Violenza, nonviolenza e democrazia nella prossima guerra totale in Medio Oriente

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For a New World Order to live well

Quando Israele sarà al centro del più grande conflitto mediorientale della storia (e succederà, perché è il Likud che lo vuole) la gente prenderà posizione per gli uni e contro gli altri. Io tifo per gli uni e per gli altri o, per meglio dire, per tutti quegli israeliani e palestinesi che guardano oltre i tribalismi, i propri orticelli, le proprie paure e rancori.

I pro-Israele dichiarano: “Israele è l’unica democrazia della regione”.
Però:

1. I media israeliani sono quasi esclusivamente ultranazionalisti e il povero Haaretz è sottoposto a una costante campagna di delegittimazione interna. Può essere realmente democratico un paese neoprussiano in cui non esiste di fatto pluralismo nell’informazione?
2. Hamas ha vinto delle elezioni monitorate e ritenute legittime;
3. Nelson Mandela, nel 1961, divenne il comandante dell’ala armata Umkhonto we Sizwe dell’ANC (“Lancia della nazione”, o MK), della quale fu co-fondatore. Coordinò la campagna di sabotaggio contro l’esercito e gli obiettivi del governo ed elaborò piani di una possibile guerriglia per porre fine all’apartheid. Raccolse anche fondi dall’estero per il MK e dispose addestramenti paramilitari, visitando vari governi africani. Nell’agosto del 1962 fu arrestato dalla polizia sudafricana, in seguito a informazioni fornite dalla CIA (wikipedia);
4. Benché la violenza non sia lecita, quando è opposta per autodifesa, o in difesa degli inermi, è un atto di coraggio assai preferibile alla codarda sottomissione. (Gandhi, Harijan, 27 ottobre 1946)
5.  Il messaggio di “Gandhi” [il film di Richard Attenborough] è che il modo migliore di ottenere la libertà è quello di mettersi in fila, senza armi, e marciare verso gli oppressori, permettendo loro di ridurti inerme al suolo a suon di manganello; se resisti sufficientemente a lungo, li metterai in tale imbarazzo da costringerli ad andar via. Tutto ciò è la peggior sciocchezza mai sentita ed è una sciocchezza pericolosa. La nonviolenza fu una strategia scelta da un popolo specifico nei confronti di un oppressore specifico; generalizzare da tutto ciò costituisce un atto sospetto. Che utilità avrebbe avuto la nonviolenza, ad esempio, contro i nazisti? […]. “Gandhi” ci mostra un santo che vinse un impero, ma non è che frutto di invenzione (Salman Rushdie, 1991).
6. Lasciate anche che essi prendano possesso della vostra bella isola e dei vostri numerosi bei palazzi. Darete loro tutto questo, ma non le vostre anime né i vostri cuori. Se quei gentiluomini decidono di occupare le vostre case, vi trasferirete, e se non vi permetteranno di andarvene liberamente, vi farete massacrare tutti, uomini, donne e bambini, ma rifiuterete di dar loro la vostra lealtà (Messaggio di Gandhi agli inglesi,1940)

A me pare che la questione non sia così scontata
http://www.futurables.com/2014/07/21/israele-un-monito-per-lumanita/

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Io desidero fortemente che Israele e la Palestina sopravvivano a quel che verrà e dimostrino nel corso delle prossime generazioni che l’umanità ha tutto quel che occorre per costruire una civiltà diversa, un mondo migliore.
Ci vorranno moltissimi anni, forse più di un secolo, come nel Sudafrica, che è ben lungi dall’aver risolto i suoi problemi. Ma questi popoli vanno assistiti, una volta che le fazioni guerrafondaie e nazionaliste saranno state scacciate dal potere.
Il loro successo è il nostro successo. Queste persone non devono essere morte invano.

La pace, la vita e la nuova guerra di Crimea

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

Dmytro YaroshDmytro Yarosh, il nuovo responsabile della sicurezza e della difesa ucraina

Nel pieno di una crisi internazionale esplosa sul territorio europeo, la Casa Bianca invita la Georgia a entrare nell’Unione Europea e nella NATO ed esorta Mosca a consegnarle Abkhazia (21% della popolazione di etnia georgiana) e Ossezia del Sud (29%), che la stessa Georgia aveva cercato di conquistare

http://archive.is/jvFGJ

al tempo della presidenza Bush, quando Saakashvili prese per buone le parole di John McCain e David Cameron

http://blogs.spectator.co.uk/coffeehouse/2008/08/mccain-and-cameron-close-for-now/

e attaccò la Russia

http://www.ceiig.ch/pdf/IIFFMCG_Volume_I.pdf

nella convinzione di godere del pieno appoggio anglo-americano.

Perché proprio ora? Perché in un momento così delicato, in cui tutto dovrebbe far propendere per il dialogo con i russi, nel tentativo di risolvere felicemente la crisi ucraina e quella siriana, congiuntamente alle trattative sul programma atomico civile iraniano, si sceglie di accendere gli animi e rinfocolare i sospetti? Perché i media occidentali non si allarmano per questa completa assenza di volontà di pace che può trascinarci oltre il bordo del precipizio?

Esaminiamo quel che abbiamo appreso in questi anni.

Sappiamo (Dilip Hiro, “After Empire: The Birth of a Multipolar World”) che negli anni successivi all’11 settembre i governi/regimi di Libia e Siria avevano autorizzato l’approdo delle navi della marina russa nei porti di Bengasi e di Tartus. Gheddafi aveva dichiarato che questa decisione serviva a garantirlo contro le ambizioni del Pentagono, perché la sua partecipazione alla Guerra al Terrore non gli pareva un’assicurazione sufficiente. Bengasi, Tartus, Sebastopoli (Crimea). Forse una coincidenza, o forse no.

Sappiamo che l’Occidente appoggia fermamente la candidatura a sindaco di Mosca dell’oppositore russo Alexei Navalny, un avvocato che nel 2012 ha invocato la riunificazione di Russia, Ucraina e Bielorussia e che ha paragonato gli indipendentisti del Caucaso a degli scarafaggi. Certamente non un uomo di pace.

In Ucraina la rivolta antigovernativa è stata guidata dall’estrema destra ultranazionalista, antisemita, omofoba e russofoba, che ora è arrivata al governo ed è a capo della sicurezza nazionale (!!!). Una serie di attacchi a sinagoghe ed ebrei ucraini hanno spinto il rabbino Menachem Margolin, direttore generale dell’Associazione delle organizzazioni ebraiche in Europa, a chiedere al governo israeliano di proteggere gli ebrei ucraini da eventuali pogrom ad opera della destra giunta al potere.

In Siria il lassismo (e connivenza?) occidentale hanno fatto sì che la guerra civile ora veda ribelli siriani, militanti kurdi e truppe regolari siriane alle prese con migliaia di mercenari fondamentalisti sunniti giunti da tutto il mondo arabo e retribuiti da Arabia Saudita e Qatar.

La NATO, che aveva promesso che in cambio della riunificazione tedesca avrebbe rinunciato ad incorporare l’Est Europa, ha spostato a est i suoi confini fino alla Russia e ora si prepara ad inglobare Georgia e Ucraina. Il dislocamento delle sue batterie missilistiche in prossimità delle basi russe consente allo scudo antimissile “Guerre Stellari” di intercettare eventuali missili balistici intercontinentali russi prima che raggiungano la velocità di crociera. La questione, però, è che questo sistema di difesa sarebbe utile solo in caso di attacco americano e quindi una sua maggiore efficacia data dalla accresciuta vicinanza aumenta di fatto le probabilità che un’amministrazione statunitense aggressiva possa decidere di tentare la sorte.

Quest’aggressività per nulla dissimulata ha persuaso grandi potenze emergenti come la Cina, la Russia, l’India, il Brasile e il Sudafrica a far fronte comune (Kent Calder, “The New Continentalism: Energy and Twenty-First-Century Eurasian Geopolitics”) e, nel contempo, ha prodotto un avvicinamento tra la Russia e l’Ungheria, la Grecia, Cipro, l’Armenia e perfino la Germania (cf. nomina di Gernot Erler).

Non ci è dato sapere come andrà a finire, ma uno scenario che purtroppo non è da escludere è quello di una nuova guerra di Crimea.

http://it.wikipedia.org/wiki/Guerra_di_Crimea

Francia e Regno Unito sono le stesse nazioni che volevano intervenire militarmente in Siria, anche se questo comportava il rischio di un conflitto con la Russia. Al posto del Piemonte questa volta ci sarebbe l’Italia, ma c’è da augurarsi che Renzi non veda in Tony Blair un modello anche per gli “interventi umanitari”.

Se il fine ultimo è davvero quello di scacciare i russi dal Mediterraneo allora, dopo Bengasi (Libia) e Tartus (Siria), potrebbe essere la volta di Sebastopoli.

http://www.juancole.com/2014/02/reason-crimean-war.html

specialmente dopo l’accordo russo-ucraino del dicembre 2013 per un’ulteriore espansione della presenza russa

http://www.eurasianet.org/node/67882

Ormai da anni siamo sull’orlo di un conflitto mondiale. Ci siamo andati vicini nel 2008, quando Israele aveva chiesto il via libera a Bush per un bombardamento. Poi di nuovo in Siria nel 2013. Ora è il momento dell’Ucraina (e della Georgia?).

Se davvero forze influenti vogliono lo scontro sarà praticamente impossibile evitarlo.

L’unico aspetto positivo di tutta questa faccenda è che per i media occidentali è sempre più difficile prendere per i fondelli l’opinione pubblica: quando uno constata che un governo legittimamente eletto è stato abbattuto per sostituirlo con un altro governo che pullula di neofascisti e neoliberisti è difficile che la retorica “libertaria” e “democratica” faccia presa su chi ancora possiede qualcosa di più di un cervello a mezzo servizio.

PACE E VITA NON SONO MAI STATE COSI’ INDISSOLUBILMENTE INTRECCIATE

Mai così vicini alla pace, mai così vicini alla guerra

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46950_733313300031675_192569205_nRingrazio “Lettere Dalla Germania

*L’Iran rilascia detenuti politici, esclude la transizione da nucleare civile a nucleare militare, chiede dialogo costruttivo con l’Occidente ad ogni livello.

http://qn.quotidiano.net/esteri/2013/09/20/952999-siria-iran-mediazione-assad-ribelli-kerry-onu-armi-chimiche-fare-presto.shtml

*Assad chiede ancora una volta – in precedenza l’opposizione si è sempre opposta – un cessate il fuoco, la fine di interventi esterni e un processo politico pacifico e democratico di soluzione del conflitto che coinvolga una forza di interposizione delle Nazioni Unite.

http://www.haaretz.com/news/middle-east/1.547923

Ossia quel che i politici europei più lucidi e in buona fede avevano proposto qualche settimana fa

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/09/01/la-via-maestra-e-sempre-quella-diplomatica-miliband-uk-e-villepin-francia/

*La Russia ha fatto tutte le aperture possibili. Già da tempo (prima di Ginevra I) ha proposto un governo di transizione che porti ad elezioni monitorate internazionalmente e ha salvato la faccia ad Obama rilanciando sul controllo delle armi chimiche e su Ginevra II. Possedeva tutte le informazioni che servivano per smerdare i paesi interventisti (come le hanno questi ultimi), ma ha scelto di non farlo, perché è assolutamente contraria alla guerra e vuole la pace. In questo frangente, Putin merita un grande plauso e un grande grazie.

pace

La situazione in Siria è gravissima. Il massiccio afflusso di jihadisti-alqaedisti (provenienti da carceri pachistane, irachene, libiche e saudite)

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2013/08/03/Interpol-Qaida-dietro-evasioni_9115198.html

http://www.imolaoggi.it/2013/09/13/siria-arabia-saudita-invia-1-300-condannati-a-morte-a-combattere-per-i-ribelli/

che ora costituiscono fino al 50% dei combattenti anti-Assad (studio di una società di consulenza della Difesa statunitense) – con meno di un terzo animato da sentimenti democratici

http://voxnews.info/2013/09/16/siria-maggioranza-ribelli-sono-estremisti-islamici-indottrinamento-nelle-zone-liberate/

http://www.telegraph.co.uk/news/worldnews/middleeast/syria/10311007/Syria-nearly-half-rebel-fighters-are-jihadists-or-hardline-Islamists-says-IHS-Janes-report.html

ha ricompattato i siriani dietro Assad

http://www.worldtribune.com/2013/05/31/nato-data-assad-winning-the-war-for-syrians-hearts-and-minds/

http://www.vietatoparlare.it/worldtribune-secondo-fonti-nato-70-dei-siriani-e-con-assad-il-20-e-neutrale-e-solo-il-10-supporta-i-ribelli/

e ora ci sono scontri tra insorti anti-Assad e jihadisti stranieri per il possesso di città che saranno susseguentemente stalingradizzate (rase al suolo dagli scontri)

http://www.lapresse.it/mondo/asia/siria-jihadisti-prendono-citta-vicino-turchia-dopo-scontri-con-ribelli-1.395935

gli jihadisti rapiscono e massacrano civili alawiti e curdi

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/topnews/2013/07/31/Siria-200-curdi-rapiti-jihadisti_9102891.html

e sono in guerra con i curdi (che per questo si sono schierati con Assad) in tutta l’area

http://mondo.panorama.it/Siria-opposizione-ad-Assad-perde-i-curdi-e-si-indebolisce

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/siria-scontri-i-ribelli-jihadisti-e-curdi-sconfinano-iraq-942509.html

e naturalmente con i cristiani

http://www.internazionale.it/news/siria/2013/09/11/ribelli-jihadisti-minacciano-cristiani-a-maalula/

http://www.oasiscenter.eu/it/articoli/cristiani-nel-mondo-musulmano/2013/09/05/siria-i-timori-del-patriarca-latino-twal-guerra-darebbe-pi%C3%B9-forza-a-mercenari-jihadisti

Solo un’alleanza pan-siriana potrebbe spazzare via questi fanatici-psicopatici e mettere in salvo i civili, che hanno già sofferto abbastanza.

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Forse questa volta Assad sa di trovarsi in una posizione di forza – strategica e politica – e sa anche che gli insorti sono più preoccupati degli jihadisti che dell’esercito regolare. Quindi si aspetta una risposta più costruttiva di: “non sarà con te che negozieremo un cessate il fuoco”.

Non ci possono essere precondizioni per partecipare a dei colloqui di pace. Parlare non ha mai fatto male a nessuno. Si possono mettere paletti e premettere che certe questioni non sono negoziabili, ma non c’è niente di più infame, in questi frangenti, che rifiutare un confronto finché l’altra parte non ha rimosso il suo leader e finché l’Iran pretende di sedersi al tavolo internazionale delle trattative. È un alibi per protrarre la guerra, oppure per continuare a nascondere il fatto che l’opposizione ad Assad non ha una leadership definita e quindi non potrà governare il paese. Non è certo una prova di serietà.

L’opposizione Siriana e gli Stati Uniti devono smettere di porre delle precondizioni per il negoziato. Deve essere la popolazione siriana a decidere le sue sorti, con delle elezioni ed è impensabile che ai negoziati partecipi l’Arabia Saudita, ma non l’Iran.

Non credo che Russia, Iran e Siria farebbero queste mosse se non pensassero che Obama continua ad opporsi a una guerra voluta da Netanyahu.

Obama è in grado di riprendere il controllo della Casa Bianca evitando anche un conflitto “incredibilmente piccolo”, come l’ha comicamente  definito Kerry, per rimarcare come fosse un modo per cavarsi fuori da una trappola e non una vera volontà di belligeranza?

Forse questi sforzi non serviranno a evitare la guerra, o quantomeno il bombardamento missilistico della Siria (e dell’Iran), ma se c’è una cosa che possono ottenere è far pensare il mondo e persuadere miliardi di persone che la guerra non è inevitabile e può essere fermata, perché anche molti potenti – quali che siano le loro intenzioni – sono contrari alla terza guerra mondiale.

Questo è fondamentale: non è solo la gente comune a non volere questa guerra. Su questo possiamo trovare, provvisoriamente, alleati insperati che sanno che la guerra non è nel loro interesse.

QUESTA VOLTA CE LA POSSIAMO FARE, LA PACE PUÒ VINCERE PERCHÉ HA SPONSOR IMPORTANTI

L’Irlanda del Nord sembrava una causa persa, ora è in pace. Le squadre di basket della ex Jugoslavia sono tornate a giocare nella stessa lega dal 2001.

http://it.wikipedia.org/wiki/ABA_Liga

In futuro anche le due Coree saranno in pace: Operai sudcoreani si sono recati oggi in Corea del Nord in concomitanza con la ripresa delle attività nella zona industriale di Kaesong, co-gestita da Seoul e Pyongyang

http://it.reuters.com/article/topNews/idITMIE98F01R20130916

Soldati israeliani ballano con palestinesi sulle note del Gangnam style che, imprevedibilmente, sta diventando un ballo di pace universale

Puniti dai vertici militari, festeggiati da moltissimi israeliani e palestinesi

http://www.huffingtonpost.it/2013/08/30/video-soldati-israeliani-ballano-gagnam-style_n_3842287.html

muslims-protecting-churchesresizeEgitto: musulmani pregano formando catena umane a protezione di chiesa copte

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Chi le guerre le combatte, odia la guerra

http://it.wikipedia.org/wiki/Tregua_di_Natale

LA GENTE COMUNE NON VUOLE MAI LA GUERRA: «È ovvio che la gente non vuole la guerra. Perché mai un povero contadino dovrebbe voler rischiare la pelle in guerra, quando il vantaggio maggiore che può trarne è quello di tornare a casa tutto intero? Certo, la gente comune non vuole la guerra: né in Russia, né in Inghilterra e neanche in Germania. È scontato. Ma, dopo tutto, sono i capi che decidono la politica dei vari Stati e, sia che si tratti di democrazie, di dittature fasciste, di parlamenti o di dittature comuniste, è sempre facile trascinarsi dietro il popolo. Che abbia voce o no, il popolo può essere sempre assoggettato al volere dei potenti. È facile. Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese.»

Hermann Göring

Chi si è adoperato in Irlanda, in Palestina, in Rwanda e in Siria per la pace è un eroe del genere umano. Chi ostacola la pace merita solo disprezzo.

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Ora gli occhi del mondo sono puntati su Israele, la mina vagante, la reale minaccia per la pace su questo pianeta:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/09/05/siria-pressioni-dei-gruppi-pro-israele-su-obama-per-attaccare-damasco/702367/

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/israele_libano_razzi_tensione/notizie/318048.shtml

http://www.ilsussidiario.net/News/Esteri/2013/9/4/SIRIA-Herzog-i-missili-di-israele-sono-per-l-Iran/424212/

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/siria_russia_lancio_oggetti_balistici_mediterraneo/notizie/321547.shtml

http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=86778&typeb=0&Anche-l-Egitto-soffoca-Gaza

http://www.lindro.it/politica/2013-09-20/100417-sabra-e-shatila-la-ferita-sanguina-ancora

Ha già fatto sapere per bocca del suo ambasciatore a Washington che loro volevano la rimozione di Assad anche prima dello scoppio della guerra civile (quelli che hanno giurato e spergiurato che non erano coinvolti nella questioni siriane, coi soliti imbecilli che li prendevano in parola).

http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/1.547538

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/09/13/israele-fortissimamente-vuole-la-guerra-e-anche-la-repubblica/

Tanto per far capire che non intendono tollerare meno che una Siria non soggiogata e non allineata. Le loro preferenze vanno per un’altra Somalia ai loro confini

http://www.counterpunch.org/2012/07/30/israels-plan-for-syria/

La fazione bellicista (neoconservatori angloamericani e sionisti euroamericani e israeliani) non è mai stata così vicina alla sconfitta e dovrà reagire con un terribile colpo di coda: si gioca tutto e cercherà di trascinare tutti nell’abisso assieme a lei: dopo di me il Diluvio, muoia Sansone e tutti i filistei.

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Sentiamo cosa ha da dire a proposito il senatore repubblicano L. Graham:

“Credo che se gestiamo male la Siria, entro sei mesi – e mi può citare su questo”, ha aggiunto Graham, facendo una pausa per ottenere un effetto drammatico – “Ci sarà una guerra tra Iran e Israele sul loro programma nucleare. Ma la cosa non si risolverebbe lì. Senza dubbio”, ha spiegato minacciosamente, “gli iraniani condividerebbero la propria tecnologia nucleare con i nemici degli Stati Uniti. Il mio timore è che essa non arriverà in America sulla testata di un missile, ma nel ventre di una nave a Charleston o nel porto di New York”.

http://www.usnews.com/news/articles/2013/09/05/grahams-hawkish-posture-confronts-war-weary-voters-in-south-carolina

Abbastanza incredibile, no? Sembra di essere in un episodio dei Soprano. Eppure non è fiction.

SopranoHIT

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L’Italia dovrebbe porsi come interlocutore super partes, e spingere per una soluzione politico-diplomatica. L’Italia ha sempre avuto la vocazione di mediatore tra Terzo Mondo e Primo Mondo, tra Mediterraneo e Nord Europea, tra Est e Ovest: non può continuare a negare la sua natura, la sua missione.
La NATO non ha il diritto di stabilire quale sia l’interesse e il futuro del nostro paese e del mondo e l’Italia non può suicidarsi per far contenta la Prussia mediorientale e i suoi sponsor d’oltreoceano.

Fedro, il crollo della Torre e l’alleanza (tattica) Obama-Putin – una storia semplice

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legendes-mythes-initiation-origine-yi-jing-tarot-maison-dieuhttp://it.wikipedia.org/wiki/La_Torre_%28tarocchi%29

[a dire il vero la Torre di Babele, odiata da Geova, era probabilmente un’ottima iniziativa umana]
http://www.harmonia-mundi.it/arcani/la_torre.php

Signore e signori, la parola “segretezza” è ripugnante in una società libera e aperta e noi, come popolo, ci siamo opposti, intrinsecamente e storicamente, alle società segrete, ai giuramenti segreti e alle riunioni segrete. Siamo di fronte, in tutto il mondo, ad una cospirazione monolitica e spietata, basata soprattutto su mezzi segreti per espandere la sua sfera d’influenza, sull’infiltrazione anziché sull’invasione, sulla sovversione anziché sulle elezioni, sull’intimidazione anziché sulla libera scelta. È un sistema che ha reclutato ampie risorse umane e materiali nella costruzione di una macchina affiatata, altamente efficiente, che combina operazioni militari, diplomatiche, di intelligence, economiche, scientifiche e politiche. Le sue azioni non vengono diffuse, ma tenute segrete. I suoi errori non vengono messi in evidenza, ma vengono nascosti. I suoi dissidenti non sono elogiati, ma ridotti al silenzio. Nessuna spesa viene contestata. Nessun segreto viene rivelato. Ecco perché il legislatore ateniese Solone decretò che evitare le controversie fosse un crimine per ogni cittadino. Sto chiedendo il vostro aiuto nel difficilissimo compito di informare e allertare il popolo americano. Sono convinto che con il vostro aiuto l’uomo diventerà ciò che per cui è nato: un essere libero e indipendente.

John F. Kennedy, hotel Waldorf-Astoria di New York, il 27 aprile 1961
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/27/presidenti-americani-schiettamente-complottisti/

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John Forbes Kerry, membro della società segreta Skull & Bones

Se Barack Obama deciderà di attaccare il regime siriano, questa sarà la prima volta nella storia che gli Stati Uniti combatteranno dalla stessa parte di al-Qa’ida.
Robert Fisk, the Independent – più che altro “ufficializza” l’alleanza, già testata in Libia, al tempo dei mujaheddin anti-sovietici [Operation Cyclone] e l’11 settembre

I paesi occidentali si stanno comportando nel mondo islamico come una scimmia che gioca con le granate

Dmitry Rogozin

Ai più pericolosi regimi al mondo non deve essere permesso di possedere le armi più pericolose del mondo. Il nostro dito deve essere pronto a scattare. È un dito responsabile e, se necessario, sarà anche sul grilletto.

Benjamin Netanyahu (in un classico caso di proiezione)

Niente guerra, solo interventi mirati.

David Cameron

Puniremo gli autori delle stragi.

Fraçois Hollande

Offesa l’umanità.

John Forbes Kerry

È possibile aggirare il veto di Russia e Cina.

Laurent Fabius

Non hanno dato il loro consenso all’attacco o lo condannano: Germania, Austria, Italia, Spagna, Giordania, l’America Latina, Ban Ki Moon, il 74% dell’opinione pubblica britannica, il 63% di quella tedesca, il 59% di quella francese, il 60% di quella statunitense, fino a 70 parlamentari conservatori inglesi, ecc.

Come potete notare, in questa cartina interattiva non c’è l’opzione “nazioni favorevoli all’attacco”, perché si contano sulle dita di un mano
http://www.theguardian.com/news/datablog/interactive/2013/aug/28/syria-interactive-map-stances

locandina

La rassegna stampa del mattino è disarmante. I quotidiani italiani, in genere, presentano la vicenda siriana come se fosse il copione di un film hollywoodiano, oppure la trama di “una storia semplice”

“Questo è un caso semplice, sottolinea sbrigativamente il Questore, invitando il brigadiere a fare subito rapporto sull’accaduto”

http://it.wikipedia.org/wiki/Una_storia_semplice_%28film%29

Altrove le cose non vanno molto meglio.
Nel Regno Unito sono i comici (comici estremamente colti ed eloquenti come Russell Brand) ad avanzare i loro dubbi e proporre della alternativa:

Una storia semplice, come tutte le storie che ci hanno raccontato finora: c’è un dittatore, un popolo oppresso che si ribella, la cavalleria occidentale che arriva in soccorso degli innocenti, il lieto fine. Migliaia di blockbuster sono serviti a farci credere che il mondo sia puerilmente semplice. E tanta gente ci crede, forse ci crede persino il giornalista di RAINEWS24 che confonde l’ONU con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU e si sforza di convincere se stesso e il suo pubblico che le cose stanno davvero così: male > bene > violenza giustificata > prezzo da pagare/fine giustifica i mezzi > lieto fine.

Una storia semplice, appunto.

O forse no.

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Un attacco alla Siria, anche “semplicemente” e “chirurgicamente” missilistico, corre il rischio di comportare la perdita di diverse navi, ossia di centinaia di marinai (centinaia di bare che rientrano in patria), e una grave escalation, specialmente perché qualcuno (Israele) la desidera fortemente. La suddetta escalation comprometterebbe la logistica in Afghanistan e in Libano – leggi: contingenti italiani assediati in Asia -, causerebbe la morte di migliaia di civili, il caos in Libano e probabilmente anche in Giordania e in Egitto (il golpe serviva forse a neutralizzare preventivamente questo scenario?). Come mai i giornalisti italiani non spiegano ai miei concittadini cosa significherebbe l’interruzione del traffico nel Canale di Suez (o quella delle forniture energetiche russe in un inverno che sarà lungo e freddo anche più del precedente).

Una storia semplice.

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Quel che è più disarmante è che non è pensabile che un così gran numero di giornalisti, intellettuali e accademici sia corrotto. Uno dei problemi più gravi del nostro tempo è il tradimento degli esperti, la loro pigrizia, codardia, incapacità di mettere in discussione i paradigmi dominanti, la loro infantilizzazione. Queste persone, che hanno avuto il privilegio di ricevere un’educazione superiore alla norma, ne fanno un pessimo uso, per amore del quieto vivere. Così facendo, perpetuano miti che incatenano le persone comuni e le guidano verso la catastrofe collettiva. Hanno chiuso la mente alla sapienza, hanno abbracciato l’ignoranza, il dogmatismo e la servitù volontaria, Hanno cessato di essere una fonte di ispirazione, di cambiamento, di miglioramento, di rigenerazione, di riscatto. Hanno tradito le loro coscienze prima ancora di tradire noi e la democrazia. 

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Le due precedenti guerre mondiali sono scoppiate in estate. In entrambi i casi chi le ha iniziate pensava che la cosa si sarebbe risolta in fretta.

I neocon/sionisti vogliono l’impeachment di Obama, Obama [“no, non ho nessuna intenzione di attaccare l’Iran, meglio la diplomazia”] cerca di infinocchiarli, credo con l’aiuto di Putin [“La Russia è il nemico numero uno dell’America”, parola di neocon Mitt Romney], dato che entrambi hanno mille valide ragioni per evitare una scontro diretto. Le esitazioni di Obama molto probabilmente dipendono dal fatto che deve trovare il modo per compiacere Israele senza far precipitare la situazione. Debka (servizio di informazioni dell’intelligence israeliana, lo accusa proprio di questo, e credo abbia ragione – naturalmente questo significa anche che gli Israeliani non si faranno menare per il naso: altro false flag in arrivo)
Necon e neodem finiranno come queste due aquile americane (precipitate dopo essere rimaste impigliate l’una all’altra nel loro duello):


Fighting Eagles

[Pd e Pdl?]

ennesimo monito – aquila simbolo dell’America si schianta contro una vetrata mentre la gente celebra gli Stati Uniti gridando USA, USA, USA!

I poveri mentecatti neoconsionisti si comportano come il lupo con l’agnello (un agnello feroce, peraltro) nella favola di Fedro.

Hanno cercato in tutti i modi di far cadere Assad e istituire un governo fantoccio, ma i ribelli e i mercenari salafiti (gli stessi che uccidono gli oppositori comunisti in Tunisia e che sono schierati contro Morsi in Egitto) sono riusciti solo ad alienarsi i favori della popolazione siriana e gli analisti hanno previsto la loro sconfitta entro la fine dell’anno: l’investimento occidentale e saudita-qatarino sta andando in fumo. Come quello di Israele, la cui intelligence è stata cruciale per creare il casus belli contro la Siria

http://www.timesofisrael.com/israeli-intelligence-seen-as-central-to-us-case-against-syria/

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Ora Israele e Arabia Saudita hanno perso la pazienza: «Hai sparlato di me, sei mesi fa». L’agnello rispose: «In verità non ero nato». «Tuo padre in verità, quello aveva sparlato di me». E così afferra l’agnello e lo sbrana

http://spazioinwind.libero.it/labandadeisei/fedro/fedrofav.htm

USA, Francia e UK non vogliono certo essere coinvolti in una guerra con la Russia. Si limiteranno a qualche “attacco chirurgico”, della durata di poche ore, giusto per inviare un messaggio a Netanyahu e ad Assad, e ammorbidire quest’ultimo in vista dei “colloqui di pace” di Ginevra. Pensano di poter negoziare da una posizione di forza, mentre ora i ribelli sono talmente sulla difensiva che qualunque loro pretesa scatenerebbe l’ilarità generale.

La misura della scempiaggine neocon (es. Lee Kaplan, nel dibattito contro Webster G. Tarpley) è testimoniata dal fatto che partono dalla premessa che queste loro azioni siano “contenibili”, che la risposta sarà insignificante, che non c’è alcuna possibilità di un’escalation, che la Russia non interverrà mai (pensavano lo stesso al tempo del conflitto georgiano – non riescono a capire che una superpotenza umiliata è poco propensa ai giochetti e non può permettersi altre mortificazioni). Ma se le azioni belliche dureranno più di 48 ore non c’è alcuna certezza che Iran e Hezbollah resteranno a guardare e forse è proprio quello che si augura Israele. Inoltre non è da escludere che un missile Yakhont colpisca una nave occidentale: cosa succederà, in quel caso?

“Intervento limitato”…Lo dovevano essere TUTTI gli interventi americani del passato, incluso il blitz di Panama 1989 (migliaia di morti). Le guerre “umanitarie” degli USA e della NATO hanno causato centinaia di migliaia di morti e gettato nel caos decine di paesi.

Tutti sanno che NON sarà un conflitto rapido e a bassa intensità e non lo nascondono:

http://rampini.blogautore.repubblica.it/2013/08/27/liran-e-la-vera-chiave-dellintervento-usa-in-siria/

Da metà ottobre in poi gli Stati Uniti potrebbero non riuscire a pagare neppure gli stipendi dei soldati e francesi ed inglesi non sono messi molto meglio. Chi pagherà i costi di una missione che farà impallidire quelli dell’Iraq (quasi 12 miliardi di dollari al mese)?

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Quando si parla dell’11 settembre, è importante tenere a mente che non ci sono stati “terroristi”, né “dirottatori”. Non c’è stato nessun vero e proprio attacco. È stato un golpe, né più né meno di quello egiziano, ma senza i tank nelle strade:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/22/perche-una-maggioranza-di-persone-nel-mondo-non-crede-alla-versione-ufficiale-dell11-settembre/

La parte sana e autenticamente patriottica (quella che ragiona con la sua testa, pensa al bene comune e non si fa fregare dalla propaganda) di quella grande nazione che sono gli Stati Uniti – che personalmente mi auguro riescano a estirpare il cancro al loro interno prima che li uccida – ci ha messo un po’ a rendersene conto e a capire cosa sia avvenuto in America tra l’operazione Paperclip (et similia), l’assassinio dei due Kennedy e l’11 settembre. Ci ha anche messo un po’ a capire la profondità, pervasività e pericolosità delle trame neocon-sioniste, la penetrazione nei gangli dello stato americano dell’intelligence israeliana. Israele non è più uno stato degli e per gli ebrei: è stato infiltrato ed è ora una lobby (per certi/molti versi neonazista) che sfrutta l’Olocausto, il giudaismo e il sionismo per perseguire fini che saranno fatali per centinaia di milioni di ebrei e arabi (e non solo). L’ultima tappa della guerra al terrore e agli stati canaglia sarà un secondo olocausto, molto probabilmente inevitabile:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/verso-un-secondo-olocausto.html

Dico inevitabile perché anche se la grossolanità dei recenti false flag che devono portare alla guerra con l’Iran [come illustrato nei piani generali] indica che gli ingranaggi non sono più ben oliati e che ci sono forze, in America, che hanno capito che la zavorra li sta portando a fondo, Israele resta solo una pedina di un gioco più grande.

Il suo fato sarà segnato dal risveglio globale delle coscienze, ad ogni livello, che è già in corso da tempo, come testimoniato dai sondaggi e dai risultati delle elezioni, abbondantemente contrari alle ingerenze in Siria, alle schermaglie con l’Iran, al neoliberismo, all’austerità, alle riforme costituzionali in senso autoritario, alla sorveglianza capillare dei cittadini, al patetico baraccone circense del cambiamento climatico causato dall’uomo (Anthropogenic Global Warming), ecc.

A misura che le masse si avvedono che la realtà in cui hanno creduto era fittizia, le oligarchie globali si sentono sempre più minacciate e cercano disperatamente di tappare ogni falla e prevenire ogni crepa, con sempre minor successo. Il che ci fa capire che:

a. ci troviamo nelle fasi iniziali di una rivoluzione mondiale (che sarebbe davvero tanto bello se potesse essere nonviolenta – la violenza dovrebbe essere solo una misura difensiva);

b. nel prossimo futuro le costituzioni saranno, speriamo solo temporaneamente, sospese dalle forze controrivoluzionarie (es. Egitto);

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/08/21/la-tragedia-egiziana-quella-europea-quella-globale-confessioni-di-un-sicario-della-democrazia-e-delleconomia/

Internet e la mistica di Kubin, Russell, Hadot e Grünewald

Quanto segue sarebbe tecnicamente spiegabile all’interno di un nuovo paradigma scientifico: quello dell’universo elettrico.

Alfred Kubin, “L’Altra Parte” (1909):

“Acquistai una capacità sorprendente di meraviglia. Ogni oggetto, avulso dal rapporto con le altre cose, assumeva un significato nuovo. Il fatto che un qualsiasi corpo arrivasse a me dall’eternità, mi faceva rabbrividire. Il fatto che una cosa fosse proprio così, e non altrimenti, mi riempiva di stupore. Un giorno, davanti a una conchiglia, mi resi conto con la massima chiarezza che il suo modo di esistere non era così sordo come avevo pensato fino a quel momento. E presto mi accadde lo stesso per tutto, per il mondo intero. All’inizio le sensazioni più intense mi venivan prima di addormentarmi o subito dopo il risveglio, quando cioè il corpo era stanco e la vita, in me, si trovava in uno stato crepuscolare. Un mondo, non sempre vivente, doveva essere di continuo ricreato, e sempre nuovo.

Sentivo vieppiù il legame comune che c’era in tutte le cose. I colori, gli odori, i suoni e i sapori erano per me intercambiabili. E allora compresi: il mondo è forza d’immaginazione, immaginazione-forza. Dovunque andassi e qualsiasi cosa facessi, mi sforzavo di intensificare le mie gioie e i miei dolori, e in segreto ridevo di entrambi. Infatti sapevo ormai con certezza che il su e giù del pendolo rappresenta un equilibrio e che proprio nell’oscillazione più ampia e violenta esso può più chiaramente essere percepito.

Una certa volta vedevo il mondo come un tappeto di colori meravigliosi, coi contrasti più sorprendenti tutti composti in un’armonia; un’altra volta abbracciavo con lo sguardo un’incommensurabile filigrana di forme…

Mi sentivo astratto, come un punto di equilibro precario in un sistema di forze. …

Adesso ero tra i primi a ridere in mezzo a quelle farse grandiose, pur senza smettere di tremare insieme coi tormentati. In me c’era un tribunale che osservava ogni cosa, e sapevo ormai che in fondo non succedeva proprio niente…

Constatai con spavento che il mio io era composto di innumerevoli “io”, ognuno dei quali era sempre in agguato dietro l’altro. Ciascuno mi appariva sempre più grande e misterioso, mentre gli ultimi si perdevano nell’ombra, quando tentavo di comprenderli. Ognuno di essi aveva le sue idee particolari. Così, ad esempio, dal punto di vista della vita organica la concezione della morte come fine era giusta, mentre a un livello più alto della conoscenza l’uomo non esisteva affatto, quindi nulla poteva finire…”.

Pierre Hadot , La filosofia come modo di vivere“, 2001

“Ho sempre considerato la filosofia come una trasformazione della percezione del mondo…Successe una volta nella rue Ruinart, lungo il tragitto tra il Seminario minore e la casa dei miei genitori, dove rientravo tutte le sere, essendo allievo esterno. Era calata la notte e le stelle brillavano in un cielo immenso. A quell’epoca si poteva ancora vederle. Un’altra volta accadde in una stanza di casa nostra. In entrambi i casi fui invaso da un’angoscia insieme terrificante e soave, provocata dal sentimento della presenza del mondo, o del tutto, e di me in questo mondo. In realtà ero incapace di esprimere la mia esperienza, ma in seguito sentii che poteva corrispondere a domande come: “Chi sono?” “Perché sono qui?” Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci. Nello stesso tempo percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d’erba alle stelle. Il mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa impressione di appartenenza al Tutto, era ciò che Roman Rolland ha chiamato il “sentimento oceanico”. Credo di essere filosofo a partire da quel momento, se per filosofia si intende la coscienza dell’esistenza, dell’essere al mondo. Da allora ho cominciato a percepire il mondo in modo nuovo. Il cielo, le nuvole, le stelle, “le sere del mondo”, come dicevo a me stesso, mi affascinavano. Sporgendomi dalla finestra a testa in su, guardavo il cielo notturno, con l’impressione di immergermi nell’immensità stellata. Questa esperienza ha dominato la mia vita”. 

Bertrand Russell, nell’esperire empaticamente la sofferenza della moglie del collega Alfred North Whitehead (Russell, 1967):

“Sembrava tagliata fuori da tutto e da tutti da muri di agonia ed improvvisamente fui sopraffatto dal senso di solitudine di ogni anima umana. Da quanto mi ero sposato la mia vita emotiva era stata calma e superficiale. Mi ero scordato di tutte queste questioni più profonde, accontentandomi di frivole arguzie. All’improvviso mi sentii mancare il terreno sotto i piedi e mi trovai altrove…Al termine di quei cinque minuti ero diventato una persona completamente differente. Per un momento, una sorta di illuminazione mistica s’impadronì di me. Sentivo di conoscere i pensieri più intimi di tutte le persone che incontrato per strada ed anche se questo era indubbiamente un’illusione, mi trovai effettivamente a più stretto contatto con tutti i miei amici e molte delle mie conoscenze. Da imperialista, in quei cinque minuti, divenni un sostenitore dei Boeri ed un pacifista. Dopo aver passato lunghi anni interessandomi solo alla precisione ed all’analisi, mi ritrovai inondato di sensazioni semi-mistiche riguardanti la bellezza, con un intenso interesse per i bambini, e con un desiderio quasi altrettanto profondo di quello del Buddha di trovare una quale filosofia che rendesse tollerabile la vita umana. Fui preda di una strana eccitazione che conteneva in sé un dolore intenso ma anche degli elementi di trionfo per via del fatto che riuscivo a dominare la sofferenza, trasformandola, così credevo, in un cammino di sapienza. Da allora l’intuizione mistica che immaginavo di possedere si è annebbiata e l’abitudine all’analisi si è riaffermata. Ma qualcosa di quel che ho pensato di vedere in quel momento mi è restato dentro, motivando il mio atteggiamento nei confronti della prima guerra mondiale, il mio interesse per i bambini, la mia indifferenza per i piccoli inconvenienti ed un certo tono emotivo in tutte le mie relazioni umane”.

Philippe Daverio, “Il Cristo cosmico di Grünewald”, Avvenire 7 dicembre 2011

«Il posto sembrò essere sconquassato da un terremoto e i demoni, quasi abbattessero le quattro mura del ricovero, sembravano penetrare attraverso esse in forma di bestie e di cose striscianti…».

Così Atanasio di Alessandria raccontava delle battaglie con il demonio affrontato dal suo amico sant’Antonio abate. Oltre mille anni dopo, Grünewald racconta la stessa storia nel retro dell’altare di Isenheim, il quale nella sua complessità pittorica sarebbe come la Cappella Sistina dell’Europa del Nord, anzi di quella cultura della riva sinistra del Reno dove follie e fantasmi si sposano in un immaginario che dura fino ai giorni nostri.

Nell’anta di sinistra sant’Antonio parla con un eremita, san Paolo, in un paesaggio impervio dove la palma è così come se la può immaginare un tedesco che non ha mai visto il sud, ma dove il cerbiatto è simbolo di un’atmosfera pacata. In quella di destra la casa è diroccata dal terremoto e i diavoli ci ballano sopra; il santo viene trascinato dai demoni tra animali, uccellacci, strane chimere dal corpo di armadillo, teste da ippopotamo, improbabili cornuti con dentoni, che nell’immaginario tardomedioevale non sono affatto mostri inesistenti, ma solo ancora non incontrati, mentre in basso a sinistra l’orribile nanerottolo coperto di pustole, vestito da Medioevo mentre a Roma ci si veste già da Rinascimento, è invece essere sicuramente incontrato fra guerre e pestilenze, o probabilmente già visto nei dipinti del vicino di casa Hieronymus Bosch.

Il Cristo è morto, e così morto da sembrare afflitto dalle pustole della sifilide appena introdotta in Europa e che Dürer aveva rappresentato in una sua precedente piccola incisione. Il Battista lo indica con un gesto che più pedagogico di così non si può, la Madre è svenuta nelle braccia di Giovanni e il suo hanchement gotico si trasforma in un passo di tango. Il tutto si muove nella compassione. E il realismo è portato all’estremo del realismo con la catena di ferro alla quale è appeso un pezzo di tavola sulla quale è attaccato il cartiglio INRI, ovviamente in gotico.

La croce stessa nega tutte le croci preesistenti e la si ritrova analoga solo in Antonello e nei suoi amici fiamminghi. L’agnello mistico sotto è quello con il quale nacque la pittura a olio quando quasi un secolo prima i fratelli van Eyck lo dipinsero per la cattedrale di Gand. Sulla destra il pannello raffigura sant’Antonio abate col diavolo che spacca i vetrini della finestra per entrare. Non è l’unico diavolo presente. Quanti, quelli della tentazione delle predelle posteriori, dove i diavoli sono già quelli che Max Ernst porterà nella pittura surrealista. Goticissimo il pensiero, anche per un certo verso arretrati gli strumenti musicali rispetto a quelli che nei medesimi anni dipinge Raffaello.

Ma l’opera completa è una dichiarazione di fede, e mentre la sua contemporanea Cappella Sistina era destinata stabile alla gloria dei ricevimenti papali, questa è destinata all’istruzione del popolo che si ritrovava presso i monaci antoniani, dove la pala veniva articolata secondo i momenti liturgici. E forse per questo motivo il diavolo è onnipresente e viene cacciato solo dalla risurrezione d’un Cristo ciclamino, mentre il diavolo nel Rinascimento italiano quasi scompare, per sopravvivere solo nel Giudizio finale. Siamo attorno al 1515 e fra poco Martin Lutero affiggerà le sue proposte sulla porta della chiesa di Wittenberg.
Ma l’Europa, stilisticamente, era già divisa. Ben di più ancora testimonia la pala conclusiva di Isenheim. La stesura di Grünewald, all’apparenza visionaria, si fa spiegabile solo se rapportata ad alcune concezioni teologiche del XX secolo. In uno spazio da fantascienza fra i massi tellurici che volano appare la Teofania del Cristo Cosmico: il suo corpo risorto è racchiuso nell’Omega che è punto conclusivo della storia dei secoli. Il bordo della sfera lascia vibrare la nuova dimensione mistica dove s’incontrano, come prospetta la teologia dello scienziato gesuita Pierre Teilhard de Chardin, le energie sommate della noosfera, la terza sfera dopo la geosfera e la biosfera, essendo questa il luogo dell’incontro delle menti.

Teilhard de Chardin, partendo da studi di geologia e di evoluzionismo, ipotizzava una evoluzione delle specie che, dall’Alpha della creazione e dell’insorgere della vita, avrebbe portato la specie più complessa, quella umana, al punto Omega d’incontro con il divino. Fu egli apprezzato con sospetto dai suoi superiori e mandato a studiare sassi nel Tibet da dove passò a New York e lì morì nel 1955. Il suo pensiero sottile fu recuperato dalla mente sottile di Paolo VI.

E certo, ora che l’intelligenza umana è costantemente collegata in una rete perenne dove le informazioni generano una dimensione inaspettata, tornano legittime due letture diverse del caso: una laica, a tutti nota, e una mistica, intuita visivamente da Grünewald, nella quale una pellicola sta per avvolgere il cosmo ormai definitivamente interconnesso grazie all’evoluzione del pensiero umano che s’incontra con il permanere del divino per il completamento dei tempi.

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/la-paura-della-morte-non-dovrebbe.html

La perniciosa influenza planetaria delle fondazioni e think tank degli Stati Uniti

 

Le fondazioni…esercitano un’influenza corrosiva sulla società democratica; rappresentano concentrazioni di potere e ricchezza relativamente incontrollate e che non devono rispondere delle proprie azioni, che comprano i talenti, promuovono cause e, di fatto, determinano che cosa meriti l’attenzione della società…un sistema che…ha operato a svantaggio degli interessi delle minoranze, dei lavoratori e dei popoli del Terzo Mondo

Robert F. Arnove, “Philanthropy and Cultural Imperialism. The Foundations at Home and Abroad”.

Un enorme potere, senza paragoni è concentrato nelle mani di un gruppo di persone, perfettamente coordinato e con la tendenza a perpetuare se stesso. Diversamente dal potere nelle aziende, non è controllato dagli azionisti; diversamente dal potere del governo, non è sottoposto al controllo popolare; diversamente dal potere nelle chiese, non è controllato da alcun canone consolidato di valori.

Conclusioni di un’indagine conoscitiva sulle fondazioni statunitensi effettuata da un comitato del Congresso americano nel 1952

Non ci si dovrebbe aspettare che ingenti patrimoni privati siano donati in maniera tale da innescare nella società redistribuzioni delle ricchezze e trasformazioni politiche.

Ruth Crocker, in“Charity, Philanthropy, and Civility in American History”

Il miglior programma in assoluto di educazione alla democrazia si chiama “Esercito degli Stati Uniti”

Michael Ledeen, American Enterprise Institute for Public Policy Research (AEI), collaboratore di Matteo Renzi

 

I think tank, pensatoi che dovrebbero partorire soluzioni per i grandi problemi di una comunità, sono armi a doppio taglio, perché danno alla luce idee e simboli, che sono il cibo della mente umana, ma anche la sua droga ed il suo veleno. Come le api sono nate per fare il miele ed i castori per costruire dighe, gli esseri umani sono nati per trasmutare simbolicamente tutto ciò che li circonda. Sono fatti per attingere al sublime, ma anche per cadere nella trappola dei miti politicizzati (Fait/Fattor 2010).

La ragion d’essere delle principali fondazioni e think tank (pensatoi, gruppi di riflessione ed approfondimento, reti di esperti) è quella di migliorare il mondo in accordo con le preferenze di chi le crea e le finanzia, ossia, in genere, dei magnati o dei politici, cioè a dire di persone che esercitano già una considerevole influenza sulla società, ma intendono esercitarne ancora di più. Queste organizzazioni, in termini pratici, servono a giustificare la permanenza di rapporti di poteri vantaggiosi per chi è già economicamente e politicamente egemone, pensando al posto nostro. Dato il loro profilo così prominente nella contemporaneità, sono stati oggetto di innumerevoli studi sociologici. Usando un gioco di parole, possiamo dire che il think tank è un carro armato (tank, in inglese) nella guerra delle idee che mira al controllo delle menti di 7 miliardi di persone.
Stephen Boucher e Martine Royo (2006) definiscono i “think tank” degli organismi permanenti non pubblici che hanno l’incarico di formulare soluzioni su scala nazionale o internazionale che possano essere tradotte in politiche pubbliche. Quasi tutte le fondazioni si sono dotate di uno o più think tank, perciò è pressoché inutile cercare di separarli. La loro missione li rende inscindibili. La fondazione si occupa della parte strategica, il think tank di quella tattica. Alcune fondazioni esistono da oltre un secolo, come ad esempio il trittico Ford, Rockefeller e Carnegie, dai nomi dei magnati che hanno fatto la storia dell’economia e dell’industria americana moderna. Un altro gigante si è aggiunto di recente, la Gates Foundation di Bill Gates, il fondatore di Microsoft, e di sua moglie. In Germania, la Friedrich Ebert Stiftung è vicina ai socialdemocratici, la Konrad Adenauer Stiftung è nella sfera democristiana.

Anche se ufficialmente i loro think tank dovrebbero produrre ricerca seria e rigorosa, non conosco nessuno studio accademico (ossia non promosso da un qualche think tank e quindi apologetico) che non li consideri delle vere e proprie macchine ideologiche al servizio di un qualche specifico interesse e/o ideologia. Boucher e Royo parlano di “pensiero mercenario”, un eufemismo per quello che altri chiamerebbero, meno sottilmente, “prostituzione intellettuale”.

Con questo non si vuol dire che tutti i think tank e tutte le fondazioni siano da mettere sullo stesso piano e demonizzare. Ma è indubbio che all’intensificarsi dei legami con la politica ed il capitale l’indipendenza di giudizio e l’integrità morale dei componenti di un think tank subiscono un inevitabile processo involutivo e la loro attività finisce per rassomigliare sempre più al marketing ed al lobbismo, con un impatto mediatico rapido e massiccio nel mercato delle idee (Boucher/Royo, ibidem). Gli intellettuali e gli stessi scienziati sono degli esseri umani come gli altri, né peggiori né migliori degli altri, anche se loro, non-ufficialmente, sono inclini a ritenersi migliori ed esenti da certe influenze corruttrici. Non citerò la cospicua produzione di studi sociologici che smentiscono le loro più intime convinzioni. Per questo sarebbe meglio che le politiche pubbliche fossero formulate da commissioni pubbliche temporanee, allo stesso modo in cui si sottopongono periodicamente al voto i rappresentanti parlamentari che poi le vaglieranno. A meno che non si creda, con Mandeville, che i vizi privati sono alla base delle virtù pubbliche, uno slogan screditato da millenni di storia umana ma che piace molto ai neoliberisti.

L’influenza dei think tank è poderosa in una molteplicità di settori: dall’ecologismo alla bioetica ed alle biotecnologie, dagli studi sulla pace alla geopolitica, dalle risorse energetiche alle politiche socio-economiche, carcerarie e monetarie, dalla Guerra al Terrore alla globalizzazione, all’arte ed alla cultura, al razzismo, al federalismo ed alla tutela delle minoranze etno-linguistiche.

Gli esempi della loro egemonia culturale non si contano, ma due sono forse i più eclatanti. Il primo è quello delle politiche di sterilizzazione involontaria di decine di migliaia di donne nel mondo occidentale e di milioni di donne nel Terzo Mondo a fini eugenetici prima e di controllo della popolazione non-bianca (ad esempio i quechua ed aymara del Perù) poi (Connelly, 2008). L’altro è il “Progetto per un nuovo secolo americano”, una strategia neoconservatrice imperialista statunitense che risale alla fine degli anni Novanta e che ha condotto all’invasione dell’Iraq nel 2003. È notorio perché al centro delle teorie del complotto riguardo all’11 settembre 2001, in quanto un suo rapporto del settembre del 2000, intitolato “Rebuilding America’s Defenses: Strategies, Forces, and Resources for a New Century” (“Ricostruire le difese dell’America: strategie, forze e risorse per un nuovo secolo”), auspicava il verificarsi di un evento del tipo Pearl Harbor che autorizzasse gli Stati Uniti a prendere il controllo dell’Asia Centrale, considerata la chiave per mantenere in una posizione subalterna Russia, India e Cina e quindi per conservare lo status di unica superpotenza egemone. Altri casi degni di menzione sono l’amministrazione Reagan, che selezionò lo staff presidenziale (150 specialisti!) nel vivaio della Hoover Institution, della Heritage Foundation e dell’American Enterprise Institute, tutte fondazioni ultraconservatrici, con relativi think tank.

Tra gli studiosi che hanno approfondito il ruolo delle fondazioni e dei think tank nella formazione della percezione della realtà da parte dei cittadini delle democrazie occidentali figura anche il celebre Pierre Bourdieu, che anche dopo la morte, avvenuta nel 2002, resta il più influente sociologo francese. Nel 1998, assieme al collega francese (docente a Berkeley) Loïc Wacquant, riconosciuto specialista nel campo del razzismo e dei sistemi carcerari, pubblicò un saggio dagli effetti dirompenti, intitolato “Sulle astuzie della ragione imperialista” (“Sur les ruses de la raison impérialiste”), in cui si argomentava la tesi che le grandi fondazioni americane che si occupano di razzismo, in particolare la Rockefeller e la Ford, cerchino deliberatamente di incoraggiare i leader delle minoranze etno-razziali al di fuori degli Stati Uniti ad adottare le stesse tecniche di autoaffermazione identitaria, oggettivamente fallimentari, impiegate negli Stati Uniti. Tecniche, per intendersi, che sono state ripudiate dallo stesso Martin Luther King, un uomo dall’enorme perspicacia ed onestà, e che non sono mai state prese in seria considerazione da Aung San Suu Kyi o da qualunque attivista che rivendichi i diritti umani e civili per tutti e non solo per una fazione.

Bourdieu e Wacquant sono finiti al centro di una vigorosa polemica non tanto per aver denunciato il carattere fallimentare dell’identitarismo particolaristico e settario, ma per aver affermato che la contrapposizione tra neri e bianchi, che volutamente cancella l’esistenza dei meticci/mulatti, fa parte di una strategia globale neocolonialista all’insegna del divide et impera che, insistendo sulla componente somatica (il colore della pelle), conduce ad una guerra tra poveri che avvantaggia chi teme che le classi subordinate possano creare una piattaforma di rivendicazioni comuni che metta in difficoltà lo status quo. Le loro conclusioni sono in linea con quanto si apprende dalle ricerche di Anthony W. Marx (nessuna relazione con il più celebre Karl) su Stati Uniti, Sudafrica e Brasile, Livio Sansone sul Brasile (2002, 2003), Mark Clapson sul Regno Unito (2006), Donald E. Abelson (1996), Yves Dezalay & Brian G. Garth (2002), Noliwe Rooks (2006), Inderjeet Parmar (2012) e Thomas Medvetz (2012) sugli Stati Uniti e le loro relazioni interrazziali ed internazionali, Rafael Loayza Bueno ed Ajoy Datta sulla Bolivia (2011).

A dire il vero, Bourdieu e Wacquant non sono stati dei pionieri. Già negli anni Quaranta il giornalista e storico statunitense Joel A. Rogers lamentava il fatto che gli attivisti neri per i diritti civili fossero usati dai filantropi delle maggiori fondazioni per diffondere un’immagine omogenea, omologata, monolitica e caricaturale dei neri che sarebbe servita a “tenerli al loro posto” e a “mettere in cattiva luce quei pochi neri in grado di ragionare con la propria testa” (cit. in Plummer, 1996, p. 228). Uno dei più ammirati sociologi americani, C. Wright Mills, aveva gettato le basi per un’analisi scientifica di questo fenomeno già a cavallo degli Cinquanta e Sessanta, ma scomparve prematuramente prima di riuscire a portare al termine il suo ambiziosissimo progetto sociologico di studio delle élite e delle loro strategie. Solo negli anni Ottanta, grazie ad Edward Berman ed al suo magnifico e scrupoloso saggio (“The Ideology of Philanthropy”) e, più recentemente, Sally Covington (1998), Frances Stonor Saunders (1999, ed. it. 2004) e Joan Roelofs (2003) sono riusciti a mettere in luce i legami tra le fondazioni filantropiche, le militanze identitarie, gli architetti della politica estera americana e la CIA. Centinaia di milioni di dollari investiti in una guerra di idee e per il controllo dei media, di interi dipartimenti universitari e della lealtà di membri del Congresso (Saunders, op. cit., p. 122):

L’uso delle fondazioni filantropiche si rivelò il modo più efficace per far pervenire consistenti somme di denaro ai progetti della CIA, senza mettere in allarme i destinatari sulla loro origine…Nel 1976, una commissione d’inchiesta nominata per indagare le attività dell’intelligence statunitense riportò i seguenti dati relativi alla penetrazione della CIA nella fondazioni: durante il periodo 1963-1966, delle 700 donazioni superiori ai 10.000 dollari erogate da 164 fondazioni, almeno 108 furono totalmente o parzialmente fondi della CIA. Ancor più rilevante è che finanziamenti della CIA fossero presenti in quasi metà delle elargizioni, fatte da queste 164 fondazioni durante lo stesso periodo nel campo delle attività internazionali durante lo stesso periodo.

Sempre negli anni Ottanta, Robert Arnove, oggi professore emerito all’Università dell’Indiana, allora un insider con accesso ad informazioni riservate, curò la pubblicazione di un volume collettaneo (“Philantropy and cultural imperialism: the foundations at home and abroad”, 1980) in cui puntava il dito contro le fondazioni Ford, Rockefeller e Carnegie e la loro “corrosiva influenza sulla società democratica”, resa possibile da una concentrazione di potere e capitali non adeguatamente regolamentata, in grado letteralmente di comprare la lealtà degli esperti e di promuovere certe cause secondo certe modalità in modo tale da indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica in certe direzioni piuttosto che in altre. Lo stesso Arnove, in seguito, assieme alla collega sociologa Nadine Pinede (“Revisiting the Big Three Foundations”, 2003), ha potuto confermare la validità dei precedenti giudizi sulle politiche di deradicalizzazione (leggi: castrazione e frammentazione) del movimento per i diritti civili attuate dalle suddette fondazioni in nome dell’ideologia dell’identitarismo culturale che sottrasse al più vasto movimento le importanti energie di una larga porzione di attivisti afro-americani, non più disposti a condividere la lotta con esponenti di altre culture ed etnie (si veda anche Roelofs 2003).

Il povero Martin Luther King non poté sfuggire a questo gorgo e ne finì risucchiato, lui che contrastava ogni tentativo di spezzare il movimento dei diritti civili in fazioni concorrenti. Nel febbraio del 1967 prese la decisione di opporsi alla politica americana in Vietnam, pur sapendo che così facendo avrebbe causato l’interruzione del flusso di erogazioni da parte di varie fondazioni e in particolare della Ford Foundation. Aveva ben chiaro in mente che, com’era più che logico, le politiche di finanziamento delle maggiori fondazioni favorivano le valvole di sfogo, ossia quelle organizzazioni che davano voce alla protesta ma senza mai mettere in discussione l’establishment nel suo complesso (Walker, 1983).

Molte persone fanno fatica ad immaginare che delle fondazioni possano realmente cambiare il corso della storia di un’intera nazione. Ma si considerino le somme a loro disposizione. Nel 2011 il valore del patrimonio complessivo delle fondazioni americane ammontava a quasi 622 miliardi di dollari. Se fossero una nazione, sarebbero al ventesimo posto nella classifica del PIL, poco dietro la Svizzera. Nel 2010 decine di migliaia di fondazioni filantropiche hanno distribuito finanziamenti per un valore totale che eccede i 46 miliardi di dollari (valore raddoppiato rispetto al 1999). Ciò significa che, in questi anni, solo negli Stati Uniti, le fondazioni movimentano l’equivalente di una manovra finanziaria italiana importante o del PIL della Tunisia o dell’Uruguay. Nel 2000 il solo “Programma per la pace e la giustizia sociale” della Ford Foundation ha devoluto 26 milioni di dollari per i “diritti delle minoranze e la giustizia razziale”, su un totale di 80 milioni di dollari di finanziamenti a livello globale. La Bill e Melinda Gates Foundation distribuisce annualmente almeno 3 miliardi di dollari ad organizzazioni ed individui che ritiene meritevoli e dispone di un patrimonio del valore di oltre 33 miliardi di dollari (poco meno del PIL del Kenya, più di quello della Lettonia). Era a 37 miliardi nel 2010. Ford Foundation, Paul Getty Trust, Robert Wood Johnson Foundation dispongono tutte di circa 10 miliardi di dollari di beni: in termini di PIL, si collocherebbero davanti all’Armenia. In termini pratici, non devono rispondere del loro operato né ai mercati, né alla stampa, né tantomeno all’elettorato.

Con queste cifre e questo potere in ballo, non è sorprendente che i saggi dedicati a questo argomento così cruciale siano, globalmente, poche decine e tutti o quasi tutti ad opera di accademici non dipendenti da sovvenzioni private. Non sono molti i giovani ricercatori disposti a sputare nel piatto in cui sperano di mangiare e ancor meno quelli, più maturi, pronti a farlo in quello in cui stanno già mangiando. La falsa coscienza fa il resto: si razionalizza il proprio comportamento e quello di chi ci sovvenziona e ci si convince che l’utile giustifica i mezzi. D’altronde, stante il feroce antistatalismo americano, quasi tutte le organizzazioni per i diritti civili, la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente, per poter restare in vita, sono costrette a rivolgersi alle fondazioni “filantropiche” ed alla loro per nulla disinteressata filantropia. Lo stato non è quindi in grado di assicurarsi che l’elaborazione e discussione delle questioni pubbliche non vengano monopolizzate da interessi privati. È un fenomeno che si sta verificando anche in Europa, specialmente ora che la crisi e l’austerità hanno prosciugato le casse degli stati europei.

Ora, limitatamente alle fondazioni maggiori, emanazioni del capitale finanziario-industriale, alla luce degli studi summenzionati, possiamo dire che quelle di destra sono anti-democratiche e non fanno molto per nasconderlo; quelle “progressiste” sembrano più orientate a provare a migliorare la situazione, ma solo per poter mantenere le cose come stanno. Queste ultime sono espressioni di centri di interesse che non disprezzano apertamente la democrazia, ma preferiscono gestirla in modo accentrato e tecnocratico, a causa della scarsa stima che nutrono nei confronti delle masse. Ciò che accomuna le fondazioni di destra (es. praticamente tutte quelle legate agli interessi delle multinazionali farmaceutiche e petrolifere, o il Pioneer Fund) e i think tank di destra da un lato (es. Freedom House, Council on Foreign Relations, Hudson Institute) e quelle di sinistra (es. Open Society di George Soros, Gates Foundation) con i rispettivi think tank (es. la New America Foundation vicina a Zbigniew Brzezinski, una delle figure più influenti nelle scelte di politica estera dell’amministrazione Obama) dall’altro è, a grandi linee, il rifiuto del principio della pari dignità e il trionfo dell’elitismo e dell’oligarchismo più o meno benevolo (o malevolo, a seconda dei punti di vista, naturalmente). Come documentano Robert Arnove e Nadine Pinede, tutte le grandi fondazioni “progressiste” sono ispirate ai principi del conservatorismo sofisticato ed appoggiano dei cambiamenti che assicurano una maggiore efficienza del sistema esistente ed una minore frizione con i privilegi già acquisiti. In questo modo, però, perpetuano le dinamiche che generano quelle disuguaglianze ed ingiustizie alle quali ufficialmente desiderano porre rimedio.

Il Nobel per la Pace all’UE: burla atroce o celebrazione della superbia eurocentrica?

Dopo il premio Nobel per la Stabilità…erg…volevo dire per la Pace ai Romani per la pax romana e a Carlo Magno per la pax carolingia, arriva anche il premio Nobel per la Pace all’Unione Europea per:

1. i nuovi record di produzione e vendita di armi nel mondo:

http://it.peacereporter.net/articolo/26355/Armi%3A+record+europeo+di+vendite

2. le guerre in Afghanistan, Iraq, Libia, Serbia:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/14/siamo-quelli-col-cappello-nero-quelli-che-alla-fine-del-film-schiattano-kosovo-nella-nato/

3. e quelle imminenti in Siria, Iran…

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/01/con-favoloso-candore-gli-apprendisti-stregoni-ci-dicono-come-intendono-far-scoppiare-la-guerra/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/05/il-voto-sulla-siria-spacca-lonu-e-contrappone-nato-e-brics-nigeria-e-pakistan/

4. politiche sull’immigrazione che condannano a morte nei mari e nei deserti migliaia di esseri umani, o li concentrano nei campi di internamento:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/28/children-of-men-i-figli-degli-uomini-un-film-preveggente/

5. gli embarghi che uccidono migliaia di persone innocenti e le guerre economiche e commerciali/protezionistiche al Terzo Mondo:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/23/lunione-europea-prima-distrugge-le-economie-del-terzo-mondo-poi-condanna-il-razzismo/

6. l’austerità che condanna alla miseria o all’emigrazione verso le ex colonie milioni di Europei, mettendoli gli uni contro gli altri.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/12/maiali-zingari-cicale-e-formiche-nella-fattoria-degli-animali-europea/

Lo si chieda ai Greci ed agli Spagnoli cosa ne pensano della Pax Europaea:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/07/arbeit-macht-frei-cari-greci-quando-lo-capirete/

7. il sostegno alla NATO e ad Al-Qaeda, note organizzazioni pacifiste internazionali:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/01/al-qaeda-alleata-della-nato-in-siria/

8. la spogliazione della sovranità dei cittadini europei a beneficio dei mercati;

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/02/mercati-mercatini-e-monti-bis/ 

Davvero non c’erano persone più meritevoli?
È un caso che Thorbjørn Jagland, presidente del comitato norvegese che assegna il premio Nobel, sia un militante europeista nonché Segretario Generale del Consiglio d’Europa che già nel 2008 aveva detto di voler vedere una vittoria dell’Unione Europea?

Non hanno forse ragione le organizzazioni pacifiste norvegesi ad aver chiesto le sue dimissioni per il conflitto di interessi e perché l’Unione Europea è colpevole di numerose violazioni dei diritti umani e civili?

E a chi consegneranno il premio? Al viscido, non-eletto Barroso?

Ma dove stiamo finendo?

Abbiamo già raggiunto il fondo ed abbiamo cominciato a scavare oppure il fondo è ancora più in basso?

Umile proposta: il prossimo anno Nobel per l’Economia alla troika per la gestione della crisi dell’eurozona.

Nota Bene: Ai benpensanti che ribattono che l’Unione Europea nulla può se i singoli stati decidono di entrare in guerra per conto loro. Comoda la cosa: ma se è così impotente a quel punto non si vede perché dovrebbe avere un qualche merito nell’aver pacificato il continente. E teniamo presente che è anche possibile che sia stata la riluttanza a distruggersi a vicenda che ha salvato il processo di unificazione europea, non il contrario. L’UE sarebbe l’effetto, non la causa della pace.

Aung San Suu Kyi, la ribellione, la violenza, la nonviolenza

Necessaria premessa: come sempre, per chi non ha letto le mie precedenti analisi su questo tema, chiarisco che non vedo perché una persona dovrebbe voler arrecare del male a qualcun altro. Però un conto è essere innocui e cercare di non seminare zizzania e di tollerare la diversità umana, un altro conto è consentire ai bulli ed oppressori di spadroneggiare. Questi vanno fermati, meglio se con le buone, alla peggio con le cattive. Non è moralmente accettabile permettere che altri soffrano quando potremmo intervenire, e questo solo per preservare la nostra purezza ed innocenza “ontologica”. Il nonviolento (per definizione “senza se e senza ma”, altrimenti non avrebbe senso definirsi nonviolenti) è in realtà un narcisista egoista, complice di qualunque disegno “satanico”, in quanto usa la nonviolenza come un’arma.

La forza, la potenza servono e sono legittime e virtuose, se sono al servizio dell’umanità e della creazione.

L’importante è capire il contesto, altrimenti si rischia di dare carta bianca o rendersi complici, involontariamente ed inconsapevolmente, di  progetti neocoloniali camuffati da “gravosi ma ineludibili impegni umanitari”.

I pacifisti e nonviolenti si sono appropriati, a torto, di Aung San Suu Kyi (come di tanti altri).

Ma né lei, né Arundhati Roy, né molti ebrei del ghetto di Varsavia, né Bartolomé de las Casas, i nativi americani, gli aborigeni australiani, i tibetani, ecc. erano nonviolenti.

Né lo era il Gesù che scacciava i mercanti dal Tempio. Il più grande messaggero di pace della storia, Gesù il Cristo, ammoniva: “Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma una spada” (Mt 10, 34; cf. 12, 51-53). Altrove, precisava: “Non sanno che sono venuto a portare il conflitto nel mondo: fuoco, ferro, guerra” (Tommaso, 16).

Nelson Mandela era stato nonviolento, ma si era poi reso conto che il regime dell’apartheid non aveva alcuna intenzione di dialogare ed usava invece la forza per intimidire. Così il giovane avvocato divenne un “terrorista”/partigiano (a seconda dei punti di vista):

http://fanuessays.blogspot.it/2011/12/mandela-nobel-per-la-pace.html

A parte Martin Luther King e Gandhi, nessun leader di gruppi umani subordinati alle potenze bianche coloniali ha mai abbracciato la nonviolenza senza se e senza ma. In più, nessuno dei due avrebbe mai conseguito alcunché se le autorità a cui si contrapponevano non fossero state indebolite da guerre terribili (le due guerre mondiali per l’impero britannico, il Vietnam per quello americano):

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/26/gandhi-o-arundhati-roy-la-scelta-che-determinera-il-futuro-dellumanita/

Aung San Suu Kyi, pur precisando che la violenza è l’extrema ratio, non reputa di poter condannare chi si affida ai metodi violenti (p. 166):

Non condanno chi combatte per la “giusta causa” con qualsiasi mezzo. Mio padre l’ha fatto e io lo ammiro molto per questo.

Perché la nonviolenza non garantisce il successo e ancora meno l’incolumità (p. 165):

Non pretendiamo neppure di avere il monopolio sui metodi di lotta giusti per ottenere ciò che vogliamo. D’altronde, non possiamo garantire la loro incolumità. Non possiamo dire: “seguiteci sulla via della nonviolenza e sarete protetti”, né che ci arriveremo senza vittime. È una promessa che non possiamo fare.

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/omaggio-aung-san-suu-kyi.html

Il suo merito è quello di aver sviluppato una visione profonda ed introspettiva della vicenda umana.

Ecco la sua comprensione delle radici del male e della violenza.

Quando la politica birmana parla dei tiranni che hanno oppresso il suo paese e la sua gente per decenni, traspare la sua incapacità di disumanizzarli. Ai suoi occhi rimangono ancora esseri umani come lei e come le loro vittime (Aung San 2008):

Avverto il loro disagio: la mancanza di fiducia nel bene. e penso che debba essere molto triste non poter credere nel bene. Dev’essere difficile essere una persona che crede solo nelle banconote…Non sto parlando di morale o di coscienza. Non so se ce l’abbiano. Purtroppo ho imparato che esistono persone prive di coscienza morale. Quello che voglio dire è che c’è molta insicurezza nelle persone che riescono a credere solo nei dollari…Ci considerano oggetti da schiacciare, ostacoli da rimuovere. Ma io li valuto molto come persone… Non ho mai imparato ad odiarli. Se lo avessi fatto, sarei stata davvero in loro balia…non si può avere paura di chi non odi. Odio e paura vanno a braccetto… Prima di entrare in politica in Birmania pensavo di essere capace di odiare come chiunque altro. Tuttavia, in seguito mi sono resa conto di non conoscere il vero significato dell’odio, ma che lo potevo vedere nei miei carcerieri…Odio profondo e malvagità…Per superare le tue paure devi prima di tutto dimostrare compassione verso gli altri. Quando cominci a trattare le persone in maniera compassionevole, gentile, partecipe, le tue paure si dissolvono. È un processo immediato.

Non trova disdicevole ammettere di aver sbagliato, riconoscere i propri errori, domandare scusa ed interrogarsi costantemente, anche timorosamente, sulle conseguenze delle proprie azioni per le esistenze altrui, incluse quelle dei propri avversari (ibidem, p. 56):

Secondo il buddismo c’erano persone che neppure il Signore Buddha poteva redimere. Perciò chi siamo noi per affermare di poter salvare tutti? Siccome non sappiamo chi possa essere salvato e chi no, abbiamo il dovere di tentare comunque. non possiamo eliminare qualcuno a priori. Dovremmo concedere a tutti il beneficio del dubbio. 

Un atteggiamento che è reso possibile dalla strenua resistenza al potere della soggettività, dell’egocentrismo, e dalla ricerca di una maggiore consapevolezza delle cose del mondo (ibidem, p. 64):

La consapevolezza è strettamente legata all’obiettività. se sei consapevole di quello che fai, hai una percezione obiettiva di te stesso. e se sei consapevole di ciò che fanno gli altri, diventi più obiettivo anche nei loro confronti…Senza consapevolezza, i pregiudizi di ogni tipo si moltiplicano

Per questo gli uomini del regime sono maestri dell’autoinganno, miopi, privi di lungimiranza, e per ciò stesso intrinsecamente autodistruttivi. Così li descrive la statista birmana: “Sono del tutto fuori di testa. Non hanno nessun contatto con la realtà. Il loro pensiero è così distante dalla verità dei fatti, da diventare assurdo” (p. 171). Nessun regime può reggere a lungo proprio perché si nutre di menzogne, le menzogne impediscono di ragionare, disseminano immobilismo, omologazione, malafede, opacità, false coscienze, che fossilizzano le personalità e le facoltà cognitive, impongono una cronica ristrettezza di vedute, fanno temere l’ampiezza di respiro, inducendo, in ultimo, i decisori – si pensi ad Hitler o Mussolini – a fornire direttive insensate e scegliere opzioni che li condannano alla rovina (op. cit.):

La natura stessa dei governi autoritari e delle dittature impedisce loro di conoscere la verità, perché le persone che vivono sotto tali regimi si abituano a nasconderla a loro stessi e a vicenda. Anche chi ha il compito di scoprire che cosa sta succedendo nel paese per riferirlo alle autorità, acquisisce l’abitudine di non riferire la verità ai superiori. Così tutti disimparano a dire la verità e alcuni arrivano addirittura a non saperla più vedere. Vedono ciò che vogliono vedere, oppure ciò che reputano i superiori vogliano che loro vedano. Se sviluppi tale atteggiamento, poi diventa facile non osare più nemmeno ascoltare ciò che non vuoi sentire. E così finisce per non vedere, né sentire, né dire al verità. E alla lunga l’intelligenza ne risente. […]. Se non ti rendi conto che ciò che fai è sbagliato, non potrai neppure vergognartene. Vivi nella pura fantasia – una specie di follia e una totale mancanza di obiettività. Il che si riduce poi all’incapacità di affrontare la verità. Se vivi in un mondo dove tutto ciò che fai è giustificato da concetti come “patriottismo” o “il bene del paese”, non potrai compiere il passo successivo di vergognarti e desiderare di correggerti.

Solo prestando attenzione a chi ci circonda, alle loro reazioni nei nostri confronti, ossia essendo interessati a loro, alle loro convinzioni, sentimenti e paure è possibile sconfiggere l’intrappolamento in una società sociopatica in cui compassione, misericordia, trasparenza, onestà, lealtà ed altruismo sono trattati alla stregua di vizi o imbarazzanti debolezze (pp. 65-69):

Penso che prima di tutto occorra essere interessati alle persone, vederle come individui, con i loro valori e i loro pregi. Se sei interessato agli altri e rispetti il loro punto di vista, vuoi approfondire la loro conoscenza, il che significa che stai ad ascoltarli, li osservi e impari da loro. penso che l’amicizia cominci da qui… Se loro mi mentono e io li ricambio con la menzogna, come potremmo mai raggiungere una posizione di fiducia? Se loro mi mentono è ancora più importante che io non lo faccia… Si può dire che mentire viola il diritto altrui di ascoltare la verità e in questo senso è una violenza.

E ancora (p. 105):

La corruzione è una forma di disonestà perché è radicata nell’autoinganno. Non credo che le persone corrotte lo ammettano nel proprio intimo. usano altre espressioni. Magari dicono: “Oh, ma lo fanno tutti”. Oppure: “non c’è niente di male”. Ci sono molti modi per giustificare la corruzione. che in se stessa è mancanza di onestà. mancanza di onestà nei confronti della propria persona.

Per Aung San Suu Kyi la migliore definizione di sincerità è “il desiderio di non ingannare nessuno”. Chi è sincero è veritiero, se non inganna se stesso. Perciò, come prima cosa, ci si deve esercitare a fare attenzione ai propri pensieri ed alle proprie azioni, in modo da diventare onesti con se stessi e di conseguenza poterlo essere anche con gli altri (p. 215):

Se hai il coraggio di affrontare te stesso, nel senso di guardarti veramente allo specchio, con tutti i tuoi difetti e le tue mancanze, allora resterai immune alla corruzione. Come buddista non posso fare a meno di pensare che comprendendo il significato autentico di anicca [transitorietà] nessuno darebbe la caccia al potere e alla ricchezza a spese della propria integrità morale.

Un governo mondiale per porre fine alle guerre?

http://it.wikipedia.org/wiki/Equilibrium_%28film%29


C’è un
a piccola, semplice domanda che vorrei rivolgere a tutti coloro che vorrebbero trasformare la pace salutare ed umana che speriamo di avere in Europa in una pace di ferro imposta da un internazionalismo militarizzato. Vorrei, in particolare, porre questa domanda a chi si dichiara, come faccio io, liberale. Se questa persona nega che la guerra possa essere giusta, negherebbe anche che la rivolta possa essere giusta? Supponiamo infatti che nasca uno Stato Mondiale, che bandiere e frontiere non siano più riconosciute; supponiamo scompaiano tutte le uniformi, salvo quelle del sacro poliziotto cosmopolita. Il mio interlocutore riterrebbe di poter negare ad una parte dello Stato Mondiale il diritto di ribellarsi contro la sua restante parte, se si considera tiranneggiato, come i Francesi si rivoltarono nel diciottesimo secolo? Se proibisce la ribellione, nega il principio basilare del liberalismo. Se invece la consente, consentirebbe anche la guerra, semplicemente una guerra priva dei canti, delle musiche e degli emblemi che le conferiscono una certa poeticità e distinzione. Lo Stato Mondiale sarebbe autorizzato a sparare ai suoi prigionieri di guerra: questa sarebbe quasi l’unica differenza.

G. K. Chesterton, Illustrated London News, May 29, 1915.

Non vedo come si possa letteralmente porre fine alla Guerra a meno che non siamo in grado di porre fine alla Volontà. Gli ortaggi sono di norma pacifisti, ma diventare un ortaggio non è un prezzo che sono disposto, o addirittura in grado, di pagare.

G. K. Chesterton, Illustrated London News, October 28, 1916.

Un’Europa con un esecutivo molto forte che si relaziona con piccole realtà regionali potrebbe determinare la morte degli Stati (il che in astratto potrebbe anche essere un bene) e aprire la via all’affermazione di un governo non propriamente e comunque non sostanzialmente democratico.

Luciano Monti, “Il mito d’Europa”, 2000

Jacques Attali, economista, politologo, ex consigliere speciale di Mitterrand ed uno dei più influenti intellettuali europei, ha elaborato nel dettaglio il progetto di un vero e proprio nuovo ordine mondiale federale, sul modello europeo, che si faccia carico degli interessi e dei problemi planetari e faccia rispettare i diritti dei cittadini del mondo (Attali, 2012). Secondo Attali, quest’evoluzione della civiltà umana è inevitabile, perché stiamo procedendo in direzione di un gigantesco caos economico, politico e soprattutto ambientale e ciò costringerà gli esseri umani a prendere coscienza del loro destino comune e della necessità di dotarsi di un unico codice di leggi e di una gestione (“governance”) globale dei problemi globali. Questa governance mondiale nascerà dalla fusione di G20, Consiglio di sicurezza della Nazioni Unite, FMI e Banca Mondiale, sotto l’egida dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Come spiega Attali, se esiste la volontà politica di farlo, “un simile trattato sta in due righe. Può essere adottato in una giornata” (op. cit. p. 22). Successivamente, tutte le leggi e trattati internazionali saranno raccolti in un unico Codice mondiale che prevarrà sulle costituzioni nazionali e sarà introdotta una moneta unica mondiale, sul modello del Bancor proposto da J. M. Keynes. Tra le nuove istituzioni immaginate da Attali ci sono un sistema di giustizia globale, una forza di polizia globale, un’autorità delegata al disarmo ed una delegata al controllo della sicurezza del nucleare civile, un’Assemblea mondiale che vigili sugli interessi di ogni cittadini, un Senato delle nazioni che garantisca quelli dei singoli Stati e infine quella che Attali chiama una “Camera della pazienza”, che tutelerà quelli delle generazioni future e degli altri esseri viventi, incaricata, tra le altre cose, anche di “immaginare nuovi modi di bere, di nutrirsi, di respirare, di vivere sott’acqua o a temperature estreme, di colonizzare l’universo o di “sopravvivere”, trasformandosi geneticamente per diventare capaci di affrontare condizioni radicalmente diverse” (p. 308).

Attali conclude che questo sarà “un governo totalitario o democratico, a seconda di come si instaurerà”. La considero una valutazione ottimistica. La storia ci insegna che il potere corrompe ed il potere assoluto corrompe in misura assoluta. Le scienze politiche e sociali ci insegnano che il decentramento del potere è l’unico strumento che abbiamo a disposizione per tenere a bada i peggiori vizi umani. Tenuto conto della natura umana, della relativa facilità con la quale mentitori incalliti privi di scrupoli e di coscienza (sociopatici, narcisisti, schizoidi, ecc.) riescono a farsi strada verso i piani alti della politica, del preoccupante livello di partigianeria e della scarsa sensibilità democratica dimostrata da numerosi statisti di ieri e di oggi, è difficile immaginare che questo nuovo ordine mondiale si possa dimostrare benevolo.

Anche con un governo mondiale permarrebbero delle sensibili diversità di vedute tra le genti e la polizia globale dovrebbe essere pesantemente armata ed intervenire in ogni angolo del globo, in applicazione del discutibile principio della responsabilità di proteggere, che troppo spesso è stato fatto equivalere al diritto di interferire e colonizzare. Un governo del genere tenderebbe a considerarsi quasi sacralmente legittimato, e quindi interpreterebbe il suo ruolo come quello di chi, essendo dalla parte del giusto, deve rimediare ai torti, ossia rettificare l’atteggiamento di chi la pensa in modo diverso. La sua costituzionalità sarebbe solo una cortina fumogena per nascondere un dispotismo burocratico nudo e crudo, iperpaternalistico, votato a rendere il mondo il più omogeneo possibile – nella lingua, nelle credenze, negli usi e costumi – per agevolare l’unificazione dei popoli, garantire la pace e migliorare l’efficienza della gestione planetaria. In ogni caso, in assenza di una comunità organica mondiale, il governo mondiale sarebbe una costruzione artificiale priva di alcuna autorità. Partire dalla costituzione sarebbe come costruire una casa partendo dal tetto.
Nel mondo esiste una comunità di reciproca dipendenza, ma non di reciproca fiducia e rispetto: un governo unitario non potrebbe applicare la legge efficacemente se la comunità nel suo complesso non si sentisse tenuta a rispettarla e non potrebbe integrare la comunità per decreto. In una democrazia l’autorità non risiede nel governo, ma nella comunità che lo accetta come legittimo e conforme alla sua idea di giustizia. Un governo globale non potrebbe mai fabbricare dal nulla uno spirito di comunità e quindi, alla lunga, fallirebbe. Incrementerebbe il caos e l’anarchia nel tentativo di esercitare la propria autorità in un mondo diviso, pieno di disparità, socialmente diversificato, multiculturale e, in breve, plurale, senza un obiettivo comune ed un’identità condivisa. Un tale governo sarebbe o totalmente inefficiente e perciò irrilevante, oppure dispotico, di un dispotismo senza precedenti.

Faremmo bene ad applicare il principio di precauzione e a non perdere mai di vista il fatto che, proprio perché l’umanità è tendenzialmente egoista e bramosa di potere, bisogna temere il peggio da essa e fare in modo che questo peggio non trovi modo di esprimersi. L’unificazione dell’umanità in macro-entità statali federative non risolverebbe, da sola, i nostri problemi, perché se fosse l’utile a stabilire cosa sia giusto e sbagliato, non si potrebbe evitare che, un giorno, in altre circostanze, si decidesse che sarebbe nell’interesse del genere umano amputarne una sua parte (es. Israele, o gli Stati Uniti, o la Corea del Nord). Per questa ragione, il decentramento del potere è il miglior strumento per scongiurare un avvenire terribile. Umanità certamente unita, ma nel più pieno rispetto dei principi di libertà, uguaglianza e fratellanza, altrimenti la ribellione sarà un dovere ineludibile (cf. Spartaco).

Tutto questo nulla toglie all’innegabile bellezza e poesia della visione di Attali. Non posso infatti non condividere questo suo lodevole auspicio (op. cit. pp. 304-305):

Ogni essere umano deve disporre di una “cittadinanza mondiale”. Nessuno deve più essere “apolide”. Ciascuno deve sentirsi a casa propria sulla terra. Chiunque deve avere il diritto di lasciare il proprio paese d’origine e di essere accolto, almeno temporaneamente, in qualsiasi altro luogo. Ogni essere umano deve avere diritto a un insieme di beni universali: l’aria, l’acqua, i prodotti alimentari, la casa, le cure, l’istruzione, il lavoro, il credito, la cultura, l’informazione, un reddito equo per il suo lavoro, la protezione in caso di malattia o di invalidità; l’eterogeneità del modo di vivere, la vita privata, la trasparenza, la giustizia, il diritto di emigrare e quello di non farlo; la libertà di coscienza, di religione, d’espressione, di associazione; la fraternità, il rispetto dell’altro, la tolleranza, la curiosità, l’altruismo, il piacere di dare piacere, la felicità nel rendere gli altri felici, la molteplicità delle culture e delle concezioni di benessere“.

Contesto i modi e i tempi, non certo gli scopi (quelli ufficiali – le vere finalità di alcuni, e forse anche di Attali, sono verosimilmente altre), che sono lodevolissimi. È quella la nostra destinazione, l’unica degna di un’umanità possibile. Ma accelerare i tempi sfruttando delle crisi chiaramente pianificate a tavolino per estorcere alla popolazione un consenso che altrimenti non si sentirebbe di dare significa camminare sul filo del rasoio o nascondere dei fini malevoli.

La pace per gli Irochesi e per i Fanes (Dolomiti)

Non riconoscendo l’altro come altro, per respingerlo nell’insignificanza o per dominarlo o assimilarlo, l’uomo ha inibito la propria crescita, ha sacralizzato la propria parzialità

Ernesto Balducci, “La terra del tramonto”

A questa brama d’integrità, che ci prende nel momento in cui ci imbattiamo in ciò che ci manca e ci mette di fronte alla nostra imperfezione, diamo il nome di eros, amore…due parti, due parzialità o incompletezze, che si cercano per combaciare e congiungersi in totalità e completezza.

Gustavo Zagrebelsky, “Simboli al potere”

L’idea della congiunzione degli opposti – la coincidentia oppositorum che accomuna tanto il pensiero di Jung quanto quello di Eliade alla tradizione orientale e al pensiero mistico – non solo anima una più vasta concezione dell’essere umano in quanto unità psico-soma e unità microcosmo-macrocosmo ma diventa anche uno dei motivi che ritornano con forza all’interno della cultura del Novecento, sia come forza di un archetipo che si impone autonomamente, sia come fascinazione di un’idea che permette di riscoprire e attivare l’archetipo operante in ogni individuo.

Aldo Carotenuto, “Jung e la cultura del XX secolo”

Tutte le culture mitologiche testimoniano un particolare interesse per il fenomeno dei gemelli, qualunque sia la forma sotto la quale vengono descritti: perfettamente simmetrici oppure uno scuro e l’altro luminoso, l’uno teso verso il cielo e l’altro verso la terra, l’uno bianco e l’altro nero. Nella mitologia celtica sono il giorno e la notte, il sole e la luna e rappresentano le tensioni interne dell’uomo, l’ambivalenza dell’universo mitico e le tensioni per adeguarvisi.  […] la paura per i gemelli è la paura…dell’immagine esteriore della propria ambivalenza, la paura della oggettivazione, delle analogie e delle differenze, della individuazione e della indifferenziazione collettiva. Dolasilla e Lujanta, le due gemelle dei Fanes, sono il sole e la luna. Il loro contrasto viene risolto con l’allontanamento di Lujanta, la gemella lunare, rapida dalle marmotte. Dolasilla, la gemella solare, assurgerà invece alla regalità e alla guida del popolo. […]. Tutto il poema è un connubio tra sacralità e violenza, come presupposto della rotazione universale. […]. Il tempo ciclico viene rappresentato, nel racconto, dalla ritualità: l’anno vecchio e l’anno nuovo, l’estate e l’inverno, la pioggia e la siccità, i re e le regine, il bene e il male, si scontrano in battaglie che simboleggiano il loro avvicendarsi.

Brunamaria Dal Lago, “Il regno dei Fanes: racconto epico delle Dolomiti”

Sappiamo che le armi, in un mondo civile, non possono servire ad altro che a difendersi e che la forza è legittima solo se viene impiegata in conformità con il diritto e come ultimo ricorso. Lo sappiamo e ce lo continuiamo a ripetere ma, ogni due, tre anni spunta fuori una nuova guerra aggressiva ma “giusta” in qualche angolo del mondo a cui partecipare. Sono pochissimi quelli che ritengono che la schiavitù sia meglio della libertà e la guerra meglio della pace, ma la guerra e l’asservimento continuano ad esistere. Il nostro mondo ha già visto e subito abbastanza spargimenti di sangue, violenza e morte, eppure continuiamo a razionalizzarli come necessari. Siamo afflitti da una naturale predilezione per il conflitto e, più in genere, da gravi problemi relazionali. La nostra società è un incessante conflitto di ego singoli e collettivi (patrie, nazioni, razze, fedi, classi, generi, ecc.). La guerra è solo la condizione più estrema di questa nevrosi sociale che ci rende più agevole minacciare qualcuno, piuttosto che articolare delle parole gentili. Molti tra quelli che hanno provato ad indicarci la via sono stati uccisi: Rabin, Arafat, Martin Luther King, John Fitzgerald Kennedy, Robert Kennedy, Aldo Moro, Benazir Bhutto, Dag Hammarskjöld, Olof Palme. I quattro evangelisti canonici e Platone riferiscono che anche Gesù e Socrate sono stati messi a morte.

 Gli operatori di pace devono fronteggiare ostacoli a dir poco monumentali, che non possono essere ridotti alla semplice constatazione che l’umanità è egoista, aggressiva, competitiva e violenta.

Penso sia vano cercare di pacificare il mondo. Solo una tirannia globale ci riuscirebbe, sopprimendo chimicamente le emozioni umane, ossia ciò che ci rende speciali e degni di esistere e che rende la vita stessa degna di essere vissuta. Sono invece convinto che sia decisamente molto più realistico provvedere a fare in modo che le guerre si diradino, eleggendo i politici migliori, facendo buona informazione e sorvegliando l’operato delle oligarchie. Possiamo anche realisticamente mantenere una pace stabile in un’area più limitata, come la nostra regione alpina. Sono convinto che l’autogoverno locale rende più agevole la transizione verso un mondo in cui sia possibile, per citare JFK, “ritrarsi dall’ombra della guerra e cercare la via della pace”. Una ricerca infinita.

La problematica del potere, prima ancora che quella della natura umana, deve essere collocata al centro dell’analisi della guerra. Che si tratti di democrazie o di società autoritarie, è il potere centrale che decide delle sorti di una nazione e solo una cittadinanza consapevole, informata ed attiva – ossia che eserciti la sua sovranità costituzionalmente sancita, limitando l’autorità dei governanti – è in grado di indirizzare il paese verso la pace, in luogo della guerra. Nelle piccole comunità nessuno accumula così tanto potere da essere nella posizione di decidere autonomamente ed arbitrariamente se scatenare una guerra. Serve un vasto consenso che viene immediatamente sondato tramite un’assemblea straordinaria. Un leader guerrafondaio può essere rimosso (o addirittura soppresso). Nelle nazioni più grandi, invece, un governo può entrare in guerra senza chiedere il parere del parlamento ed ignorando le manifestazioni di protesta di milioni di cittadini (es. guerra in Iraq). Diceva, saggiamente, Hermann Göring (un mostro, ma con un cervello fuori del comune):

 “È ovvio che la gente non vuole la guerra. Perché mai un povero contadino dovrebbe voler rischiare la pelle in guerra, quando il vantaggio maggiore che può trarne è quello di tornare a casa tutto intero? Ma sono i capi che decidono la politica dei vari stati ed è sempre facile trascinarsi dietro il popolo. Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese”.

Quel che ci manca è la conoscenza. Purtroppo siamo anche ignoranti e le persone ignoranti istituiscono sistemi sociali ignoranti perché è così che credono di dover operare. Le persone ignoranti eleggono politici inadatti al compito, si fidano ingenuamente delle autorità e non distinguono la propaganda dall’informazione legittima, convinte come sono che solo l’altra fazione mente e che loro stanno dalla parte del bene e della verità.

Il Grande Pacificatore era un disseminatore di conoscenza.

Un’epopea irochese narra di un Grande Pacificatore (Hiawatha) che arreca gaiwoh (equanimità, virtuosità), skenon (salute) e gashasdenshaa (forza, sovranità). Gaiwoh è la giustizia realizzata tra uomini e nazioni ma è anche l’aspirazione a vedere che la giustizia prevalga. È un desiderio più forte del piacere e del bisogno di avere ragione: è un tipo di amore. Skenon è chiarezza di intendimento e integrità fisica, due precondizioni per l’ottenimento della vera pace. Gashasdenshaa è l’autorità sostenuta dalla forza necessaria, una forza che dev’essere in armonia con le leggi universali. La società ideale è quella della casa comune in cui ciascuno ha il suo focolare, ma si convive sotto lo stesso tetto. Là il pensare rimpiazza l’uccidere.

Il Grande Pacificatore deve affrontare Atotarho, un capo malvagio ed antropofago, per convertirlo. Atotarho è come un ciclope – mangia gli ospiti che non sono stati invitati – ed assomiglia anche a Medusa: i suoi capelli sono un groviglio di serpenti e nessun uomo è in grado di guardarlo in faccia. Il suono della sua voce terrorizza l’intera regione. Ma senza di lui non si potrà assicurare la pace. Il Grande Pacificatore ce la fa con un trucco. Fa in modo che il suo volto si rifletta nell’acqua di un pentolone in cui il cattivo sta per preparare il suo pasto umano, cosicché Atotarho scambi il suo volto – saggio, forte e virtuoso – per il proprio e si renda conto della dissonanza tra un tale aspetto e la pratica del cannibalismo, ossia il culmine dell’egocentrismo, l’assimilazione integrale dell’altro da sé. Scioccato, Atotarho cade in depressione, ma il Grande Pacificatore lo aiuta: lo invita a seguirlo in ogni luogo in cui abbia commesso del male per predicare il nuovo verbo della pace come potere (Kayanerenhkowa). La chiave della conversione è la volontà di non imporre la verità o la spiritualità su chi non è pronto a riceverla. Atotarho diventa a sua volta un grande operatore di pace proprio in virtù della grandezza della sua forza interiore, che prima lo rendeva così malvagio e terrificante. Viene “sconfitto” e si converte quando in lui si risveglia la consapevolezza del potere dell’amore e della sapienza che è in lui. All’intensità della sua resistenza – non vuole sentire ragioni, non sono gli argomenti a persuaderlo – corrisponde l’intensità della sua bontà. In questa tradizione irochese il male degli uomini è bontà malindirizzata e malconcepita, malintesa, è amore che opera spinto da una paura sbagliata, uno sforzo equivocato nei mezzi e nelle finalità, uno spirito aggiogato ad un padrone disperato, energia umana sprecata, guastata e deviata dal suo corso migliore.

I popoli che gli Europei hanno considerato incivili intendevano la pace in modo molto diverso dal nostro, che corrisponde da vicino alla quiete che segue la vittoria di una fazione sull’altra. La loro pace era dinamica ed includeva tutte le forze della vita, nella natura e nell’uomo, compreso quello che chiamiamo “male”. Era una concezione inclusiva, non esclusiva: lotta, sofferenza, dolore, errori e stoltezze, passione, tenerezza, rabbia e sconfitta. Persino la guerra era inclusa nell’idea di pace, una guerra condotta in un certo modo e con certe motivazioni. L’assolutismo pacifista era completamente estraneo alla loro mentalità ed è un’invenzione della modernità occidentale. Vivere in pace significava accogliere la vita in tutti i suoi aspetti, le quattro direzioni cardinali, tutte le creature. Il contrario di questo significato della pace e della giustizia è quello che divide e separa le parti della realtà e le mantiene distinte, un moralismo che sminuisce l’interconnessione, l’interdipendenza della vita. Ci sono cose che vanno distrutte e persone che vanno uccise (es. Hitler/Stalin), ma non certo per plasmare il cosmo a nostro piacimento, bensì unicamente perché il cosmo si ricostituisca, per conto suo.

Gli antropologi hanno spesso notato che le comunità dei popoli “tradizionali” erano spesse bipartite in una metà bassa ed una alta, Terra e Cielo, estate e inverno, pace e guerra, femminile e maschile, legate da rapporti al tempo stesso di rivalità e di cooperazione ed accompagnate da una gestione duale dei poteri da parte di un capo civile e di uno religioso. Nell’ambito mitologico la bipartizione trova riscontro nel mito delle origini, che assegna a due eroi culturali, talora gemelli o comunque fratelli, il merito di aver fondato la comunità, mentre, nella concezione dell’universo, alla bipartizione del gruppo sociale corrisponde quella del resto dell’universo degli esseri e delle cose dell’universo, distinti ed aggregati per accoppiamento di opposti: Rosso e Bianco, Chiaro e Scuro, Giorno e Notte, Nord e Sud, Est ed Ovest, Cielo e Terra. Questo stesso aspetto è evidente anche in Cina, dove la polarizzazione yin-yang, che si manifesta già nelle realizzazioni artistiche di epoca shang, mostra la tensione verso una coincidentia oppositorum, una congiunzione che risulta evidente nell’iconografia che mostra gufi con occhi solari ed emblemi della luce adornati con simboli della notte e dell’oscurità, in modo da rappresentare la ciclicità del processo di alternanza tra le due manifestazioni cosmiche complementari.

In Grecia abbiamo Dioniso e Apollo, che varie raffigurazioni ritraggono come androgini. Lo spirito apollineo è razionale, formale, luminoso ed armonico, all’insegna misura e proporzione. Lo spirito dionisiaco è estatico, creativo, oscuro, all’insegna della passione sensuale. Eros e Thanatos, l’impulso creativo e l’impulso entropico/distruttivo (anche autodistruttivo). Empedocle insegnava che l’universo è in costante metamorfosi, si genera e decade, grazie a Amore e Discordia/Odio, che operano in tutto ciò che è animato e in tutto ciò che è inanimato. Eros unisce tutte le forme di vita e Thanatos le separa e le disperde. Composizione e decomposizione sono forze di eguale intensità, eterne e mescolate in ugual misura in tutte le cose, in un’interazione necessaria.

Gesù il Cristo è un maestro delle contraddizioni, delle antinomie. Esaminiamo alcune delle sue parabole. Buon Samaritano: il “degenerato” è un giusto, il “giusto” è un degenerato. Vignaioli: i primi saranno gli ultimi, gli ultimi saranno i primi. Figliol Prodigo: il ribelle è festeggiato, l’obbediente si ribella. L’esattore delle tasse e i farisei: il peccatore è salvato, il salvato è peccatore. Il seminatore: l’abbondanza di semi non garantisce una buona mietitura, pochi semi possono dare buoni frutti. Giudizio Finale: chi sembra celebrare il Cristo è invece servo dell’Anti-Cristo e chi è perseguitato è invece il vero credente. La pecora perduta: quella persa vale più delle 99 salvate.

Analogamente, il vangelo greco degli Egiziani, che è databile tra la fine del I secolo e la metà del secondo secolo a.C., descrive il modo in cui sarà possibile avere accesso al Regno di Dio: “quando quei due (maschio e femmina) saranno uno solo, nell’esterno come nell’interno, e il maschio con la femmina non sarà né maschio né femmina”. La Seconda lettera di Clemente recita: “interrogato da qualcuno su quando verrà il Regno, il Signore stesso rispose: “quando i due saranno uno, il fuori come il dentro e il maschio con la femmina né maschio né femmina”.

Anche nei vangeli canonici la riconciliazione degli opposti è implicita nella risposta di Gesù agli apostoli che gli chiedono cosa si debba fare per assicurarsi un posto nel Regno dei Cieli: “Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: “In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli”. (Matteo 18, 2-4). Come pure negli effetti della gloria: “E io ho dato loro la gloria che tu hai dato a me, affinché siano uno come noi siamo uno; io in loro, e tu in me; acciocché siano perfetti nell’unità” (Giovanni, 17:22-23). Paolo di Tarso esprime una posizione assolutamente conforme: “Non c’è qui né Giudeo né Greco; non c’è né schiavo né libero; non c’è né maschio né femmina; poiché voi tutti siete uno in Cristo Gesù” (Galati 3, 28). Che riafferma in una diversa epistola (Colossesi, 3, 8-11): “Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca. Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti”.

La contrapposizione tra creazione/entropia, ordine/caos, spirito/materia, coscienza/sonno, forza centrifuga/forza centripeta, libertà/controllo è necessaria e bilanciata. Ibn al-Arabi insegna che l’imperfezione deve esistere perché, se non ci fosse, la perfezione dell’esistenza sarebbe imperfetta; se non ci fosse mancanza, non ci sarebbe creazione. Non c’è luce senza oscurità, non c’è verità senza errore, non c’è bianco senza nero. Un’interdipendenza immortalata dalla mitologia mondiale che parla di due gemelli, uno buono ed uno malvagio– lo si trova tra i cristiani ebioniti, in Lattanzio (il “Cicerone cristiano”), nella Cabala, in Jacob Boehme, tra i nativi americani, nei simboli zodiacali dei pesci e dei gemelli: Baldur e Loki, Osiride e Set, Enki ed Enlil, Apollo e Dioniso e così via.

L’epica dei Fanes, riesumata dalla memoria storica ladina e pubblicata da Brunamaria Dal Lago Veneri, offre ulteriori spunti relativi al motivo della riconciliazione degli opposti. Il giornalista e scrittore Enrico Groppali, nella sua introduzione, sottolinea (p. 6) che “il poema si fonda sul principio-cardine della specularità, se non addirittura della gemellarità…Così la regina partorisce due gemelle: Lujanta, luminosa come la luna, che sprofonderà nel regno sotterraneo delle Marmotte, e Dolasilla, incarnazione araldica del sole, che sarà destinata alla lotta, alla sopraffazione, alla conquista…le forze del bene sono parafrasate in un guerriero che si chiama “Ey de Net” (occhio della notte) perché è in grado di scorgere, attraverso le tenebre, la luce della coscienza”.

La strega Tcicuta, una specie di Circe, avverte l’eroe Duranno (Dal Lago Veneri, 1989, p. 62): “La tua Dolasilla ha avuto già più volte i suoi ammonimenti, ma non pare farci caso. Lei, figlia delle marmotte, si è fatta aquila. Camminerà e inciamperà sulla via del potere, invece di scegliere la via dell’amore. E tu, da principe, ti farai servo. Anche questo era stato detto”. Il campo di papaveri intona allora un mesto canto: “Che guerriero sei tu mai? Diventerai quello che desideri. Solo un portatore di scudo e servirai la tua dea fino alla sua morte”. Duranno è un eroe che sa mettersi al servizio del prossimo, un vero altruista, qualcuno che si sente indebitato, non creditore nei confronti del mondo, qualcuno che sa che il miglior servizio per se stessi è quello di servire gli altri e che se tutti facessero così la violenza si sopirebbe e la pace regnerebbe. Si fa “donna” (umile portascudo), mentre la sua donna si fa “uomo”, glorioso eroe guerriero. Dolasilla sa bene che la sua parabola sarebbe coincisa con quella del Regno dei Fanes: alla sua maggior gloria sarebbe succeduta la rovina e la morte. Se ne duole (p. 78): “sono fra le donne la più sfortunata. Vivo da uomo, questo è il mio destino, vado in guerra da guerriera e porto morte invece di aiuto”. Il re traditore, intossicato dalla brama di possesso insoddisfatta, dalla sua hybris, si sfoga con guerre di conquista, ma scopre che il momento del suo trionfo coincide con quello della sua rovina. Lo aveva previsto la strega Tcicuta. Il Regno dei Fanes era spacciato, il suo imperialismo lo aveva condannato all’oblio. Il suo futuro non era più aperto, era già scritto: i possibili scenari alternativi si erano ridotti ad uno solo, la distruzione.

Tcicuta spiega a Duranno/Ey de Net: “non lasciarti ingannare nobile Duranno, il regno dei Fanes è condannato e tu niente potrai fare per salvarlo. Le parole sono state pronunciate. Il re desidera solo il potere e per lui è troppo tardi”. Infatti, dopo la vittoria, i suoi alleati, nemici dei Fanes, lo irridono: “Re senza trono, falso re, non possiedi più né terre, né corona. Tua figlia splendida eroina, hai mandato a morte con l’inganno”. La sua sorte è quella di essere impietrito, nell’angoscia, ma anche fisicamente: il suo corpo si tramuta in pietra: “Il falso rege, il re straniero, è condannato alla pietrificazione. Pietrificare significa punire per uno sguardo illecito. È la punizione dell’umana incontinenza e dei desideri di potere sul mondo della conoscenza. Il re è punito non solo per aver abbandonato i Fanes, ma soprattutto per aver desiderato l’Aurona”, spiega Dal Lago Veneri (pp. 94-95).

U’ulteriore manifestazione della tensione tra gli opposti è esemplificata dai nomi dei tre figli del re di Contrin, chiamati rispettivamente il Bello, il Grande e il Forte, anche se sono pigri, vigliacchi e libertini. Incapaci di difendere il regno, gli assalitori Trusani non ne lasciano pietra su pietra.

Un figlio adottivo del re di Contrin, Lidsanel, l’eletto che dovrà restaurare la grandezza dei Fanes, finisce per sgozzare l’altro figlio adottivo, petulante ed invidioso, e viene esiliato. Da principe si riduce alla condizione massimamente infima di brigante (p. 119): “La grandezza degli Arimanni s’è perduta: dal coraggio si è passati alla sfrontatezza. E gli Arimanni antichi sono occhi chiamati Latrones. Sulle vette oscure, nel buio le lingue di fiamma danzano ancora la danza della morte. Questi sono i gloriosi campi bagnati dal sangue della nostra gente. Tutto, tutto è ormai perduto”. L’ex principe viene ribattezzato Cafusc, Capo Fosco e si crede una sorta di Robin Hood: “Cafusc, Cafusc, così nero eppure bianco come l’onore appena nato. Cafusc disperde i nemici come il falco gli armenti, Cafusc uccide il re e dà da mangiare alle genti”. Ma diventa un incrocio tra Don Chisciotte, l’Orlando Furioso e un volgare vandalo. Preso da un insano furore, improvvisa duelli e tenzoni con gli alberi e gli animali del bosco: “Chi vi ha concesso, stolti, di sfidarmi nel mio stesso territorio”, grida furiosamente agli alberi. Poi insegue i cervi urlando: “voi barbari, nudi, rivestiti solo del vostro pelo, non sapete che sono un re difeso da mille guerrieri?”. Gli animali fuggono e Cafusc gli grida dietro: “che razza di principi siete se non conoscete che la fuga. Ognuno di voi mi dia un pegno – tu la mano, tu il piede”. Con queste terribili parole cavalca nei boschi, mutila animali e piante, istiga un suo immaginario seguito alla battaglia e alla vendetta: “Dietro di me, miei prodi, avanti nella battaglia, uccidiamo tutti”. Da salvatore designato dei Fanes a mostro psicopatico e dissennato.

Proprio la sua follia, però, lo riscatta. Salva un guerriero, Tarlui, dai suoi assalitori, convinti che sia davvero alla testa di un manipolo di seguaci. Il guerriero lo riconosce, si ricorda del suo destino e dice ai suoi pastori: “Abbiate fiducia in questo uomo. Anche se è stato bandito diverrà pastore, perché così è scritto” (p. 124). L’antica runa recitava: “Lidsanel Lidsanel da re ti sei fatto bandito e poi pastore di pecore cosa ancora riserverà il tuo destino?”.

Dal Lago Veneri descrive il guerriero Tarlui om Tyr: “signore delle battaglie, è nume tutelare della giusta vittoria. Non è il signore dello scontro sanguinario, della violenza esasperata, dell’efferatezza bellica, ma il protettore della guerra intesa come soluzione estrema della contesa fra due parti. Dio della guerra, dunque, ma anche dio del diritto” (p. 150). Tarlui, “amante più della falce che della spada”, è un guerriero di professione, ma diventa il fondatore di una comunità di pace e di giustizia. L’ennesima dimostrazione del fatto che “tutto il poema è un connubio tra sacralità e violenza, come presupposto della rotazione universale. […]. Il tempo ciclico viene rappresentato, nel racconto, dalla ritualità: l’anno vecchio e l’anno nuovo, l’estate e l’inverno, la pioggia e la siccità, i re e le regine, il bene e il male, si scontrano in battaglie che simboleggiano il loro avvicendarsi” (p. 154).

Esiste una diffusione planetaria e trans-temporale di riti e miti riguardanti la ricomposizione unitaria della coppia binaria, indice del riconoscimento universale dell’importanza del principio della coincidenza degli opposti. Apprendiamo che le parti sono in equilibrio, si incontrano e fondono agli estremi, due metà di un cerchio. Nel punto di congiunzione dei semicerchi si crea un perfetto equilibrio. Senza una metà non c’è l’altra, senza oscurità non c’è luce, in un grande ciclo naturale, che è pure pedagogico. Apprendiamo che l’equilibrio è naturale. Una parte della creazione procede verso lo squilibrio (che considera equilibrio) e l’altra verso l’equilibrio: assieme generano un equilibrio dinamico. Le forze opposte nella natura si incontrano ed il risultato può essere una polarizzazione in un senso o nell’altro, oppure si può raggiungere un equilibrio simmetrico, o un equilibrio parziale su un versante o sull’altro. Ogni potenziale si realizza nei punti di intersezione. Tutto è parte dell’equilibrio che compone ciò che chiamiamo Universo, o Creazione.

Non è che il bene e il male non esistono. Il Male è dolore e timore insensati, brutali, crudeli, futili perché irredimibili, lo spreco di vita, l’ingiustizia titanica, la rabbia sorda e violenta. Il punto è che sono interdipendenti. Ciò che è oggettivamente buono è la realtà nella sua interezza e ciò che è oggettivamente cattivo è la sua frammentazione. Ciò che alla mente ordinaria appare come opposizione, contrasto e contraddizione è un’unità trascendente, la riconciliazione dei contrari interconnessi, chiamata coincidentia oppositorum. Pace e giustizia discendono da tale comprensione. La vita è una relazione misteriosa ed intima tra forze opposte e la legge dovrebbe essere ciò che preserva questa relazione e, nel farlo, il dinamismo della vita. La Caduta è l’illusione che i contrari si escludono a vicenda.

Gli integralismi, i fanatismi diffondono l’idea che ci sia una parte della natura umana che deve essere distrutta, senza che sia possibile ricostituire l’unità fondamentale dell’essere. Questo male nasce proprio dalla scelta umana di escludere le forze del “male” dalla nostra vita e dalla nostra mente consapevole. Quando questo male viene isolato, cresce fino a distruggere un bene che, innaturalmente separato, è indifeso. Da qui scaturiscono il razzismo, il segregazionismo, la guerra sterminatrice, la pulizia etnica, il genocidio e tutto l’orrore di cui siamo capaci.

La pace non è dunque un qualcosa di passivo, non è assenza di conflitto, ma una forza che armonizza le azioni e gli impulsi della vita umana in tutte le loro molteplicità e contrasti. La forza che chiamiamo pace è, nell’universo e nell’individuo, una qualità della mente, un’energia cosciente. La pace fa da ponte tra due forze contrapposte. Il male è la forza che ostacola fatalmente l’azione della forza riconciliativa, la discesa della colomba, lo Spirito Santo, nella vita umana (Needleman, 2003). Satana deriva dall’ebraico satan che significa l’avversario. Il diavolo viene dal greco diabolos, “colui che divide” e significa l’accusatore, il diffamatore, il mentitore. Nella sua prima forma il demonio è uno strumento divino e serve delle sacre finalità. Per questo Gesù chiama Pietro “Satana” ma gli ordine di mettersi dietro di lui come discepolo – “va dietro a me, Satana”, in luogo di quella che è stata per lungo tempo l’errata traduzione “Lungi da me, satana!” (Matteo 16:23) –, quando Pietro dimostra di non aver capito il senso del suo messaggio. Che la Chiesa abbia scelto proprio “Satana” come suo fondatore è estremamente significativo.

Il gotha della letteratura, della filosofia e della religione mondiale – Blake, Jung, Goethe, Jacob Boehme, Meister Eckhart, Gesù, Paolo di Tarso, Socrate, Pitagora, Friedrich Schlegel, Shakespeare, Empedocle, taoismo, buddhismo, cabala, Honoré de Balzac, Ursula Le Guin, Victor Hugo, Heine, Emerson e molti altri – abbracciò questa cosmologia in cui il male è un tono discordante, una nota dissonante che arricchisce la sinfonia universale, in quanto il Grande Compositore sa come risolvere ogni dissonanza in una consonanza, ogni malevolenza e malefatta in armonia, per ispessire e conferire pregio alla trama dell’esistente. Nell’ambito terreno, personale, il senso di tutto questo è una filosofia dell’esistenza e della politica che non vuole costringere le persone a comportarsi in un dato modo, ma persuaderle gentilmente a migliorarsi con l’apprendimento, con la coltivazione delle facoltà intellettuali e spirituali per una partecipazione consapevole e critica alla vita propria e della comunità, smascherando menzogne e facendo evaporare illusioni. È la filosofia della libertà, non del rigore, e sta alla base della maieutica socratica, della predicazione di Gesù ma anche dell’idea di America (la maggior parte dei fondatori erano iniziati alla massoneria o, come è il caso di Jefferson, in stretti rapporti con massoni) e delle democrazie europee uscite dalla terribile esperienza del nazi-fascismo.

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