Persa la sovranità sulla Sicilia, in bilico quella su “Padania” e Sudtirolo – quale futuro per l’Italia?

 

Un giornalista, tempo addietro, mi confidò che delle fonti istituzionali lo avevano informato del fatto che esisteva un progetto di dissoluzione dello stato italiano e che la Sicilia costituiva un tassello importante.

Pare che le sue fonti non fossero troppo sprovvedute o fuorvianti.

Maurizio Zoppi, “Niscemi si trasforma in star wars pronto il Muos degli Usa”, Il Manifesto, 21 settembre 2012

La Sicilia sarà il cuore pulsante dell’esercito Americano. Come in star wars la nostra Isola governerà le guerre climatiche e nucleari attraverso comandi satellitari e telematici. A Niscemi, proprio nel cuore della riserva naturale “Sugherata”, sta per vedere la luce il Muos.

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La struttura verrà edificata nell’antico feudo niscemese ‘Ulmo’ dove, dal 1991, è operativa una delle più grandi centrali di telecomunicazioni della marina Usa esistente nel Mediterraneo. Questa centrale, con le sue 41 antenne, collega il nostro mare con l’Asia sud-occidentale, l’Oceano Indiano e l’Oceano Atlantico. La base ‘Ulmo’ è sotto il controllo della ‘U.S. Naval Computer and Telecommunication Station Sicily’ che ha sede a Sigonella, la base militare americana dislocata tra gli agrumeti della piana di Catania. La centrale militare statunitense assicura la comunicazione top secret e non di alleati Nato e Stati Uniti. Questo, per grandi linee, il quadro generale dell’egemonia militare a stelle e strisce in Sicilia. Troppo poco, a quanto pare, per gli Usa che, a breve, amplieranno la loro forza militare tramite il Muos (Mobile user objective system). Questo sistema satellitare è un’infrastruttura militare di ultima generazione. Sono quattro, oggi, le strutture tipo Muos presenti nel mondo. Tutte dislocate in zone desertiche. Solo quella che sta per essere realizzate in Sicilia, chissà perché, vedrà la luce in un’area vicinissima ai centri abitati. Da qui la ragionevole e giustificata paura delle popolazioni che si ‘sciropperanno’ le radiazioni con effetti sulla loro salute ancora tutti da capire.

L’impianto presenta due torri radio e tre antenne del diametro di 18,4 metri e dell’altezza pari a 149 metri. Il sofisticato sistema di comunicazione ad altissima frequenza integrerà comandi, centri d’intelligence, radar, cacciabombardieri, missili da crociera, velivoli senza pilota e altri strumenti di morte. Insomma dalla nostra Isola gli Stati Uniti, con un solo click, potrebbero immedesimarsi nel generale dell’esercito romano, Massimo Decimo Meridio, e dire: “Al mio segnale scatenate l’inferno”. Tutto questo con un solo unico obiettivo: aumentare la capacità offensiva militare.

[…].

La Commissione d’Inchiesta sull’uranio impoverito ha ritenuto che sussistono le basi per una moratoria, sia per quanto riguarda la costruzione del Muos, sia per il sistema di antenne già presente nella riserva.

MUOS e militarizzazione della Sicilia. Intervista ad Antonio Mazzeo

“In Sicilia cresce la protesta e l’opposizione ai processi di militarizzazione della regione portati avanti negli anni da parte degli USA e della NATO. Da decenni l’isola è letteralmente violentata dalla presenza di basi militari che oltre a nuocere alla salute distruggono l’ambiente e la biodiversità e che l’hanno ‘bellicizzata’ a tal punto da divenire il centro strategico per il controllo e le azioni militari su tutta l’aera del mediterraneo, dell’Africa e del Medio Oriente. Ne abbiamo discusso con Antonio Mazzeo, scrittore e giornalista, grande conoscitore di tali tematiche.

La Sicilia è sempre più armata e militarizzata e progressivamente sembra essersi trasformata in un’area di conquista degli USA. Che foto prenderesti oggi dell’isola in questo senso?

L’immagine che più mi viene in mente è quella di un’immensa portaerei superarmata nel cuore del Mediterraneo, in grado di lanciare terribili strumenti di morte (cacciabombardieri, missili, droni e testate persino nucleari) contro obiettivi civili e militari in Est Europa, Caucaso, Africa, Medio oriente e sud est asiatico. Un’isola soffocata da basi e porti militari per le forze armate italiane, Usa, Nato ed extra-Nato, dove le poche oasi naturali vengono sacrificate per ospitare selve di radar e antenne di telecomunicazione.

Ma contemporaneamente un territorio di frontiera dove s’innalzano gigantesche mura per negare l’accoglienza ai profughi e ai migranti che fuggono dalle guerre e dalla miseria. Per i pochi scampati ai tragici naufragi, la Sicilia si trasforma in un grande centro di detenzione, con decine di Cie e Cara che violano impunemente i diritti umani.

In pochissimi sono al corrente di tutte le infrastrutture militari esistenti in questa regione italiana…

Sì è vero, eppure in Sicilia proliferano e vengono ampliate le basi di guerra. Alle porte di Catania c’è la metastasi di Sigonella, la maggiore stazione aeronavale delle forze armate degli Stati Uniti d’America, destinata a fare da vera e propria capitale mondiale degli aerei senza pilota. Nel golfo di Augusta approdano le unità della VI flotta e i sottomarini a propulsione nucleare zeppi di missili e bombe atomiche. Più a sud, in contrada Testa dell’Acqua del comune di Noto, sorge una delle maggiori installazioni radar della Nato, per spiare l’intero bacino mediterraneo e concorrere a dirigere i blitz e gli attacchi militari.

La Sicilia è sempre più armata e militarizzata e progressivamente sembra essersi trasformata in un’area di conquista degli USA

A Niscemi, all’interno di una pregevole riserva naturale, la ‘sughereta’ di contrada Ulmo, da più di vent’anni la marina militare Usa ha installato 41 antenne per le comunicazioni con le unità di superficie e subacquee. E nonostante il lungo bombardamento elettromagnetico contro le comunità che vivono nelle vicinanze della base, a Niscemi fervono adesso i lavori di costruzione di uno dei quattro terminali terrestri al mondo del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare Usa, il MUOS, un ecomostro per condurre le guerre sempre più disumanizzate e disumanizzanti del XXI secolo.

Ci sono poi gli scali aerei di Trapani-Birgi, Pantelleria e Lampedusa, utilizzati dai reparti Nato ed extra-Nato in caso di crisi e conflitto in nord Africa; gli aeroporti ‘civili’ di Palermo Punta Raisi e Catania Fontanorossa dove atterrano con sempre più frequenza i giganteschi aerei per il trasporto truppe e munizioni; il pericolosissimo radar di Marsala, e i sempre più numerosi radar che le forze armate e di polizia italiane installano nelle coste della Sicilia e delle isole minori per fare la guerra alle imbarcazioni dei migranti. Ma è prevedibile che nei prossimi mesi il processo di militarizzazione si faccia ancora più soffocante.

In un intreccio di accordi, consensi, assensi silenziosi ed affari tra la classe politica governante a livello regionale e nazionale, le organizzazioni mafiose e le forze armate statunitensi, la Sicilia è divenuta inoltre un territorio geo-politicamente e militarmente strategico, quali sono le conseguenze e le ripercussioni di tutto ciò per i cittadini e per il paese?

La diabolica alleanza tra forze armate alleate e organizzazioni criminali mafiose siciliane alla vigilia dello sbarco del ’43 [Accordi fra Allen Dulles e Lucky Luciano, http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Husky, NdR] ha avuto come prima conseguenza storica quella di impedire, anche con il sangue, che nella Sicilia del dopoguerra venisse riconosciuta piena legittimità e cittadinanza alle forze politiche e sociali realmente democratiche e che si riconoscessero le giuste istanze sociali di libertà, uguaglianza e ridistribuzione della ricchezza delle classi popolari. Abbiamo pagato in termini di agibilità democratica, siamo stati per tutti questi decenni un’isola a sovranità più che limitata.

“Il MUOS è una bomba ambientale i cui effetti elettromagnetici saranno devastanti per le popolazioni, la flora e la fauna dell’isola”

La mafia è stata, accanto alla borghesia parassitaria dell’isola, il gendarme privato, una specie di contractor ante litteram, per assicurare il pieno controllo politico e sociale del capitale. La partnership con i poteri militari transatlantici è stata una costante. La mafia ha assicurato il controllo del territorio, impedendo con le stragi e gli omicidi selettivi di sindacalisti, giornalisti e leader politici di sinistra lo sviluppo di una coscienza democratica collettiva, ostacolando ogni forma d’opposizione contro l’uso e l’occupazione della Sicilia a fini di guerra. E la borghesia mafiosa è stata ricompensata con milioni e milioni di dollari grazie agli appalti di edificazione delle installazioni di morte o alla vendita o all’affitto dei villaggi-residence per i militari Usa e le loro famiglie.

Grazie alla vostra protesta, la faccenda MUOS è finalmente approdata in Parlamento proprio in questi giorni, ci daresti maggiori dettagli?

Finalmente, a seguito di decine di manifestazioni, incontri e dibattiti, in cui abbiamo denunciato l’insostenibilità socio-ambientale del MUOS e che la decisione di localizzarlo a Niscemi è stata presa bypassando del tutto il circuito parlamentare, l’11 settembre scorso una delegazione dei sindaci e dei Comitati No MUOS è stata ricevuta in audizione dalle due Camere.

Il primo incontro si è svolto davanti alla Commissione difesa della Camera dei deputati, mentre il secondo, sicuramente più proficuo, davanti al Comitato d’inchiesta sull’uranio impoverito del Senato della Repubblica. Tutti i membri di quest’organo si sono dichiarati d’accordo a convocare prima possibile il presidente della regione siciliana e il ministero della difesa per chiedere la moratoria del progetto d’installazione delle tre maxi-antenne radar del nuovo sistema militare Usa.

C’è da sperare in un miracoloso risveglio della politica italiana e in una ‘controffensiva’ al potere militare ed affaristico?

Pur condividendo la soddisfazione di tutti i membri della delegazione No MUOS in trasferta a Roma credo che non ci si debba fare molte illusioni sulle reali volontà di fermare il progetto da parte di una classe politica da sempre asservita agli interessi geo-strategici Usa e Nato e del complesso militare-industriale transnazionale.

Da decenni la Sicilia è violentata dalla presenza di basi militari che oltre a nuocere alla salute distruggono l’ambiente e la biodiversità

Per questo bisognerà continuare a sviluppare azioni di lotta il più possibile partecipate e radicali, rafforzando la mobilitazione e l’auto-organizzazione dei comitati popolari di base in tutta la Sicilia. Credo che sarà fondamentale riuscire a legare i temi dell’opposizione alla guerra e alla militarizzazione a quelli della difesa dello stato sociale, del diritto all’istruzione e alla sanità per tutti i cittadini, contro l’ondata neoliberista e di dissoluzione della Costituzione che ha investito l’Italia a partire dalla fine degli anni ’80.

Della protesta pacifica contro i MUOS e dei Comitati NO MUOS non c’è molta risonanza su scala nazionale quasi si trattasse di una faccenda relegabile a livello regionale e locale, vogliamo ricordare cosa rischiano gli abitanti della zona colpita e perché deve essere considerata una problematica scottante riguardante l’intero paese?

Il MUOS è una bomba ambientale i cui effetti elettromagnetici saranno devastanti per le popolazioni, la flora e la fauna dell’isola. Le microonde impediranno il regolare funzionamento dei sistemi di bordo degli aerei in rotta nei pressi della stazione di Niscemi e non consentiranno l’attesissima apertura dell’aeroporto di Comiso, ex base missilistica nucleare della Nato. Ancora una volta i processi bellici ostacoleranno ogni possibilità di sviluppo economico e occupazionale e genereranno nuove povertà.

Ma il MUOS è soprattutto un sistema di guerra ad uso esclusivo delle forze armate statunitensi, programmato per riaffermare la superiorità militare e strategica di Washington e consentire di colpire e uccidere a migliaia di chilometri di distanza, con gelido anticipo sui potenziali e sospetti avversari.

I futuri conflitti ipertecnologizzati esautoreranno qualsivoglia presenza decisionale dell’Uomo, annullando la ragione e l’assunzione di responsabilità innanzitutto etiche. Il MUOS risponde alle logiche di morte degli odierni apprendisti stregoni del Pentagono che puntano ad annientare gli antichi paradigmi dell’umanità sulla Vita e sulla Morte, sulla Pace e sulla Guerra. Per questo la sua installazione non va vissuta solo come un problema locale, ma innanzitutto come un Problema globale.

Quali sono le prossime mosse dei Comitati NO MUOS?

Dopo le audizioni a Roma, il Movimento si è dato appuntamento per una manifestazione nazionale No MUOS a Niscemi, sabato 6 ottobre. Stiamo raccogliendo le prime adesioni d’oltre Stretto e sappiamo già dell’arrivo in Sicilia di una delegazione delle donne del Presidio No dal Molin di Vicenza e di attivisti No TAV della val di Susa. All’appuntamento giungeremo con un fitto calendario d’iniziative in tanti Comuni siciliani e con azioni di protesta di fronte ai maggiori santuari di guerra dell’isola. Sarà importantissimo rafforzare i legami con i territori a partire dalle vertenze più drammatiche che riguardano soprattutto la mobilità e i trasporti, i settori maggiormente colpiti dall’asfissiante processo di militarizzazione.

Sarà opportuno così sostenere la mobilitazione perché venga utilizzata Sigonella per i voli di linea che dovranno lasciare Fontanarossa a novembre per consentire i lavori di ampliamento e messa in sicurezza delle piste (un primo passo per la riconversione a uso civile della stazione aeronavale Usa) o quella per l’apertura dello scalo di Comiso, il cui funzionamento sarà impossibile se malauguratamente dovessero essere attivate le antenne MUOS. Ma penso anche alla lotta contro il Ponte sullo Stretto e per impedire la trasformazione del porto di Messina in megadiscarica delle unità navali Nato da rottamare o a quella contro l’uso a fini militari dello scalo di Trapani-Birgi, da dove sono stati scatenati lo scorso anno, quasi il 70% degli attacchi contro la Libia.

Da un lato, c’è una parte della società civile, attiva, che cerca di fare emergere certe verità, dall’altra una maggioranza di cittadini italiani ignari probabilmente vittime passive di alcune forze d’interessi, in primis quelle politiche e quelle dell’informazione, che spesso manipolano per insabbiare. In questa Italia a due livelli, qual è la strada da percorrere per svegliare il paese?

Bisogna tornare a riconquistare le piazze, le strade e ogni spazio dove poter denunciare i crimini dei poteri finanziari transazionali e riconquistare agibilità, fiducia, speranza di cambiamento e trasformazione democratica. Un’azione generale, in prima persona, senza deleghe, con la convinzione che i tempi per impedire l’olocausto mondiale si sono fatti strettissimi.

Il paese non è spento e non vuole cedere alla rassegnazione, è così?

Sì, nonostante le amplificazioni generali del pensiero unico neoliberista, sono tantissime le coscienze che non si sono piegate, specie tra le fasce di popolazione più giovane. Come generazione, siamo stati pessimi padri e pessimi maestri. Mi auguro che riusciremo almeno ad essere buoni osservatori e buoni ascoltatori e che saremo in grado di star loro accanto con passione e profondo rispetto quando nei prossimi mesi, ne sono certo, ragazze e ragazzi torneranno a riprendersi la vita e il presente-futuro che gli sono stati sino ad ora negati.

http://www.ilcambiamento.it/territorio/muos_militarizzazione_sicilia_intervista_antonio_mazzeo.html

 

Non saranno gli hippies a cambiare il mondo – esaurita l’indignazione, è tempo di fare sul serio

di Stefano Fait

Victor Hugo, “I Miserabili” (Les Misérables)

Per il momento per quello che vediamo, anche in vertenze molto difficile, non vediamo elementi che ci possano ricondurre al clima violento degli anni Settanta. Ovviamente non ci auguriamo che tornino fenomeni di violenza e dobbiamo avere tutti la massima vigilanza. Vedo amarezza ed esasperazione crescente. Siamo contemporaneamente con livelli di disoccupazione che non ci ricordavamo da tempi infiniti, siamo con tanti lavoratori in cassa integrazione e con migliaia di esodati senza lavoro e senza pensioni. Non si vede un’iniziativa che crei un posto di lavoro che sia uno. È normale che i lavoratori pensino che ci sia un accanimento se in questa situazione si dice loro che alla crisi uniamo anche il fatto che licenziare sarà più facile. È sbagliato pensare di ridurre le tutele in questa stagione di crisi. Aver tolto la possibilità per il giudice di reintegrare i lavoratori significa togliere quell’effetto deterrente, che finora aveva impedito nel nostro Paese che il licenziamento diventasse uno strumento generalizzato nelle aziende. Certo c’è il rischio che la tensione salga, perché si continua nell’idea che si possa dividere il Paese.

Susanna Camusso, 25 marzo 2012

Nella prefazione all’edizione del 1944 di “Confidenze di Hitler”, di Hermann Rauschning, venuta alla luce clandestinamente a Padova, nella Repubblica di Salò, per i tipi de Il Torchio, l’anonimo traduttore, A.F., scriveva “ecco appunto una fondamentale diversità fra questa e le precedenti guerre: le crudeltà individuali, “illegali”, sono diminuite; quelle sistematiche, “legali”, di cui è responsabile un comando o un governo, sono immensamente aumentate. La violenza è organizzata, la crudeltà imposta, la rapina metodica, il terrore ufficiale (p. VII). Un po’ più oltre l’autore delinea un’interpretazione realistica – che trovo molto persuasiva – del principio di libertà: “chi invoca la libertà non è mosso da ottimismo ingenuo, ma da pacato pessimismo. Proprio la fredda constatazione che i moventi fondamentali delle umane azioni sono gli interessi e gli egoismi, porta a suggerire, come primo e fondamentale rimedio agli eccessi antisociali, il controllo esercitato da interessi e da egoismi diversi e opposti. E questo controllo funziona soltanto con la libertà di parola, di stampa, di riunione, di associazione, di sciopero. Non è, no, l’umanitarismo democratico che spinge a invocare la libertà; è invece il realismo critico che ritiene la libertà condizione indispensabile per quel necessario controllo”.

Infine, a coronamento di un ragionamento di particolare acutezza, il richiamo alla coincidentia oppositorum – una delle mie predilezioni: “esistono molecole, ioni, ormoni, apparati, che sono detti “antagonisti” non già perché esauriscano il loro compito in una dispendiosa lotta scambievole, ma perché agendo o reagendo in senso opposto a diversi stimoli, o anche a uno stesso stimolo, ottengono il mirabile risultato di mantenere un’alta sensibilità funzionale e uno stabile vicendevole equilibrio. Quando il benefico gioco degli antagonismi regolatori è interrotto per il prevalere di una sola parte, incominciano le manifestazioni morbose” (pp. IX-X).

Questi sono, per l’appunto, i tre fattori decisivi per la riuscita della rivoluzione che porrà fine al presente status quo e, ce lo auguriamo, ci condurrà in un Mondo Nuovo meno ipocrita ed iniquo di questo:

  1. la constatazione che la società in cui viviamo è così intrinsecamente corrotta da essere irriformabile. Chi detiene il potere al momento attuale non si farà MAI da parte e non è per nulla raccomandabile. Molto presto la maschera cadrà, il guanto di velluto sarà tolto e nessuno potrà più ignorare una realtà in cui “la violenza è organizzata, la crudeltà imposta, la rapina metodica, il terrore ufficiale”;
  2. l’idealismo degli indignati, convinti che la mera protesta prolungata farà cambiare atteggiamento a chi di dovere, è deleterio, futile e ottuso. La mitezza nei confronti della tracotanza e della violenza ha la stessa efficacia del belato di un agnellino nel tenere alla larga un branco di lupi. Arriva il momento in cui bisogna battersi per la libertà e la dignità: “Non è, no, l’umanitarismo democratico che spinge a invocare la libertà”;
  3. il conflitto, l’antagonismo sono l’anima della democrazia, quando non sono fini a se stessi. Quando però una parte, spinta da un’irrefrenabile hybris, decide di monopolizzare ogni forma di potere e risorsa, lasciando le briciole all’altra (1% vs. 99%), “il benefico gioco degli antagonismi regolatori è interrotto per il prevalere di una sola parte e incominciano le manifestazioni morbose” (cf. la psicopatia che sociopatizza l’intera società). A quel punto, è dovere di ciascuno di noi ristabilire l’equilibrio tra le forze contrarie, per il bene di chi verrà dopo di noi.

Chi mi segue da tempo sa che sono contrario alla violenza che non sia per autodifesa (e per difendere gli innocenti inermi). Ho sempre perorato la causa dello sciopero generale e continuerò a farlo, perché il Mondo Nuovo che ho in mente dovrà essere molto meno iniquo di questo, molto meno egoista di questo, molto meno avido di questo e perciò molto meno violento di questo. Purtroppo le mie analisi mi hanno portato a concludere che la rivoluzione ci sarà in ogni caso, che mi/ci piaccia o no (e io vorrei tanto che non ci fosse, perché la considero una sconfitta), perché chi comanda non cerca il dialogo, la negoziazione e il compromesso. Vorrei tanto che non fosse così, ma la situazione è a dir poco terribile. Ho appena sentito al notiziario radio che gli Italiani hanno cominciato a rubare frutta e verdura dai campi e dagli orti!! Quanto più in basso di così dovremo finire, ancora?

Fatta questa premessa, è necessario esaminare le cause della sconfitta degli indignati/indignados/occupanti e provare a mostrare come il loro fallimento possa dimostrarsi benefico per chi si è posto come obiettivo quello di contrastare e sconfiggere le politiche neoliberiste proposte come rimedio ad crisi globale causata da, guarda un po’, politiche neoliberiste (!).

Tra parentesi, l’indice del lavaggio del cervello che abbiamo subito è misurato da quel 20% di elettori del centrosinistra che colloca Monti, un neoliberista convinto ed orgoglio di esserlo, nell’area di centrosinistra (!!!). Di buono c’è che, molto probabilmente, 3 mesi fa erano molti di più.

La sconfitta del movimento di protesta globale è solo congiunturale ed è di buon auspicio.

Controllato da leader inetti o sabotatori, il movimento ha sprecato l’occasione di agganciarsi alla primavera araba ed ha rinviato il suo sbocco naturale: la Rivoluzione. “Naturale” solo perché viviamo in oligarchie, non democrazie. Una volta i potenti erano meno fessi, avidi ed egoisti di quelli attuali e sapevano mantenere un discreto equilibrio tra le forze, pur privilegiando la sommità della piramide.
Sia come sia, i semi dell’indignazione daranno frutti quest’anno, giacché la popolazione euro-americana (e non solo), estenuata dalle politiche di governi intenti a demolire lo stato sociale, prenderà in mano il testimone, ignorando bellamente le scemenze postmoderniste e neo-hippy di indignati ed occupanti. Il 2012 sarà, per l’appunto, l’anno della Rivoluzione, quella con la R maiuscola, in Egitto come in Europa, nel Nord America come in Asia:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/14/il-2012-e-lanno-della-rivoluzione-vi-spiego-perche/

Non ci sarà spazio per i fighettini di piazza Tahrir, gli inetti di Puerta del Sol e i seccatori di piazza Battisti (Trento).

Chi era presente alla manifestazione pro-autonomia del 10 marzo in piazza Battisti avrà constatato l’inciviltà di alcuni tra gli occupanti No-Tav, incapaci di intuire che usare un megafono per sovrastare le voci di chi interveniva, imponendo il loro messaggio, tra i fischi dei presenti, era una pugnalata alla schiena delle benemerite comunità della Val di Susa. Questi protestatari di professione non sembrano minimamente inclini a mettersi al servizio della comunità: sono troppo immacolati e melodrammaticamente eroici per volersi sporcare le mani. Le loro urla e le occupazioni sono autoreferenziate: l’unica comunità che potrebbero voler abitare è quella che rispecchi le loro convizioni e gratifichi il loro ego. Non credono nell’unità nella diversità, ossia nel pluralismo democratico: se potessero, farebbero in modo che la realtà e l’altrui percezione della realtà si conformasse ai loro desideri. Non paiono disposti ad adattare i propri desideri al dato reale ed alle esigenze delle persone che li circondano. Come Victor Hugo diceva di Robespierre: “hanno la forza della linea retta”.

In questo, non sono per nulla diversi dalle autorità che avversano.

Sono quelli che, con il loro assolutismo, fanno fallire ogni progetto di riforma della società ed ogni rivoluzione:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/14/se-incontrerete-questo-tipo-di-rivoluzionari-isolateli-sono-mortiferi/#axzz1od3sL7a5

Molti, tra gli indignati, hanno un profilo psicologico di questo tipo.

Tra i leader intellettuali del movimento degli occupanti (Occupy Wall Street – OWS) più nocivi, vorrei citare David Graeber e Slavoj Zizek, i due maggiori sabotatori del movimento di protesta contro gli eccessi del capitalismo monopolistico (ne approfitto per precisare che il capitalismo delle origini era un fattore di emancipazione: sono stati gli oligopolismi, ossia la deregulation, a trasformarlo in un meccanismo di asservimento).

Graeber è questo personaggio qui:

http://www.ilpost.it/2011/10/04/david-graeber-occupy-wall-street/

Io, come lui, sono convinto che l’anarchismo sia di gran lunga la migliore organizzazione sociale concepibile ma, a differenza sua, ho il buon senso di aver preso coscienza della sua INATTUABILITÀ in questo mondo.

La democrazia rappresentativa con robuste iniezioni di democrazia diretta, autonomismo, tutela dei beni comuni e cooperativismo è la migliore approssimazione possibile all’utopia anarchica. Il valore combinato di questi “additivi” deriva precisamente dalla loro capacità di mirare all’anarchismo senza perdere di vista la concretezza della natura e dell’esperienza umana.

Chiunque voglia realizzare l’anarchismo integrale in terra è un pirla e sarà causa di immensi patimenti per chi lo seguirà.

Chiunque intenda avviare una rivoluzione su basi anarchiche è un pirla al quadrato (vedi premessa).

Mi pare che il segreto di un movimento capace di realizzare un cambiamento autentico e non solo cosmetico stia nella capacità di tenersi alla larga da due estremi. Uno è quello dell’attesa messianica del leader carismatico/guru che ci guiderà verso un avvenire migliore: le pecore seguono i pastori, gli esseri umani dovrebbero agire coralmente, consapevolmente, responsabilmente, senza affidare le proprie sorti ad un deus ex machina.

Questo estremo è incarnato dal pensiero di Zizek, che oscilla tra il nichilismo ed il totalitarismo (classici compagni di merenda):

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/27/partigiani-del-terrore-sicari-della-rivoluzione-slavoj-zizek/#axzz1od3sL7a5

L’altro estremo è l’utopismo ingenuo, relativista e vacuo di Graeber, su cui non mi voglio soffermare.

Si deve tenere a mente che Occupy Wall Street non ha preso l’avvio a Wall Street ma in contemporanea con la primavera araba, a Madison, nel Wisconsin, uno stato governato da un politico repubblicano autoritario ed intenzionato a vincere un braccio di ferro con sindacati ed impiegati pubblici dello stato, uno scontro che lui stesso aveva reso inevitabile, con il suo tentativo di liberalizzare il “suo” stato, ossia di soggiogare sindacalisti e lavoratori. In piazza Tahrir si vedevano cartelli di solidarietà nei confronti della lotta di Madison ed un egiziano acquistò pizze da distribuire agli scioperanti. Sono i semi di una futura rivoluzione globale coordinata su internet.

Quel che è mancato, finora, è stato, appunto, il coordinamento, tra lavoratori, studenti, disoccupati e cittadini scontenti (es. ipertassazione per alcuni, dispense, agevolazioni ed elusioni fiscali per altri) o rovinati dalle speculazioni (es proprietari di case pignorate). È assai probabile che una guerra forgerebbe spontaneamente questo nesso e molto saldamente, forse indissolubilmente. Obama ha appena annunciato che la finestra per la diplomazia con l’Iran si sta chiudendo [è mai stata aperta? Dopo quello conferito a Kissinger, il Nobel per la Pace a Obama è il più ridicolo della storia: ormai lo potrebbe vincere anche Mugabe].

Invece di un coordinamento e di richieste concrete, c’è stata abbondanza di chiacchiere ed occupazioni piuttosto sterili, senza che il movimento se la sia sentita di incolpare il comandante della nave, Obama, di quel che sta accadendo. Se al posto di Obama ci fosse stato Bush avremmo già avuto barricate nelle strade di tutte le principali città americane. Se non è così è perché c’è ancora speranza nelle capacità e volontà di Obama di salvare capra e cavoli, sebbene molti abbiano preso coscienza del fatto che la sua amministrazione è pesantemente influenzata da collaboratori con un passato, anche recentissimo, alla solita Goldman Sachs, la stessa banca d’affari che ha dato fraudolentemente via libera all’ingresso della Grecia nell’eurozona ben sapendo cosa ciò avrebbe comportato nel giro di qualche anno.
In Spagna il fallimento è stata la diretta conseguenza della presenza al governo del “progressista” Zapatero e al timore di un’alternativa ultraconservatrice, se non neo-franchista. Un’ulteriore ragione è che la guida del movimento – intellettuali giovani e meno giovani – l’ha spinto in un avvitamento solipsistico e narcisistico fatto di eterne e vacue sedute assembleari che ricordano vagamente quelle dileggiate da Nanni Moretti. Molto fumo, poco arrosto: un po’ come Gandhi.

Soprattutto, si registra scarsissima attenzione alla tragica situazione delle altre categorie di cittadini – anziani, contadini, lavoratori, minoranze, ecc. – che, di conseguenza, non si sentono coinvolti e non rispondono con entusiasmo alle sollecitazioni di indignati ed occupanti.

Il problema è che se questo movimento, invece di evolvere imparando dai suoi errori, si spegne, ci sarà una fondata possibilità che la società americana, in special modo ma non esclusivamente quella, degeneri in senso autoritario. È emblematico l’esempio dell’Egitto e dei “fighetti di piazza Tahrir” che, non avendo neppure cercato di coinvolgere il resto della popolazione, hanno scacciato un autocrate per ritrovarsi con una giunta militare molto più oppressiva di Mubarak. È compito di tutti noi quello di assistere il movimento e, possibilmente, indirizzarlo verso sbocchi più trasformativi.

Finchè alla testa del movimento ci saranno teste d’uovo intossicate dalle loro fantasie egoistiche la gente resterà una massa informe, invece di organizzarsi per difendere la classe media e il restante 99%; prima o poi arriverà un incantatore a servire gli scopi dell’1%.

L’obiettivo di chi ha le idee piuttosto chiare su cosa sia necessario fare dev’essere quello di fare in modo che il movimento si espanda costantemente, adoperi la necessaria circospezione e formuli obiettivi chiari, ampiamente condivisibili, migliorativi, cioè a dire un’alternativa al sistema attuale. Se pensiamo a quanto indecente e fallimentare sia quest’ultimo, che ogni giorno che passa si scava la fossa con la vanga della sua superbia e incoscienza, non dovrebbe essere un compito al di sopra delle nostre possibilità.

Il 2012 è l’anno della Rivoluzione Globale – vi spiego perché

di Stefano Fait

Il mantenimento stesso del livello di vita raggiunto nel nostro paese richiede che si innalzi l’intensità del capitale umano e riprenda a crescere la produttività totale di fattori; non può non richiedere, come ho osservato in altre occasioni, che si lavori di più, in più e più a lungo

Ignazio Visco, governatore della Banca d’Italia, 7 marzo 2012

Bisogna riconoscere che le autorità stanno facendo di tutto per far avverare la mia “profezia” di qualche mese fa (25 novembre 2011):

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/e-successo-un-quarantotto-la.html

Le cose, intanto, si stanno muovendo in quella direzione. Ci sarebbero delle alternative, se chi comanda si ricordasse che “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Invece stiamo, ahimè, arrivando alla resa dei conti tra chi crede nella democrazia e chi crede nell’oligarchia.
È una cosa terribile, una sconfitta per chi ammira il coraggio e lo spirito di sacrificio di coloro i quali hanno ristabilito la democrazia sconfiggendo il nazismo, per chi ha sognato un’Europa unita, democratica, pacifica e prospera, modello per il resto del mondo, nonché per chi ha celebrato il 1989 come la fine di un incubo e l’inizio di una stagione di progresso civile e morale per tutta l’umanità.

Lo ripeto: nulla di tutto questo era inevitabile, ma qualcosa è andato tragicamente storto:

http://fanuessays.blogspot.com/2012/01/golpe-psicopatico.html

Non resta altro da fare che difendersi e difendere il nostro prossimo.

Mentre l’Egitto è prossimo alla bancarotta:

http://ansamed.ansa.it/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2012/03/01/visualizza_new.html_106197565.html

Come aveva correttamente previsto Jacques Attali:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/27/le-4-principali-sfide-dei-prossimi-anni-secondo-jacques-attali/#axzz1od3sL7a5

Gli Egiziani si preparano alla vera Rivoluzione (quella dell’anno scorso era una ribellione, non una rivoluzione):

http://www.repubblica.it/esteri/2012/02/02/news/egitto_strage-29223974/

http://italian.irib.ir/notizie/politica/item/104124-egitto-protesta-davanti-ambasciata-usa-decine-i-feriti

Lo Yemen è una polveriera, com’era prevedibile, se s’impone un unico candidato alle elezioni e lo si fa vincere con il 99,8 per cento dei voti:

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Yemen-scontro-tra-battaglioni-esercito-davanti-casa-presidente-a-Sanaa_313041476999.html

La Spagna si ribella:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=9977

L’Irlanda si ribella:

http://www.forexinfo.it/Irlanda-referendum-sul-fiscal

Si ribellano gli etnopopulisti olandesi sui quali si regge il governo e che pretendono un referendum:

http://www.rischiocalcolato.it/2012/03/good-morning-europa-rajoy-affonda-il-fiscal-compact-e-lolanda-ripensa-al-fiorino-di-maurizio-blondet.html

La Grecia si ribella:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/28/la-rabbia-e-lamore-sulla-violenza-in-grecia/

anche perché con un disoccupazione giovanile che eccede il 50% (!!!!!!), c’è poco altro da fare:

http://ca.news.yahoo.com/greek-unemployment-hits-record-high-december-21-percent-101223761.html

La Romania si ribella:

http://www.corriere.it/esteri/12_gennaio_17/romania-scontri_f9c874fe-410a-11e1-b71c-2a80ccba9858.shtml

Il Portogallo si ribella:

http://italian.irib.ir/notizie/economia/item/103036-portogallo–crisi-proteste-contro-tagli-mercoledi-visita-troika

L’Italia si ribella (il 44% degli Italiani sta con i no-Tav, a dispetto della quasi unanimità pro-Tav dei media):

http://www.notav.info/top/caro-passera-caro-bersani-anche-i-sondaggi-dicono-notav/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/02/bandiere-greche-in-val-di-susa-disobbedienza-civile-solidale-nel-mediterraneo-e-oltre/

In Sicilia:

http://www.agi.it/in-primo-piano/notizie/201203061114-ipp-rt10062-sicilia_forconi_tornano_in_piazza_a_palermo_si_uniscono_no_tav

In Sardegna Napolitano viene chiamato “buffone” e “servo dei banchieri”:

http://www.infoaut.org/index.php/blog/precariato-sociale/item/4036-cagliari-contesta-napolitano-sei-il-presidente-delle-banche

http://www.corriere.it/politica/12_febbraio_21/napolitano-sassari_0efbcb9c-5c76-11e1-beff-3dad6e87678a.shtml

L’Islanda si ribella:

http://it.euronews.com/2012/03/05/islanda-l-ex-premier-haarde-a-processo/

I Canadesi si ribellano ai brogli elettorali che hanno portato al governo l’ultra-filoamericano neoliberista Stephen Harper:

http://rabble.ca/news/2012/03/wave-protest-against-electoral-fraud-kicks-saturday-vancouver

Persino gli Americani cominciano a ribellarsi. Nel 2011 solo il 17% degli statunitensi riteneva che il governo federale godesse della legittimità a governare, una percentuale che scendeva al 6% per quel che riguarda il Congresso, i livelli più bassi della storia dei sondaggi d’opinione negli USA:

http://www.washingtonsblog.com/2011/08/rasmussen-poll-american-sentiment-is-pre-revolutionary-only-17-say-u-s-government-has-consent-of-the-governed.html

http://www.blitzquotidiano.it/economia/usa-sondaggio-tasse-aumento-ricchi-703632/

http://www.nytimes.com/2011/10/26/us/politics/poll-finds-anxiety-on-the-economy-fuels-volatility-in-the-2012-race.html

Qualcosa di molto brutto accadrà negli Stati Uniti:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/dominio-mercenario.html

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/07/ndaa-torneranno-i-campi-di-concentramento-in-america/#axzz1oEiKocMC

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/17/lo-slittamento-giuridico-verso-la-dittatura-usa-2001-2012/#axzz1oEiKocMC

Il Regno Unito ha già avuto un assaggio di quel che ci attende:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/17/londra-in-fiamme-preludio-alla-rivoluzione-globale/#axzz1oEiKocMC

e le Olimpiadi non saranno tranquille:

http://www.lettera43.it/attualita/41757/londra-2012-giochi-di-protesta.htm

anche perché il numero di senzatetto è cresciuto di almeno il 14% in un anno, senza contare chi è stato costretto a trasferirsi da parenti ed amici e non è su una strada solo grazie alla loro benevolenza:

http://www.guardian.co.uk/society/2012/mar/08/homelessness-rise

Stanno subappaltando ad imprese private i compiti delle forze dell’ordine (pubblico), nonostante il fatto che la principale causa delle rivolte urbane dell’anno scorso siano stati i pessimi rapporti tra poliziotti e residenti di certi quartieri – figuriamoci quando saranno dei mercenari a pattugliare le strade e compiere arresti:

http://www.guardian.co.uk/uk/2012/mar/02/police-privatisation-security-firms-crime

Difficile credere che gli agenti prenderanno bene questa cosa. La loro lealtà sarà messa a dura prova, potrebbero rivoltarsi contro i loro “padroni”.

I Francesi hanno già dimostrato di cosa sono capaci:

http://www.ilpost.it/2010/10/19/sesta-giornata-di-proteste-e-scioperi-in-francia/

François Hollande, candidato socialista alle presidenziali francesi, ha dichiarato, in risposta all’ostilità degli eurocrati nei suoi confronti: “Siamo una grande nazione che non si fa comandare”:

http://archiviostorico.corriere.it/2012/marzo/05/Merkel_Pericolo_Hollande_dietro_Patto_co_9_120305021.shtml

In Australia gli aborigeni protestano e costringono la premier Julia Gillard ad uscire dalla porta sul retro di un ristorante:

http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2012/20120127_video_13155471/00000157-australia-protesta-aborigeni-bruciano-la-bandiera.php

Proteste in Croazia e Slovenia:

http://www.italintermedia.com/2011/10/anche-in-croazia-e-slovenia-si-diffondono-le-proteste-contro-il-capitalismo-neoliberale/

Proteste in Cina:

http://www.ilpost.it/2012/01/07/le-500-proteste-al-giorno-in-cina/

Solo il clima pre-bellico ha placato le proteste di massa in Israele:

http://www.ilpost.it/2011/09/04/le-foto-di-stanotte-in-israele/

Anche i media più popolari cominciano a contestare le politiche europee:

http://www.spiegel.de/international/europe/0,1518,816498,00.html

Persino gli ossequienti Giapponesi protestano:

http://it.euronews.com/2012/01/19/nucleare-tokyo-ci-riprova-proteste-in-giappone/

Zuccotti Park e Piazza Battisti: il fallimento di indignati ed autonomisti ci serva di lezione

di Stefano Fait

Ho notato (numero di visualizzazioni) che c’è un certo interesse per il mio punto di vista sulla questione: “autonomia al bivio”.

Mi fa ovviamente molto piacere e mi auguro vivamente di non deludere i lettori: non posso fare molto altro per la mia comunità se non cercare di analizzare quel che vedo e sento quanto più lucidamente mi sia possibile fare.

Dice bene il direttore del Trentino Alberto Faustini, nel suo editoriale: “A mancare erano…le facce delle persone che ogni giorno vivono d’autonomia, ma che sentono il Palazzo meno vicino d’un tempo…I cittadini, in piazza, non ci sono scesi proprio: chi di dovere, si chieda perché“.

È un fatto: Piazza Battisti era affollata, ma non piena, e certamente non più di un terzo dei presenti non è stato “convocato”.

Il tanto deprecato e vezzeggiato popolo non si è visto.

Sono stato intervistato e non ho idea di cosa sarà trasmesso in TV di quanto ho detto.

Ne approfitto per riproporre ed elaborare i punti nodali che ho toccato.

Primo, ma non per importanza. L’assessore Panizza doveva usare maggior circospezione. La situazione richiede una certa coesione, non visibilità personale e a vantaggio del proprio partito: uniti nella diversità, con pari dignità. Le strumentalizzazioni politiche allontanano la gente e costringono il dibattito nei binari del monologo. Un manifestazione per l’autonomia è diventata una manifestazione per gli autonomisti, non particolarmente riuscita. Bah…
Mettiamo da parte le partigianerie e lavoriamo tutti assieme per il bene comune (con diritto di critica e di dissociarsi).

Secondo. Faustini ha scritto un’altra cosa importante, che è venuta in mente anche a me. Lui l’ha espressa molto meglio: “Il Trentino…può scegliere di chiudersi a riccio, interpretando l’autonomia come un privilegio, oppure può mettere la propria esperienza al servizio dell’Italia come esempio. L’evento di ieri avrà senso solo se perseguirà la nuova strada”.

La strategia del riccio è nobilmente nonviolenta, perché fa male solo a chi aggredisce, ma è anche futile ed autodistruttiva, quando l’aggressore è di un certo peso. Appallottolarsi per resistere all’attacco di un’automobile è istintivo, però è anche suicida.

Per questo il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street sta, temporaneamente, fallendo, com’è fallita la mobilitazione trentina.
Gli indignati non hanno combinato nulla, non hanno ottenuto nulla e ora li stanno scacciando da tutti i luoghi occupati, uno dopo l’altro. Succederebbe lo stesso ai no-Tav, se le comunità della Val di Susa non fossero determinate a resistere. Il fallimento è dovuto alla pateticità del fine principale, che pare essere solo quello di far vedere che ci siamo, che non possiamo essere ignorati, non di cambiare le cose in modo duraturo.

La gente si mobilita quando vede che c’è una ragionevole possibilità che un movimento possa cambiare le cose, che possa ristabilire la giustizia sociale o la libertà, quando è stata persa.

Al momento i Trentini non hanno ancora sentito i veri morsi della crisi, ma solo dei mordicchiamenti sopportabili. Molti non si sono resi conto che ciò è successo soprattutto grazie all’autonomia. I negozi del centro chiudono, ma la maggior parte dei Trentini può continuare a credere che è solo questione di tempo e tutto si sistemerà.

In quei paesi dove l’autonomia non esiste, la gente ha invece capito che la situazione è ben diversa:

Che ci piaccia o no, i dati indicano che è in atto una lotta di classe scatenata unilateralmente da un’oligarchia di ricchi contro la classe media. Dove questo conflitto ci potrebbe condurre l’ha spiegato Gustavo Zagrebelsky senza tanti giri di parole:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/29/gustavo-zagrebelsky-sul-nuovo-ordine-mondiale-e-lapocalisse/
Perché sia stata intrapresa proprio ora non è una questione da affrontare in questa sede, ma è probabilmente legata ad un progressivo risveglio della società civile globale, reso possibile da internet (e forse dalla consapevolezza di altri grandi eventi imminenti).

Data la situazione, credo senza precedenti, si rende necessaria una stategia diversa, che pretenda dai politici di rispettare la sovranità e la volontà popolare e di difendere lo stato sociale. Questo è un altro punto che ho toccato nell’intervista. L’autonomia è il fondamento della democrazia, che è nata per contrastare incessantemente ed instancabilmente la tendenza del potere ad accentrarsi in poche mani e per promuoverne la diffusione tra tutti i cittadini, assieme alla consapevolezza ed alle competenze necessarie ad usarlo saggiamente.

Ora, quel che è mancato ad indignati ed autonomisti è la capacità di fare richieste. Il potere non concede nulla se non c’è una richiesta specifica. Se vogliamo qualcosa dobbiamo domandarlo.
Dellai
e Durnwalder hanno chiesto maggiori competenze, ossia hanno assicurato che le due province autonome si faranno carico di maggiori spese, alleviando ulteriormente i costi che spettano allo Stato. È una buona mossa, ma non credo che avrà alcun successo, perché a Roma e Bruxelles la tendenza prevalente è quella dell’accentramento, della sottrazione di fette sempre più ampie di sovranità ai paesi membri.

Trentini ed Alto Atesini/Sudtirolesi non devono dividersi, devono fare fronte comune e farsi sentire, devono parlare la lingua di tutti, proprio come raccomanda di fare Faustini.

Ho scritto con Mauro Fattor il saggio “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” proprio in previsione di questo tipo di evenienza globale con ripercussioni locali (cf. introduzione, pp. 15-20). Gli eventi ci stanno dando ragione.

Si devono fare richieste concrete che riguardino tutti e che possano realisticamente cambiare le cose, altrimenti Roma avrà buon gioco a mettere Lombardi e Veneti contro i Trentini, mentre i separatisti sudtirolesi frazioneranno ancora di più la società civile della provincia di Bolzano. Dobbiamo dare l’esempio a tutte le comunità italiane e non solo. Dobbiamo batterci per tutti e non solo per noi stessi. Dobbiamo agire localmente, ma pensare globalmente, pensare ad un Mondo Nuovo, dove il neoliberismo dei monopoli politico-economico-finanziari sia ricacciato indietro e si riprenda il cammino tracciato dai padri dell’autonomia e dai padri della Costituzione.

O si fa così, oppure le piazze non si riempiranno mai: né le nostre, né quelle altrui.

Concludo con una serie di interrogativi che spero riceveranno una risposta corale e positiva.
L’Alto Adige può imparare dagli errori trentini e vice versa?
Possiamo creare assieme un modello autonomistico che serva da piattaforma per tante altre realtà, disgiuntamente dal fattore etnico-linguistico?
Possiamo, cioè, essere “glocali”?
Come suggerisce Michele Nardelli, è possibile “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”?
http://www.michelenardelli.it/
Ma, soprattutto, Bruxelles sarà capace di superare il paradigma centralista ed accettare questo genere di sperimentazioni?

Il 10 marzo si fa la storia, a piccoli passi

di Stefano Fait

Qui una sintesi delle riflessioni sviluppate nell’articolo che segue le citazioni:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/07/perche-il-10-marzo-saro-in-piazza-per-lautonomia-redux/

Se in piazza non ci saranno migliaia di persone, sarà un flop clamoroso.

Luis Durnwalder, “Trentino”, 2 marzo 2012

Il mio timore è che molti di noi, pur amando dissertare di autonomia, pur riconoscendone valore e utilità, non ne avvertano invece una sincera ed autentica passione.

Franco Panizza, “Trentino”, 3 marzo 2012

Una proposta, quella di fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale, mettendo in rete – come è stato per la Carta sull’autonomia del Tibet – i luoghi della ricerca di questa terra impegnati sul piano internazionale, dall’Università al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani all’Osservatorio Balcani Caucaso… Ne avevamo parlato qualche giorno fa con l’ambasciatore del Marocco e con il presidente Dellai, a partire dalla semplice considerazione che quello trentino è in sé un piccolo laboratorio sull’autonomia, guardato con attenzione da molti e in latitudini diverse.

Michele Nardelli

http://www.michelenardelli.it/diario.php?anno=2012&mese=03

L’autonomia, sia individuale sia collettiva, pietra angolare dei regimi democratici, corrisponde al diritto di cercare attraverso se stessi, non alla certezza di trovare.

Tzvetan Todorov, “Il secolo delle tenebre”

Difetta nei più, per miseria, per indifferenza, secolare rinuncia il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa sì che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano. Gli italiani hanno più spesso l’orgoglio della loro persona, nei suoi valori e rapporti esterni, che della loro personalità. […]. Mussolini fornisce la misura della sua banalità quando considera il problema della autorità e della disciplina come il problema pedagogico essenziale per gli Italiani. Vivaddio, non è questo che occorre insegnare agli Italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna vera rivoluzione di popolo.

Carlo Rosselli, “Socialismo liberale”

Ieri sera sono rimasto assolutamente sconcertato dalla visione del mondo delineata su Rai News 24 da due parlamentari italiani, Adolfo Urso (ex MSI, presidente della Fondazione i FareFuturo, e Guido Crosetto (PDL).

Entrambi fautori di una Grande Coalizione PDL-PD-Centro a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013, la definiscono un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!) che bollano come “populisti” e “demagoghi”, spiegando che “non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione l’Italia deve fare lo stesso”. I due parlamentari dividono il mondo tra i realisti che appoggiano Monti e la Tav e gli altri, gli anti-moderni, che rappresentano una zavorra per l’Italia e con i quali non si possono stabilire degli accordi, perché sono per definizione nel torto. La Grande Coalizione sarebbe allora una muraglia contro questi nuovi barbari, per preservare la civiltà. Se qualcuno pensa che io sia caduto in eccessi retorici, lo invito a seguire con attenzione le dichiarazioni di chi si schiera con il progetto della Grande Coalizione. Urso e Crosetto hanno promesso che nei prossimi mesi la separazione antropologica tra gli uni e gli altri sarà resa sempre più netta, “per poter chiarire le idee all’elettorato italiano, in special modo riguardo alla grande trasformazione della logica degli schieramenti che si renderà necessaria per dar vita alla Grande Coalizione”.

Considero un’assoluta priorità smascherare la reale natura di questo progetto, che è destinato a ridurre ulteriormente gli spazi democratici di questo paese e a confliggere con le autonomie locali.

La visione del mondo propagandata dai summenzionati parlamentari (ma anche dal governo Monti e da Napolitano) è quella, fatalistica, di una società governata da forze inarrestabili ed incontrollabili che si possono solo assecondare. Mentre la premessa della democrazia è l’autodeterminazione, la capacità dei cittadini di trasformare le proprie circostanze di vita eleggendo dei rappresentanti che incarnino la loro volontà, che può essere e spesso è in contrasto con quella di chi detiene il potere economico-finanziario e militare, la lettura della realtà di questi politici non è dissimile a quella che ha ostacolato l’abolizione dello schiavismo e dell’apartheid: esiste un unico modello possibile, chi dissente è un demagogo, chi sottoscrive è responsabile. Crosetto lo diceva con gli occhi bassi, senza guardare la telecamera. Forse una parte di lui si vergognava delle parole che gli uscivano dalla bocca. Urso, memore del suo passato alla direzione nazionale del Fronte della Gioventù, sembrava trovarsi molto a suo agio in questa cornice di ineluttabilità e di gerarchie inossidabili. Fosse stato per loro Rosa Parks, l’involontaria eroina dell’anti-segregazionismo, non sarebbe mai dovuta esistere: irresponsabile! Com’è irresponsabile, sempre dal loro punto di vista, una comunità autonoma che si oppone al volere delle autorità centrali.

Lo chiede Bruxelles! Lo chiedono le autorità mondiali!

Sarebbe bene che Durnwalder e Dellai – e chi verrà dopo di loro – riflettessero a lungo sulle implicazioni del varo della Grande Coalizione. Vi è, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali è sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere sono sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi. Tecnici e professori non sbagliano e, se sono dalla parte sbagliata, come nel caso dei no-Tav, è perché sono faziosi e non analizzano la realtà obiettivamente (altrimenti sarebbero pro-Tav).

In questa supponente Weltanschauung, gli autonomismi rappresentano un’incoerenza ed una contraddizione nel disegno generale, sono intellettualmente e psicologicamente irritanti, fomentano l’indisciplina ed il disordine.

L’aggressività montiana contro le autonomie non è esclusivamente motivata dalla dottrina dell’austerità senza se e senza ma. C’è dietro anche un impulso psicologico dettato dal senso di intangibilità morale (che normalmente appartiene alla sfera del sacro), il senso che le proprie decisioni sono insindacabili e moralmente ineccepibili e che chi punta il dito contro l’arbitrarietà di certe decisioni prese in nome del bene comune non sa quello che dice o è un fanatico, populista/demagogo, ecc. Questo paternalismo/maternalismo statalista mal tollera le autonomie e non è per nulla benevolo, anche se ritiene di esserlo: il potere di generare la vita e di nutrirla è anche quello che la fa appassire; la fiducia può mutarsi in ricatto.

Viene allora a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità come fonti di creatività, innovazione, miglioramento, proprio in un momento in cui le magagne del modello di sviluppo dominante sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene delle generazioni a venire.

Invece il conflitto viene riclassificato come caos: il mantenimento dell’ordine delle cose non va messo in discussione e chi lo fa è dogmatico, superstizioso o disadattato ed il suo atteggiamento è passibile di correzione. Giusto è quel che il potere stabilisce sia giusto e solo dei malvagi e degli egoisti si potrebbero opporre al giusto ed al bene: saranno dunque necessari degli energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali. Ciò che stona va rimosso, in nome dell’utilità sociale.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia avrà un significato molto importante, forse perfino epocale.

In Italia non se ne accorgerà nessuno, perché i media saranno occupati a coprire ben altre questioni, ma resta il fatto che questo evento molto piccolo crescerà, con il tempo, fino ad assumere proporzioni forse ingiustificate, perché noi esseri umani viviamo in una rete di miti ed archetipi e continuiamo a produrne di nuovi. Quel che è certo è che si tratta dell’inizio di un discorso più ampio che non sappiamo dove ci condurrà, ma che è diventato irrinunciabile ed è decisamente stimolante, come lo sono, di norma, le grandi trasformazioni.

Data la situazione attuale:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/prima-vennero-per-i-greci-e-non-dissi-nulla-perche-non-ero-greco/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

ad aprile, i Greci voteranno quasi certamente per un governo tenacemente ostile a Bruxelles, che molti prevedono indirà quanto prima un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Sfidando l’ira delle autorità europee, il nuovo primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato che sarebbe suicida inseguire i termini europei sul taglio del deficit, perché spingerebbe il tasso di disoccupazione oltre la soglia del 25% (quella giovanile è già oltre il 40%). La Spagna è un morto che cammina, anche se i riflettori si concentrano su Grecia e Portogallo, che in effetti, fino ad oggi, se la sono passata peggio. Si trascura la Spagna (in termini di PIL, 1XSpagna = 5XGrecia), perché la sua caduta segnerebbe la fine del progetto degli Stati Uniti d’Europa. Però alla fine del 2011 il deficit spagnolo ha toccato quota 8,51%, 2 punti e mezzo percentuali oltre quel che aveva preventivato Zapatero. Quello delle comunità autonome è più che raddoppiato in un solo anno. Una politica di rientro del deficit che eviti sommosse in ogni città spagnola è praticamente impossibile.

In Francia la notizia che la Merkel avrebbe fatto (slealmente: si può dire?) campagna elettorale per Sarkozy ha favorito il suo sfidante socialista, Hollande, molto critico della politiche europee di austerità e centralistiche:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-06/patto-antihollande-sarkozy-autogol-063917.shtml?uuid=AbRsOz2E

I potenti d’Europa non hanno ancora capito che la maggioranza dei cittadini li detesta?

La Repubblica Ceca si è saggiamente chiamata fuori dall’intesa fiscale (Fiscal Compact – la “regola d’oro” della disciplina del budget), assieme ai britannici. Il governo irlandese indirà un referendum sul Fiscal Compact, l’insieme delle nuove norme europee di controllo del budget fiscale. Gli Irlandesi hanno già bocciato il trattato di Nizza nel 2001 e quello di Lisbona nel 2008. Il giudizio dell’elettorato è, per il momento, negativo. Questo voto non rappresenta una minaccia per le autorità europee, dato che sono sufficienti 12 ratifiche su 25 stati firmatari per approvare il F.C. Tuttavia il no lancerebbe un chiaro segnale agli altri popoli europei che già associano il termine austerità all’idea di trasferimento dei beni dalla classe media ai ricchi.

Veniamo all’Italia, che registra una caduta dei consumi persino nel settore alimentare, quello che in tempi di crisi è l’ultimo a cedere. Nel frattempo il mercato delle auto sta tirando le cuoia (mentre Marchionne continua a pontificare su tutto):

http://www.unrae.it/primo-piano/categorie/comunicati-stampa/item/2287-immatricolazioni-di-autovetture-febbraio-2012

Quest’inverno migliaia di Europei sono morti assiderati (ipotermia) o di malattie stagionali perché non potevano permettersi di pagare le bollette e le medicine.

In Portogallo:

http://www.rtp.pt/noticias/index.php?article=530502&tm=8&layout=121&visual=49

nel Regno Unito:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2100232/Frozen-death-fuel-bills-soar-Hypothermia-cases-elderly-double-years.html?ito=feeds-newsxml

nell’Europa orientale ed occidentale:

http://it.euronews.net/2012/02/02/europa-ondata-di-freddo-killer/

Il prossimo inverno, se sarà rigido quanto il precedente (o più rigido),

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/verso-una-nuova-era-glaciale-il-quadro-dinsieme/

tutto questo non sarà accettato con fatalismo. Tra una tormenta e l’altra i cittadini andranno a prendersi con la forza quello di cui necessitano.

Il forte rallentamento dell’economia cinese (-1,5% rispetto all’anno precedente) e il nuovo boom dei junk bonds (i titoli spazzatura/obbligazioni ad alto rischio che ci hanno portato al disastro) ci fa capire che la crisi dell’eurozona è quasi certamente definitiva e che anche gli stati nazionali rischiano di essere trascinati nell’abisso di questo colossale fallimento, sotto il peso di un indebitamento senza rimedio.

Questo scenario può sfociare in due possibili direzioni: quella di uno stato centralizzato, sul modello degli Stati Uniti d’America (federazione), oppure quella di una proliferazione di piccoli stati confederati (confederazione), allineati allo spirito delle occupazioni degli indignati e della lunga tradizione dell’autonomismo/regionalismo/municipalismo italiano, che evolveranno verso nuove forme di auto-organizzazione collettiva.

Ahimè, ciò, verosimilmente, non avverrà pacificamente: nessun parto è pulito ed indolore.

L’AUTONOMIA PUÒ ESSERE IL VALORE-GUIDA DEL MONDO NUOVO

Ospitalità ed autonomia potrebbero rappresentare lo strumento del nostro riscatto, il volano per un Mondo Nuovo.

La libertà individuale, con annessa responsabilità personale, a volte ci sembra una zavorra. È più facile delegare le decisioni ad altri ed accusarli di aver sbagliato, se commettono degli errori. È ancora più facile distribuire la responsabilità tra i membri di un’intera comunità, enfatizzando la libertà collettiva e i narcisismi collettivi: “mal comune mezzo gaudio, e comunque tutte queste persone non possono aver torto” (chissà quanti Tedeschi l’hanno pensato o detto durante il nazismo!).

L’idea moderna di autonomia, però, è incentrata sul principio dell’importanza di assumere, almeno in una certa misura, il controllo delle proprie esistenze, coralmente, invece di vivere alla mercé degli agenti esterni, in un infantilismo protratto.

Ho già affrontato la questione della libertà, il principio da cui scaturisce quello dell’autonomia in un articolo di qualche tempo fa:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-liberta-quella-vera/

L’idea moderna di autonomia presuppone l’autodeterminazione personale (libertà) in una cornice di autodeterminazione comunitaria (responsabilità).

L’una non esclude l’altra: sono complementari.

Un cittadino adulto, maturo, non ripudia la sua autonomia di giudizio e si batte per espandere questo suo diritto inalienabile (giacché non è un privilegio né una concessione), a partire dalla sua comunità, perché sa che essere circondato da persone consapevoli, libere e responsabili, che sanno decidere in coscienza, va a tutto vantaggio suo e del bene comune. In questo senso la democrazia autonomista ha provato, per quanto è possibile, a realizzare (inverare) l’ideale delle prime comunità cristiane: la piena autonomia delle personalità nell’unità di un destino comune. Questo ideale, a sua volta, in un circolo virtuoso, si fa spontaneo promotore delle virtù dell’autonomia: la tolleranza (non paternalistica), il dialogo, l’apertura, l’autodisciplina e la disponibilità all’autocritica ed al cambiamento. 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, non dobbiamo commettere l’errore di ricadere in quello che chiamo “autonomismo tassidermico”, ossia la tendenza a fissare le identità come quando s’impaglia un animale, a bloccare il cambiamento, come i serpenti che cambiano pelle ma rimangono sempre gli stessi. Quella è la strada della morte dell’autonomismo e delle sue istituzioni, che diventano dei morti-viventi che pretendono devozione ed asservimento a beneficio della loro auto perpetuazione, invece di porsi al servizio dei cittadini, come sarebbero tenute a fare (è quella la loro ragion d’essere).

L’autonomia, l’autonomismo, le comunità autonome devono poter cambiare nel tempo, come cambiano gli esseri umani, altrimenti diventano ingabbiatori e vampiri, annichilitori della ragione e dignità umana. Un autonomismo etnicamente connaturato, per quanto si sforzi di passare per una crociata in favore dei più deboli, è ispirato al principio del diritto del più forte di prevalere ed infantilizza i cittadini invece di avviarli alla maturità. Infatti nessuno può definire me o chiunque altro: solo io posso assumermi la responsabilità di stabilire chi sono e come gestire responsabilmente questa mia identità mutevole, eterogenea, sfuggente.

Malauguratamente, la tendenza dominante al momento attuale è quella di un’unificazione europea di carattere tecnocratico ed autoritario, avversa alle autonomie locali. In ogni occasione ci viene ripetuto che questa è l’unica soluzione a tutti i nostri problemi.

Queste sono le mie argomentazioni in favore di un programma confederale (ossia contro il progetto degli Stati Uniti d’Europa):

  1. L’attuale configurazione dell’Unione Europea va già più che bene: c’è pace, c’è stabilità e ci sarebbe pure prosperità, se i politici prestassero più ascolto ai cittadini-elettori che alle sirene dell’alta finanza. Semmai, una sua riforma dovrebbe privilegiare le autonomie locali, non abolire la sovranità degli stati nazionali e, così facendo, minacciare le stesse autonomie locali (cf. Trentino-Alto Adige);
  2. tenuto conto dei successi indiscutibili delle nazioni più piccole di ogni continente, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una confederazione di repubbliche di dimensioni più ridotte, meno militariste, unite dalla gestione della politica estera e delle questioni di interesse generale;
  3. le riforme dovrebbero riguardare essenzialmente la regolamentazione dell’economia, della finanza, del fisco e del mondo del lavoro – nel senso della tutela di chi produce ricchezza, non di chi si comporta come un parassita e vive alle spalle dei lavoratori, investitori ed imprenditori (speculatori ed evasori);
  4. non si attua un radicale riorientamento delle istituzioni dall’alto se manca il consenso popolare (la democrazia prevede strumenti di consultazione della cittadinanza);
  5. è mai possibile che le lezioni del nazismo, del comunismo e dell’americanismo non siano state apprese?
  6. quando il potere si accentra cresce il rischio di corruzione e si rafforza la minaccia di sviluppi oligarchici e tirannici (“il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”);
  7. più ampia è la popolazione, più grande sarà la distanza tra elettori ed elettorato, perché ci saranno pochi rappresentanti per numerosissimi cittadini e ciò non può che nuocere alle dinamiche democratiche (Montesquieu docet: è improvvisamente diventato un pensatore irrilevante?);
  8. l’unionismo europeista comporta un drastico ridimensionamento dell’autonomia dei governi locali, gli unici strettamente a contatto con la realtà locale, eredità della lotta contro gli autoritarismi del passato: vogliamo più autonomie locali, non meno;
  9. un’unica capitale federale diventerebbe un ricettacolo di burocrati parassitari e politicanti. Pensiamo a Washington ed a Bruxelles. Hanno forse completamente torto i leghisti quando esclamano: “Roma ladrona”? Non c’è neppure un fondo di verità? Vogliamo che Bruxelles si degradi ulteriormente?
  10. in un ordinamento compiutamente confederale dotato di una carta dei diritti (o anche senza di essa, se le costituzioni dei vari stati vengono rispettate) ci potremmo permettere più ampie forme di democrazia diretta senza scivolare nella tirannia delle maggioranze. Saremmo tutelati dagli arbitri della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che stanno spogliando i cittadini dei loro risparmi per riassegnarli a chi già prospera;
  11. in una confederazione ci sarebbe il rischio di una burocrazia ipertrofica ed onnipotente come quella dell’attuale Unione Europea sarebbe attenuato;
  12. in una confederazione si introdurrebbero procedure che consentano le rotazioni periodiche degli incarichi politici di raccordo, per evitare che qualcuno si “incolli” alla sua poltrona, togliendo la delega in caso di incompetenza o disonestà;
  13. si bloccherebbe la strada del presidenzialismo, che assegna eccessive prerogative al presidente, senza che ci sia la minima certezza che sia invariabilmente una persona proba (es. Bush negli Stati Uniti e il mentitore, violatore del diritto internazionale e guerrafondaio Tony Blair, la cui candidatura alla presidenza dell’Unione Europea era stata ventilata da più parti);
  14. una confederazione abolirebbe gli eserciti professionali (permanenti), preferendo addestrare milizie locali, che non rappresentano mai una minaccia per la democrazia e i diritti civili e non instillano nei cittadini quella mentalità guerriera, aggressiva che affligge il mondo (cf. Merkel e Sarkozy e la vendita coatta di armi alla Grecia).

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/no-agli-stati-uniti-deuropa-le-ragioni-del-dissenso/#axzz1nlLMVkzb

“Tav subito o sarà troppo tardi” (martedì 15 ottobre 1991)

I pro-Tav sono fanatici, i no-Tav sono realisti

a cura di Stefano Fait

 

Che cosa è giusto fare quando si sa e si crede fermamente di avere ragione e si sente che il proprio avversario, dalla parte del torto – in buona fede o cattiva fede – è disposto a tutto pur di non smettere la strada intrapresa? […]. Se si stesse “serenamente” ai fatti, bisognerebbe riconoscere…che i fautori della Tav appartengono a quel partito trasversale e ingordo che si chiama Partito Preso. Il loro avverbio è: Ormai. Ormai, non si può che continuare. Lo ripetono, come per convincersene meglio. Lo direbbero, con la stessa inesorabilità, a proposito del nucleare, se non ci fosse stato l’incidente di Fukushima, e aspettano solo di ricominciare.

Adriano Sofri, “La Val di Susa e l’assimmetria delle ragioni”, Repubblica, 29 febbraio 2012

 

Avanti con i lavori!

Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti

 

Deus lo volt

(“Dio lo vuole”)

Grido di battaglia dei crociati

Luca Mercalli, “Alcune domande sul TAV/TAC Torino-Lione”:

http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/presentazioni/TAV%20e%20Salute%20Mercalli.pdf

Confronto tra modelli predittivi che dovevano comprovare la necessità della TAV Torino Lione e i flussi di traffico reali:

http://www.lsmetropolis.org/2011/07/bignamino-no-tav-per-non-valsusini/

Studio di Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, del Politecnico di Milano: «Difficile da giustificare, dato il calo continuo dei traffici negli ultimi 10 anni».

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-01-31/promossa-solo-milanoroma-064241.shtml?uuid=AaI0IskE

“TAV in Valle di Susa. Problemi di radioprotezione e impatto ambientale per la presenza di uranio e radon”

Massimo Zucchetti [Professore di I fascia di Impianti Nucleari, Dottore in Ingegneria Nucleare, Docente del Politecnico di Torino], Lucia Bonavigo [Laureata in Ingegneria Energetica presso la I Facoltà del Politecnico di Torino]

http://staff.polito.it/massimo.zucchetti/Seconda_Relazione.pdf

“Una analisi costi-benefici sulla linea ferroviaria Torino-Lione riesce a dimostrare la redditività dell’opera. Un risultato sorprendente considerati i costi altimissimi e lo scarso traffico. Lo si ottiene però sorvolando su alcune prescrizioni previste dalle migliori prassi internazionali e senza considerare per esempio l’impatto ambientale del cantiere. Mentre le previsioni di domanda sono eccessivamente ottimistiche. Ciononostante la redditività è marginale e basterebbe abbassare una delle tante sovrastime per rendere non fattibile il progetto.

La controversa linea ferroviaria Torino-Lione è stata recentemente oggetto di una analisi economica (costi-benefici sociali) commissionata dai promotori dell’infrastruttura: tra il quasi unanime stupore – considerati gli altissimi costi dell’opera e lo scarso traffico – mostra risultati positivi. Qualunque studioso del settore ne dedurrebbe che, se risulta fattibile un’opera con questi numeri, probabilmente non esiste alcun investimento infrastrutturale non fattibile. In ogni caso, la priorità di questa specifica opera risulterebbe bassissima se fosse confrontata con altre. Ma l’analisi in questione, come d’altronde accade sempre nel nostro paese, non è stata fatta in termini comparativi con altri progetti e nemmeno con possibili alternative tecniche dello stesso progetto”.

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002454.html

Angelo Tartaglia, docente di scienze fisiche, fisica teorica, modelli e metodi matematici al Politecnico di Torino

“Sintesi dei risultati dello studio sulla convenienza economica dell’ipotizzata nuova linea ferroviaria Torino-Lione”

Lo studio ha preso in considerazione i dati ufficiali relativi ai costi di realizzazione del nuovo collegamento ferroviario a standard di Alta Velocità tra Torino e Lione. Includendo i costi di manutenzione/gestione della nuova linea e gli oneri finanziari, da un lato, e valutando in termini economici i benefici ambientali, dall’altro, è emerso che per raggiungere una soglia minima di economicità il nuovo collegamento dovrebbe ospitare flussi di traffico decine di volte superiori a quelli correnti ed anche alla punta massima lungo la direttrice, verificatasi nel 1997. […]. Anche il solo pareggio di gestione, non considerando il recupero dell’investimento, richiederebbe flussi di passeggeri e merci da 5 a 10 volte superiori a quelli correnti.

[…].

Nell’ipotesi di realizzazione parziale, la linea risulterebbe necessariamente in perdita in ogni caso.

[…]

il flusso di merci attraverso la frontiera francese, mettendo insieme tutte le modalità (strada e ferrovia) e tutti i valichi (dal Monte Bianco a Ventimiglia), è in calo da una decina d’anni;

il traffico su rotaia cala in modo molto più marcato che sulla strada;

nello stesso tempo si riscontra una crescita dei flussi lungo la direttrice Nord-Sud (frontiere svizzera e austriaca), con un consistente aumento del traffico per ferrovia. Analizzando il contesto si vede che le ragioni di questi andamenti sono strutturali, in quanto sono legate alla dislocazione delle aree di produzione, come anche di smercio, delle merci di massa verso Est e in particolare verso il lontano oriente asiatico. Partendo dalle tendenze in atto e dalle prospettive di evoluzione del mercato delle merci atte al trasporto ferroviario è possibile valutare i flussi attendibili per il futuro lungo l’asse della Valle di Susae, per la verità, attraverso l’intero arco alpino occidentale. Le valutazioni si basano sull’osservazione che le economie dai due lati della frontiera italo-francese sono mature, con mercati di beni di consumo di massa sostanzialmente saturi. Viceversa i mercati in espansione si trovano in aree il cui tenore di vita è più basso di quello della media dell’Europa occidentale e l’economia è (e potrà essere) in crescita. Ne emerge che incrementi significativi dei traffici sono prevedibili lungo l’asse Nord-Sud e quindi in corrispondenza dei porti, non lungo l’asse Est-Ovest attraverso le Alpi.

Quello che emerge, in sostanza, è che è del tutto immotivata e irragionevole l’ipotesi di un aumento dei traffici tra Italia e Francia nella misura che sarebbe necessaria per giustificare la nuova linea Torino-Lione.

Il flusso di merci attraverso la frontiera italo-francese potrebbe verosimilmente, in condizioni economiche globali migliori di quelle di oggi, risalire ai livelli del 1997 o poco più in alto senza però cambiare di ordine di grandezza. Questa conclusione collima con le valutazioni espresse in un documento della Direction des Ponts et Chaussées predisposto per il Parlamento francese nel 2003. Da quanto sopra consegue che è del tutto infondata la previsione di una saturazione della linea esistente nei prossimi decenni.

Schematizzando, le conclusioni sono che:

1. l’economicità di una nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione richiede flussi, in particolare di merci, che sono più di un ordine di grandezza superiori a quelli verificatisi nell’ultimo decennio (fino a 40 volte e più);

2. Il volume di traffico, tanto di passeggeri che di merci, lungo il corridoio della Valle di Susa è da tempo tendenzialmente in calo e non ha motivo di crescere in maniera rilevante nei prossimi decenni;

3. Non vi è alcuna ragionevole prospettiva di saturazione della linea esistente entro tale arco di tempo;

4. Una nuova linea non potrebbe far altro che essere fonte continua di passività;

5. L’opera sarebbe, di conseguenza, del tutto ingiustificata anche in una situazione economica molto migliore di quella presente;

6. I benefici non direttamente economici ipotizzabili non sono tali da modificare la valutazione negativa;

7. In caso di realizzazione parziale della nuova linea con utilizzo della linea storica tra Susa e a piana delle Chiuse l’esercizio risulterebbe comunque in passivo anche se la linea funzionasse in condizioni di saturazione.

Torino, 21/06/2011

http://www.scribd.com/sarti42/d/59819873-Relazione-Prof-AngeloTartaglia

Replica del Prof. Tartaglia alle teorie a favore del TAV Torino-Lione esposte dall’Onorevole Esposito nel suo sito web

Angelo Tartaglia è docente di scienze fisiche, fisica teorica, modelli e metodi matematici al Politecnico di Torino; da molti anni consulente per il TAV della Comunità montana della Valle di Susa, di cui è stato rappresentante nelle diverse commissioni tecniche e, per il periodo 2007-2009, anche nell’Osservatorio sulla Torino-Lione.

Stefano Esposito del Partito Democratico, è ex consigliere provinciale e dal 2008 Deputato del Piemonte; si è sempre distinto per iniziative, spesso dalla carica provocatoria, a favore della realizzazione del TAV Torino-Lione: autore di proposte quali l’espulsione dal proprio partito degli amministratori valsusini contrari all’opera e per l’impiego dell’esercito nell’imporre i cantieri sul territorio.

http://www.notavtorino.org/documenti/tartaglia-smonta-esposito-25-11-10.pdf

Mirco Federici, “Analisi termodinamica integrata dei sistemi di trasporto in diversi livelli territoriali”, Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Siena

La TAV ha impatti ambientali paragonabili al trasporto individuale in auto e addirittura superiori al trasporto merci su gomma. Non migliora l’impatto dovuto alle emissioni, ed anzi peggiora la qualità ambientale con l’invasività delle sue infrastrutture… la TAV non ha ragione di esistere né dal punto di vista dell’offerta di trasporto (troppo bassa) né dal punto di vista dell’efficienza… Inutile e oltretutto dannoso investire risorse e soldi su una tipologia di trasporto che non offre miglioramenti ambientali nel caso del trasporto passeggeri e che addirittura peggiora la situazione per il trasporto merci. Sottolineiamo che se il trasporto merci sulle TAV venisse abbandonato, allora il trasporto passeggeri diverrebbe assolutamente insostenibile, perché l’allocazione dei materiali e dell’energia delle infrastrutture verrebbe imputata interamente su un volume di traffico, che per quanto ottimistico, porterebbe ad una sotto utilizzazione della linea. Se questi risultati venissero integrati dagli altri impatti ambientali relativi alla cantierizzazione della TAV (come le falde acquifere deviate, infiltrazioni e contaminazione di terreni e falde sotterranee, impatto paesaggistico, inquinamento acustico etc.), il giudizio finale delle TAV diverrebbe ancora più negativo:

http://www.notav-valsangone.eu/index.php?option=com_docman&task=doc_details&gid=28&Itemid=93

Appello a Monti sottoscritto da 360 professori universitari, ricercatori e professionisti convinti che il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenti “una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese”.

“Il progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione…non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di causare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti. […]. L’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Aarhus. Per queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo la necessità dell’opera”:

http://www.notav-valsangone.eu/documenti/letteraMonti9_2_12.pdf

TAV Torino-Lione e ‘ndrangheta piemontese:

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2011/09/tav-lione-torino-e-ndrangheta-piemontese-loperazione-minotauro-scopre-che-i-binari-sono-paralleli.html

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