Come i leghisti interpretano le macroregioni europee

Una macroregione alpina per superare gli stati nazionali a favore di un’Europa dei popoli. È stato firmato a Bad Ragaz, nel cuore della Svizzera, il patto che coinvolge diverse regioni alpine europee tra Italia, Svizzera, Austria, Germania e Francia. Una grande area tra le più ricche ed industrializzate del pianeta, dove vivono circa 70 milioni di persone e sono insediate le principali realtà industriali del vecchio continente. Regioni che vanno dalla Padania leghista alla Baviera, passando per la Carinzia, la Provenza e il Rhone-Alpes, che vogliono attuare politiche comuni, capaci di dare una nuova forma alla collaborazione su base regionale e sovranazionale. Le regioni che partecipano all’iniziativa vogliono fare quadrato e promuovere una comunità di lavoro che intende sviluppare una strategia comune per orientare la programmazione 2014-2020 dell’Unione.

Tra i principali sostenitori del progetto ci sono gli amministratori leghisti delle regioni italiane interessate, da Luca Zaia a Roberto Cota. All’appuntamento di venerdì non è voluto mancare Umberto Bossi, che da mesi annuncia con enfasi l’arrivo dell’accordo, salutandolo come uno dei più grandi risultati nel cammino verso la formazione dell’agognata Europa dei popoli. E alla firma dell’accordo c’era anche Roberto Formigoni, che ha incontrato per la prima volta il presidente del Carroccio dopo le polemiche che stanno coinvolgendo il governatore lombardo, facendo vacillare il suo impero ventennale. Formigoni ha sottolineato come con questo progetto si riaccenda l’ideale politico di “una Europa dei popoli e delle Regioni, com’era originariamente nella visione di Europa dei padri fondatori” strizzando così l’occhio alla Lega Nord, forse nella speranza di riuscire a scongiurare la caduta del governo lombardo: “Questo è un nuovo inizio per il Nord – ha detto Formigoni ai leghisti della delegazione – e una nuova strategia delle nostre regioni verso l’Europa. La macroregione è finalmente la strada giusta per contare in Europa”.

Formigoni ha poi enunciato i pilastri del progetto, che saranno “agricoltura e competitività, energia e ambiente, comunicazioni e trasporti”. Negli intenti dei promotori il campo d’azione non sarà dunque limitato alla protezione e allo sviluppo delle aree montane, ma lo sforzo comune sarà quello di “leggere le aree montane come parte di territori più ampi, per uno sviluppo pienamente integrato”. Secondo il governatore del Veneto, Luca Zaia, l’obiettivo della macroregione alpina “è quello di superare i confini e di portare l’integrazione europea ad un livello più vicino ai cittadini e in linea con lo spirito dei padri fondatori dell’Europa”. I prossimi appuntamenti porteranno i delegati delle varie regioni interessate nel comune svizzero di Poschiavo a settembre, a Innsbruk ad ottobre e a Milano nei primi mesi del 2013. Appuntamenti in cui verranno definiti i livelli di governance e le strategie della macroregione, coinvolgendo anche i rappresentanti degli stati nazionali e la comunità europea, al fine di raggiungere un pieno riconoscimento del ruolo di questa nuova entità.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/07/03/europa-dei-popoli-dalla-padania-alla-baviera-si-allaccordo-voluto-dalla-lega/281524/

Regioni unite per una strategia comune transnazionale sul modello di quelle del Baltico e del Danubio

Italia addio, nasce la macroregione delle Alpi. I presidenti delle Regioni dell’arco alpino italiano (Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia) e delle Province autonome di Trento e Bolzano saranno venerdì a San Gallo, in Svizzera, per incontrarsi con gli altri presidenti delle regioni alpine europee (appartenenti a Svizzera, Francia, Germania e Austria) e sottoscrivere un documento di “iniziativa delle Regioni” per la costruzione di una Strategia macroregionale europea per le Alpi.

Ne danno notizia in un comunicato congiunto i rispettivi presidenti delle Regioni Augusto Rollandin, Roberto Cota, Roberto Formigoni, Luca Zaia, Renzo Tondo, Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder (il Friuli sarà rappresentato dal vice presidente con delega alle Politiche per la montagna, Luca Ciriani).
Sul modello delle Strategie macroregionali del Baltico e del Danubio, oggi pienamente operative, le Regioni alpine italiane, al pari di quelle di Svizzera, Francia, Germania, e Austria, si troveranno unite per condividere un percorso di coordinamento delle politiche europee, che riguardano uno spazio significativo nel cuore dell’Europa, un territorio abitato da 70 milioni di persone e costituito dalle regioni più sviluppate e dotate di un tessuto imprenditoriale e di centri di innovazione di prim’ordine.

Le Regioni e le Province autonome italiane, che abbracciano la totalità del versante sud delle Alpi, rappresentano da sole un terzo delle popolazioni del territorio interessato dalla Strategia. Esse «arrivano unite a questo appuntamento – si legge nella nota congiunta -, determinate a dare una spinta decisiva a questa iniziativa comune e a farsene sostenitrici presso il governo nazionale e tutte le istituzioni europee».

NESSUN NUOVO “CARROZZONE”. La Strategia macroregionale non significa nuove strutture od organizzazioni né maggiori spese per i cittadini. Essa rappresenta il modello di una collaborazione interregionale e transnazionale permanente per coordinare le politiche regionali, nazionali ed europee dell’area alpina verso obiettivi comuni di “sviluppo economico in un ambiente intatto”, come recita il documento dell’“iniziativa delle Regioni”. Sviluppo fondato su tre pilastri complessi ma ugualmente fondamentali: innovazione e competitività, ambiente ed energia, accessibilità e trasporti.

Queste saranno le linee di sviluppo del programma comune che sarà proposto venerdì, a nome delle popolazioni alpine europee e nell’applicazione del principio di sussidiarietà alla base della costruzione europea, ai rispettivi governi nazionali e, tramite loro, alle istituzioni europee per essere approvato formalmente.
Nelle intenzioni dei sottoscrittori, la Strategia macroregionale per le Alpi «rappresenterà finalmente il punto di svolta, un’occasione di ripensamento delle politiche per la crescita di un’Europa davvero unita dal basso, a partire dalle realtà locali e territoriali, esaltando la diversità e l’identità di ciascun popolo nella casa comune europea».

L’iniziativa degli amministratori locali padani rappresenta un importante sviluppo sul piano politico della cooperazione transfrontaliera già avviata da tempo con le regioni di confine, ben al di là delle prospettive concepibili a Roma, e dei relativi limiti. Anche a livello europeo, a tutt’oggi manca una politica comunitaria per la montagna che tenga in debito conto peculiarità, risorse e difficoltà di ciascun territorio. Ben venga, dunque, una iniziativa «dal basso» come questa, che si inserisce nel processo di superamento degli ormai vetusti confini nazionali.

A. A.

dalla “Padania” del 26.6.12

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/contro-i-miti-etnici-alla-ricerca-di-un-alto-adige-diverso-un-libro-preveggente/

“Contro i miti etnici” – un libro “preveggente” ed in offerta speciale (-20%) per i lettori del blog

Seguimi su FACEBOOK e nel gruppo FB “Contro i Miti Etnici”

Preveggente e lucido – (modestia a parte ;o)

Nelle annotazioni precisate che siete lettori del blog di Stefano Fait ed otterrete lo sconto (offerta valida fino al 31 agosto):
http://www.raetia.com/index.php?id=522&no_cache=1&lang=it&title=CONTRO%20I%20MITI%20ETNICI

Stefano Fait/Mauro Fattor
CONTRO I MITI ETNICI
Alla ricerca di un Alto Adige diverso

Osservandolo dall’esterno, l’Alto Adige appare una realtà molto particolare. Nel mezzo dello spettacolare scenario delle Dolomiti, due, anzi tre culture condividono un piccolo fazzoletto di terra, parlano tre lingue diverse e costituiscono un ponte tra nord e sud. Un’immagine che purtroppo, per ragioni storiche, non rispecchia la realtà. Stefano Fait e Mauro Fattor ritraggono l’Alto Adige da una prospettiva esterna e, (pur essendo) consapevoli del contesto storico mostrano che la “Matrix sudtirolese” si basa su principi troppo chiusi e rigidi, spesso interpretati erroneamente. Volk/popolo, Heimat/patria, Kultur/cultura sono concetti da ridefinire per il futuro di questa regione. Secondo gli autori, il presupposto per una pacifica convivenza è andare oltre il culturalismo.

Un’analisi corrosiva e spietata degli idoli e dei miti etnici che frenano la società sudtirolese e non solo. Dall’ideologia del Bergbauer/contadino al dispotismo degli idoli identitari, il libro è il tentativo di mettere a nudo la retorica della patria e del “tempo degli eroi” attraverso il filtro di un’analisi rigorosa che tocca sociologia, antropologia, politica, storia, filosofia.

Premio Itas 2011

del Libro di Montagna

 

SEGNALATO

dalla Giuria

 

59° Trentofilmfestival Montagna Esplorazione Avventura

 

 

 

 

Voci correlate al libro

“Se Fattor e Fait sono due utopisti, sono anche sufficientemente realisti da sapere che la distruzione del paradigma etnico è solo un lato della medaglia. Per questo non si limitano alla demolizione del mito etnico, ma anche a smontare la falsa consapevolezza che deriva dal rendere reale una costruzione sociale.”
Günther Pallaver

 

“È a questa Europa di minoranze in cammino e di identità mutabili che dovremmo affidare il futuro della nostra bella terra. Orgogliosi dell’autogoverno ma al tempo stesso responsabili nel costruire.”
Michele Nardelli

 

Eco della stampa

In Sudtirolo si scrive molto di Sudtirolo. Monografie e saggi di carattere politico e storico, talvolta assai ben documentati, non mancano. Con un piccolo, significativo, difetto. Una riflessione su questa terra pensata e redatta in lingua italiana stenta a decollare, oppure è consegnata alla fugacità di interventi giornalistici che non consentono il necessario approfondimento. Contrastando in modo programmatico questa tendenza, il volume “Contro i miti etnici”, uscito per l’attivissima casa editrice “Raetia” di Bolzano, colma questa lacuna e propone un punto di vista critico sul “modello Südtirol” con il quale è senz’altro utile confrontarsi. Il saggio, utilizzando un linguaggio accessibile a tutti e risultando con ciò comprensibile anche a chi non sia particolarmente esperto di problematiche locali, lancia la sua provocazione e vuol far discutere: decostruire le mitologie che innervano e condizionano un discorso pubblico tuttora impostato sulla prevalenza dei gruppi, proponendo – in opposizione – il senso di una progettualità più vicina alle esigenze degli individui.
Corriere dell’Alto Adige

Il volume di Fait e Fattor è un atto di accusa contro il “doping identitario” della politica locale. (…) Il libro è tanto un saggio quanto un pamphlet.
Alto Adige

Il libro è molto interessante e merita di essere letto con attenzione.
Corriere dell’Alto Adige, Gabriele di Luca

Stefano Fait und Mauro Fattor analysieren die ethnischen Mythen und versuchen die Mechanismen und Beweggründe hinter der patriotischen Rhetorik freizulegen.
Der Brixner

Quello di Fait e Fattor è un coraggioso tentativo di rendere fruibile ad un pubblico di non addetti ai lavori, quello che nasce come uno studio di natura sociale ed antropologica della società altoatesina.
dislivelli, Daniela Zecca

Un libro fondamentale, assolutamente da leggere, forse il testo più “vero” e doloroso mai scritto sull’Alto Adige.
Reinhard Christanell, franzmagazine

INTRODUZIONE

“Vi hanno detto che senza le radici non si costruisce il futuro, che senza un’identità collettiva la vita non ha senso, che l’atto di togliere il crocifisso dai luoghi pubblici è un’offesa a ciascuno di voi, prima ancora che a Dio, che ognuno dovrebbe essere orgoglioso della propria patria/Heimat ed è tenuto ad amare la propria lingua. Tutto questo lo si deve fare a prescindere. Un po’ come le Tavole della Legge donate da Geova a Mosè sul Sinai: “Io sono il Signore, tuo Dio… Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine… Non ti prostrerai davanti a quelle cose…ecc.” I Comandamenti sono stati debitamente aggiornati e la loro osservanza è dovuta. È curioso che l’unico animale terrestre nato per essere libero abbia trascorso la sua storia escogitando ogni possibile mezzo e metodo per ingabbiarsi. Eppure, per noi umani, non esiste a questo mondo nulla di inevitabile, tranne la morte. Geni, ambienti familiari, culture, lingue, estrazione sociale, ecc. non programmano la nostra esistenza. È estremamente facile provarlo…”
CONTINUA QUI

Durnwalder tiferà per la Spagna in finale? (e chissenefrega?)

“In Alto Adige, terra bilingue italo-tedesca, non tutti tifano per gli azzurri in vista dell’incontro con la Germania. Il governatore Luis Durnwalder, ad esempio, dice di provare simpatia per molti giocatori italiani, incontrati durante i ritiri estivi in montagna: «Ma personalmente tengo per la Germania», dice sulla partita di stasera. Il quotidiano Dolomiten ha interpellato alcuni personaggi di lingua tedesca: non mostra tentennamenti Ulli Mair, segretaria del partito dell’ultradestra Freiheitlichen: «Non importa chi vince – afferma – basta che sia la Germania». Apparentemente più decoubertiniano è Elmar Pichler Rolle, personaggio di spicco della Svp: «Vinca il migliore», dice. Ma poi aggiunge: «In questo caso il migliore è certamente la Germania»”.

http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2012/06/28/news/durnwalder-io-tifo-per-la-germania-1.5330681

“L’elemento decisivo non è quindi l’unità amministrativa, ma ritorna con prepotenza in primo piano il richiamo a una supposta e auspicata unità etnolinguistica della propria “parte”.  Si potrebbe inoltre chiosare che in passato fu Magnago ad opporsi decisamente all’idea di definire i sudtirolesi una “minoranza austriaca”. Lui infatti parlava sempre di “minoranza tedesca” o di “lingua tedesca”. Mentre solo con Durwalder il discorso della “minoranza austriaca” pareva diventato il centro di una nuova identificazione culturale e politica.

Certo, sarebbe possibile obiettare che alcuni sudtirolesi tifano Germania, e non Austria, solo perché l’Austria è calcisticamente insignificante e spesso assente dalle grandi competizioni internazionali. Eppure il sospetto che quanto abbiamo appena sottolineato indichi una tendenza non dettata da mero opportunismo rimane. Dobbiamo preoccuparci? No, ammesso che tutta questa faccenda dell’appartenenza legata al calcio sia solo una metafora. Ma le metafore sono “solo metafore”? Comunque la vediate: buona partita a tutti”.

Gabriele Di Luca, Corriere dell’Alto Adige, 28 giugno 2012

http://sentierinterrotti.wordpress.com/2012/06/28/partita-di-calcio-o-metafora/

“Lo storico dell’Università di Pisa Alberto Mario Banti, uno dei massimi esperti italiani del  Risorgimento, è rimasto coinvolto in un’accesa diatriba sulla bontà ed opportunità di questo risveglio neo-risorgimentalista.  Ha vergato una critica  senza appello al nazional-patriottismo di Benigni, che andrebbe letta alla luce delle sue analoghe obiezioni alla narrativa patriottica di Carlo Azeglio Ciampi, contenute nel bel “Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo” (Laterza, 2011).

Da Luis Durnwalder si è preteso un autodafé patriottico, come quando gli inquisitori spagnoli esigevano una dimostrazione di fede dai marrani ebrei e musulmani. Chiederemo agli immigrati di prostrarsi di fronte ad un crocifisso o di recitare a memoria la costituzione?

In prima battuta devo ammettere di aver avuto uno scatto patriottico: l’ho trovato irritante. L’Alto Adige ha avuto notevoli riconoscimenti e benefici economici ed un rappresentante delle istituzioni dovrebbe avere un altro comportamento. A mente fredda, però, non c’è dubbio che se si preme il tasto delle radici si fa il gioco di Benigni, dell’italianità eterna: i Sudtirolesi non hanno potuto esercitare una scelta nel 1919 ed hanno dovuto subire tutto il peso dell’oppressione fascista. Per questo il terreno comune dovrebbero essere la carta costituzionale e lo stato di diritto, non la storia: a tutela di tutte le minoranze. A scuola, come s’impara la matematica e Manzoni, si dovrebbe anche imparare la costituzione e magari si potrebbe anche estendere il giuramento di lealtà alla costituzione a tutti i cittadini, non solo a certe categorie”.

http://ricerca.gelocal.it/trentinocorrierealpi/archivio/trentinocorrierealpi/2011/02/25/AT6PO_AT601.html

La disputa sulle lealtà calcistiche di Durnwalder dimostra che il totemismo è vivo e vegeto nelle società contemporanee. L’aquila americana continua a contrapporsi all’orso russo, l’orso trentino è vilipeso e Durnwalder è già stato trasformato in un totem clanico vivente. Dellai farà verosimilmente la stessa fine in Trentino.

Ci consideriamo moderni, ma non lo siamo. Tra i “primitivi” aborigeni australiani la sopravvivenza della comunità è affidata ad una corretta riproduzione dell’ordine modellato dagli antenati totemici e i loro simboli devono essere fedelmente riproposti, nelle immagini e nelle ritualità. Analogamente, tra noi “moderni” riscontriamo le logiche tribali, il feticismo, il ritualismo elaborato, l’idolatria, il totemismo, la venerazione della natura e degli antenati, lo spirito del clan, i pellegrinaggi, i percorsi iniziatici, la sacra toponomastica e i sacri simboli, la fede nell’Età dell’Oro e nella Terra Promessa, ecc.

È inevitabile: totem e simboli sacrali servono anche a rassicurare una società sulla bontà e validità della sua visione del mondo. Per il celebre etnografo Clifford Geertz l’esistenza stessa dell’uomo sarebbe salvaguardata dai simboli, nei confronti dei quali si è sviluppata una tale forma di dipendenza che il privarsene equivarrebbe alla morte psichica, al caos assoluto. Il che spiega come mai sono in grado di determinare la nostra esistenza.

Durnwalder poteva dire di non essere interessato al calcio e il Dolomiten poteva fare a meno di fare il suo “sondaggio” sugli orientamenti del tifo dei politici sudtirolesi. In una società matura ci sono delle alternative, in Alto Adige non ci sono: è d’obbligo prostrarsi al cospetto del proprio totem. Durnwalder non ha mai avuto una vera scelta: qualunque risposta avesse dato avrebbe creato malumore. Anche astenendosi dal rispondere avrebbe generato sospetti. Durnwalder, come ciascun residente dell’Alto Adige, è ostaggio più o meno consenziente dei totem clanici e dei miti etnici, una condizione particolarmente problematica in un Alto Adige che si trova a cavallo tra un’eurozona forte ma calcisticamente debole ed un’eurozona debole ma calcisticamente forte.

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https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/contro-i-miti-etnici-alla-ricerca-di-un-alto-adige-diverso-un-libro-preveggente/

Zuccotti Park e Piazza Battisti: il fallimento di indignati ed autonomisti ci serva di lezione

di Stefano Fait

Ho notato (numero di visualizzazioni) che c’è un certo interesse per il mio punto di vista sulla questione: “autonomia al bivio”.

Mi fa ovviamente molto piacere e mi auguro vivamente di non deludere i lettori: non posso fare molto altro per la mia comunità se non cercare di analizzare quel che vedo e sento quanto più lucidamente mi sia possibile fare.

Dice bene il direttore del Trentino Alberto Faustini, nel suo editoriale: “A mancare erano…le facce delle persone che ogni giorno vivono d’autonomia, ma che sentono il Palazzo meno vicino d’un tempo…I cittadini, in piazza, non ci sono scesi proprio: chi di dovere, si chieda perché“.

È un fatto: Piazza Battisti era affollata, ma non piena, e certamente non più di un terzo dei presenti non è stato “convocato”.

Il tanto deprecato e vezzeggiato popolo non si è visto.

Sono stato intervistato e non ho idea di cosa sarà trasmesso in TV di quanto ho detto.

Ne approfitto per riproporre ed elaborare i punti nodali che ho toccato.

Primo, ma non per importanza. L’assessore Panizza doveva usare maggior circospezione. La situazione richiede una certa coesione, non visibilità personale e a vantaggio del proprio partito: uniti nella diversità, con pari dignità. Le strumentalizzazioni politiche allontanano la gente e costringono il dibattito nei binari del monologo. Un manifestazione per l’autonomia è diventata una manifestazione per gli autonomisti, non particolarmente riuscita. Bah…
Mettiamo da parte le partigianerie e lavoriamo tutti assieme per il bene comune (con diritto di critica e di dissociarsi).

Secondo. Faustini ha scritto un’altra cosa importante, che è venuta in mente anche a me. Lui l’ha espressa molto meglio: “Il Trentino…può scegliere di chiudersi a riccio, interpretando l’autonomia come un privilegio, oppure può mettere la propria esperienza al servizio dell’Italia come esempio. L’evento di ieri avrà senso solo se perseguirà la nuova strada”.

La strategia del riccio è nobilmente nonviolenta, perché fa male solo a chi aggredisce, ma è anche futile ed autodistruttiva, quando l’aggressore è di un certo peso. Appallottolarsi per resistere all’attacco di un’automobile è istintivo, però è anche suicida.

Per questo il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street sta, temporaneamente, fallendo, com’è fallita la mobilitazione trentina.
Gli indignati non hanno combinato nulla, non hanno ottenuto nulla e ora li stanno scacciando da tutti i luoghi occupati, uno dopo l’altro. Succederebbe lo stesso ai no-Tav, se le comunità della Val di Susa non fossero determinate a resistere. Il fallimento è dovuto alla pateticità del fine principale, che pare essere solo quello di far vedere che ci siamo, che non possiamo essere ignorati, non di cambiare le cose in modo duraturo.

La gente si mobilita quando vede che c’è una ragionevole possibilità che un movimento possa cambiare le cose, che possa ristabilire la giustizia sociale o la libertà, quando è stata persa.

Al momento i Trentini non hanno ancora sentito i veri morsi della crisi, ma solo dei mordicchiamenti sopportabili. Molti non si sono resi conto che ciò è successo soprattutto grazie all’autonomia. I negozi del centro chiudono, ma la maggior parte dei Trentini può continuare a credere che è solo questione di tempo e tutto si sistemerà.

In quei paesi dove l’autonomia non esiste, la gente ha invece capito che la situazione è ben diversa:

Che ci piaccia o no, i dati indicano che è in atto una lotta di classe scatenata unilateralmente da un’oligarchia di ricchi contro la classe media. Dove questo conflitto ci potrebbe condurre l’ha spiegato Gustavo Zagrebelsky senza tanti giri di parole:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/29/gustavo-zagrebelsky-sul-nuovo-ordine-mondiale-e-lapocalisse/
Perché sia stata intrapresa proprio ora non è una questione da affrontare in questa sede, ma è probabilmente legata ad un progressivo risveglio della società civile globale, reso possibile da internet (e forse dalla consapevolezza di altri grandi eventi imminenti).

Data la situazione, credo senza precedenti, si rende necessaria una stategia diversa, che pretenda dai politici di rispettare la sovranità e la volontà popolare e di difendere lo stato sociale. Questo è un altro punto che ho toccato nell’intervista. L’autonomia è il fondamento della democrazia, che è nata per contrastare incessantemente ed instancabilmente la tendenza del potere ad accentrarsi in poche mani e per promuoverne la diffusione tra tutti i cittadini, assieme alla consapevolezza ed alle competenze necessarie ad usarlo saggiamente.

Ora, quel che è mancato ad indignati ed autonomisti è la capacità di fare richieste. Il potere non concede nulla se non c’è una richiesta specifica. Se vogliamo qualcosa dobbiamo domandarlo.
Dellai
e Durnwalder hanno chiesto maggiori competenze, ossia hanno assicurato che le due province autonome si faranno carico di maggiori spese, alleviando ulteriormente i costi che spettano allo Stato. È una buona mossa, ma non credo che avrà alcun successo, perché a Roma e Bruxelles la tendenza prevalente è quella dell’accentramento, della sottrazione di fette sempre più ampie di sovranità ai paesi membri.

Trentini ed Alto Atesini/Sudtirolesi non devono dividersi, devono fare fronte comune e farsi sentire, devono parlare la lingua di tutti, proprio come raccomanda di fare Faustini.

Ho scritto con Mauro Fattor il saggio “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” proprio in previsione di questo tipo di evenienza globale con ripercussioni locali (cf. introduzione, pp. 15-20). Gli eventi ci stanno dando ragione.

Si devono fare richieste concrete che riguardino tutti e che possano realisticamente cambiare le cose, altrimenti Roma avrà buon gioco a mettere Lombardi e Veneti contro i Trentini, mentre i separatisti sudtirolesi frazioneranno ancora di più la società civile della provincia di Bolzano. Dobbiamo dare l’esempio a tutte le comunità italiane e non solo. Dobbiamo batterci per tutti e non solo per noi stessi. Dobbiamo agire localmente, ma pensare globalmente, pensare ad un Mondo Nuovo, dove il neoliberismo dei monopoli politico-economico-finanziari sia ricacciato indietro e si riprenda il cammino tracciato dai padri dell’autonomia e dai padri della Costituzione.

O si fa così, oppure le piazze non si riempiranno mai: né le nostre, né quelle altrui.

Concludo con una serie di interrogativi che spero riceveranno una risposta corale e positiva.
L’Alto Adige può imparare dagli errori trentini e vice versa?
Possiamo creare assieme un modello autonomistico che serva da piattaforma per tante altre realtà, disgiuntamente dal fattore etnico-linguistico?
Possiamo, cioè, essere “glocali”?
Come suggerisce Michele Nardelli, è possibile “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”?
http://www.michelenardelli.it/
Ma, soprattutto, Bruxelles sarà capace di superare il paradigma centralista ed accettare questo genere di sperimentazioni?

Perché il 10 marzo sarò in piazza per l’autonomia (sintesi)

di Stefano Fait

Il precedente post su questo argomento era troppo lungo:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/06/il-10-marzo-si-fa-la-storia-a-piccoli-passi/

L’ho sintetizzato perché è importante che siano chiare le mie motivazioni, che mi auguro siano ampiamente condivisibili e condivise.

Sarò anch’io in piazza a celebrare l’autonomia, il 10 marzo.

Questo per due ragioni.

La prima è la condivisione del progetto ventilato da Michele Nardelli e da altri di “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”.

La seconda ragione si è imposta ascoltando le parole di due parlamentari italiani, entrambi fautori di una Grande Coalizione a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013. La definivano un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!), bollati come “populisti” e “demagoghi”. Mi ha particolarmente colpito una frase: “Non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione, dobbiamo fare lo stesso”.

I due parlamentari dichiarano che esiste un unico modello di sviluppo possibile e che chi non lo condivide è un irresponsabile, proprio in una fase storica in cui le magagne del sistema sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene nostro e delle generazioni a venire.

Quel che è peggio è che s’intravede, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali sia sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere centrale siano al contrario sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi.

Viene così a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità, fonte di creatività, innovazione, miglioramento, autocritica, graduale maturazione della società civile. Si prospettano, al contrario, energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia potrebbe avere un significato molto importante, forse perfino epocale e voglio esserci anch’io.

Il 10 marzo si fa la storia, a piccoli passi

di Stefano Fait

Qui una sintesi delle riflessioni sviluppate nell’articolo che segue le citazioni:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/07/perche-il-10-marzo-saro-in-piazza-per-lautonomia-redux/

Se in piazza non ci saranno migliaia di persone, sarà un flop clamoroso.

Luis Durnwalder, “Trentino”, 2 marzo 2012

Il mio timore è che molti di noi, pur amando dissertare di autonomia, pur riconoscendone valore e utilità, non ne avvertano invece una sincera ed autentica passione.

Franco Panizza, “Trentino”, 3 marzo 2012

Una proposta, quella di fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale, mettendo in rete – come è stato per la Carta sull’autonomia del Tibet – i luoghi della ricerca di questa terra impegnati sul piano internazionale, dall’Università al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani all’Osservatorio Balcani Caucaso… Ne avevamo parlato qualche giorno fa con l’ambasciatore del Marocco e con il presidente Dellai, a partire dalla semplice considerazione che quello trentino è in sé un piccolo laboratorio sull’autonomia, guardato con attenzione da molti e in latitudini diverse.

Michele Nardelli

http://www.michelenardelli.it/diario.php?anno=2012&mese=03

L’autonomia, sia individuale sia collettiva, pietra angolare dei regimi democratici, corrisponde al diritto di cercare attraverso se stessi, non alla certezza di trovare.

Tzvetan Todorov, “Il secolo delle tenebre”

Difetta nei più, per miseria, per indifferenza, secolare rinuncia il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa sì che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano. Gli italiani hanno più spesso l’orgoglio della loro persona, nei suoi valori e rapporti esterni, che della loro personalità. […]. Mussolini fornisce la misura della sua banalità quando considera il problema della autorità e della disciplina come il problema pedagogico essenziale per gli Italiani. Vivaddio, non è questo che occorre insegnare agli Italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna vera rivoluzione di popolo.

Carlo Rosselli, “Socialismo liberale”

Ieri sera sono rimasto assolutamente sconcertato dalla visione del mondo delineata su Rai News 24 da due parlamentari italiani, Adolfo Urso (ex MSI, presidente della Fondazione i FareFuturo, e Guido Crosetto (PDL).

Entrambi fautori di una Grande Coalizione PDL-PD-Centro a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013, la definiscono un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!) che bollano come “populisti” e “demagoghi”, spiegando che “non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione l’Italia deve fare lo stesso”. I due parlamentari dividono il mondo tra i realisti che appoggiano Monti e la Tav e gli altri, gli anti-moderni, che rappresentano una zavorra per l’Italia e con i quali non si possono stabilire degli accordi, perché sono per definizione nel torto. La Grande Coalizione sarebbe allora una muraglia contro questi nuovi barbari, per preservare la civiltà. Se qualcuno pensa che io sia caduto in eccessi retorici, lo invito a seguire con attenzione le dichiarazioni di chi si schiera con il progetto della Grande Coalizione. Urso e Crosetto hanno promesso che nei prossimi mesi la separazione antropologica tra gli uni e gli altri sarà resa sempre più netta, “per poter chiarire le idee all’elettorato italiano, in special modo riguardo alla grande trasformazione della logica degli schieramenti che si renderà necessaria per dar vita alla Grande Coalizione”.

Considero un’assoluta priorità smascherare la reale natura di questo progetto, che è destinato a ridurre ulteriormente gli spazi democratici di questo paese e a confliggere con le autonomie locali.

La visione del mondo propagandata dai summenzionati parlamentari (ma anche dal governo Monti e da Napolitano) è quella, fatalistica, di una società governata da forze inarrestabili ed incontrollabili che si possono solo assecondare. Mentre la premessa della democrazia è l’autodeterminazione, la capacità dei cittadini di trasformare le proprie circostanze di vita eleggendo dei rappresentanti che incarnino la loro volontà, che può essere e spesso è in contrasto con quella di chi detiene il potere economico-finanziario e militare, la lettura della realtà di questi politici non è dissimile a quella che ha ostacolato l’abolizione dello schiavismo e dell’apartheid: esiste un unico modello possibile, chi dissente è un demagogo, chi sottoscrive è responsabile. Crosetto lo diceva con gli occhi bassi, senza guardare la telecamera. Forse una parte di lui si vergognava delle parole che gli uscivano dalla bocca. Urso, memore del suo passato alla direzione nazionale del Fronte della Gioventù, sembrava trovarsi molto a suo agio in questa cornice di ineluttabilità e di gerarchie inossidabili. Fosse stato per loro Rosa Parks, l’involontaria eroina dell’anti-segregazionismo, non sarebbe mai dovuta esistere: irresponsabile! Com’è irresponsabile, sempre dal loro punto di vista, una comunità autonoma che si oppone al volere delle autorità centrali.

Lo chiede Bruxelles! Lo chiedono le autorità mondiali!

Sarebbe bene che Durnwalder e Dellai – e chi verrà dopo di loro – riflettessero a lungo sulle implicazioni del varo della Grande Coalizione. Vi è, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali è sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere sono sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi. Tecnici e professori non sbagliano e, se sono dalla parte sbagliata, come nel caso dei no-Tav, è perché sono faziosi e non analizzano la realtà obiettivamente (altrimenti sarebbero pro-Tav).

In questa supponente Weltanschauung, gli autonomismi rappresentano un’incoerenza ed una contraddizione nel disegno generale, sono intellettualmente e psicologicamente irritanti, fomentano l’indisciplina ed il disordine.

L’aggressività montiana contro le autonomie non è esclusivamente motivata dalla dottrina dell’austerità senza se e senza ma. C’è dietro anche un impulso psicologico dettato dal senso di intangibilità morale (che normalmente appartiene alla sfera del sacro), il senso che le proprie decisioni sono insindacabili e moralmente ineccepibili e che chi punta il dito contro l’arbitrarietà di certe decisioni prese in nome del bene comune non sa quello che dice o è un fanatico, populista/demagogo, ecc. Questo paternalismo/maternalismo statalista mal tollera le autonomie e non è per nulla benevolo, anche se ritiene di esserlo: il potere di generare la vita e di nutrirla è anche quello che la fa appassire; la fiducia può mutarsi in ricatto.

Viene allora a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità come fonti di creatività, innovazione, miglioramento, proprio in un momento in cui le magagne del modello di sviluppo dominante sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene delle generazioni a venire.

Invece il conflitto viene riclassificato come caos: il mantenimento dell’ordine delle cose non va messo in discussione e chi lo fa è dogmatico, superstizioso o disadattato ed il suo atteggiamento è passibile di correzione. Giusto è quel che il potere stabilisce sia giusto e solo dei malvagi e degli egoisti si potrebbero opporre al giusto ed al bene: saranno dunque necessari degli energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali. Ciò che stona va rimosso, in nome dell’utilità sociale.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia avrà un significato molto importante, forse perfino epocale.

In Italia non se ne accorgerà nessuno, perché i media saranno occupati a coprire ben altre questioni, ma resta il fatto che questo evento molto piccolo crescerà, con il tempo, fino ad assumere proporzioni forse ingiustificate, perché noi esseri umani viviamo in una rete di miti ed archetipi e continuiamo a produrne di nuovi. Quel che è certo è che si tratta dell’inizio di un discorso più ampio che non sappiamo dove ci condurrà, ma che è diventato irrinunciabile ed è decisamente stimolante, come lo sono, di norma, le grandi trasformazioni.

Data la situazione attuale:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/prima-vennero-per-i-greci-e-non-dissi-nulla-perche-non-ero-greco/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

ad aprile, i Greci voteranno quasi certamente per un governo tenacemente ostile a Bruxelles, che molti prevedono indirà quanto prima un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Sfidando l’ira delle autorità europee, il nuovo primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato che sarebbe suicida inseguire i termini europei sul taglio del deficit, perché spingerebbe il tasso di disoccupazione oltre la soglia del 25% (quella giovanile è già oltre il 40%). La Spagna è un morto che cammina, anche se i riflettori si concentrano su Grecia e Portogallo, che in effetti, fino ad oggi, se la sono passata peggio. Si trascura la Spagna (in termini di PIL, 1XSpagna = 5XGrecia), perché la sua caduta segnerebbe la fine del progetto degli Stati Uniti d’Europa. Però alla fine del 2011 il deficit spagnolo ha toccato quota 8,51%, 2 punti e mezzo percentuali oltre quel che aveva preventivato Zapatero. Quello delle comunità autonome è più che raddoppiato in un solo anno. Una politica di rientro del deficit che eviti sommosse in ogni città spagnola è praticamente impossibile.

In Francia la notizia che la Merkel avrebbe fatto (slealmente: si può dire?) campagna elettorale per Sarkozy ha favorito il suo sfidante socialista, Hollande, molto critico della politiche europee di austerità e centralistiche:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-06/patto-antihollande-sarkozy-autogol-063917.shtml?uuid=AbRsOz2E

I potenti d’Europa non hanno ancora capito che la maggioranza dei cittadini li detesta?

La Repubblica Ceca si è saggiamente chiamata fuori dall’intesa fiscale (Fiscal Compact – la “regola d’oro” della disciplina del budget), assieme ai britannici. Il governo irlandese indirà un referendum sul Fiscal Compact, l’insieme delle nuove norme europee di controllo del budget fiscale. Gli Irlandesi hanno già bocciato il trattato di Nizza nel 2001 e quello di Lisbona nel 2008. Il giudizio dell’elettorato è, per il momento, negativo. Questo voto non rappresenta una minaccia per le autorità europee, dato che sono sufficienti 12 ratifiche su 25 stati firmatari per approvare il F.C. Tuttavia il no lancerebbe un chiaro segnale agli altri popoli europei che già associano il termine austerità all’idea di trasferimento dei beni dalla classe media ai ricchi.

Veniamo all’Italia, che registra una caduta dei consumi persino nel settore alimentare, quello che in tempi di crisi è l’ultimo a cedere. Nel frattempo il mercato delle auto sta tirando le cuoia (mentre Marchionne continua a pontificare su tutto):

http://www.unrae.it/primo-piano/categorie/comunicati-stampa/item/2287-immatricolazioni-di-autovetture-febbraio-2012

Quest’inverno migliaia di Europei sono morti assiderati (ipotermia) o di malattie stagionali perché non potevano permettersi di pagare le bollette e le medicine.

In Portogallo:

http://www.rtp.pt/noticias/index.php?article=530502&tm=8&layout=121&visual=49

nel Regno Unito:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2100232/Frozen-death-fuel-bills-soar-Hypothermia-cases-elderly-double-years.html?ito=feeds-newsxml

nell’Europa orientale ed occidentale:

http://it.euronews.net/2012/02/02/europa-ondata-di-freddo-killer/

Il prossimo inverno, se sarà rigido quanto il precedente (o più rigido),

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/verso-una-nuova-era-glaciale-il-quadro-dinsieme/

tutto questo non sarà accettato con fatalismo. Tra una tormenta e l’altra i cittadini andranno a prendersi con la forza quello di cui necessitano.

Il forte rallentamento dell’economia cinese (-1,5% rispetto all’anno precedente) e il nuovo boom dei junk bonds (i titoli spazzatura/obbligazioni ad alto rischio che ci hanno portato al disastro) ci fa capire che la crisi dell’eurozona è quasi certamente definitiva e che anche gli stati nazionali rischiano di essere trascinati nell’abisso di questo colossale fallimento, sotto il peso di un indebitamento senza rimedio.

Questo scenario può sfociare in due possibili direzioni: quella di uno stato centralizzato, sul modello degli Stati Uniti d’America (federazione), oppure quella di una proliferazione di piccoli stati confederati (confederazione), allineati allo spirito delle occupazioni degli indignati e della lunga tradizione dell’autonomismo/regionalismo/municipalismo italiano, che evolveranno verso nuove forme di auto-organizzazione collettiva.

Ahimè, ciò, verosimilmente, non avverrà pacificamente: nessun parto è pulito ed indolore.

L’AUTONOMIA PUÒ ESSERE IL VALORE-GUIDA DEL MONDO NUOVO

Ospitalità ed autonomia potrebbero rappresentare lo strumento del nostro riscatto, il volano per un Mondo Nuovo.

La libertà individuale, con annessa responsabilità personale, a volte ci sembra una zavorra. È più facile delegare le decisioni ad altri ed accusarli di aver sbagliato, se commettono degli errori. È ancora più facile distribuire la responsabilità tra i membri di un’intera comunità, enfatizzando la libertà collettiva e i narcisismi collettivi: “mal comune mezzo gaudio, e comunque tutte queste persone non possono aver torto” (chissà quanti Tedeschi l’hanno pensato o detto durante il nazismo!).

L’idea moderna di autonomia, però, è incentrata sul principio dell’importanza di assumere, almeno in una certa misura, il controllo delle proprie esistenze, coralmente, invece di vivere alla mercé degli agenti esterni, in un infantilismo protratto.

Ho già affrontato la questione della libertà, il principio da cui scaturisce quello dell’autonomia in un articolo di qualche tempo fa:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-liberta-quella-vera/

L’idea moderna di autonomia presuppone l’autodeterminazione personale (libertà) in una cornice di autodeterminazione comunitaria (responsabilità).

L’una non esclude l’altra: sono complementari.

Un cittadino adulto, maturo, non ripudia la sua autonomia di giudizio e si batte per espandere questo suo diritto inalienabile (giacché non è un privilegio né una concessione), a partire dalla sua comunità, perché sa che essere circondato da persone consapevoli, libere e responsabili, che sanno decidere in coscienza, va a tutto vantaggio suo e del bene comune. In questo senso la democrazia autonomista ha provato, per quanto è possibile, a realizzare (inverare) l’ideale delle prime comunità cristiane: la piena autonomia delle personalità nell’unità di un destino comune. Questo ideale, a sua volta, in un circolo virtuoso, si fa spontaneo promotore delle virtù dell’autonomia: la tolleranza (non paternalistica), il dialogo, l’apertura, l’autodisciplina e la disponibilità all’autocritica ed al cambiamento. 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, non dobbiamo commettere l’errore di ricadere in quello che chiamo “autonomismo tassidermico”, ossia la tendenza a fissare le identità come quando s’impaglia un animale, a bloccare il cambiamento, come i serpenti che cambiano pelle ma rimangono sempre gli stessi. Quella è la strada della morte dell’autonomismo e delle sue istituzioni, che diventano dei morti-viventi che pretendono devozione ed asservimento a beneficio della loro auto perpetuazione, invece di porsi al servizio dei cittadini, come sarebbero tenute a fare (è quella la loro ragion d’essere).

L’autonomia, l’autonomismo, le comunità autonome devono poter cambiare nel tempo, come cambiano gli esseri umani, altrimenti diventano ingabbiatori e vampiri, annichilitori della ragione e dignità umana. Un autonomismo etnicamente connaturato, per quanto si sforzi di passare per una crociata in favore dei più deboli, è ispirato al principio del diritto del più forte di prevalere ed infantilizza i cittadini invece di avviarli alla maturità. Infatti nessuno può definire me o chiunque altro: solo io posso assumermi la responsabilità di stabilire chi sono e come gestire responsabilmente questa mia identità mutevole, eterogenea, sfuggente.

Malauguratamente, la tendenza dominante al momento attuale è quella di un’unificazione europea di carattere tecnocratico ed autoritario, avversa alle autonomie locali. In ogni occasione ci viene ripetuto che questa è l’unica soluzione a tutti i nostri problemi.

Queste sono le mie argomentazioni in favore di un programma confederale (ossia contro il progetto degli Stati Uniti d’Europa):

  1. L’attuale configurazione dell’Unione Europea va già più che bene: c’è pace, c’è stabilità e ci sarebbe pure prosperità, se i politici prestassero più ascolto ai cittadini-elettori che alle sirene dell’alta finanza. Semmai, una sua riforma dovrebbe privilegiare le autonomie locali, non abolire la sovranità degli stati nazionali e, così facendo, minacciare le stesse autonomie locali (cf. Trentino-Alto Adige);
  2. tenuto conto dei successi indiscutibili delle nazioni più piccole di ogni continente, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una confederazione di repubbliche di dimensioni più ridotte, meno militariste, unite dalla gestione della politica estera e delle questioni di interesse generale;
  3. le riforme dovrebbero riguardare essenzialmente la regolamentazione dell’economia, della finanza, del fisco e del mondo del lavoro – nel senso della tutela di chi produce ricchezza, non di chi si comporta come un parassita e vive alle spalle dei lavoratori, investitori ed imprenditori (speculatori ed evasori);
  4. non si attua un radicale riorientamento delle istituzioni dall’alto se manca il consenso popolare (la democrazia prevede strumenti di consultazione della cittadinanza);
  5. è mai possibile che le lezioni del nazismo, del comunismo e dell’americanismo non siano state apprese?
  6. quando il potere si accentra cresce il rischio di corruzione e si rafforza la minaccia di sviluppi oligarchici e tirannici (“il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”);
  7. più ampia è la popolazione, più grande sarà la distanza tra elettori ed elettorato, perché ci saranno pochi rappresentanti per numerosissimi cittadini e ciò non può che nuocere alle dinamiche democratiche (Montesquieu docet: è improvvisamente diventato un pensatore irrilevante?);
  8. l’unionismo europeista comporta un drastico ridimensionamento dell’autonomia dei governi locali, gli unici strettamente a contatto con la realtà locale, eredità della lotta contro gli autoritarismi del passato: vogliamo più autonomie locali, non meno;
  9. un’unica capitale federale diventerebbe un ricettacolo di burocrati parassitari e politicanti. Pensiamo a Washington ed a Bruxelles. Hanno forse completamente torto i leghisti quando esclamano: “Roma ladrona”? Non c’è neppure un fondo di verità? Vogliamo che Bruxelles si degradi ulteriormente?
  10. in un ordinamento compiutamente confederale dotato di una carta dei diritti (o anche senza di essa, se le costituzioni dei vari stati vengono rispettate) ci potremmo permettere più ampie forme di democrazia diretta senza scivolare nella tirannia delle maggioranze. Saremmo tutelati dagli arbitri della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che stanno spogliando i cittadini dei loro risparmi per riassegnarli a chi già prospera;
  11. in una confederazione ci sarebbe il rischio di una burocrazia ipertrofica ed onnipotente come quella dell’attuale Unione Europea sarebbe attenuato;
  12. in una confederazione si introdurrebbero procedure che consentano le rotazioni periodiche degli incarichi politici di raccordo, per evitare che qualcuno si “incolli” alla sua poltrona, togliendo la delega in caso di incompetenza o disonestà;
  13. si bloccherebbe la strada del presidenzialismo, che assegna eccessive prerogative al presidente, senza che ci sia la minima certezza che sia invariabilmente una persona proba (es. Bush negli Stati Uniti e il mentitore, violatore del diritto internazionale e guerrafondaio Tony Blair, la cui candidatura alla presidenza dell’Unione Europea era stata ventilata da più parti);
  14. una confederazione abolirebbe gli eserciti professionali (permanenti), preferendo addestrare milizie locali, che non rappresentano mai una minaccia per la democrazia e i diritti civili e non instillano nei cittadini quella mentalità guerriera, aggressiva che affligge il mondo (cf. Merkel e Sarkozy e la vendita coatta di armi alla Grecia).

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/no-agli-stati-uniti-deuropa-le-ragioni-del-dissenso/#axzz1nlLMVkzb

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