Bruno Luverà (Tg1-RAI) sulla jugoslavizzazione d’Italia e la balcanizzazione d’Europa

Murale del famigerato aeroporto di Denver, particolare del ragazzino bavarese

Questo articolo serve a far luce sulla possibilità che qualcuno abbia interesse a disgregare lo stato italiano.

Mi riferisco anche – e forse soprattutto – alla sistematica invasione di campo che, con la scusa della crisi, lo Stato ricerca in ogni momento, con la pretesa di disciplinare ogni aspetto anche organizzativo della vita interna delle nostre comunità. E mi riferisco soprattutto a dichiarazioni, giudizi, esternazioni anche di membri del Governo che sembrano quasi stimolare l’ostilità dell’opinione pubblica nazionale nei nostri confronti, quasi per ricercare una sorta di capro espiatorio attorno al quale canalizzare la rabbia, la preoccupazione, l’inquietudine di un Paese che si avverte privo di bussola e di prospettive.
Lorenzo Dellai, presidente della Provincia Autonoma di Trento, 19 luglio 2012

UNA CITTÀ n. 81 / 1999 Novembre

Intervista a Bruno Luverà

realizzata da Gianni Saporetti

IL RAZZISMO DEL RISPETTO

La diffusione, a partire dalle regioni più ricche, di un etnofederalismo che sogna piccole patrie etnicamente pure e odia la società multietnica. Il razzismo differenzialista fondato sull’incomunicabilità delle culture. L’impegno della Baviera per un’Europa delle regioni raccolta attorno alla Germania e ai suoi confini storici. Intervista a Bruno Luverà.

Bruno Luverà, giornalista, ha pubblicato Oltre il confine. Regionalismo europeo e nuovi nazionalismi in Trentino Alto Adige, Il Mulino 1996 e, Recentemente, per gli Editori riuniti, I confini dell’odio.

La vittoria di Haider può essere considerata un fenomeno isolato?

Io ritengo che Haider non sia un fenomeno isolato perché oggi in Europa è in corso di formazione una nuova famiglia politica, i cui tratti comuni sono un forte populismo, che significa leaderismo, richiamo diretto al popolo e antipartitocrazia, una fede liberista in economia, e soprattutto l’etnonazionalismo. Di questa famiglia politica fanno parte l’austriaco Haider, Bossi, il bavarese Stoiber, e Dillen, il leader del Blocco Fiammingo in Belgio.
L’etnonazionalismo, che ha avuto la sua espressione massima nei Balcani, non è però un fenomeno circoscritto a quell’area geografica, quasi fosse connaturato con la storia di quei popoli. All’interno dell’Unione Europea esso assume la forma di un nuovo regionalismo, sviluppatosi negli ultimi dieci anni, dopo il crollo del Muro di Berlino. Nel nuovo regionalismo europeo ci sono due correnti: il regionalismo autonomista della Svp in Alto Adige o di Pujol in Catalogna, che hanno come idea-guida quella dell’autonomia dinamica, con l’acquisizione di sempre maggiori competenze per arrivare a forme forti di autogoverno, senza però che si arrivi a mettere in discussione la lealtà rispetto allo Stato nazionale, se non in una prospettiva lontana (per esempio, il diritto di autodeterminazione viene posto come valore, ma non se ne chiede l’esercizio immediato). L’altra corrente è quella, invece, micronazionalista, secondo la quale la regione diventa sinonimo di nazione, di piccola nazione, di piccola patria, e il richiamo alla regione serve per creare dei meccanismi di esclusione, serve per innalzare dei muri attorno a un luogo molto facile da controllare, potenzialmente più sicuro, in cui il criterio fondante la cittadinanza è quello dell’omogeneità etnica.

Si rifiuta quindi lo Stato nazionale etnicamente eterogeneo, a favore di un’Europa delle Regioni, che frammenta gli Stati nazionali e rimette in discussione i confini e le frontiere. La filosofia degli etnofederalisti, a livello istituzionale, prevede infatti la nascita di una federazione europea, in cui al posto delle nazioni ci siano Stati regionali fondati sull’omogeneità etnica. Il grande nemico degli etnofederalisti è allora la società multiculturale perché, secondo loro, è la fonte primaria dei conflitti interetnici. Altro nemico è lo Stato nazionale, soprattutto perché lo Stato nazionale liberale, nella forma storica in cui si è sviluppato nel mondo, è sostanzialmente eterogeneo, nel senso che vi convivono cittadini che possono appartenere anche a nazionalità diverse. Infatti, la priorità viene data al diritto dell’individuo e non al diritto del gruppo. Il federalismo etnico invece assegna la priorità ai diritti dei gruppi, per cui l’individuo si realizza pienamente solo all’interno della propria comunità.

[…]

Anche sulla questione delle due velocità, s’è giocata una partita decisiva in Europa. Pensiamo solo a cosa ha voluto dire per la Lega in Italia…
Non c’è dubbio che l’etno-federalismo, questo filone di pensiero che ha ripreso l’ideologia völkisch degli anni ’20 applicandola a una forma istituzionale moderna, è stato tenuto in vita politicamente ed organizzativamente, e logisticamente, grazie all’aiuto della Baviera. Le associazioni in cui questa piccola, ma molto combattiva élite di etnofederalisti, si sono raccolti, trovano nella Baviera fin dalla fine degli anni ’70 il loro punto di riferimento.
La Baviera ha giocato fino in fondo la carta dell’Europa a due velocità perché questa poteva aprire scenari geopolitici interessanti. I quali, guarda caso, sarebbero andati nella direzione dell’Europa delle Regioni. Il punto è che la Baviera vive con grande scetticismo il processo d’integrazione europea. Questo lo disse apertamente il ministro presidente bavarese Stoiber [“Con l’ascesa a Cancelliere di Angela Merkel, Stoiber ha rifiutato il Ministero dell’Economia da lei offertogli e si è ritirato nella sua Baviera”, NdR] nel ’93 in un’intervista alla Süddeutsche Zeitung: “La Germania aveva bisogno dell’Europa fino all’89, perché l’Europa era un succedaneo dell’unità nazionale persa dopo la seconda guerra mondiale. Ma una volta che la Germania si è riunificata, non ha più bisogno dell’Europa e neanche la Baviera ha bisogno dell’Europa. Perché il giorno in cui l’Europa diventasse uno Stato politico federale, la Baviera diventerebbe semplicemente più periferica, perché non sarebbe solo subordinata a Berlino, sarebbe subordinata anche a Bruxelles e a Strasburgo”. Stoiber rifletteva sull’Europa dopo l’89 soprattutto da un punto di vista bavarese, mosso dalla preoccupazione che la Baviera perdesse peso politico, centralità e ruolo all’interno di un grande Stato europeo.
Quindi, da una parte, una posizione di scetticismo rispetto all’Europa, dall’altra una posizione di scetticismo rispetto all’adesione di paesi come la Spagna e l’Italia, più deboli soprattutto a livello economico-monetario. E questo non solo per ragioni di populismo del marco, molto presenti nel messaggio politico bavarese della Csu (la difesa del marco come fattore identitario tedesco e il pericolo che l’adesione della lira lo indebolisse) ma anche perché l’Europa delle due velocità era uno scenario che poteva rimettere in discussione i confini.

A questo proposito era stato commissionato dalla Cancelleria austriaca, a metà degli anni ’90, uno studio all’Accademia delle Scienze di Vienna sugli effetti del regionalismo europeo sull’Austria e all’interno dell’Unione Europea. L’interrogativo era: “Il regionalismo è fattore d’integrazione o di disintegrazione, in vista dell’unione economica-monetaria europea?“. E nello studio dell’Accademia delle Scienze venivano ipotizzati diversi scenari, uno dei quali era quello dell’Europa a due velocità, e degli effetti che questo avrebbe provocato su paesi come l’Italia e la Spagna.
Gli studiosi austriaci facevano vedere come la mancata adesione dell’Italia e della Spagna da subito all’Euro avrebbe prodotto degli effetti disintegrativi all’interno di questi Stati. In particolare le regioni settentrionali italiane e le regioni più ricche della Spagna, la Catalogna, avrebbero chiesto di poter aderire da subito all’Unione Europea. Contemporaneamente, sempre nello scenario austriaco, il movimento delle regioni in Europa, cioè del nucleo duro dei paesi forti che poi ruotano intorno alla Germania, quindi il movimento dei länder, di cui la Baviera è la guida, avrebbe sollecitato una riforma istituzionale dell’Unione Europea per consentire l’adesione all’unione monetaria non solo degli Stati, ma anche delle Regioni e questo avrebbe potuto portare alla possibilità di concedere l’adesione alle regioni settentrionali italiane, alla Padania nel progetto di Bossi, o alla Catalogna di Pujol in Spagna. Si sarebbe così configurata un’Unione Europea con un nucleo duro centrale tedesco, a cui avrebbero aderito anche spezzoni ricchi e forti dei paesi rimasti fuori nell’immediato. La valutazione che facevano gli economisti viennesi era che i paesi, che non avrebbero rispettato da subito i criteri di convergenza, col passare del tempo avrebbero subìto un effetto forbice. Cioè la distanza con il nucleo duro sarebbe aumentata invece che diminuita, da qui l’effetto di disintegrazione e l’aumento di attrattività dei progetti micronazionalisti.
Questo era lo scenario disegnato dall’Accademia delle Scienze di Vienna. E questo fa vedere come la partita politica del regionalismo, giocata anche dalla Baviera, potesse aprire degli scenari imprevedibili: ridisegnare la mappa del vecchio continente, dando la priorità a principi di aggregazione regionali, invece che statuali e la rottura di uno dei principii degli Stati federali e degli Stati democratici oggi in Europa. Cioè il principio di solidarietà verso le regioni più povere.

A questo proposito, c’è da dire, per esempio, che negli ultimi anni più volte, per quello che riguarda la dinamica politica interna tedesca, la Baviera ha cercato di modificare il meccanismo di riequilibrio fiscale all’interno del patto di solidarietà che è proprio del federalismo tedesco. In Germania, infatti, le regioni più ricche compensano il gettito inferiore delle regioni più povere.

Questo per produrre un meccanismo di riequilibrio che consenta poi di avere dei volani di crescita per le regioni che sono più depresse. Più volte, soprattutto nei primi anni dell’ingresso dei cinque nuovi länder dell’Est, quando si discuteva della legge di bilancio dello Stato tedesco, la Baviera ha cercato di modificare il principio di solidarietà, adducendo come motivazione che i bavaresi pagavano di più per compensare i deficit economici dei länder più poveri.
Parlavi di una specie di “internazionale” etnofederalista finanziata e coordinata dalla Baviera…

Gli etnofederalisti si sono raccolti tutti in questa associazione a Monaco di Baviera, l’Intereg, che nasce alla fine degli anni ’70 ed è espressione diretta dell’Ente centrale bavarese d’istruzione politica che, a sua volta, è espressione del governo del Land della Baviera.

Tant’è che, all’inizio, il responsabile dell’Intereg ero lo stesso responsabile dell’Ente centrale d’istruzione politica bavarese. Il compito dell’Intereg, che raccoglie i teorici dell’etnofederalismo, del regionalismo a sfondo etnico, è quello di elaborare i concetti di regionalismo, di tutela delle minoranze, di diritti dei gruppi. Ed è l’Intereg ad elaborare per primo, un anno prima della caduta del Muro di Berlino, nell’88, il progetto di una regione europea transfrontaliera, a Regio Egrensis, che inglobi la regione dei Sudeti, una delle regioni storicamente più sensibili, per i rapporti tra la Germania e l’allora Cecoslovacchia. Ora, l’Intereg nasce su iniziativa della Baviera e dell’Associazione dei profughi tedeschi che raccoglie i profughi cacciati dalle regioni dell’Est dopo la seconda guerra mondiale.

Bisogna considerare che, dei dodici milioni di profughi che raggiunsero la Germania Occidentale dopo la seconda guerra mondiale, due milioni si sono insediati in Baviera e costituiscono un fortissimo bacino elettorale della Csu. E bisogna considerare anche che l’associazione dei profughi non riconosce i confini odierni della Germania, soprattutto quello tedesco-polacco dell’Oder-Neisse. Tra l’altro, il ministro-presidente della Baviera negli anni ’80, Strauss, più volte teorizzò che i veri confini della Germania erano i confini del 1937.

Allora la Csu e l’associazione dei profughi tedeschi, hanno elaborato questo progetto di regione transfrontaliera Egrensis nell’88; nell’89 è caduto il muro; nel ’91 è stata inaugurata la regione transfrontaliera, ma a livello progettuale di collaborazione transfrontaliera. Particolare curioso: la sede centrale della Regio Egrensis è nei Sudeti in un castello, dove ha sede la l’associazione dei profughi tedeschi, associazione revanscista che non riconosce i confini odierni della Germania.

Altro particolare interessante è che, a rilanciare nel ’91 il progetto di una regione transfrontaliera interessata da un altro confine sensibile, il Brennero, in direzione di una regione europea del Tirolo, è un altro professore etnofederalista, Peter Pernthaler, professore a Innsbruck e membro del kuratorium dell’Intereg di Monaco di Baviera. Quindi il think tank etnofederalista è a Monaco di Baviera, ed è lì che nascono i progetti di regione europea della seconda generazione, che interessano tutti i confini sensibili, ancora in parte contestati.

Vale la pena ricordare che il regionalismo transfrontaliero degli anni ’50, ’60, ’70, aveva una forte connotazione economica e dovendo servire soprattutto a superare la collocazione periferica delle rispettive regioni di confine tedesche, olandesi, francesi e del Benelux. Queste regioni europee della seconda generazione sorgono invece lungo frontiere contestate.

Se uno guarda oggi una cartina geografica della Germania, la vede circondata da un cordone ombelicale fatto tutto da regioni europee transfrontaliere che, di fatto, estendono i suoi confini a Ovest verso l’Olanda, il Benelux, la Francia; a Sud verso l’Italia e poi all’Est verso la Polonia. Uno dei due co-direttori, con Caracciolo, di Limes, Korinman, parla di germanoregionalismo e si chiede: “Ma saranno ponti di dialogo o saranno un modo moderno di far correre l’egemonia tedesca verso Est?”.

Ma alla fine cos’è stato decisivo per la spinta all’allargamento? Kohl o la rincorsa dell’Italia e della Spagna?

Alla fine credo sia stata determinante l’Italia, e in particolare il governo Prodi, che è riuscito a conseguire all’interno il risanamento economico e finanziario e a trovare all’esterno un accordo molto stretto con la Francia. La Francia infatti, in un’Europa a due velocità, si sarebbe trovata in un nucleo duro con la Germania e paesi come il Benelux e l’Austria che ruotano comunque intorno alla Germania.

Così, invece, la Francia può confidare in un alleato come l’Italia e in un altro alleato possibile, come la Spagna, con cui, del resto, ha in comune l’affaccio all’area del Mediterraneo che è l’altro polo, se non di espansione, comunque d’interesse dell’Unione Europea.

L’alleanza tra Italia e Francia può bilanciare la tendenza tedesca a fare della Mitteleuropa e dell’Est il polo centrale dell’Unione Europea. Prodi racconta spesso che lui si è reso conto che l’Italia ce l’avrebbe fatta dopo un incontro con Chirac in cui si è sentito dire che l’Europa non sarebbe stata pensabile senza l’Italia. In quel modo veniva riconosciuto all’Italia non solo un ruolo economico, ma anche culturale e politico.

[…]

http://www.unacitta.it/newsite/intervista_stampa.asp?rifpag=homeproblconvivenza&id=398&anno=1999

I “signori” dell’Eurozona

Che fine farà l’Italia dopo l’eutanasia dell’Unione Europea?

Con l’euro abbiamo quasi un’Europa che procede a differenti velocità. Questa situazione si rafforzerà, perché chi è in un’unione monetaria deve cooperare più strettamente. Dobbiamo essere aperti e permettere sempre agli altri di collaborare, ma non possiamo fermarci perché qualcuno non vuole procedere.

Angela Merkel, 7 giugno 2012

Oggi le alternative secche sono due: o il debito dei vari paesi membri viene assunto dalla Ue in quanto tale e si va rapidamente ad un’unione politica (cioè ad uno Stato europeo), o la moneta salta in aria. Puramente e semplicemente: non ci sono alternative. In astratto, la soluzione più auspicabile sarebbe la prima, ma, personalmente non ci credo affatto: se l’unione politica non si è fatta in tempi favorevoli, quando il vento soffiava nelle vele dell’Europa, non si capisce perché dovrebbe riuscire ora che la crisi accentua tutti gli egoismi nazionali, con un ceto politico di mezza tacca in ciascuno dei paesi membri, dopo la raffica di fallimenti sul piano della politica estera (dove mai l’Unione è riuscita a parlare con una sola voce), in una situazione sociale difficilissima. Qualcuno pensa che sono proprio le asprezze della crisi a poter fare il miracolo, costringendo gli europei a fare per forza quello che non sono riusciti a fare per amore. Certamente la situazione richiederebbe una soluzione del genere, ma avere bisogno di 1000 talleri ed avere 1000 talleri non è la stessa cosa, avrebbe detto, più o meno, Kant. D’altra parte, le condizioni strutturali per l’edificazione di un “Io” collettivo europeo continuano a non esserci per la mancata unificazione linguistica e culturale del continente. Tutto quello che può venir fuori da un processo forzato di unificazione sarebbe una buro-tecnocrazia centralizzata e totalmente priva di qualsiasi legame con la base popolare, un orrendo pasticcio antidemocratico assai poco auspicabile. Ma in ogni caso, anche questo appare come un disegno del tutto velleitario.

Aldo Giannuli

Serpeggia persino la tentazione di divenire una “grande Svizzera”, ma da sola la Germania non ha la massa critica per un ruolo mondiale a pari dignità con Usa, Cina, India, Brasile. Ha bisogno allora, forse, di una moneta unica con un nucleo più piccolo. Si può immaginare un’eurozona con meno membri, con i pochi che hanno finanze solide e una situazione competitiva. Sempre più tedeschi giudicano sempre meno sensato continuare a difendere a ogni costo l’euro come è ora. Questi umori si diffonderanno sempre di più. Con la conseguenza che l’Europa non si sgretolerebbe, ma l’euro sì. Nuovi ombrelli di salvataggio per Spagna o Portogallo non basterebbero. L’unica via sarebbero gli eurobond che qui nessuno vuole. Lo sviluppo di una simile spaccatura dell’euro sarebbe poco confortevole: ci sarebbe uno squilibrio tra Nord e Sud dell’Europa, e anche tra la Germania e gli altri che resterebbero in un euro ridotto, o nell’area economica tedesca, dentro o fuori dall’euro, come polacchi e cechi. E il rapporto francotedesco dovrebbe essere mantenuto in vita, per ragioni politiche, geopolitiche, storiche. Hollande si adatterebbe. Immaginiamo uno scenario in cui l’euro si disintegra, e si forma un nuovo nucleo duro ristretto: Germania, Polonia, Francia e pochi altri. Con embrioni di Costituzione e politiche comuni. La Francia resterebbe nel club esclusivo, ma forse senza più parità o finzione di parità e di duopolio. Una tale situazione potrebbe evolvere verso un sovrappiù d’influenza della Germania. Un simile sviluppo avrebbe serie conseguenze sugli umori dell’Europa meridionale verso la Germania. Non a caso Helmut Schmidt ha recentemente ammonito i tedeschi a ricordare che i vecchi risentimenti riemergono facilmente.

Peter Schneider, “L’oro del Reno”, la Repubblica, 7 giugno 2012

Nella loro disperazione, le oligarchie sono disposte a sacrificare il sogno europeo sull’altare della loro avidità e paura, trasformando il problema di una unione monetaria senza unione politica in un problema di unione politica priva di uno stato-nazione coerente e con un enorme deficit democratico, senza chiedere il consenso dei cittadini europei.

Quel che è certo è che l’Europa a due velocità è una campana a morto che suona per l’Unione Europea

Infatti, allo scopo di garantire gli investitori, “il Trattato di Lisbona non prevede in modo espresso una procedura per l’uscita volontaria di uno stato membro dall’Eurozona. Per abbandonare la moneta comune, l’unica eventuale strada, per la Grecia o altri partner in difficoltà, sembra essere uscire del tutto dall’Unione europea. Un’ipotesi di scuola, improbabile, ma tecnicamente possibile. Proprio l’entrata in vigore, il 1° dicembre 2009, del Trattato di Lisbona offre anzi qualche strumento in più. Questo perché, per la prima volta, il Trattato Ue afferma, in modo espresso, il diritto di ogni Stato di uscire dalla Ue (articolo 50). […]. La Carta di Lisbona non dice nulla, invece, sulla possibilità di abbandonare solo l’Eurozona”.

http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Editrice/IlSole24Ore/2010/04/29/Economia%20e%20Lavoro/4_E.shtml?uuid=0ca2d8ba-5352-11df-aa0b-e7dd342ffe1a&DocRulesView=Libero

“La mancanza di un processo costituzionale (o permesso da un trattato) per uscire dalla zona euro ha una solida logica solida alle spalle. Il punto di creare la moneta comune era quello di convincere i mercati che si trattava di un’unione permanente che avrebbe assicurato perdite enormi per chiunque avesse osato scommettere contro la sua solidità. Una singola uscita basta ad abbattere questa solidità percepita. Come una piccola crepa in una possente diga, un’uscita greca porterà inevitabilmente al collasso l’edificio…Nel momento in cui la Grecia viene spinta fuori accadranno due cose: una massiccia fuga di capitali da Dublino, Lisbona, Madrid, ecc, seguita dalla riluttanza della BCE e di Berlino ad autorizzare liquidità illimitata alle banche e stati. Questo significa il fallimento immediato di interi sistemi bancari, nonché dell’Italia e della Spagna. A quel punto, la Germania dovrà affrontare una terribile dilemma: mettere a repentaglio la solvibilità dello stato tedesco (devolvendo alcune migliaia di miliardi di euro per salvare ciò che resta della zona euro) o salvare se stessa, abbandonando la zona euro. Non ho alcun dubbio che sceglierà la seconda. E poiché questo significa strappare una serie di trattati e carte dell’UE e della BCE, l’Unione Europea, di fatto, cesserà di esistere”.

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/31/interviewed-by-fxstreet-com-on-grexit/

L’”Europa a due velocità” è un espediente semantico costituzionalmente inaccettabile e serve a nascondere la realtà. La realtà è che allo stesso modo in cui la Padania non è entusiasta di sovvenzionare (bail-out) permanentemente il resto d’Italia e California, Connecticut, Illinois, New Jersey, New York non sono entusiasti di farlo per Missouri, Mississippi, Tennessee, Kansas, ecc. (anche perché ora è l’indebitamento californiano ad essere esploso ed è ormai completamente fuori controllo), così Germania, Austria, Olanda, Danimarca, Finlandia e compagnia bella non intendono farsi carico del diverso stile di vita dei PIIGS. Se i cittadini dei PIIGS non intendono vivere per lavorare, sono affari loro. In quest’ottica scompare il dettaglio che l’introduzione dell’euro ha avvantaggiato le esportazioni tedesche e causato la deindustrializzazione di tutti i PIIGS e anche di Francia e Regno Unito (quest’ultimo si è buttato sui prodotti finanziari ed ora è la nazione europea messa peggio in assoluto, se si sommano debiti privati e debiti pubblici).

“Il grande problema di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e, in misura minore ma sostanziale, Italia e Francia, è che all’ingresso nell’eurozona è corrisposta la deindustrializzazione. Nessuno di questi paesi poteva competere con la Germania senza svalutare (la dracma era stata svalutata del 45% rispetto al marco nel decennio precedente all’introduzione dell’euro). Così le esportazioni tedesche verso la Grecia sono aumentate a dismisura, tra il 47% ed il 94% a seconda dei settori”.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/15/le-cause-della-rivoluzione-in-europa-lhanno-fatto-una-volta-lo-rifaranno-ancora/

A dispetto della propaganda dell’élite tedesca e non solo tedesca, l’economia greca (e non solo quella) è sempre stata un problema per gli architetti dell’euro, contrari all’ammissione della Grecia, se è successo ugualmente è stato unicamente perché serviva a deprezzare l’euro, a beneficio delle esportazioni tedesche. Poi il surplus del sistema bancario tedesco e francese generato dall’effetto euro è stato reinvestito indebitando i PIGS con crediti a buon mercato completamente irresponsabili. Ora i PIGS sono presi tra l’incudine delle banche ed il martello degli eurarchi che vogliono liberarsi di loro, mandandoli al macello. Infatti un’uscita dall’Unione Europea e dall’eurozona sarebbe catastrofica: “Anche mettendo da parte le ramificazioni nazionali per la perdita dei sussidi all’agricoltura, fondi strutturali e forse interscambi commerciali (in seguito alla possibile introduzione di barriere commerciali tra la Grecia e l’UE), gli effetti sul resto della zona euro sarebbero catastrofici. La Spagna, già in un buco nero, vedrà il suo Pil ridursi di un valore superiore a quello dell’attuale tasso record di deflazione della Grecia, gli spread dei tassi di interesse tenderanno al 20% in Irlanda e in Italia e, in breve tempo, la Germania deciderà di darci un taglio e salverà se stessa assieme agli altri paesi con un surplus commerciale. Questa catena di eventi causerà una terribile recessione nei paesi in surplus raggruppati attorno alla Germania, la cui moneta si apprezzerebbe astronomicamente, mentre il resto d’Europa affonderebbe nella melma della stagflazione. Un habitat ideale per la Grecia? Assolutamente no!”

Varoufakis ribadisce in conclusione che la Grecia deve fare default, ma all’interno dell’eurozona:

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/16/weisbrot-and-krugman-are-wrong-greece-cannot-pull-off-an-argentina/#more-2171

IL RISCHIO DI UNA PAX GERMANICA (NEUORDNUNG EUROPAS)

L’Europa rischia di essere trasformata tramite un consenso estorto in un’appendice del blocco germanico in cui la periferia si troverebbe in un permanente stato di depressione che richiederebbe continui trasferimenti e/o costante repressione.

C’è un precedente importante da evitare in ogni modo.

Claudio Natoli, Profilo del nuovo ordine europeo, in: Hans Mommsen et al. “Totalitarismo, lager e modernità. Identità e storia dell’universo concentrazionario” + Alan Milward, “War economy and society 1939-1945”, ci spiegano gli obiettivi fondamentali del riordinamento europeo pianificato dagli economisti tedeschi al tempo del Terzo Reich:

* l’integrazione del commercio e della produzione europea in un grande spazio economico chiuso ed autosufficiente, con al centro la Grande Germania;

* l’estensione dell’influenza e del controllo delle imprese tedesche in tutta l’area geografica del Nuovo Ordine e in particolare nei paesi più sviluppati;

* il consolidamento nell’Europa orientale e sudorientale di una zona di esclusivo interesse per il commercio ed il capitale tedesco, destinata ad un permanente sottosviluppo industriale;

* la ricostruzione dell’Europa secondo una gerarchia razziale e sociale fondata sulla supremazia dei popoli del ceppo germanico;

Il Nuovo Ordine Europeo prevedeva “una struttura gerarchica con al centro una grande area germanica (comprendente almeno la Danimarca, l’Olanda, la Norvegia e la Svezia) altamente industrializzata e con un elevato standard di vita, una cerchia più vicina di stati subordinati con livelli di vita più modesti e con una struttura mista agricolo-industriale, gli stati satelliti dell’area balcanica legati al Grande Reich da un rapporto di tipo neocoloniale e infine la sfera illimitate dei territori dell’est, sottoposta a processi di sradicamento nazionale e culturale, di asservimento economico e sociale nella prospettiva di una futura estensione del Lebensraum…un doppio mercato del lavoro, al cui interno gli operai tedeschi erano collocati in una posizione privilegiata nelle garanzie sociali, nelle mansioni più qualificate e anche di sorveglianza rispetto ad altre categorie sottopagate e non garantite e soprattutto rispetto alla manodopera dequalificata e deprivata di ogni dignità e di ogni diritto rappresentata dalla massa della Gemeinschaftsfremde”.

Stati Uniti d’Europa – i dubbi dei costituzionalisti e delle persone di buon senso

Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.

Esodo 3-6

Solo il federalismo sarà capace di evitare il fallimento dell’Euro e le sue conseguenze disastrose sulla vita di tutta l’Unione europea. Esso aprirà agli Europei la via verso un’Europa giusta, solidale e democratica in grado di garantire il suo spazio centrale nel mondo.

Giuliano Amato, Jacques Attali, Emma Bonino, Romano Prodi,Il federalismo che può salvare l’Europa”, La Repubblica, 9 maggio 2012

Un’Europa che potrebbe rivelarsi uno dei pilastri essenziali di un più ampio sistema euroasiatico di sicurezza e cooperazione sponsorizzato dagli americani. Ma, prima di ogni altra cosa, l’Europa è la testa di ponte essenziale dell’America sul continente euroasiatico. Enorme è la posta geostrategica americana in Europa…l’allargamento dell’Europa si traduce automaticamente in un’espansione della sfera d’influenza diretta degli Stati Uniti. In assenza di stretti legami transatlantici, per contro, il primato dell’America in Eurasia svanirebbe in men che non si dica. E ciò comprometterebbe seriamente la possibilità di estendere più in profondo l’influenza americana in Eurasia…Un impegno americano in nome dell’unità europea potrebbe scongiurare il rischio che il processo di unificazione segni una battuta d’arresto per poi essere addirittura gradualmente stemperato.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale –“La grande scacchiera”,  Milano : Longanesi, 1998, pp. 83-85

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Zbigniew Brzezinski, intervista rilasciata al Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012

Leggendo il suo articolo mi pare che per lei il federalismo sia una soluzione finale. Io credo che sia un mezzo: uno dei mezzi. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che il potere oppressivo non è soltanto prerogativa degli Stati nazionali. Una grande impresa oggi ha la possibilità di abusare del potere più dello stato stesso. Le nostre costituzioni accordano garanzie contro l’abuso di potere da parte degli organi dello Stato. Non ne accordano contro l’abuso di potere da parte dei grandi gruppi capitalistici. Il superamento dello Stato nazionale è una faccia del problema del potere. O i federalisti credono che sia una soluzione totale? Io non ne sono del tutto convinto.

Norberto Bobbio ad Altiero Spinelli, 15 dicembre 1957

Nessuno degli esempi della storia, siano essi una federazione di stati o un’unione di nazioni, può servire come modello per plasmare l’unione politica. L’Unione europea è sempre stata, e resterà, un impegno unico per il quale non ci sono modelli che possono essere facilmente adottati. È importante consentire un processo evolutivo, che è aperto a ulteriori iniziative di integrazione, ma salvaguarda ciò che è già in atto e funziona bene, e che assegna le competenze agli Stati nazionali o addirittura alle regioni a seconda dei casi.

Otmar Issing, capo degli economisti della BCE, 24 marzo 2006.

Il modello burocratico che vige a Bruxelles è il modello francese, in cui la burocrazia decide quanto cacao vi deve essere in un impasto di cioccolata oppure il raggio di curvatura che deve avere una banana. La Svizzera per contro rappresenta ancora oggi lo spirito di regionalismo, d’identità locale che non vuole cedere alla pressione dell’Unione Europea. E secondo me con diritto. Perché io sono democratico, e per me l’esistenza di una comunità come Bellinzona, che andrà alle urne per decidere di un credito per la pavimentazione di una piazza, è una parte importante della democrazia mondiale. […]. I singoli Stati americani sono molto più simili tra loro che non i 26 cantoni svizzeri. Quando si attraversano le frontiere in America non si nota nessuna differenza. Tutto è uguale, che sia Pennsylvania o New Jersey o Virginia. La diversità americana, che tanto ho amato, non esiste più. […]. Lì il federalismo è più una finzione: in realtà quello americano è un governo centralizzato.

Jonathan Steinberg, docente di storia moderna europea all’Università della Pennsylvania, Corriere del Ticino, 31 Luglio 2003

È nell’interesse di tutti addivenire ad un’Europa politicamente unita, ma dovrebbe essere evidente a tutti che l’Europa è sostanzialmente diversa dagli Stati Uniti d’America, per storia, lingue e cultura. I suoi popoli e comunità non possono essere trattati alla stregua degli ospiti della leggendaria locanda di Procuste, che venivano amputati oppure “allungati” per poterli adattare alle misure dei letti. È più che realistico attendersi che proprio la mancanza di rispetto per le specificità locali e le sensibilità particolari, oltre ad una fretta ingiustificata, produrranno reazioni violente e l’affondamento del sogno europeista.

Tra l’altro, è piuttosto curioso che si caldeggi una maggiore integrazione europea mentre oltreoceano, per tre soli voti (e grazie ad uno scaltro emendamento inserito all’ultimo minuto), non è passata una proposta di legge del Wyoming (HB 0085, 2012) per l’istituzione di un gruppo di studio che intraprenda l’analisi delle conseguenze di una potenziale interruzione del governo federale degli Stati Uniti, di un eventuale rapido declino del dollaro, di una situazione in cui il governo federale non ha alcun potere effettivo o autorità sul popolo degli Stati Uniti, di una crisi costituzionale e dell’ipotetica interruzione nel settore della distribuzione alimentare e dell’energia.

In un libro molto bello e sincero, intitolato “Il mito d’Europa” (Monti, 2000) Luciano Monti, docente di Politica Regionale europea presso la Luiss Guido Carli, dà testimonianza di come certe perplessità siano assolutamente motivate. Carli rileva che l’Europa è diventata un fine in sé e che il mito rischia di diventare un idolo. Sottolinea la modesta potestà legislativa del Parlamento europeo ed il suo scarso coinvolgimento nel processo decisionale della politica europea, stigmatizza il prevalere della burocrazia e l’inamovibilità dei suoi vertici, il proliferare di normative sempre più complesse ed il decentramento a livello regionale che indebolisce gli stati come corpi intermedi che possono anche tutelare le regioni stesse, le quali, sono comunque troppo deboli e mal coordinate. Infine, un’élite distante dai cittadini, isolata nella sua torre eburnea, persuasa di essere, sola, in grado di decretare i destini di centinaia di milioni di cittadini (p.235): “Vi sono anche numerosi potentati, che a differenza delle tradizionali strutture di governo, legate ad un territorio, sono piuttosto incardinati su una fitta rete di relazioni. Non si tratta in realtà di una casta determinabile, ma, per dirla con Herman Hesse, delle Castalie, vale a dire dei gruppi circoscritti di soggetti isolati dal resto della società civile. Dove l’isolamento è il prodotto non già dell’emarginazione ma piuttosto dell’elevazione“.

Perciò non sorprende constatare che le corti costituzionali dei paesi europei, specialmente in Francia, Germania e Regno Unito, abbiano assunto un atteggiamento difensivo e critico verso l’architettura istituzionale dell’Unione Europea (Zagrebelsky/Portinaro/Luther, 1996; Zagrebelsky, 2003). In particolare, il costituzionalista tedesco Dieter Grimm ha argomentato in modo molto persuasivo una serie di contestazioni all’iter integrativo europeo che si coniugano a quelle che ho menzionato in precedenza. Grimm osserva che, come non si possono costruire degli edifici a partire da tetto, ma servono delle solide fondamenta, così l’edificio europeo non può prescindere da una società civile europea, una lingua-ponte europea sufficientemente diffusa, partiti europei, media europei, una memoria sufficientemente condivisa, ossia di tutti quei trait d’union e soprattutto corpi intermedi che, fin dai tempi di Montesquieu, sono considerati elementi basilari ed irrinunciabili per un’organizzazione statuale stabile ed efficiente ed una cittadinanza che possa prendere parte attiva al processo decisionale. Senza la possibilità di comunicare in modo più agevole, di scambiare opinioni e valutazioni, come sarà possibile che mezzo miliardo di persone trovi punti di accordo, raggiunga compromessi e regoli i suoi rapporti con i paesi extra-europei, anche in tempi di crisi?

Una valutazione sottoscritta, tra gli altri, da Ralph Dahrendorf e Gian Enrico Rusconi nei loro commenti ad una sentenza della Corte Costituzionale Federale Tedesca del 12 ottobre 1993, la prima di una serie di sentenze, non solo tedesche, che hanno intralciato i piani delle autorità europee di addivenire al più presto ad uno Stato federale. Sentiamo il parere, al riguardo, di Andreas Vosskuhle, presidente della corte costituzionale tedesca, intervistato dalla Frankfurter Allgemeine („Mehr Europa lässt das Grundgesetz kaum zu“, 25 settembre 2011):

La Costituzione consente un’ulteriore integrazione europea?

Penso che i margini di manovra si siano in gran parte esauriti.

E se la politica volesse procedere oltre?

La costituzione tedesca garantisce l’inviolabilità della sovranità statuale. Essendo ancorata alla Costituzione, essa non potrebbe essere accantonata neppure per mezzo degli emendamenti costituzionali. Le modifiche della Costituzione concernenti i principi strutturali – democrazia, stato di diritto, stato sociale, federalismo – sono inammissibili.

La sovranità di bilancio del Parlamento potrebbe essere parzialmente trasferita alle istituzioni europee?

Non c’è più molto spazio per una cessione di ulteriori competenze all’Unione Europea. Se si volessero varcare questi limiti – il che può anche essere politicamente legittimo e desiderabile –, in quel caso la Germania dovrebbe darsi una nuova costituzione. Ma allora si renderebbe necessaria una consultazione referendaria. Non si possono fare queste cose senza il popolo.

È curioso che molti analisti politici, accecati dalla loro fede europeista, si dimentichino della differenza tra democrazia formale (la scatola) e democrazia sostanziale (il contenuto) e che debbano essere dei costituzionalisti a rammentarglielo (cf. per esempio Antonio Cantaro). Una democrazia senza una società civile vigorosa e corale (voci distinte ma armonizzate, come in un coro, appunto) è come quelle pagnotte che sembrano belle esternamente ma quando le spezzi scopri che è quasi tutta crosta e poca mollica (sostanza). Un vinaccio scadente ed un vino di alta qualità sono entrambi vini, ma sfido chiunque a dire che sono la stessa cosa: uno intossica, l’altro gratifica.

Ciò che è forse paradossale, ma molto significativo, è che questa agognata società civile europea, questo popolo sovrano europeo, sta effettivamente sbocciando, con fatica, solo ora, tra gli indignati, ma come atto di protesta contro le istituzioni europee e globali. La sensazione è che, per molti Europei, l’Unione stia diventando un problema, piuttosto che una soluzione, a dispetto del diverso parere di una larga fetta dell’intellettualità europea.

Come giustamente lamenta Giuseppe Guarino (2008, p. 160): “Bisogna andare avanti, si dice. Completare un processo glorioso che si è svolto con successo per oltre cinquanta anni. Andare avanti, certo. È indispensabile. Ma sempre che la strada prosegua diritta e sicura. Se diventa accidentata e va inoltrandosi in luoghi non chiari, se sorge anche un minimo dubbio se continui ad essere quella giusta, la più elementare prudenza suggerisce di fermarsi e chiedere informazioni…Non c’è ragione per discostarsi da quanto in analoghe condizioni farebbe una comune persona, mediamente saggia. Solo di questo si tratta“.

Vorrei concludere questo capitolo riproponendo alcuni passi salienti di un dibattito avvenuto in seno alla famosa, o famigerata, Commissione Trilaterale (Crozier, Huntington, Watanuki, 1977), un’organizzazione che è soprattutto nota per il suo elitismo e che quindi non ci si aspetta che possa manifestare posizioni contrarie all’accentramento del potere nelle mani di pochi selezionati. Ebbene, verso la fine degli anni settanta, le proposte di tre relatori che andavano, appunto, nella direzione di una revisione in senso tecnocratico e centralistico della democrazia come rimedio per la presunta crisi in cui versavano le società democratiche, ricevettero una bordata di critiche da diversi membri della Commissione. Ci fu chi sottolineò che i padri fondatori degli Stati Uniti non avrebbero mai anteposto la “governabilità” al rispetto dei diritti dei cittadini, chi denunciò gli eccessi dei governanti e della burocrazia, piuttosto che quelli dei governati, chi definì i rimedi raccomandati “errati, deludenti, fatali”, chi invocò più democrazia, non meno democrazia, chi lamentò il restringimento del pluralismo nei media e chi constatò che, essendo gli esseri umani così deboli, in una situazione di monopolio sarebbero inclini ad abusare del potere loro conferito. Posizioni assolutamente coincidenti con quelle degli indignati dei nostri giorni. Quel che più ci interessa è invece la valutazione che i membri canadesi diedero del federalismo canadese, uno dei possibili modelli per quello europeo (pp. 184-185): “Si fece rilevare che l’espansione e la proliferazione della burocrazia a livello federale, provinciale e comunale hanno contribuito, a causa della sempre minore chiarezza di direzione e responsabilità, alle tensioni cui è sottoposto il sistema politico canadese. Si registra una tendenza sempre più forte – si disse – della burocrazia ad assumere ruoli che tradizionalmente erano di pertinenza prevalente degli uomini politici – ad esempio quei ruoli che hanno per oggetto il “bene pubblico”. In ciò si potrebbe vedere uno sviluppo pericoloso, specie alla luce della vocazione della burocrazia federale a “imperniarsi su Ottawa”, senza più esprimere un’adeguata rappresentanza delle altre regioni del paese“.

Europa a due velocità: gli eletti e gli esclusi (e senza chiedere il parere dei cittadini: ça va sans dire)

Ed eccoli lì, come previsto, a preparare la grande riforma strutturale dell’Unione Europea, escludendo i “deboli” e formando un nucleo elitario:

http://www.welt.de/wirtschaft/article106410448/Wird-die-Euro-Zone-zum-Eliteclub-der-EU.html

“zunächst mit den Euro-Ländern voran zu marschieren, sofern der Rest der EU die Möglichkeit hat, sich später ebenfalls anzuschließen”.

“Die Zeiten, in denen sich die gesamte Union im gleichen Tempo entwickelt hat, sind definitiv vorbei”.

“Die Euro-Zone wird sich weiter integrieren und alle die, die dabei nicht mitmachen, werden zu Mitgliedern zweiter Klasse werden. Ein Europa der verschiedenen Geschwindigkeiten ist die Realität geworden”.

http://translate.google.it/

Sia chiaro che questa cosa era programmato da molto tempo. Ne parlava già Kohl, ma i tempi non erano maturi.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, l’aveva “profetizzato” all’inizio dell’anno, in unintervista rilasciata al Christian Science Monitor (24 gennaio 2012): Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera”.

La crisi consente di realizzare un mucchio di progetti che altrimenti avrebbero incontrato l’ostilità degli Europei, ed in particolare dei Tedeschi e dei Francesi.

Un’altra profezia che si sta per avverare è quella di Jürgen Habermas, che da tempo e a più riprese – in interviste, in pamphlet, nei suoi saggi – sta denunciando l’ingresso dell’Europa in una fase post-democratica, in seguito ad un “colpo di stato tecnocratico”. In un intervento all’università di Parigi-Descartes, il 10 novembre del 2011, aveva avvertito con toni allarmati che “i capi di governo avrebbero trasformato il progetto europeo nel suo contrario: la prima comunità sovranazionale democraticamente sanzionata sarebbe diventata l’organo di un dominio post-democratico”.

HANNO INTENZIONE DI CHIEDERE AI CITTADINI EUROPEI COSA NE PENSANO DI QUESTA RIVOLUZIONE DALL’ALTO? NO.
Per questo il loro piano fallirà: nessun potere si può reggere a lungo se non gode di un solido consenso.
A causa della loro avidità e megalomania, stanno per distruggere il sogno di un’Europa Unita

George Soros al festival dell’economia di Trento: perché?

George Soros sarà ospite del Festival dell’Economia di Trento, sabato 2 giugno, alle ore 15, al Teatro Sociale.
http://www.uffstampa.provincia.tn.it/CSW/c_stampa.nsf/0/035158E7F1E8EDEBC1257A0900462F7B

Le attività di Soros attraverso gli articoli di Repubblica, notoriamente amichevole nei confronti del finanziere “filantropo”.

Alla Banca d’ Inghilterra continuano ad arrivare proteste per il ruolo degli speculatori che tanto hanno contribuito – durante la tempesta valutaria che a ondate successive si è svolta nel mese scorso – alla svalutazione della lira, della sterlina e della peseta, facendo traballare le fondamenta del Sistema monetario monetario europeo. Le immagini delle dealing rooms della City, dove gli yuppies con le loro leggendarie bretelle rosse al grido “kill, kill, kill” liquidavano colossali posizioni in valute europee deboli, sono presentate a ripetizione persino nei programmi televisivi inglesi….

Il re della speculazione della City è un uomo che in pochi giorni ha guadagnato oltre un miliardo di sterline, pari a circa 2 mila 200 miliardi di lire, guadagnandosi la prima pagina del Daily Telegraph ed un “ritratto” che apparirà sul numero di novembre della prestigiosa rivista economica Forbes. Si chiama George Soros…la soddisfazione di entrare nel Guinness dei primati per aver guadagnato più di qualsiasi altra persona in uno spazio limitato di pochissimi giorni, con le sue operazioni sui mercati delle valute.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/10/25/londra-il-re-degli-speculatori-fa-un.html

George Soros, il finanziere d’ assalto che conquistò fama mondiale alcuni mesi fa guadagnando l’ equivalente di alcune migliaia di milioni di dollari nelle sue speculazioni sulla possibile svalutazione della sterlina, della lira e della peseta, è tornato a far tremare i mercati delle valute. Questa volta nel suo mirino c’ è addirittura il potentissimo marco.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/06/10/soros-parla-il-marco-trema.html

Proprio qualche settimana fa è stato da me un rappresentante del gruppo Soros e mi aveva detto che, ad esempio, il suo gruppo era pronto a fare grossi acquisti di Stet, ma a patto che fossero chiare due cose: libertà di tariffe e nomina “non politica” degli amministratori.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/02/fate-lo-sconto-chi-compra-lo-stato.html

“Non ho mire sul franco, non voglio distruggere lo Sme”, si difende, sul Figaro, il “principe degli speculatori” George Soros, ma pochi gli credono.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/27/lo-sme-nelle-mani-della-bundesbank.html

“Sono molto preoccupato per il futuro dell’ Europa. Non è facile uscire da crisi come questa”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/08/03/bene-cosi-lo-sme-era.html

Re Mida Soros vende lingotti e il mercato dell’oro trema

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/08/19/re-mida-soros-vende-lingotti-il-mercato.html

Qualcuno, particolarmente informato, sostiene che George Soros, mitico gestore dei fondi americani Quantum, avrebbe dimezzato i suoi investimenti in Italia.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/11/11/un-altra-giornata-nera-per-titoli-stet.html

Tra i “derivatives” ci sono contratti a termine di ogni tipo e su ogni prodotto, futures sulle valute, options sui tassi di interesse, operazioni dai nomi esotici come “forwards”, “caps”, “collars”, “swaps”, “swaptions”. Sono nati come polizza di assicurazione per importatori di petrolio o esportatori di granaglie, per banche che finanziavano industrie nel Terzo mondo o investitori in mercati esteri che volevano garantirsi rispetto al mutamento dei cambi. Ma presto i “derivatives” sono diventati il veicolo della speculazione internazionale e il pane quotidiano degli “hedge funds” di George Soros o Michael Steinhardt.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/04/05/wall-street-un-passo-dall-inferno.html

Quando a fine gennaio George Soros ha dichiarato al Forum di Davos di paragonare l’ Italia al Messico, non ha forse commesso un’ azione di aggiotaggio finanziario nei confronti della lira?

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/03/14/strilli-irresponsabili-lasciate-lavorare-dini.html

L’ uomo che ha sconfitto la Banca d’ Italia e quella di Inghilterra, che ha più soldi di quanti ne abbiano quarantadue stati del mondo, che è conosciuto – e temuto – come il più grande speculatore della storia del capitalismo

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/09/21/soros-vuol-comprare-un-posto-nella-storia.html

Ecco Prodi, a fianco di Soros, presentarne l’ ultimo libro, riprenderne la necessità di “regole” nel mercato finanziario mondiale. “Le contestazioni sono incoerenti. Fanno ridere. Non hanno letto il libro”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/10/31/soros-laureato-tra-le-proteste.html

“La gente – afferma Soros – finirà per dirigere tutto il risentimento legato alla disoccupazione sulla moneta unica”. “E’ possibile che si finisca per assistere a un sollevamento popolare – soprattutto in Francia, nota per questi moti di ribellione – che potrebbe prendere un orientamento nazionalista anti-europeo”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/08/23/soros-per-la-moneta-unica-rischiate-rivolte.html

“La Conferenza intergovernativa dovrebbe convocare un’ Assemblea costituente; gli europei dovrebbero essere mobilitati per dare vita a questa assemblea. Un’ Assemblea costituente non avrebbe il potere di appropriarsi di ulteriori fette della sovranità nazionale senza prima ottenere l’ approvazione di ciascuno Stato membro. La nuova costituzione entrerebbe in vigore solo dopo l’ approvazione di, diciamo, tre quarti dei parlamenti nazionali, mentre nei paesi in cui dovesse essere rifiutata, verrebbe indetto un referendum. Non ci sarebbe alcuna delegazione di poteri senza autorizzazione, ma l’ Assemblea costituente sarebbe in grado di risolvere i problemi che la Conferenza intergovernativa non può risolvere e coinvolgerebbe i cittadini europei in tale processo. Solo un provvedimento forte, che chiarisca la natura e l’ identità dell’ Unione europea, può fermare la graduale disintegrazione dell’ Europa e prevenire un ritorno alle condizioni che hanno prevalso durante le due guerre mondiali” (George Soros).

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/09/01/una-nuova-europa.html

“Negli ultimi dieci anni il finanziere-filantropo ha investito più di un miliardo di dollari per promuovere opere di sviluppo nell’ Europa orientale, compresi una stampa libera e un pluralismo politico. Ma ora diversi leader di questi paesi gli si stanno rivoltando contro: in Albania, Kirgizstan, Serbia e Croazia le fondazioni Soros sono accusate di essere centrali spionistiche in incognito e di infrangere leggi valutarie“.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/07/15/opinioni-dal-mondo.html

“la povera gente di questo paese soffre, ed è la stessa gente che George Soros ha protetto, lui che ha tanti soldi e potere ma è del tutto privo di giudizio. Abbiamo lavorato tra i 20 e i 40 anni per sviluppare i nostri paesi fino a questo livello ed ecco che arriva un uomo con un po’ di miliardi di dollari, e nel giro di due settimane manda all’aria il nostro lavoro

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/07/27/soros-uccide-il-miracolo-asiatico.html

a mezzogiorno è cominciato il sell off, la corsa alla vendita. Vi hanno contribuito una serie di fattori: un improvviso crollo dei titoli delle società di assicurazione malattia (le quotazioni della Oxford hanno perso 40 dollari, quasi due terzi del valore); movimenti strani, dovuti probabilmente alle speculazioni degli hedge funds di George Soros, dei titoli di stato americani; un nuovo pessimismo sulle conseguenze sull’ export Usa di una recessione tra le tigri asiatiche. Subissato da ordini di vendita, il Dow Jones è tracollato, tirandosi dietro gli altri indici: anche per il Nasdaq, dove sono quotate la Microsoft, l’ Intel e altre industrie dell’ informatica, è stata la seduta più nera della storia.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/10/28/wall-street-la-grande-paura.html

Gli investitori più speculativi e più specializzati, tra cui figura anche il “mago” George Soros, hanno scommesso quindi sul fatto che la “bomba del millennio”, cioè il problema legato al cambiamento di data tra il 31 dicembre 1999 e il 1 gennaio 2000, paralizzerà il sistema creditizio,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/03/17/wall-street-gioca-sul-millennio.html

La magistratura francese ha rinviato a giudizio per insider trading il finanziere americano George Soros. Ne hanno dato notizia fonti giudiziarie. Il caso risale al 1988: secondo quanto scrive il quotidiano “Le Monde”, Soros è sospettato di avere beneficiato di informazioni riservate durante un’ operazione per acquisire parte del capitale della banca Societè Generale, privatizzata nel 1987.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/23/insider-trading-soros-rinviato-giudizio.html

Mikhail Saakashvili ha trionfato ieri alle elezioni presidenziali anticipate in Georgia. Il giovane avvocato di 35 anni, leader della «rivoluzione delle rose» che lo scorso 23 novembre costrinse il settantacinquenne Eduard Shevardnadze a rassegnare le dimissioni dopo undici anni di potere assoluto, avrebbe ottenuto l’ 85,8% dei voti. Il resto è andato agli altri quattro candidati, penalizzati in campagna elettorale. Il risultato è stato annunciato un istituto internazionale, tra cui figurano la Fondazione Soros e il British Council, che ha effettuato un exit-poll. Non sono stati diffusi altri dati.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/01/05/georgia-saakashvili-presidente-il-nostro-obiettivo.html

Per inquadrare questa notizia è opportuno leggere questo post:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Ruolo per interpreti di rango, Shylock – l’ ebreo che pretende in pagamento una libbra della carne di Antonio, qualora questi non riuscisse a restituirgli il denaro avuto in prestito – trova in Corrado Pani un attore di grande temperamento e di magnetico carisma. Pani, chi è secondo lei lo Shylock dei nostri giorni? «Penso a George Soros, il settantenne finanziere ungherese di origini ebraiche, un autentico re della finanza, spregiudicato nel modo con cui ha investito nel denaro».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/07/09/ora-di-shilock.html

Oggi, scavando un po’ , si scopre che la lista delle Ong ucraine è sostenuta dall’ American National Endowment for Democracy, la fondazione di George Soros a Kiev, e così via…Ho di fronte un rapporto della fondazione Soros in Ucraina, datato ottobre 2004, che dichiara finanziamenti per 1.201.904 dollari ad Ong per “progetti legati alle consultazioni elettorali”. I donatori sostengono che questo denaro occidentale era destinato a creare le condizioni per elezioni libere e regolari, non direttamente all’ opposizione. Anche questo aspetto dovrebbe essere accuratamente verificato.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/21/il-metodo-piu-giusto-per-esportare-democrazia.html

Per inquadrare questa notizia è opportuno leggere questo post:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Anche in Kirghizistan, come in Ucraina e in Georgia, l’ opposizione ha lanciato la protesta dopo un voto apertamente manipolato, chiedendo nuove elezioni e un cambio al vertice. E anche qui sembra aver ottenuto la consulenza dallo stesso ufficio di pubbliche relazioni che ha gestito la “rivoluzione arancione” a Kiev e quella “delle rose” a Tbilisi. è difficile non notare che i bracciali e le bandiere colorate – giallo e rosa, stavolta – e i riferimenti ai tulipani sono frutto della stessa tattica. In Georgia e in Ucraina erano stati gli strateghi del movimento studentesco serbo Otpor, apertamente sostenuti da fondazioni americane come Freedom House o la fondazione Soros, o da istituzioni governative come UsAid, ad indicare all’ opposizione obiettivi e soprattutto metodi, non violenti e sicuramente molto efficaci dal punto di vista mediatico. Consulenti privilegiati, almeno in quelle due occasioni, erano ex ufficiali della Cia come Robert Helvi, o teorici delle università Usa come Gene Sharp (autore di “Dalla dittatura alla democrazia”) o Jack DuVall (“Come si rovescia un dittatore”).

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/03/25/dai-posti-di-potere-alla-rivolta-gli.html

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https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Ospite di George Soros, il leader del club dei miliardari anti-Bush, per la prima volta Francesco Rutelli, accompagnato dalla delegazione della Margherita che ha concluso con questo incontro ad effetto la missione negli Usa.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/07/01/rutelli-intesa-con-democratici-venezia-un-convegno.html

Haleh Esfandiari è accusata di far parte di una rete di organizzazioni culturali americane che ha l’ obiettivo di far cadere il regime islamico in Iran con l’ appoggio del miliardario George Soros. Con una rivoluzione simile a quelle “colorate” avvenute in alcune ex Repubbliche sovietiche.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/05/23/esfandiari-accuse-di-complotto-con-george-soros.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/08/22/teheran-libera-la-spia-americana-presto-negli.html

Per inquadrare questa notizia è opportuno leggere questo post:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Quello che interessa il pm Giorgio Orato sono le oscillazioni del titolo [AS Roma] in Borsa, strettamente collegate a quanto viene fatto trapelare dai giornali. Non è quindi escluso che possa essere presto aperto un fascicolo processuale, proprio come accaduto lo scorso anno in seguito alle oscillazioni legate alla trattativa con il magnate americano, George Soros (indagine ancora non chiusa).

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/05/21/trattative-ora-indaga-la-procura-nel-mirino.html

I “pesi massimi” della speculazione, i maggiori hedge fund americani, sono impegnati in un massiccio attacco concertato contro l’ euro. Mossi dalla convinzione che la crisi della Grecia è solo la punta dell’ iceberg, i potenti investitori arrivano a scommettere che l’ euro precipiterà fino alla parità col dollaro, cioè un ulteriore ribasso del 26% rispetto al valore attuale. Il volume di capitali investiti su queste puntate “ribassiste” contro la moneta europea ha raggiunto il record storico che fu toccato nel 2008 quando gli stessi hedge fund scommettevano sul crac di Lehman Brothers. Lo rivela il Wall Street Journal, che ricostruisce i retroscena di un’ azione comune fra i maggiori gestori di hedge fund, incluso George Soros. Un momentochiaveè una cena organizzata l’ 8 febbraio scorso in una dimora privata di Manhattan da una piccola banca d’ affari specializzata, Monness, Crespi, Hardt & Co. Nella stessa settimana della cena, il numero di contratti futures legati alla previsione di un ribasso dell’ euro è schizzato al rialzo, fino a 60.000 operazioni… George Soros, che è a capo di un fondo da 27 miliardi di dollari, vi ha partecipato ugualmente. Soros ha preso posizione anche in modo pubblico: ha avvertito che se i paesi dell’ Eurozona non prendono misure immediate per il risanamento delle finanze pubbliche, “l’ unione monetaria può andare in frantumi”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/02/27/grandi-hedge-fund-usa-vanno-all.html

Un’ inchiesta del Department of Justice accusa i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Grenlight, Sac capital) di aver concordato un attacco simultaneo all’ euro, in una cena segreta l’ 8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell’ euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Con Goldman Sachs e Barclays in buona vista nelle cronache su quelle grandi manovre.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/29/la-speculazione-dei-soliti-noti.html

PRIMA UNA CRISI GENERATA, POI LA SOLUZIONE PROPOSTA: GLI STATI UNITI D’EUROPA (poliziotto cattivo, poliziotto buono, il gatto e la volpe): «Possibile mai che siano i banchieri a invocare gli Stati Uniti d’ Europa mentrei governi sanno solo tentennare e prendere tempo?». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, non ha perso la passione europeista che ha animato i suoi anni come membro della Commissione a Bruxelles. E, di fronte alla crisi che stringe l’ Europa, lancia l’ idea di una «federazione leggera» che metta in comune una serie di politiche, in primo luogo quella di bilancio e fiscale. I banchieri sono diventati improvvisamente federalisti? «Per forza di cose. George Soros, Jean Claude Trichet, Mario Draghi, Jacques Attali, ma perfino Gordon Brown, l’ Economist e lo stesso Fondo Monetario Internazionale hanno cominciato a dire, di fronte alla profondità di questa crisi dell’ euro, che bisognerebbe affiancare alla Banca Centrale Europea un ministero delle Finanze dell’ Unione».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/18/un-governo-federale-europeo-per-economia-difesa.html

Alexis Tsipras: l’uomo giusto

Un recente sondaggio dà Syriza al 30%: un consenso che è quasi raddoppiato in un mese. Questa è una grande notizia: significa che la gente, in Grecia, riesce a protestare in modo ragionato, resistendo alle derive estremiste. Se Tsipras vincerà, se riuscirà a formare un governo e riuscirà a realizzare il suo programma politico darà l’esempio a tutta l’Europa e non ci sarà nessuna rivoluzione (cosa da augurarsi). Vai Tsipras, facci sognare!

“La vicenda europea è arrivata ad un punto di svolta e la vera partita si gioca in Grecia. Questo perché in Grecia può vincere le elezioni un partito chiaramente antiliberista come Syriza. Il contesto europeo in cui la destra ha perso in Francia e nelle regionali tedesche a favore dei socialdemocratici, può dare una mano, ma la vera questione la sta ponendo la Grecia, cioè l’anello più debole della catena. Ed il punto è semplice: visto il palese fallimento delle politiche recessive basate sulla distruzione del welfare e dei diritti dei lavoratori, è sufficiente oggi per uscire dalla crisi affiancare a queste politiche un po’ di investimenti come chiedono i socialisti? È del tutto evidente che la risposta è no, mille volte no.

Non solo perché il Fiscal Compact condannerebbe l’Europa ad una recessione senza fine, ma perché la crisi – innescata dalla speculazione – ha le sue radici in una ingiusta distribuzione del reddito e nei meccanismi di fondo di funzionamento della globalizzazione e dell’Unione Europea. Se non si mette mano alle questione di fondo, semplicemente dalla crisi non si esce.

Per questo la Grecia è importante, perché Syriza (che fa parte del Partito della Sinistra Europea come Rifondazione Comunista, il Front de Gauche, Izquierda Unida, la Linke ) ha posto i nodi di fondo che l’Europa deve affrontare. Dicendosi indisponibile ad accettare il memorandum che sta demolendo l’economia greca, ha posto la questione centrale per il nostro futuro.

Se Syriza vince si riapre tutto perché la folle politica europea sta in piedi su un solo presupposto: la complicità trasversale tra popolari, liberali e socialisti e le classi dirigenti di tutti i paesi. Il fatto che i governanti tedeschi in questi giorni alternino le minacce alle promesse, cioè il bastone e la carota, ci dice solo della paura che hanno, perché loro sanno benissimo di essere i primi a guadagnarci con l’Euro.

Molti dicono che Syriza sia irresponsabile e che se vince rischia di portare la Grecia fuori dall’Euro. È vero il contrario: Se la Grecia accetta di proseguire sulla strada del memorandum la sua economia e la sua società vengono semplicemente distrutti e fuori dall’Euro ci finiranno quando farà comodo alle banche. Basti pensare che grazie alle azioni di “salvataggio” praticate dall’Europa la Grecia è da 5 anni in recessione e il debito pubblico è quasi raddoppiato.

Siamo arrivati quindi all’ora delle scelte. Di fronte alla vittoria di Syriza, che auspico con tutte le mie forze, tutti i paesi europei dovranno decidere: si contratta con il nuovo governo Greco o li si butta fuori dall’Euro? Se si sceglie la prima strada e si abbandonano le politiche liberiste l’Europa ha un futuro. Se si sceglie la seconda, comincerà un processo di dissoluzione che porterà alla fine dell’Euro, dell’Unione Europea e ad una crisi sociale di dimensioni bibliche non solo nei paesi del Sud Europa ma anche al centro dell’impero.

A questo punto il re è nudo, perché Syriza propone una modifica della politica economica a partire dall’azzeramento del memorandum. Tutti, ma proprio tutti, a partire dai partiti socialisti, dovranno scegliere se essere complici della catastrofe o mettersi dalla parte della soluzione.

Noi sappiamo da che parte stare, da quella di Syriza e di Alexis Tsipras”.

Paolo Ferrero, 17 maggio 2012

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/05/17/dalla-parte-syriza-alexis-tsipras/232871/

Se Ferrero lasciasse il posto ad un giovane carismatico e di bell’aspetto…

Programma comune della sinistra tedesca (Die Linke) e di quella greca (in tedesco)

http://www.linksfraktion.de/positionspapiere/alternativen-austeritaetspolitik-bankenrettung/

PROGRAMMA DI GOVERNO DI SYRIZA (in inglese)

Nationalization of banks, halting the privatization of state-run enterprises, partial or complete debt cancellation for indebted households, wealth confiscation for those making false tax declarations: Leader of left-wing SYRIZA and main challenger of conservative Nea Dimocratia at the June elections, Alexis Tsipras revealed the party’s programme.

” We introduce our programme, a  programme that does not request the Troika approval but the approval of the Greek people,” Tsipras said on Friday afternoon adding that “The memorandum [of Understanding] is the auto pilot to complete destruction.”

He declared as top priority of his [future] government ”the cancellation of the Memorandum and its applicable laws” while he summarized  the dilemma of June 17 elections in the phrase “SYRIZA or Memorandum”. The Memorandum “can either be applied or cancelled” he said.

He rejected the prolongation of fiscal consolidation as a solution to economic problems the country and said SYRIZA will pursue “new debt rescheduling in order to drastically reduce it, or a moratorium on debt and suspending interest payments until conditions for stabilization and recovery are there.”

Some points of  SYRIZA economic programme are:

1) Replacement of MoU with National Recovery Plan

2) Unemployment benefit to be restored to 461 euro and to be prolonged for two years. Unemployment benefit also for self-employed.

3) Cancellation of MoU-imposed flexible work contracts.

4) Suspending payment of interest rates until stable conditions apply.

5) Cancellation of “emergency taxes” first of all for jobless

6) Rich to pay more 4% for the next 4 years.

7) Gradual decrease of V.A.T. and VAT minimization for food

8) Immediate decrease of VAT in tourism and catering

9) Freezing of privatizations of public organizations like telephone company OTE, railways TRAINOSE, water company EYTHAP, electric company PPC (DEI), the post office.

10) Immediate ‘freezing’ of cuts in social benefits, salaries and pensions

11) Nationalization of banks under ‘public and transparent control’.

To raise revenue to pay for such measures Tsipras plans to confiscate property from those who fail to pay taxes; sign a bilateral agreement with Switzerland on the taxation of savings of Greek citizens there; a radical reform of the tax system to redistribute wealth; and the introduction of a National Programmatic Agreement to raise taxes from ship owners and the maritime industry

Further he announced change of the elections law and cancellation of 50-seats bonus, change in the law protecting ministers, mutual agreements with neighboring countries for the markation of EEZ.

He stated that he will propose to Turkey to stop the armament race and to Skopje a FYROM- solution for the name issue.

MI SEMBRA FANTASTICO! VOGLIO SYRIZA IN ITALIA!

Un’altra Europa – Rodotà rammenta alcune cosette agli Europeisti militanti

“Scopriamo così un´altra Europa, assai diversa dalla prepotente Europa economica e dall´evanescente Europa politica. È quella dei diritti, troppo spesso negletta e ricacciata nell´ombra. Un´Europa fastidiosa per chi vuole ridurre tutto alla dimensione del mercato e che, invece, dovrebbe essere valorizzata in questo momento di rigurgiti antieuropeisti, mostrando ai cittadini come proprio sul terreno dei diritti l´Unione europea offra loro un “valore aggiunto”, dunque un volto assai diverso da quello, sgradito, che la identifica con la continua imposizione di sacrifici.
Questa è, o dovrebbe essere, una via obbligata. Dal 2010, infatti, la Carta ha lo stesso valore giuridico dei trattati, ed è quindi vincolante per gli Stati membri. Bisogna ricordare perché si volle questa Carta. Il Consiglio europeo di Colonia, nel giugno del 1999, lo disse chiaramente: «La tutela dei diritti fondamentali costituisce un principio fondatore dell´Unione europea e il presupposto indispensabile della sua legittimità. Allo stato attuale dello sviluppo dell´Unione, è necessario elaborare una Carta di tali diritti al fine di sancirne in modo visibile l´importanza capitale e la portata per i cittadini dell´Unione». Sono parole impegnative. All´integrazione economica e monetaria si affiancava, come passaggio ineludibile, l´integrazione attraverso i diritti. Fino a che questa non fosse stata pienamente realizzata, al già mille volte rilevato deficit di democrazia dell´Unione europea si sarebbe accompagnato addirittura un deficit di legittimità. Si avvertiva così che la costruzione europea non avrebbe potuto trovare né nuovo slancio, né compimento, né avrebbe potuto far nascere un suo “popolo” fino a quando l´Europa dei diritti non avesse colmato i molti vuoti aperti da quella dei mercati.
Negli ultimi tempi questo doppio deficit si è ulteriormente aggravato. L´approvazione del “fiscal compact”, con la forte crescita dei poteri della Commissione europea e della Corte di Giustizia, rende ancor più evidente il ruolo marginale dell´unica istituzione europea democraticamente legittimata – il Parlamento. Oggi si levano molte voci per trasformare la crisi in opportunità, riprendendo il tema della costruzione europea attraverso una revisione del Trattato di Lisbona. In questa nuova agenda costituzionale europea dovrebbe avere il primo posto proprio il rafforzamento del Parlamento, proiettato così in una dimensione dove potrebbe finalmente esercitare una funzione di controllo degli altri poteri e un ruolo significativo anche per il riconoscimento e la garanzia dei diritti.
Non è vero, infatti, che l´orizzonte europeo sia solo quello del mercato e della concorrenza. Lo dimostra proprio la struttura della Carta dei diritti. Nel Preambolo si afferma che l´Unione “pone la persona al centro della sua azione”. La Carta si apre affermando che “la dignità umana è inviolabile”. I principi fondativi, che danno il titolo ai suoi capitoli, sono quelli di dignità, libertà, eguaglianza, solidarietà, cittadinanza, giustizia, considerati come “valori indivisibili”. Lo sviluppo, al quale la Carta si riferisce, è solo quello “sostenibile”, sì che da questo principio scaturisce un limite all´esercizio dello stesso diritto di proprietà. In particolare, la Carta, considerando “indivisibili” i diritti, rende illegittima ogni operazione riduttiva dei diritti sociali, che li subordini ad un esclusivo interesse superiore dell´economia. E oggi vale la pena di ricordare le norme dove si afferma che il lavoratore ha il diritto “alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato”, “a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose”, alla protezione “in caso di perdita del posto di lavoro”. Più in generale, e con parole assai significative, si sottolinea la necessità di “garantire un´esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongano di risorse sufficienti”. Un riferimento, questo, che apre la via all´istituzione di un reddito di cittadinanza, e ribadisce il legame stretto tra le diverse politiche e il pieno rispetto della dignità delle persone.
Tutte queste indicazioni sono “giuridicamente vincolanti”, ma sembrano scomparse dalla discussione pubblica. Si apre così una questione che non è tanto giuridica, quanto politica al più alto grado. Il riduzionismo economico non sta solo mettendo l´Unione europea contro diritti fondamentali delle persone, ma contro se stessa, contro i principi che dovrebbero fondarla e darle un futuro democratico, legittimato dall´adesione dei cittadini. Da qui dovrebbe muovere un nuovo cammino costituzionale. Se l´Europa deve essere “ridemocratizzata”, come sostiene Jurgen Habermas, non basta un ulteriore trasferimento di sovranità finalizzato alla realizzazione di un governo economico comune, perché un´Unione europea dimezzata, svuotata di diritti, inevitabilmente assumerebbe la forma di una “democrazia senza popolo”. Da qui dovrebbero ripartire la discussione pubblica, e una diversa elaborazione delle politiche europee.
Conosciamo le difficoltà. L´emergenza economica vuole chiudere ogni varco. Dalla Corte di Giustizia non sempre vengono segnali rassicuranti. Lo stesso Parlamento europeo ha mostrato inadeguatezze sul terreno dei diritti, come dimostrano le tardive e modeste reazioni alla deriva autoritaria dell´Ungheria. Ma l´esito delle elezioni francesi, e non solo, ci dice che un´altra stagione politica può aprirsi, nella quale proprio la lotta per i diritti torna ad essere fondamentale. Di essa oggi abbiamo massimamente bisogno, perché da qui passa l´azione dei cittadini, protagonisti indispensabili di un possibile tempo nuovo”.

“LA NUOVA STAGIONE DEI DIRITTI” di STEFANO RODOTÀ da La Repubblica del 12 maggio 2012

Gli eurobond sono la nostra rovina vs gli eurobond sono la nostra salvezza

Un Bond per domarli, Un Bond per trovarli,

Un Bond per ghermirli e nel buio incatenarli,

Nella Terra di Europa, dove l’Ombra cupa scende.

“Riprenderà il cammino di una idea che lanciò Delors nel 93 e che dieci anni dopo, durante il semestre di presidenza italiana, il sottoscritto ripresentò: gli Eurobond”.

Giulio Tremonti, intervista a La Stampa dopo vittoria Hollande

http://www.wallstreetitalia.com/article/1372505/francia-tremonti-con-hollande-in-arrivo-gli-eurobond.aspx

“I paesi dell’eurozona molto probabilmente decideranno di adottare gli eurobond nei prossimi anni, ha poi sostenuto Juncker. L’emissione degli eurobond dovrà avvenire in base a regole molto rigide e sarà la logica conseguenza di una ulteriore integrazione europea, ha affermato Juncker”.

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=193421&sez=HOME_ECONOMIA&ctc=0

Romano Prodi: “Gli eurobond sono la soluzione. L’eurobond è uno strumento che mette a posto la politica europea, ma la Germania non ne vuole sapere”.

http://blog.panorama.it/ultimora/2011/11/21/prodi-eurobond-sono-la-soluzione/

“L’idea di emettere obbligazioni garantite da tutti gli stati membri della zona euro sembra ragionevole, in quanto abbasserebbe immediatamente i tassi di interesse per i paesi fortemente indebitati. Tuttavia, c’è anche un problema, dato che innalzerebbe i tassi di interesse di quei paesi che hanno goduto della fiducia dei mercati finanziari in passato. Coloro che affermano che questo effetto sarebbe limitato sono vittime di un’illusione o sottovalutano deliberatamente questo rischio. Considerando la quantità di debito che con il passare del tempo diventerebbe condiviso per ciascun paese, è difficile sopravvalutare il rischio d’interesse per i debitori che finora si sono comportati responsabilmente.

Un bond comune inoltre allevierebbe immediatamente il carico di conseguenze per alcuni paesi dovuto alla loro irresponsabilità fiscale. Difficile immaginare di potersela cavare più a buon mercato. La mancanza di disciplina fiscale viene premiata, mentre la solidità fiscale è punita. Il trasferimento del denaro dei contribuenti avverrebbe inoltre senza il coinvolgimento dei parlamenti nazionali – una chiara violazione del principio democratico fondamentale del “no taxation without representation” (“solo le assemblee elette possono tassare i cittadini”).

Le proposte su come si potrebbe controllare e limitare l’emissione di tali obbligazioni non sono convincenti. Quasi tutti i trattati che promettevano una disciplina fiscale europea sono stati infranti di volta in volta. L’esempio peggiore è stato quella della Francia e della Germania nel 2002-03, quando hanno violato il Patto di Stabilità e Crescita, e perfino organizzato una maggioranza politica contro l’applicazione delle sue regole. […]. L’idea che un nuovo processo europeo di trasferimento del denaro dei contribuenti che non è né democratico né governato da principi che sostengono la solidità delle finanze pubbliche si muoverà nella direzione dell’unione politica è totalmente fuorviante. […]. Qualsiasi tentativo di “salvare” l’unione monetaria attraverso accordi di trasferimento della sovranità ad un livello europeo, dove le violazioni dei trattati fondamentali sono diventati un appuntamento fisso, è privo di qualsiasi logica. Alla fine potrà solo alienare ulteriormente la gente dalla stessa Europa. […]. Questo tipo di unione politica non sopravvivrebbe. Il suo crollo sarebbe provocato dalla resistenza della gente. In passato le grida di “no taxation without representation”, hanno portato alla guerra. Questa volta la conseguenza sarebbe quella di minacciare il crollo del progetto di integrazione economica di maggior successo nella storia dell’umanità“.

Otmar Issing, già capo degli economisti della BCE tra il 1998 ed il 2006, “Slithering to the wrong kind of union”, Financial Times, 15 agosto 2011

“Prendiamo gli eurobond, uno strumento assai popolare in Italia. Un eurobond è un titolo emesso con la garanzia illimitata e in solido di tutti i Paesi europei, il cui ricavato viene prestato all’Italia a un tasso inferiore a quello pagato dallo Stato italiano sul proprio debito. La differenza tra i due tassi di interesse misura il rischio che si accollano i contribuenti europei per aiutare l’Italia. C’è da stupirsi se la Merkel, che ha il dovere di rappresentare i propri elettori, non è d’accordo? Continuare a invocare gli eurobond in questa situazione denota mancanza di realismo politico, e allontana la soluzione dei problemi. Oppure prendiamo l’invocazione di “più Europa”, anch’essa così frequente nel dibattito italiano. “Più Europa” significa più decisioni prese da organismi sovranazionali: perché queste siano efficaci, è necessario anche dare più risorse a questi organismi: in altre parole, accentrare le entrate. Ancora una volta, non è realistico (né sarebbe equo) pensare che Germania e Olanda mettano in comune con l’Italia il proprio gettito fiscale senza avere un peso sulle decisioni di spesa di quest’ultima. Quando si invoca “più Europa” ci si rende conto della perdita di sovranità che ciò comporta? Si è disposti ad accettare che la Merkel e i suoi successori decidano di fatto su una parte delle nostre pensioni?”

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-11-05/rendere-debito-meno-rischioso-081047.shtml?uuid=AavfDvIE

“Ora crescono le pressioni per adottare un bilancio europeo, attraverso la creazione dei cosiddetti “Eurobonds”. Questo schema, se verrà adottato, significherà un passo gigantesco verso la dittatura e l’iperinflazione. Infatti, il vero scopo degli Eurobond, o titoli di stato europei, è quello di rifinanziare il debito marcio del sistema bancario. Anche se qualcuno sostiene che gli Eurobond saranno usati per finanziare gli investimenti, questa è una pia illusione. Finché il sistema bancario non sarà ripulito dai titoli tossici, le garanzie illimitate concesse dai governi costringeranno quest’ultimi a rifinanziare le banche, tagliando gli investimenti e i programmi sociali”.

http://www.movisol.org/11news142.htm

“Gli eurobond, così come sono intesi da molte persone, sono un’assurdità. Non si può credere che l’Unione Europea o i Paesi membri possano garantire il debito dei singoli Stati: se così fosse, la Grecia potrebbe indebitarsi allo stesso tasso della Germania, ricomincerebbe a spendere senza limiti, e si troverebbe presto con un debito ancora più grande“.

http://www.linkiesta.it/la-grecia-una-scusa-allargare-il-potere-politico#ixzz1uGiQfcO7

 

Il pareggio di bilancio, Tafazzi e il massacro dei Proci – Fermatevi, prima che sia troppo tardi!

A cura di Stefano Fait

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Mnesterophonia_Louvre_CA7124.jpg

“Cari presidente Obama, presidente Boehner, capogruppo della minoranza Pelosi, capogruppo della maggioranza Reid, capogruppo della minoranza al Senato McConnell,

Noi sottoscritti economisti sollecitiamo che venga respinta qualunque proposta volta ad emendare la Costituzione degli Stati Uniti inserendo un vincolo in materia di pareggio del bilancio. Vero è che il Paese è alle prese con gravi problemi sul fronte dei conti pubblici, problemi che vanno affrontati con misure che comincino a dispiegare i loro effetti una volta che l’economia sia forte abbastanza da poterle assorbire, ma inserire nella Costituzione il vincolo di pareggio del bilancio rappresenterebbe una scelta politica estremamente improvvida. Aggiungere ulteriori restrizioni, cosa che avverrebbe nel caso fosse approvato un emendamento sul pareggio del bilancio, quale un tetto rigido della spesa pubblica, non farebbe che peggiorare le cose. Un emendamento sul pareggio di bilancio avrebbe effetti perversi in caso di recessione. Nei momenti di difficoltà economica diminuisce il gettito fiscale e aumentano alcune spese tra cui i sussidi di disoccupazione. Questi ammortizzatori sociali fanno aumentare il deficit, ma limitano la contrazione del reddito disponibile e del potere di acquisto. Chiudere ogni anno il bilancio in pareggio aggraverebbe le eventuali recessioni. […]. Anche nei periodi di espansione dell’economia, un tetto rigido di spesa potrebbe danneggiare la crescita economica perché gli incrementi degli investimenti ad elevata remunerazione – anche quelli interamente finanziati dall’aumento del gettito – sarebbero ritenuti incostituzionali se non controbilanciati da riduzioni della spesa di pari importo. Un tetto vincolante di spesa comporterebbe la necessità, in caso di spese di emergenza (per esempio in caso di disastri naturali), di tagliare altri capitoli del bilancio mettendo in pericolo il finanziamento dei programmi non di emergenza.

[…]

Nessun altro Paese importante ostacola la propria economia con il vincolo di pareggio di bilancio. Non c’è alcuna necessità di mettere al Paese una camicia di forza economica. Lasciamo che presidente e Congresso adottino le politiche monetarie, economiche e di bilancio idonee a far fronte ai bisogni e alle priorità, così come saggiamente previsto dai nostri padri costituenti. Nell’attuale fase dell’economia è pericoloso tentare di riportare il bilancio in pareggio troppo rapidamente. I grossi tagli di spesa e/o gli incrementi della pressione fiscale necessari per raggiungere questo scopo, danneggerebbero una ripresa già di per sé debole”.

Kenneth Arrow, Nobel per l’Economia 1972; Peter Diamond, Nobel per l’Economia 2010; William Sharpe, Nobel per l’Economia 1990; Eric Maskin, Nobel per l’Economia 2007; Robert Solow, Nobel per l’Economia 1987.

http://keynesblog.com/2012/03/12/lappello-dei-premi-nobel-contro-il-pareggio-di-bilancio/

“I leader politici devono riconoscere che quella imboccata è una strada sbagliata. Una overdose di risparmio non può che peggiorare la situazione. Tutto ciò ricorda un po’ il Medioevo: quando il paziente moriva si diceva che il medico aveva interrotto troppo presto il salasso, che il paziente aveva in sé ancora troppo sangue. Con questa cura sono stati trattati per decenni molti paesi emergenti iperindebitati, e spesso la cura è stata letale. Ora sussiste il pericolo che in Europa si ripeta qualcosa di analogo”.

Joseph Stiglitz, Nobel per l’Economia 2001, 12 aprile 2012

http://temi.repubblica.it/micromega-online/stiglitz-leuropa-soffre-di-troppa-austerita-ripresa-solo-con-laumento-della-spesa/

Viene fuori che seguendo un parametro molto importante – variazione del Pil reale da quando la recessione è iniziata – la Gran Bretagna sta facendo peggio di quanto fece durante la Grande Depressione. Dopo quattro anni di crisi, il Pil inglese era tornato ai livelli pre-crisi; quattro anni dopo l’inizio della Grande Recessione, la Gran Bretagna non è invece nemmeno lontanamente vicina a recuperare il terreno perduto. È la Gran Bretagna non è da sola. L’Italia sta facendo peggio di quanto abbia fatto nel 1930 – e con la Spagna chiaramente sull’orlo di una doppia recessione, sono tre grandi economie europee su cinque che stanno messe peggio che durante la Grande Depressione…Si tratta di un sorprendente insuccesso di politica economica. E lo è, in particolare, della dottrina dell’austerità che ha dominato la discussione politica delle elite in Europa e, per larga parte, degli Stati Uniti negli ultimi due anni.

Paul Krugman, Nobel per l’Economia 2008, 29 gennaio 2012

http://www.nytimes.com/2012/01/30/opinion/krugman-the-austerity-debacle.html?_r=1&partner=rssnyt&emc=rss

“Quello che ancor più preoccupa è il silenzio corale che ha accompagnato questo processo di modifica costituzionale in corso ormai da sei mesi, mentre in altri paesi europei su questi temi e sul connesso Fiscal Compact si stanno sviluppando discussioni e confronti assai vasti e in Francia si gioca la stessa campagna elettorale per le presidenziali. Questo fatto lascia allibiti. In un Paese come il nostro in cui su questioni di chiacchiericcio politico si fanno spesso campagne di stampa ampiamente sopra le righe, su un tema di così rilevante portata, che tocca un cardine della Costituzione e la strumentazione della politica economica presente e futura, il silenzio è totale. Questo mi fa pensare che, da un lato, in buona parte dei parlamentari, soprattutto fra quelli del centro-sinistra, non ci sia affattola consapevolezza di ciò che si sta approvando. Dall’altro lato che operi un silenzio interessato dei grandi mezzi di comunicazione, il cui orientamento politico-culturale è ampiamente a favore della politica neoliberista e del governo Monti. In sostanza, siamo a metà strada tra l’incultura e il calcolo politico”.

Lanfranco Turci su Micromega, 10 aprile 2012

http://temi.repubblica.it/micromega-online/no-al-pareggio-di-bilancio-in-costituzione/?printpage=undefined

Dopo l’approvazione alla Camera, nella seduta pomeridiana di martedì 17 aprile, il Senato voterà sulle modifiche agli articoli 81, 97, 117 e 119, introducendo verosimilmente l’obbligo del pareggio di bilancio in Costituzione, imposto dalla sottoscrizione del Fiscal Compact europeo, al quale peraltro non hanno saggiamente aderito Regno Unito e Repubblica Ceca (l’Irlanda lo sottoporrà a referendum e i no vinceranno, perché gli Irlandesi sono meno fessi di noi, forse da sempre).

La conseguenza, per noi, sarà che il deficit non dovrà superare il 3% del PIL, indipendentemente dalle congiunture nazionali ed internazionali.

Come detto, questa decisione impedirebbe ai governi di spendere per poter rilanciare l’economia con politiche espansive (maggiori investimenti pubblici per la ripresa, come fecero Roosevelt o Schacht, l’economista che salvò la Germania hitleriana dal baratro).

È come mettersi un cappio al collo che si stringe ogni volta che uno tenta di muoversi.

Tutto questo accade perché, incredibilmente, nonostante il paradigma neoliberista sia condannato da praticamente tutti, molti nostri parlamentari hanno deciso di appoggiare un governo dichiaratamente neoliberista (non l’ha mai nascosto, anzi, e di questo bisogna dargliene atto: ha agito alla luce del sole), confortati dal parere di un 20% di elettori di sinistra che credono che Monti sia di sinistra, ossia che il neoliberismo – l’ideologia social-darwinista del forte che per natura deve prevalere sul debole – sia compatibile con politiche di sinistra.

Questa modifica consentirà al Fondo Internazionale Salvastati, alla BCE, alla Commissione Europea, all’FMI, ai mercati – istituzioni non elette – di stabilire cosa sia giusto e sbagliato per l’Italia. Un passaggio fondamentale per il progetto “Stati Uniti d’Europa” che, con buona pace di Barbara Spinelli, è la tomba delle aspirazioni europeiste del celebre Manifesto di Ventotene.

Il malcontento e la confusione serpeggiano tra la gente, i partiti pensano alle Grandi Coalizioni (Grandi Inciuci), i sindacati abbozzano. Il terreno è fertile per la transizione da una tecnocrazia autoritaria ad un regime post-costituzionale, magari con l’avvento di una “nuova forza politica”, “né di destra, né di sinistra”, che si proponga come paladina dello stato di diritto, dello stato sociale, della giustizia sociale, ecc.

È già successo dopo il cancellierato dell’austerità di Heinrich Brüning in Germania (1930-1932) e stava per succedere anche negli Stati Uniti, dopo l’amministrazione dell’austerità di Herbert Hoover (1929-1933). Ora, poiché nessuno può essere così stupido da commettere errori così mastodontici due volte, c’è malafede. Qui, molto semplicemente, si sta cercando di uccidere proditoriamente la democrazia:

http://www.informarexresistere.fr/2012/03/23/e-in-fondo-al-tunnel-dell%E2%80%99austerita-neoliberista-gia-si-scorge-la-nostra-sorte%E2%80%A6fascismo-o-rivoluzione/#axzz1s6AMkI2H

L’idea di base è che quando avremo raschiato il fondo del barile e saremo pronti a votare per un fronte di salvezza nazionale, improvvisamente spunterà lo Schacht di turno che farà esattamente l’opposto di Monti e ci riporterà a galla, come premio per la nostra rinuncia alla democrazia, per la nostra accettazione del golpe occulto, la rivoluzione reazionaria che dovrebbe porre fine alle conquiste sociali più importanti.

Falliranno, perché c’è internet e quasi tutti, direttamente o indirettamente, hanno accesso ad una mole di informazioni quasi illimitata.

COSA SUCCEDERÀ?

La disoccupazione aumenterà senza sosta e, dai e dai, anche i politici più lenti di comprendonio capiranno, tardi, che è come dinamite pronta ad esplodergli tra le mani. E lo farà. Il collasso del sistema economico e la rivelazione della continua sequela di menzogne che hanno mascherato la realtà produrranno un gigantesco choc nella popolazione. Anche le forze dell’ordine saranno colpite duramente dalla presa di coscienza dell’inganno e cambieranno la percezione del loro rapporto con l’establishment.

L’indignazione si tradurrà in “ira funesta”, che si diffonderà man mano che la classe media impoverita, disperata per la volatilizzazione dell’illusione che prima o poi ci sarà un rilancio dell’economia, si unirà ai cittadini che già vivevano sotto la soglia di povertà: ci saranno senzatetto ed emarginati fianco a fianco di accademici, avvocati e persino membri delle forze dell’ordine e dell’esercito (“siamo il 99%!”). I media nazionali saranno screditati e sostituiti da quelli locali e specialmente dalle radio. Certi comici, già popolari, diventeranno dei veri e propri eroi (“una risata li seppellirà!”).

Il fatto che una maggioranza parlamentare tale da scongiurare la necessità di indire un referendum costituzionale abbia votato alla Camera in favore della riforma dimostra che il conformismo, l’ignoranza e la malafede prevalgono in quelle “auguste sedi”. Anch’io, come Lanfranco Turci, sono straconvinto che moltissimi, tra loro, siano semplicemente beoti, altrimenti si renderebbero conto che decisioni così tremende, prese senza consultare i cittadini, servono solo a spianare la strada ad una rivolta di massa, potenzialmente una vera e propria rivoluzione. Perdona loro, perché non sanno quello che fanno: chi li ha manovrati li darà in pasto alle folle inferocite.

Tafazzi è un personaggio comico, votato al lieto fine, qui, invece, le cose non possono finire bene.

La gente non accetterà mai di immiserirsi senza fare qualcosa e la borghesia sta già capendo che è in atto un trasferimento di beni dalla classe media ai ricchi e che sarà la più duramente colpita. È facile immaginare quale sarà la sua furia.

Le leggi liberticide e i meccanismi di controllo e sorveglianza della popolazione già introdotti nel Regno Unito e in Spagna potranno ben poco. Solo degli illusi potrebbero davvero credere di poter fermare o incanalare un 1789 su scala globale (un 1848 all’ennesima potenza), per di più alla luce della retorica umanitaria della NATO. Infatti, come potrebbero mai giustificare un qualunque trattamento della loro stessa popolazione che si avvicinasse anche solo a quello egiziano e tunisino? Sono inchiodati ai loro stessi proclami, prese di posizione, appelli, denunce, crociate.

Alla fine, si raccoglie quel che si semina. Non si scappa.

Proveranno a reindirizzare la rabbia popolare anti-capitalista verso sviluppi anti-democratici, con il Grande Progetto di un movimento politico ultrapopulista, un contenitore di tutto e di niente, una scatola vuota, uno specchietto per le allodole. Ma non vedo come la cosa possa funzionare nell’era dell’informazione istantanea. L’Europa non è la Germania di Weimar, il mondo è cambiato e lo stesso pianeta è cambiato: si scuote, si scalda, si ghiaccia, esplode, è inquieto.

Non hanno alcuna chance.

Peggio per loro.

Resta il fatto che è pazzesco che le cose debbano finire così. Pazzesco. Sembra di vivere in un incubo in cui tutto ciò che potrebbe essere evitato diventa immancabilmente una realtà funesta.

Perché lo fanno? Chi li manovra? Come possono essere così ebeti? Chi può essere così visceralmente avido ed egoista da andare avanti in ogni caso, pur avendo capito che là in fondo c’è il baratro? Solo uno psicopatico.
Siamo dunque governati da un mucchio di stolti manipolati da una cricca di psicopatici?

È  come se i Proci avessero preso il controllo di Itaca.

Tutto questo è surreale.

Politici italiani di buona volontà e coscienza, mostrate senso di responsabilità ed un minimo di lucidità e fermatevi prima che sia troppo tardi per tutti!

RICORDATEVI DI ANFINOMO!

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