi alla democrazia liberale e alla società aperta antepone il richiamo delle piccole patrie, delle tecnocrazie autoritarie e dei razzismi” (Lucio Caracciolo, “Euro: una moneta senza Stato”, la Repubblica, 7 maggio 2010).

La “banalità del male” è una cagata pazzesca!

Esiste un consenso, erroneo ed ingiustificato, sul fatto che la tirannia vince perché le persone comuni eseguono gli ordini o continuano comunque a comportarsi come se niente fosse, per amor del quieto vivere. Non si indignano, non reagiscono, non rifiutano. La ricerca storiografica è però andata molto oltre il concetto di “banalità del male” della Arendt. I funzionari nazisti non erano burattini, ma zelanti esecutori di progetti che condividevano e che NON consideravano immorali o malvagi.
Credere che la natura umana sia non solo egoistica (il che può anche essere sostanzialmente vero), ma anche robotica, ossia psicopatica, facilita solo il compito di quegli psicopatici che hanno solo interesse a sociopatizzare la società e la civiltà umana.

Gli esperimenti di Milgram sembravano confortare la visione arendtiana. Zimbardo affinò questa prospettiva, dimostrando sperimentalmente che non è tanto l’ossequio agli ordini che conta, quanto il conformismo: le persone sanno che ci si aspetta da loro un certo comportamento e si conformano alle attese, indipendentemente dagli ordini. Così persone vestite da guardie carcerarie si comporteranno come si aspettano che una guardia carceraria debba comportarsi. In base a questi studi la tirannia è inevitabile, un fatto naturale. Date certe precondizioni la maggioranza delle persone servirà i fini del regime di turno.

Ma la Arendt seguì solo una piccola parte del processo ad Eichmann ed aveva già preconfezionato la sua tesi sulla banalità del male (per un testo preparato PRIMA del processo), senza minimamente considerare la possibilità che il presentarsi come un funzionario banale fosse una strategia difensiva.

Al contrario, i burocrati nazisti erano creativi, immaginativi e mostravano grande iniziativa.

Se si esaminano attentamente gli studi di Milgram e Zimbardo si riscontrano errori interpretativi dovuti alla volontà di dimostrare una conclusione già assunta in partenza. Le registrazioni degli esperimenti indicano che ben pochi sono stati i comportamenti robotici. Molti tra i componenti di quella maggioranza che si conforma alle direttive degli scienziati soffrono, lottano con la propria coscienza, cercano di valutare se il progresso della scienza e della conoscenza umana giustifichi le loro azioni, mentre gli scienziati insistono che è indispensabile. E’ semplicemente incredibile che, oggi, quasi tutti ritengano che sia vero il contrario.

L’umanità testata in laboratorio si raggruppava in tre grandi categorie. Circa un terzo dei partecipanti era pronto a torturare anche fino alla morte. Un altro terzo era indeciso ma troppo sensibile alle sirene del conformismo, del gregariato e della forza. Il restante terzo era formato da Giusti, ossia individui solidali, che potremmo definire “animati”, ossia provvisti di una coscienza universale non irretita da affiliazioni razziali, nazionalistiche, di genere, di culto ed ideologiche varie. Questi ultimi si rifiutavano con determinazione di diventare complici. Inoltre, quando si eliminavano le barriere e il “carnefice” si trovava a diretto contatto con la “vittima”, la percentuale di “strumenti del potere”, scendeva a circa un terzo. Quindi l’empatia può battere il conformismo e l’ottemperanza automatica. Se un altro scienziato dissentiva rispetto a chi dirigeva l’esperimento i “torturatori” si fermavano quasi subito, a dimostrazione che Milgram non aveva misurato il grado di obbedienza ma piuttosto il livello di autorevolezza di cui godevano gli scienziati in genere, che spingeva le persone comuni a ritenere che le loro esitazioni e dubbi erano infondati, visto che l’esperto non li invitava a desistere. Bisognerebbe chiedersi se sia morale la nostra venerazione del progresso scientifico e tecnologico o, per meglio dire, dello scientismo e della tecnocrazia.

Infine i risultati peggiori si sono ottenuti in società più coese e conformiste, mentre all’aumentare del tasso di individualismo si accresceva anche la percentuale di chi si chiamava fuori.

Gli esperimenti di Milgram mostrano che quando sono condotti nei quartieri popolari le persone sono meno remissive. Identificandosi meno con gli sperimentatori, per via della distanza sociale, sentono meno il dovere di collaborare in operazioni che le mettono a disagio o trovano decisamente ripugnanti.  

Quanto a Zimbardo, fu lui stesso a rivolgersi preliminarmente ai partecipanti spiegando nel dettaglio il tipo di situazione che riteneva desiderabile, in pratica invalidando l’esperimento prima ancora di iniziarlo. E’ la più indecente violazione del protocollo che si possa immaginare.

Quel che è degno di nota è che, nonostante tutte le istruzioni ricevute, solo una minoranza si abbandonò a comportamenti brutali. Fu in particolare uno di loro, soprannominato “John Wayne” ad abbandonarsi alla bestialità. Nelle interviste successive, dichiarò che si era sentito anche lui uno sperimentatore ed aveva deciso di inventarsi nuovi metodi per umiliare i prigionieri per vedere fin dove sarebbero arrivati prima di crollare (Zimbardo, 2007). Per di più uno studio ideato per valutare la variabile dell’auto-selezione dei candidati (Carnaghan & McFarland 2007) dimostrò che chi rispose all’annuncio dell’esperimento sulla vita carceraria aveva una personalità marcatamente differente da chi rispose all’annuncio del normale esperimento psicologico. I primi erano più autoritari e severi e guardavano con simpatia all’istituzione carceraria.

La conclusione di Haslam & Reicher (2007) è che le simpatie per le soluzioni autoritarie sono, molto semplicemente, legate al livello di confusione sociale, al rischio di anarchia ed all’abilità del leader di proporsi come la soluzione più adatta. In mancanza di un leader credibile e di un capro espiatorio plausibile, il potenziale di autoritarismo resta inespresso.

Perché molti terroristi islamici sono ingegneri? – tecnocrazia, se la conosci la eviti ;op

La varietà e complessità tra i terroristi sono molto spiccate, come in qualsiasi altro gruppo umano. In genere, sono poche le notizie certe sulle origini dei terroristi e sul loro profilo psicologico. Tranne che molti di loro sono ingegneri.

È questa la sorprendente conclusione di un articolo pubblicato di recente dall’European Journal of Sociology, intitolato «Perché ci sono tanti ingegneri tra gli islamici radicali». Diego Gambetta e Steffen Hertog sottolineano che «tra gli islamici radicali violenti, gli ingegneri sono ampiamente rappresentati, tra le tre e quattro volte di più rispetto ad altri professionisti». Gli autori hanno studiato i precedenti di oltre 400 membri di gruppi violenti di radicali islamici in più di trenta paesi del vicino Oriente e dell’Africa. Gli studiosi confermano i risultati di ricerche precedenti in cui si affermava che i terroristi possiedono generalmente entrate più sostanziose e un’istruzione superiore rispetto alla media degli abitanti del paese, oltre al fatto che il 44% dei violenti era ingegnere o studente d’ingegneria.

Nei paesi di origine degli individui considerati, gli ingegneri scarseggiano: rappresentano appena il 3,5% della popolazione. Tuttavia, nei gruppi terroristici islamici costituiscono quasi la metà del totale. Nel campione analizzato, la seconda area universitaria più diffusa è quella degli studi islamici, seguita da medicina, scienze ed educazione, e ognuna di queste raggiunge tassi molto inferiori rispetto al 44% dell’area “ingegneria”. Inoltre, il 60% dei terroristi islamici nati e cresciuti nei paesi occidentali ha effettuato studi di ingegneria.

Come si spiega questo fenomeno? Gambetta e Hertog analizzano e respingono varie ipotesi, tra cui la possibilità che l’abilità degli ingegneri li porti a essere un bersaglio attraente per chi recluta terroristi, oppure che tutto ciò sia semplicemente un’anomalia della storia. I ricercatori sono giunti alla conclusione che le cause della presenza spropositata di questi professionisti siano dovute alla relazione della cosiddetta “mentalità” degli ingegneri con determinate condizioni socio-economiche prevalenti nei paesi islamici. Secondo questo studio, l’ingegneria attrae individui che preferiscono risposte chiare e modelli mentali che minimizzano l’ambiguità. Nelle università statunitensi, per esempio, la probabilità di essere allo stesso tempo religioso e conservatore è sette volte maggiore nelle scuole di ingegneria che in quelle di scienze sociali.

Gambetta e Hertog dimostrano che vi è una forte affinità tra la struttura mentale degli ingegneri e l’ideologia che promuove le azioni dei terroristi radicali islamici. Questa tendenza interagisce ed è potenziata dal fatto che gli ingegneri – intelligenti e ambiziosi in campo professionale – si scontrano e si radicalizzano nell’affrontare la stagnazione economica, la mancanza di opportunità per i giovani e la repressione politica abituale nei paesi islamici.
Le spiegazioni del fenomeno degli ingegneri terroristi sono controverse. Ciò che non è controverso è il fatto che tra i terroristi islamici vi siano molti ingegneri.

Moisés Naím, “Il terrorista parte per la tangente”, Il Sole 24 Ore, 14 febbraio 2010

Testo dello studio:

http://eprints.lse.ac.uk/29836/1/Why_are_there_so_many_Engineers_among_Islamic_radicals_%28publisher%29.pdf

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