La “nuova” autonomia e un limitatore di velocità da disinserire al più presto

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[…]

La riforma dello statuto delle due province resta un grande test di maturità per le popolazioni locali, la cartina al tornasole del grado di consapevolezza raggiunto.

  • Ci limiteremo a un restyling?
  • Ripareremo e rinnoveremo un sistema che era adeguato alle esigenze del secolo scorso ma non più a quelle attuali?
  • In altre parole, ci accontenteremo di un sistema che si troverà in una situazione in cui la complessità e il tasso di cambiamento esterni tenderanno ad eccedere la sua capacità di adattamento interna (come occasionalmente succede già ora)?
  • L’intento è quello di preservare surrettiziamente una società gerarchica, del comando e controllo, della metodolatria, della percezione del futuro come un’estensione lineare del presente, dell’autonomia verso l’esterno che si accompagna all’ingerenza, interferenza e dipendenza verso l’interno, nei rapporti coi cittadini?
  • Oppure possiamo anche ragionare sull’opportunità di impiegare l’autonomia per operare una rivoluzione copernicana che faccia emergere cittadini co-creattivi (cooperativi, creativi, protagonisti/leader), in modo tale che il Forum dei 100 sia solo il primo, timido passo di un percorso di maturazione collettiva?

Il resto del testo lo trovate su Medium

T#E a Bolzano

Da un Trentino sociopatico a un Trentino socio-terapeutico

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Ulisse alla corte di Alcinoo di Francesco Hayez

SABATO 5 DICEMBRE 2015 ORE 9.15
DIBATTITO IN SALA CIRCOSCRIZIONE PIEDICASTELLO
VIA VERRUCA NUMERO 1 — TRENTO
Il futuro del PD visto da:
Donata Borgonovo Re, consigliera PD del Trentino
Mattia Civico, consigliere PD del Trentino
Michele Nicoletti, deputato PD
Violetta Plotegher, assessora regionale PD Trentino-Sudtirol

I passaggi che mi hanno colpito di più:

• non si prendono a schiaffi le minoranze;
• i diritti dei più forti non devono tracimare;
• trentino come laboratorio socioculturale di trasparenza, qualità dei servizi, legalità, protezioni avanzate, efficienza;
• manca un’idea motivante che ci unisca e che ci spinga a migliorarci;
• chi sta in politica ha il dovere di provare a rimuovere gli ostacoli che frustrano le aspirazioni dei cittadini, non promuovere una visione del mondo in cui ciascuno deve guadagnarsi il diritto di vivere dignitosamente;
• politica che dà il cattivo esempio, con prepotenze esibite quasi con orgoglio;
• servizievoli senza essere servi, leali senza essere subalterni e senza tradire i principi fondanti;
• la ragioneria non basta a costruire futuri desiderabili;
• il potere dev’essere responsabile e mai volgare;
• viviamo in un mondo inutilmente crudele, avido ed egoista;
• dire la verità fa bene alla salute e garantisce un futuro alla comunità;
• Dobbiamo smettere di aver paura di sbagliare. Occorre concederci la possibilità di commettere degli errori e di correre dei rischi (Donata Borgonovo Re a proposito dello stallo del PD locale);

Per leggere le mie considerazioni sul Trentino psicopatico e il Trentino psicoterapeutico, rimando all’articolo completo, su Medium

Da un Trentino sociopatico a un Trentino socio-terapeutico

Proposta per un nuovo rapporto tra cittadini, istituzioni, ricerca scientifica

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Hariprasad Venugopal, Via Lattea dalla spiaggia di Himatangi, Nuova Zelanda


Servono reti di partecipazione deliberativa transnazionali che verifichino i fatti, facciano circolare idee e osservazioni critiche, diffondano le best practice che emergono in ogni angolo del pianeta

Onorevole Francesco Palermo, TRANSEUROPA. Reti di società civile, Rovereto, 21 novembre 2015

a) I cittadini commissionano degli studi specifici tramite una raccolta fondi.
b) I ricercatori presentano delle proposte per ricevere dei fondi da impiegare per approfondire certe questioni in un settore di propria competenza e queste proposte vengono progressivamente integrate da indicazioni da parte dell’opinione pubblica.
c) Ciascun progetto viene presentato al pubblico con un evento di lancio e con la condivisione in rete. Dopo il suo completamento si presentano i risultati ancora una volta con un evento pubblico e in rete.
d) Vengono selezionate delle sedi adibite a luoghi di dibattimento sul modello del débat public.
[…]

Continua su Medium
https://medium.com/@stefano_fait/proposta-per-un-nuovo-rapporto-tra-cittadini-istituzioni-ricerca-scientifica-a371fc62d9ed#.1w5dv6mwg

La democrazia dei bulli, l’aristocrazia dei saggi – aforismario per un Mondo Nuovo

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Per cambiare le cose ovunque bisogna imparare a farlo, sperimentando. È ora di imparare questa lezione in Italia

Fabrizio Barca, tweet

Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità.

Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America, 1776

Bisogna mostrare all’Italia che abbiamo una visione politica, strutturata e strategica per il futuro. Altrimenti avranno ragione loro a dire che l’autonomia altro non è che privilegio.

Francesco Palermo, Palermo: «A Roma per l’autonomia tira una brutta aria», 28 settembre 2015

L’INSOSTENIBILITÀ CENTRALISTA

Secoli or sono una comunità poteva permettersi di dedicare molte ore quotidiane, per lunghi anni, all’edificazione di una cattedrale gotica.

Oggi trascorriamo gran parte delle nostre vite a ripagare debiti privati e “sovrani”.

Uniqlo: metà dei dipendenti giapponesi si licenzia entro 2 anni.

Zara: una nuova collezione ogni 20 giorni.

Amazon: turni di 16 ore, mail notturne, crisi di pianto e controlli in bagno.

Evan Williams, cofondatore di Twitter, pronostica l’estinzione di blog e siti web entro la fine del decennio, perché “il futuro appartiene alle grandi piattaforme centralizzate”.

I fondatori di Twitter hanno litigato, i conti sono in rosso, le quotazioni in borsa sono meste.

Ciò che accomuna questi fenomeni è il fallimento di un modello di “sviluppo” accentratore, verticale, autoritario e patriarcale.

Chi si avvinghia a un paradigma obsoleto che sta affondando, lo seguirà nell’abisso.

Quella di Williams è una classica “profezia programmatica”: desideri un certo tipo di futuro lucrativo (per te), lo annunci sperando di spingere la massa in quella direzione.

Williams non considera che ad ogni spinta centripeta corrisponde una spinta centrifuga.

Le previsioni di chi scrive si dimostreranno più realistiche.

FUGA DAL CAMBIAMENTO

Meglio andare incontro al futuro sapendo che, per molti versi, il viaggio resta più importante della destinazione.

Non è saggio diventare schiavi del futuro. Le probabilità sono astrazioni, non fatti accertati; gli orizzonti sono per definizione remoti e indistinti; una previsione non è una presa di visione.

Pessimismo e ottimismo avvelenano o condizionano il presente, impedendoci di osservare la realtà oggettivamente. La descriviamo sempre alla luce delle nostre anticipazioni.

Tendiamo a oscillare tra il fatalismo di chi pensa che nulla è destinato a cambiare, se non in peggio e intimamente è felice che sia così, perché teme più di tutto il cambiamento, e l’ultramilitanza di chi vorrebbe cambiare tutto e subito, perché qualunque cosa è meglio del presente e quel che è venuto prima va consegnato alla pattumiera.

È inevitabile che quest’atmosfera così malsana produca un’involuzione del pensiero politico e della prassi politica, assediata da fantasie del passato e fantastiche proiezioni del futuro.

La nostra fortuna è la convergenza di volontà di cambiamento dal basso e di erosione dello status quo da parte di forze neanche troppo carsiche e assolutamente inarrestabili, perché su scala addirittura cosmica (es. variazioni nell’attività solare, macrotendenze demografiche, innovazioni tecnologiche epocali, risveglio ciclico delle coscienze).

Quando l’imprevisto irrompe nella quotidianità e risveglia le coscienze la retorica politico-istituzionale lascia il posto alla vertigine (Euforia? Estasi? Angoscia?).

L’onda è all’orizzonte, sarà qui tra breve e si farà sentire a lungo, per generazioni.

Sarebbe un peccato arrivare all’appuntamento impreparati, incapaci di far gravitare decisori ed elettori verso soluzioni e scelte che siano in armonia con le nuove prospettive.

LA GRANDE TRASFORMAZIONE

Il mondo procede in senso contrario all’esclusivismo religioso e nazionalista, al narcisismo tribale, all’isolazionismo spirituale, alla fame insaziabile di supremazia politica e finanziaria, alla compulsione della crescita quantitativa e materialista.

Piccole, grandi rivoluzioni: auto-produttori (makers), economia collaborativa e solidale, peer-to-peer, open source, giornalismo partecipativo, permacultura e biologico, orticoltura domestica, equo e solidale, produzione domestica di energia, valute complementari e digitali, reti sociali, abbandono dei centri commerciali in favore della spesa online con consegna a domicilio, sensibilità ecologista, animalista, umanitaria, democrazia partecipativa che risente l’uso di mezzi coercitivi e la sorveglianza capillare, privilegiando il dialogo e la libera ricerca del consenso.

Grande rivoluzione nonviolenta e istintiva contro il dispotismo degli oligopoli di potere pubblico e privato.

Affonda le radici nella teologia cristiana (e sufi), nel buddismo, nell’abolizionismo, nel parlamentarismo anglo-americano, nella dichiarazione francese dei diritti umani, nel socialismo e cooperativismo mitteleuropeo e nordico, nei movimenti anti-totalitari, anti-coloniali, anti-globalisti e per i diritti civili di tutto il mondo.

Una trasformazione qualitativa epocale delle coscienze umane e della civiltà umana, all’insegna del decentramento locale e del mutualismo globale.

Risposta alla Crisi dell’odierno ancien regime e alla presa di coscienza che il progresso tecno-scientifico può emancipare tanto quanto può assoggettare e quindi non è di per sé una soluzione ai nostri problemi.

È una rivolta spontanea, dal basso, contro la mentalità tirannica ed omologatrice dei Grandi Inquisitori dell’anima, della politica, della finanza, della guerra, magistralmente descritta da Dostoevskij nei Fratelli Karamazov.

Profetico Dostoevskij.

Per la pace perpetuaTianxia

(a) federalismo/multilateralismo;

(b) pace garantita da sempre più fitti rapporti commerciali e culturali;

(c) rispetto del diritto internazionale;

(d) ospitalità e lealtà reciproca;

(e) condono di una parte del debito e ristrutturazione della restante parte;

Nietzsche chiamava Kant “il cinese di Konigsberg”.

L’epoca che ci attende sarà caratterizzata da una finanza simbiotica, al servizio di un’economia equa, solidale e circolare, ossia non fondata sul ciclo entropico accumulo-spreco, boom-crollo.

La competizione al servizio della cooperazione, invece del contrario, la reciproca coltivazione dei nostri migliori talenti, attraverso l’intelligenza creativa, oltre ogni barriera somatica, psichica, culturale.

Così funziona la natura. La natura ama la diversità nell’unità (biomimetica, vedi oltre).
Esiste un coordinamento sapienziale? Teilhard de Chardin, Vladimir Vernadsky e la noosfera. Vito Mancuso; papa Francesco.

Completa revisione dei modelli di interazione economica e sociale umana. Nessun piano prestabilito, ma un graduale prender forma di alternative organiche, autocreate, autodeterminate, adattive, distributive.

Una nuova concettualizzazione del lavoro e della remunerazione. Ciascuno dovrebbe poter essere padrone del proprio lavoro, capitano della propria anima.

Il cambiamento viene perché deve avvenire, malgrado tutti gli sforzi umani per contrastarlo, deviarlo, modificarlo o controllarlo.

Nei suoi modi e nei suoi tempi, non nei nostri.

Trentini e Sudtirolesi hanno l’opportunità di diventare il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

Partecipiamo attivamente al cambiamento come si dispiega nel mondo.

In un mondo libero la gente vorrà esprimere i propri impulsi creativi, inventivi e innovativi che sono stati schiacciati in questa società schiavista.

Diventiamo protagonisti della Storia, invece di lasciare che la Storia ci piombi addosso.

Ci saranno aree e distretti che, avendo optato per la R&S, l’hi-tech e la produzione alimentare, non saranno particolarmente condizionati dall’implosione del vecchio ordine politico-finanziario e potranno fungere da ancoraggi, punti di riferimento ed attrattori per altre comunità meno fortunate.

Mentre il mondo nel suo complesso si urbanizza, accentrandosi, nei paesi occidentali (più marcatamente in Oceania) si affacciano due tendenze contrarie: nomadismo digitale e ritorno al mondo rurale.

Abbandono delle grandi metropoli per dar vita a comunità decentrate, auto-organizzate e connesse alla rete globale.

Tribù che si formano e si dissolvono a seconda delle esigenze e preferenze, valorizzando la personalità più che le identificazioni classiche (genere, razza, fede, orientamento sessuale, ecc.).

La prima volta che le persone creative e talentuose possono collaborare liberamente senza dover essere fisicamente in prossimità: un’esplosione di innovazione tecnologica e socio-culturale senza precedenti.

Solo l’indebitamento, la carenza di risorse e la relativa indifferenza dei media hanno frenato questo rinascimento planetario.

Armonizzarsi con la natura, senza antropomorfizzarla come erano inclini a fare i darwinisti sociali e i nazisti, non può essere una cattiva idea, dato che noi siamo parte integrante della natura, veicolo di coscientizzazione dell’ecosfera.

Ogni Grande Trasformazione offre delle solide opportunità.

L’unione fa la forza e un’umanità unita nelle rivendicazioni e capace di mobilitarsi solidaristicamente da Lima a Pechino e da Nairobi a Reykjavik, coordinandosi attraverso internet e le altre tecnologie che verranno, sarebbe una potenza inarrestabile.

I nuovi contratti sociali si articoleranno intorno a una serie di dirittidoveri: giustizia sociale ed equità, libertà ed autonomia, tolleranza, sovranità e uguaglianza, fratellanza ed ospitalità (cf. Kant, “Per la pace perpetua”), dignità.

Oltre a libertà, uguaglianza e fratellanza, le nuove parole d’ordine dovranno essere: decentramento/autonomia, delega, federalismo, sapienza, consapevolezza, trasparenza.

La spinta verso l’accentramento è una spinta all’omologazione, all’addensamento ed appesantimento delle relazioni umane e delle coscienze e deve essere controbilanciata dalla leggerezza e varietà della creatività umana e da una controspinta verso l’autonomia.

L’obiettivo dev’essere un costante riequilibrio tra forze centripete e forze centrifughe, alto e basso, macro e micro, egoismo e altruismo.

Tutto questo è già successo e succederà nuovamente, ciclicamente, perché fa parte della natura umana.

Il prodotto di un incessante tiro alla fune (spiraliforme) tra consolidamento ed espansione, conservazione e cambiamento, centralizzazione e decentramento. Sono forze la cui contrapposizione nell’animo umano è virtuosa quando è bilanciata ed evita che un estremo si faccia monopolio (entropia).

La pace, la giustizia, la fratellanza non possono essere raggiunte finché il genere umano non ragionerà in termini di famiglia umana e di villaggio globale in cui le sventure degli uni danneggiano tutti quanti e la serenità collettiva garantisce quella dei singoli e dei popoli.

La centralizzazione finanziaria certamente piace agli apologeti del controllo elitista egotistico.

La coscienza dei singoli e della specie si sta espandendo.

Nell’arco di un secolo siamo passati da un pianeta dominato dall’Europa a un mondo multipolare in cui l’Europa è sempre più un’appendice dell’Asia.

I centri decisionali si sono moltiplicati, il potere è sempre più decentrato e interdipendente.

È un mondo che rigetta l’idea che ci sia una nazione che detiene la verità, una singola risposta ai problemi del mondo, un unico modello di sviluppo efficace (“non ci sono alternative”), un’unica, rigida identità personale e collettiva separativa, e ancora civiltà fatalmente destinate a scontrarsi, masse condannate alla manipolazione, individui mossi esclusivamente dal proprio tornaconto.

L’umanità si deve autogovernare, non procedere a tentoni. L’età adulta ci attende.

Il metodo con cui operano le forze della separazione e dell’egoismo è quello della cooperazione competitiva.

Seguendo il magnifico esempio sudafricano, oltre alle giornate della memoria dovremmo istituire delle giornate dell’oblio che ci assistano nei processi riconciliativi e cooperativi e nel superamento dei traumi passati e dei disagi presenti (es. Alto Adige).

Coudenhove-Kalergi auspicava che l’Europa Unita si organizzasse sul modello della Confederazione Elvetica, evitando di scimmiottare gli Stati Uniti.

Richiama alla mente la visione dell’elvetico Denis de Rougemont: si può essere uniti senza confondersi.

Goethe Victor Hugo, Montesquieu, Rousseau, Leibniz, Kant, Nietzsche: Europeisti ante-litteram.

Un’Europa invadente, ipertrofica e poco democratica verso l’interno e contemporaneamente molle, divisa e impotente verso l’esterno. Anti-sapienziale.

L’autonomismo e il federalismo non sono un oppio dei popoli. Al contrario, servono a riportare le genti sul piano della realtà e della responsabilità, dinamizzando ed energizzando le società, impedendo loro di trovare alibi per le loro manchevolezze.

Collaborazioni tecnologico-energetiche tra Germania, Russia e Cina smantelleranno il monopolio anglo-americano.

Asse Parigi-Berlino-Mosca-Pechino per un mondo multipolare.

Nuova Via della Seta da Lisbona a Singapore. Da Marrakech a Fukuoka.

Alla confederazione di stati e popoli sovrani che sono le Nazioni Unite, corrisponderanno blocchi confederati su scala continentale, sull’esempio europeo, che comprenderanno stati federali formati da regioni autonome e comunità decentrate (con valute complementari, perché l’euro è una monocoltura).

Modello democratico-federale elvetico: fiorisce nella quarta nazione più globalizzata del mondo, ha dimostrato di saper scongiurare derive autoritarie-centraliste. Applicabile su scala planetaria.

La pace per l’umanità non può essere conquistata al prezzo di una tirannia globale.

UN’UMANITÀ MAGGIORENNE

Esiste una sola regola che unisce tutte le persone, un solo principio dominante che definisce ogni rapporto nella verde terra di Dio: il debole lo abbatte, il forte che lo inghiotte

Dr. Henry Goose, “Cloud Atlas”

Nessun uomo è abbastanza buono da poter governare un altro senza il suo consenso.

Abraham Lincoln, discorso di Peoria, 16 ottobre 1854

Abituati a calpestare i diritti degli altri, avete perso il genio della vostra indipendenza e siete diventati soggetti ideali per il primo scaltro tiranno che si dovesse affacciare.

Abraham Lincoln, discorso di Edwardsville, 13 settembre 1858

Questo è un mondo di compensazioni; colui che non acconsente ad essere schiavo, non deve acconsentire a possedere degli schiavi. Coloro che negano la libertà agli altri, non la meritano per se stessi; e sotto un solo Dio, non la conserveranno a lungo.

Abraham Lincoln, lettera a HL Pierce, 6 aprile 1859

A partire dagli anni Settanta, con l’insorgere della dottrina liberista, le persone hanno sviluppato un inaudito e allarmante grado di dipendenza fisica, economica ed emotiva nei confronti dei centri di potere pubblici e privati, transnazionali e locali.

Una vera e propria infantilizzazione di massa: la discordia tra nazioni, popoli e civiltà è ai massimi livelli, l’ansia sopravanza.

L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessa è questa minorità, se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo.

Immanuel Kant, Cos’è l’Illuminismo?, 1784

Una visione di cooperazione pacifica e volontaria, reciprocamente vantaggiosa tra comunità autogovernate appare utopica (ai cinici, agl’impauriti, agli immaturi).

Reclusi in una gabbia d’acciaio le cui sbarre sono l’eterna, perniciosa dialettica vittima/carnefice, una dottrina deresponsabilizzante e crudele che ci viene impartita fin dall’infanzia.

Siamo diventati “specialisti senza spirito, edonisti senza cuore”, come da profezia del sociologo Max Weber (1864-1920)?

L’umanità è la stessa, a ogni latitudine, e i suoi desideri e sogni sono grosso modo gli stessi (pace, amore, prosperità, sicurezza, felicità, libertà), ma il destino ultimo dell’umanità non è quello di un’evoluzione convergente verso un unico modello socioculturale e politico, perché le vie per realizzare le nostre rispettive aspirazioni sono molteplici.

La “società civile” deve diventare adulta, ossia civile, assumendosi le responsabilità tipiche degli adulti, senza accampare scuse e lamentarsi puerilmente tutto il tempo per le cose che non vanno.

La competizione a sostegno della cooperazione (egoismo illuminato) genera un equilibrio dinamico.

La cooperazione a sostegno della competizione (complotto) produce un’escalation compulsiva con effetti entropici.

Non possiamo continuare a credere che tutto il genere umano ragioni o debba ragionare come ragioniamo noi, in una specifica e breve fase della nostra storia.

Siamo diversi da come eravamo, saremo diversi da come siamo e la curiosità nei confronti del prossimo, il rispetto per la dignità delle sue declinazioni dell’umano è una necessità in un mondo globalizzato.

DEMOCRAZIA PARTECIPATIVA

Una conversazione che includa una pluralità di voci scongiura l’egemonia di una visione monocola (cf Polifemo) di ciò che ci attende, un fattore di distrazione che ci rende inefficaci, fatalisti, spettatori passivi, non co-creatori di realtà.

La democrazia non è una cosa, non è un’istituzione. È un processo, un rituale, una capacità acquisita che va costantemente esercitata e perfezionata.

Si impara la democrazia come si impara a nuotare. Qualcuno diventa un campione, altri si tengono a galla, ma più facciamo esperienza e tocchiamo con mano i nostri miglioramenti, maggiore sarà l’entusiasmo.

Ogni fallimento è solo un passaggio a vuoto in un percorso di perfezionamento personale e collettivo.

Per essere democratici bisogna saper Ascoltare. Ascoltare aiuta gli altri e noi stessi a pensare e capire le proprie circostanze e a risolvere i propri problemi. È una prassi riconciliativa (v. hoʻoponopono, nella Polinesia).

Essere democratici vuol dire: accettare l’idea che un conflitto creativo è un’opportunità di esaminare le questioni da prospettive inattese e più promettenti.

Senza conflitti creativi saremmo condannati a vedere la realtà in modo drasticamente semplificato, in funzione dei nostri preconcetti e pregiudizi.

Si può fare chiarezza su una questione anche senza tagliarla con l’accetta, imparando a tollerare la complessità e ad apprezzare l’apprendimento continuo.

Essere democratici non vuol dire cercare di raggiungere comunque un consenso.

Per vedere possibilità che esistono ma non sono facili da scorgere serve immaginazione, umiltà, flessibilità, acume e quanta più conoscenza si possa mettere sul tavolo di una discussione.

Ginnastica della mente: per 5 minuti proviamo a sospendere il nostro giudizio critico o di chiusura nei confronti di un’idea e sforziamoci di scovarne delle virtù, come se ne fossimo dei genuini sostenitori.

L’ignoranza dell’altro è un’automutilazione; la curiosità è un accrescimento, un potenziamento.

Non saranno i droni a salvarci, ma il dialogo profondo.

Le minoranze non siano schiacciate dalle maggioranze, l’interesse di una parte non sia fatto passare per interesse generale, i cittadini attivi non scoprano che il loro impegno è vano perché le decisioni erano comunque già state prese ed erano in cerca di una qualche forma di legittimazione.

Forse chi vive a Trento e Bolzano appartiene, senza sentirlo in modo chiaro, senza rifletterci, ad un homo autonomus, ad un italiano prototipo perché godente di un’autonomia politica che per il resto d’Italia sta diventando una novità.

Hans Karl Peterlini, Ma che identità, 1999

Una decisione saggia tiene conto dell’impatto atteso sulle future generazioni e sul resto del mondo; considera punti di vista esterni e diversi da quelli a cui siamo abituati nel nostro piccolo mondo universale e collettivo; riflette sulle esigenze più profonde e universali dell’umanità.

Una decisione saggia è il frutto di un dialogo a 360 gradi, anche con chi non è ancora nato e non vive nei paraggi, perché siamo tutti sulla stessa barca e un evento locale può innescare impressionanti ripercussioni globali.

Superata una certa soglia di astensionismo, non è più moralmente legittimo parlare di mandato pienamente democratico.

Solo la partecipazione democratica può restituire dignità alla politica e a chi fa politica.

(l’avrà sicuramente detto anche Barca)

La regione alpina ama essere avanguardia del cambiamento, ma i cinesi ci stanno battendo al “nostro gioco”, da anni, con iniziative dal basso e dall’alto, ispirate e supervisionate dai pionieri australiani e nordamericani della democrazia deliberativa.

Creiamo occasioni e luoghi in cui diversi punti di vista siano messi a confronto, le persone imparino ad ascoltarsi e a raggiungere compromessi che non siano al ribasso.

FEDERALISMO È UNITÀ NELLA DIVERSITÀ

Diversità è resilienza. La natura, come gli investitori, cerca di diversificare e bilanciare. Se anche qualcosa non va per il verso giusto, qualcos’altro andrà in porto e la vita continua. Per questo è saggio evitare di dipendere da monopoli di conoscenza, produzione e distribuzione di energia, cibo, ecc.

Un mondo multilaterale, multipolare, plurale, unito sinergicamente nella diversità è un mondo resiliente.

Scozia, Catalogna, Québec: se il rischio è che dei gruppi si separino rancorosamente, è meglio facilitare la rottura, nell’ottica di poter successivamente ricostruire uno spirito di comunità.

Però: una nazione con un Pil inferiore a quello di una compagnia petrolifera o al valore dei fonti gestiti da una grande società di investimento, può dirsi realmente sovrana?

Separazioni ed esclusioni sono soluzioni provvisorie. Ogni esclusione permanente dell’altro è disfunzionale e irrobustisce tribalismi ed egotismi personali che possono solo produrre conseguenze spiacevoli per tutte le parti coinvolte.

Federazioni e confederazioni servono a contenere le spinte centrifughe e sanare i conflitti, evitando che degenerino. Sono delle grandi invenzioni umane.

Coppie che si separano ma resta l’amicizia.

PSICOPATIA E OLIGARCHIA

Una proporzione di esseri umani che si aggira tra il 2 e il 6% è psicopatica: non hanno scrupoli, non provano rimorsi, non sentono ragioni, si mimetizzano eccellentemente.

Le libertà democratiche hanno consentito a una grossa parta di questa minoranza fortemente antisociale  di arrivare al potere e di mostrarci la sua singolare interpretazione del concetto di “libertà”: Fai ciò che vuoi sarà tutta la legge (Aleister Crowley, 1904).

La tendenza delle oligarchie del nostro tempo è un progressivo chiudersi su se medesime. La loro sopravvivenza è legata alla chiusura dei loro confini, con le conseguenze che vediamo nelle nostre società: impoverimento generale, emarginazione sociale, riduzione dei diritti dei più, scomparsa del lavoro o sua dislocazione dove costa poco o nulla…La democrazia è il regime dell’uguaglianza, dell’isonomia, della legge uguale per tutti; l’oligarchia è il regime del privilegio, della legge diversa per coloro che appartengono alla cerchia del potere. È per questo che l’oligarchia del nostro tempo, non potendosi dichiarare per quello che effettivamente è, deve mimetizzarsi, rendersi invisibile, nascondere la sua faccia. Deve vivere nell’illegalità perché, per sopravvivere, non può piegarsi alle regole generali che valgono per tutti. […]. Che cosa significano i discorsi sulla stabilità che si fanno oggi? O l’insistenza sulla mancanza di alternative, sull’ultima spiaggia e simili? Servono per l’appunto a chiudere la porta a qualcosa di nuovo. […]. Siccome la storia non finisce, quando crolla il Sacro Romano Impero che cosa nascono? I liberi comuni. Quando crolla l’impero di Alessandro Magno c’è l’ellenismo, un fiorire di energie dal basso. Allora, mi chiedo se in maniera diversa e con contenuti diversi il tema dei federalismo non rappresenti una prospettiva.

Gustavo Zagrebelsky, “La maschera democratica dell’oligarchia”, 2014

Per l’egoista le libertà di pochi (privilegi senza responsabilità) hanno molto più peso di quelle di molti (concessioni a tempo determinato).

Ad una robusta tendenza oligarchico-centralista (neoliberismo) alla quale si è risposto con una non meno autoritaria deriva ultrapopulista e plebiscitaria (separatismo etnico) che minaccia di reprimere minoranze non particolarmente benvenute (immigrate) o benvolute (autoctone) e di smantellare eccellenti esperienze di autogoverno.

Paradossalmente, ambedue le tendenze si richiamano a ideali libertari.

Samuel Johnson osservò amaramente negli anni che precedettero al Dichiarazione di Indipendenza americana che i proprietari di schiavi erano i più tenaci e tonanti corifei della libertà e sovranità americana.

Analogamente, i confederati invocavano la secessione dai tirannici stati del nord mentre simultaneamente annunciavano pubblicamente la loro intenzione di estendere la schiavitù in direzione della California, in Messico, nei Caraibi e a sud di Panama.

Gli schiavisti non erano cognitivamente e spiritualmente equipaggiati per notare la contraddizione e l’ipocrisia della loro posizione.

La libertà di Henry Goose è la libertà di chi vuole poter prendere quel che gli garba senza dover dare o restituire alcunché.

I concetti di reciprocità, mutualità, scambio, equilibrio, ricircolo, equità, uguaglianza sono inafferrabili per una personalità egotista.

La libertà dei privatizzatori che si appropriano dei beni comuni e la libertà degli etnopopulisti che predicano la rivolta fiscale dimenticandosi che il successo di ogni economia dipende da mutevoli circostanze storiche e geografiche.

Quanto siamo liberi! Possiamo addirittura scegliere se votare Bibì o Bibò.

Se siamo disposti a considerare fattori di novità il giovanilismo, l’inesperienza, l’improvvisazione, l’arroganza e l’ambizione, allora siamo disposti a credere a qualunque cosa.

Gustavo Zagrebelsky, “La maschera democratica dell’oligarchia”, 2014

Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d’affari, insegnanti, avvocati, falegnami… le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo.

Morpheus, “Matrix”

L’ignoranza è un bene.

Cypher, “Matrix”

Le istituzioni già esistenti sono ideali sia per emancipare l’umanità, sia per opprimerla.

Se dovessimo condannare tutto ciò che è strumentalizzabile e manipolabile dovremmo abolire il genere umano.

Democrazia, federalismo, automazione, internet, diritti umani, ricerca medica, fusione fredda, nanotecnologie, arte, denaro, welfare, devolution…tutto può essere usato a fini altruistici o egoistici, per cristallizzare un sistema di potere o per riformarlo, per attizzare l’odio, la paura, l’antipatia, la divisione, la superbia (eccezionalismo etnico, vittimocrazia, ecc.) e la crudeltà contro i capri espiatori di turno, oppure per apprendere la sapienza

Il Gaucho Martin Fierro, citato da papa Francesco nel suo recente discorso all’ONU: “I fratelli siano uniti perché questa è la prima legge. Abbiano una vera unione in qualsiasi tempo, perché se litigano tra di loro li divoreranno quelli di fuori”.

È perfettamente possibile che uno stesso obiettivo (es. unificazione europea) sia caro a due fazioni, una “luminosa” e una “oscura”, che ne farebbero un uso radicalmente diverso, una volta conseguito.

Il prevalere dell’uno o dell’altro schieramento dipende dal grado di consapevolezza e maturità del genere umano nel suo complesso.

Gli Henry Goose di questo mondo vedono nei campi di lavoro – dalle piantagioni di cotone, ad Auschwitz, alle nuove forme di schiavitù, servitù debitoria e precariato permanente per individui e nazioni – come un’opportunità e non come un abominio.

Auschwitz non è un’aberrazione ma il culmine di una tradizione schiavista, l’evoluzione di un modello sociale del dominio totale: “satanico”.

Resta una tentazione permanente di ogni sistema in cui il potere si accentri e si espanda senza limiti.

Una volta che un sistema di dominio totale ha dimostrato in modo così eclatante la sua “efficacia”, rimarrà, per alcuni, un modello da imitare, o “perfezionare”.

Gli abolizionisti costruiscono mondi post-schiavistici, aboliscono società costruite intorno a convenzioni che discriminano gli uni e avvantaggiano gli altri e che, trasmesse di generazione in generazione, finiscono per apparire come una seconda natura umana, un prodotto dell’evoluzione che l’uomo non ha il diritto di contestare e cambiare.

Per gli abolizionisti le nostre tribù e classi non devono restare separate; ciò che ci distingue non è l’essenza di quel che siamo.

Esiste una comune umanità, un comune spirito che trascende i confini e i muri insormontabili che ci imponiamo e che crediamo possano giustificare lo sfruttamento, la prevaricazione, la tracotanza, la violenza, l’egoismo.

La storia non deve per forza essere l’arena in cui il forte sopprime il debole.

L’umanità può elevarsi al di sopra della legge della giungla, razze e credenze diverse possono cooperare, ci possono essere governanti giusti, la violenza può essere arginata, i potenti devono rispondere delle loro azioni, le ricchezze della terra e degli oceani debbono essere condivise equamente.

Chi pensa il contrario non è realista, è cinico (il cinismo è una patologia della coscienza) e disinformato.

Lettori, ascoltatori e spettatori, a milioni, stanno voltando le spalle ai media tradizionali…Una delle ragioni di questa crisi è che le persone sono stanche dell’immagine negativa del mondo che viene loro presentata dai giornalisti. La maggior parte delle notizie nei media tradizionali riguarda conflitti, drammi, imbroglioni e vittime. […]. Ci sono numerose e gravi conseguenze. In primo luogo la gente ne ricava una falsa immagine della realtà. In secondo luogo l’Occidente ora soffre di mancanza di leadership. Le democrazie mediatiche non producono capi, ma populisti.

Constructive News: The next mega trend in journalism? 14 novembre 2014

Fino a quando la gente respirerà solamente zaffate di paura e pessimismo non se la sentirà di prendere il controllo delle proprie vite, di autogovernarsi. Milioni di persone continueranno a vivere come pecore intimidite in cerca di un pastore al quale votarsi.

La democrazia non può però funzionare finché la mente non è intimamente democratica, cioè pienamente adulta.

LA DEMOCRAZIA DEI BULLI

La democrazia si è suicidata e la nostra civiltà si è progressivamente sociopatizzata.

Se solo potessimo parlarci con rispetto, spiegarci in modo chiaro e ascoltarci con attenzione, potremmo lasciarci alle spalle i sentimenti feriti e raggiungere – se non un consenso – almeno una migliore comprensione dei nostri interessi comuni, della nostra dignità. Eppure, con le ferite ancora aperte e il risentimento che ribolle, i tentativi di confronto (sia online che di persona) il più delle volte vengono frustrati. Le voci più forti e più arrabbiate spesso hanno la meglio. Studenti e docenti si ritirano nelle loro cricche, ripetendo le medesime opinioni a persone che già la pensano come loro invece di scambiare pareri con chi non è d’accordo. I più moderati tra noi staccano volontariamente la spina, si sganciano e osservano il tutto da bordo campo o addirittura cambiano canale. Alcuni si domandano perché le virtù intellettuali che pratichiamo in classe sembrano improvvisamente merce rara al di fuori della classe. Le nostre teorie pedagogiche valorizzano la discussione aperta, ma l’esperienza ci delude.

Ben Berger, The Accidental Theorist: Diana Mutz’s Normative and Empirical Insights

I cittadini hanno bisogno di imparare a scegliere tra tesi contrapposte, farle circolare tra loro, testarle in una conversazione informale e scartare quelle implausibili. il mercato delle idee non funziona correttamente se le élite politiche sono le uniche ad essere coinvolte.

Diana C. Mutz, Hearing the Other Side: Deliberative Versus Participatory Democracy, pp. 149-150

Le maggioranze sono inclini alla tirannia: Le iniziative referendarie dei cittadini statunitensi che si proponevano di limitare i diritti civili altrui hanno riscosso uno straordinario successo: gli elettori hanno approvato più di tre quarti di queste, pur approvando solo un terzo di tutte le iniziative e referendum popolari.

Quando una maggioranza è unita da un comune interesse, i diritti della minoranza sono incerti.

James Madison

La volontà di tutto un popolo non può rendere giusto quel che è ingiusto.

Benjamin Constant

Hanspeter Kriesi, uno specialista di democrazia diretta: in occasione delle campagne referendarie elvetiche moltissimi elettori decidono fin dall’inizio che cosa voteranno, cambiano idea molto di rado e fanno proprie le argomentazioni che raccolgono durante la campagna referendaria solo per razionalizzare le proprie scelte precedenti.

La democrazia dei bulli: chi è empatico beneficia dall’essere esposto alla variabilità delle prospettive sul mondo e diventa più curioso, tollerante, aperto. Chi è poco empatico diventa più ostinato, chiuso e intollerante (Mutz 2006).

Il confronto democratico tende ad aggravare l’intolleranza degli insensibili.

Fuga dalla democrazia: Le personalità miti e delicate si astengono dal partecipare in modo da non offendere nessuno, mentre i bulli politicamente ed ideologicamente radicalizzati governano il mondo.

Diana C. Mutz

Riunioni condominiali, assemblee di attivisti per più democrazia, tavoli di associazioni, consigli direttivi, parlamenti, ecc.: dappertutto entra in gioco la stessa dinamica.

Il confronto democratico tende ad aggravare l’autoisolamento dei sensibili.

Effetto gregge: quanto più una persona è esposta a punti di vista che cozzano con le sue più radicate convinzioni, tanto più si astiene dal dibattito politico, scientifico, ecc. oppure tende a circondarsi di persone che la pensano allo stesso modo (Mutz 2006).

Il troppo stroppia: il tasso di astensionismo negli USA e in Svizzera è altissimo principalmente perché gli elettori sono chiamati a votare su mille questioni.

Essere cittadini non può trasformarsi in un lavoro a tempo pieno.

Il confronto democratico insistito genera astensionismo, saturazione, rigetto.

AMERICANI E CINESI PREFERISCONO PLATONE

Tutta la storia della filosofia occidentale non è che una serie di note a margine su Platone.

Alfred North Whitehead

La maggior parte degli Americani (degli occidentali?) dichiara di non volersi occupare di politica, di non avere tempo per formarsi un’opinione su questioni delicate e complesse, di preferire un sistema in cui dei politici altruisti e corretti fanno quel che va fatto e dove non c’è alcun bisogno di buttare il proprio tempo per sorvegliare le loro azioni o inazioni (Theiss-Morse & Hibbing 2002).

I medesimi orientamenti valoriali si riscontrano tra i cinesi (Tianjian Shi, Democratic Values Supporting an Authoritarian System).

Un’aristocrazia della sapienza: chi governa dev’essere affiancato da un consiglio di saggi che non si identifichino con una parte politica, religiosa o sociale.

Platone ha sempre avuto ragione, Popper non ha capito nulla.

A meno che i filosofi regnino nelle città, oppure coloro che oggi sono detti re e “potenti” non si dedichino in modo autentico e adeguato al filosofare, e non vengano riunificati il potere politico e la filosofia, rendendo impossibile che, come invece accade perlopiù oggi, le due forme di vita procedano separate, non ci sarà remissione dei mali delle città e, credo, neppure del genere umano.

Platone, Repubblica, V, 473c-d

Consulte di saggi, di incontestabile probità e sapienza, che forniscano una supervisione morale per le decisioni più salienti in modo tale che l’autorità non si converta in autoritarismo, la diversità in egoismo, l’unità in uniformità. Pitagora e Platone.

In Francia si fanno le prove generali di questo nuovo modo di fare politica (Nicolas Sarkozy invite les anciens premiers ministres à travailler sur les institutions, Le Figaro, 14 aprile 2015).

Il resto della società potrà continuare ad agire nel segno del proprio tornaconto, ma con moderazione, senso del limite, auto-disciplina.

Chi sta in alto avrà il compito di assicurarsi che la somma degli egoismi individuali assuma una forma cooperativa: la competizione al servizio della cooperazione e non vice versa.

Un saggio è una persona che ha dimostrato sapienza, integrità, senso di responsabilità e disposizione a proteggere i deboli.

Cavalieri della Tavola Rotonda; moschettieri; Zorro.

Se un saggio sgarra, si becca il cartellino rosso.

Consideratevi uguali a quelli che governate, non superiori. Siate equanimi e non prendetevela se qualcuno del consiglio non la pensa come voi. Non rimandate mai la realizzazione di un progetto. Se cercate l’onore fatelo come gli atleti, evitando di danneggiare gli avversari e cercando di conseguire la vittoria soltanto per meriti.

Pitagora

Pitagora a Crotone realizza la Repubblica di Platone, prima della nascita di Platone.

Pitagora ha sempre avuto ragione. Cilone non ha capito nulla.

Cilone è il Giuda che, non essendo riuscito a superare il test d’ingresso della comunità pitagorica a causa dei suoi vizi (violento, turbolento, dispotico, superbo), organizza una congiura populista, accusando i pitagorici di non tener conto della volontà popolare.

C’è sempre un Cilone in agguato, pronto a mettere il suo ego davanti a tutto il resto.

Questa combinazione pare fosse dovuta da un lato al malcontento popolare per la concentrazione del potere nelle mani di pochi, accoppiata all’avversione dell’uomo comune per quello che considera un gergo incomprensibile, e dall’altro al sospetto dell’aristocrazia locale nei confronti delle fazioni pitagoriche, il cui assunto di superiorità e di sapere esoterico dev’essere stato a volte difficile da sopportare.

W.K.C. Guthrie

Platone e Pitagora inventano la prima società a prova di psicopatici: in essa chi si trova alla sommità della piramide, come consigliere-sapiente, è votato al servizio della società e non vice versa (From a sociopathic civilisation to a socio-therapeutic civilisation, WazArs, 15 ottobre 2014).

Lo stato cinese evolverà in quella direzione.

La dirigenza cinese ha in mente un ordine multilaterale kantiano per la governance planetaria. Una politeia platonica per la governance nazionale. Forme di democrazia deliberativa per la governance locale.

L’autentica rivoluzione è quella dello spirito, nata dalla convinzione intellettuale della necessità di cambiamento degli atteggiamenti mentali e dei valori che modellano il corso dello sviluppo di una nazione. Una rivoluzione finalizzata semplicemente a trasformare le politiche e le istituzioni ufficiali per migliorare le condizioni materiali ha poche probabilità di successo.

Aung San Suu Kyi

Se hai il coraggio di affrontare te stesso, nel senso di guardarti veramente allo specchio, con tutti i tuoi difetti e le tue mancanze, allora resterai immune alla corruzione. Come buddista non posso fare a meno di pensare che comprendendo il significato autentico di anicca [transitorietà] nessuno darebbe la caccia al potere e alla ricchezza a spese della propria integrità morale.

Aung San Suu Kyi

In politica bisogna essere flessibili. Non sono una di quelle persone che direbbero: sciopero della fame fino alla morte. Non credo serva a risolvere le cose. […] nella nostra famiglia non siamo melodrammatici. Pensiamo solo agli aspetti pratici delle cose. Io non incoraggio il melodramma. Non mi piace…lo trovo molto stupido. Bisogna affrontare la vita con razionalità.

Aung San Suu Kyi

L’Occidente ha voltato le spalle a Aung San Suu Kyi.

Per la Nobel per la Pace birmana dev’essere arduo tollerare l’infatuazione occidentale per le soluzioni istantanee e drastiche, a prescindere dal costo di sangue che potrebbero reclamare.

Ecco un’aristocratica dello spirito e della sapienza, degna di far parte di un “governo dei migliori”.

In Europa seguiremo il modello francese (dirigismo illuminato: cf. Mariana Mazzucato, Lo stato innovatore), che contagerà Germania e Russia dopo le presidenziali francesi del 2017.

Il Trentino Alto Adige deve farsi interprete in Italia di una via federalista-autonomista mitteleuropea al dirigismo illuminato. La Francia rimane troppo centralista.

L’autonomia doveva insegnare rispetto, umiltà e consapevolezza, non presunzione.

Questo modello – democrazia deliberativa con innesto di “aristocrazia” sapienziale – può neutralizzare plebiscitarismo, elitismo tecnocratico, unilateralismo.

IL BELLO E IL BRUTTO DELL’ESSERE PICCOLI

Piccolo è bello e soprattutto è più facile prendere a calci chi sta sui cojones.

Anonimo (non intimamente democratico)

Più frontiere ci sono, maggiori sono i rischi di frizione.

Più piccoli sono gli stati, minori saranno le loro prospettiva economiche e militari (diventare un paradiso fiscale o un protettorato significa dipendere interamente dall’interesse altrui) e maggiori le probabilità che divengano delle pedine per i grandi giocatori dello scacchiere inglobale.

Quanto contano nel mondo Croazia, Slovenia, Macedonia, Serbia? Davvero poco.

La Jugoslavia era il leader di un centinaio di paesi non-allineati.

La moltiplicazione degli stati ostacola la risoluzione delle grandi sfide del nostro tempo – migrazioni di massa, mutamento climatico, transizione energetica, terrorismo, trasformazione dell’ordinamento socioeconomico, finanziario e politico del pianeta.

In Europa esistono già 51 stati indipendenti: Caos nella gestione dell’afflusso di profughi, con alcuni governi che se ne infischiano del diritto d’asilo (Convenzione di Ginevra 1951).

Un nuovo ordine mondiale in cui le regole valgono per tutti e i piccoli non devono vivere all’ombra dei bulli.

Per i piccoli la globalizzazione dei mercati si traduce in coercizione, intimidazione, sfruttamento, corruzione, dispotismo, angoscia.

Culture, valori, tradizioni, comunità locali contano davvero poco agli occhi dei grandi manovratori di ricchezze: decidono che cosa e come debbano produrre le nazioni emergenti, quando e dove possano vendere la loro produzione, a che prezzo, quale debba essere il salario dei lavoratori, le condizioni di lavoro, le tutele, i sussidi, ecc.

Attraverso le istituzioni globali, possono anche decretare le politiche monetarie, fiscali, commerciali e bancarie di queste nazioni, punendo i riottosi.

Anche le piccole nazioni più ricche patiscono le conseguenze delle loro dimensioni ridotte. Le popolazioni di Belgio, Austria, Olanda, Svizzera, Danimarca sono in parte accomunate dalla paura di essere sommerse dagli immigrati, specialmente quelli musulmani, e di essere sminuzzate dal processo di integrazione europea e dalla globalizzazione.

Molti cittadini di queste piccole patrie si sentono vittime di una manovra a tenaglia che li sta progressivamente snazionalizzando e votano in massa per dei partiti xenofobi e per dei quesiti referendari discriminatori.

La paura è una cattiva consigliera: chi è piccolo tende ad essere più insicuro e ad ingigantire i problemi.

Senza entità nazionali e federali chi amministrerebbe i parchi nazionali, la viabilità transcontinentale, i soccorsi ed aiuti di emergenza, la difesa, la lotta alla criminalità transnazionale?

Chi tamponerebbe le conseguenze delle crisi cicliche della finanza?

Chi si sforzerebbe di contrastare le disparità dovute alle rendite di posizione che nascono dalla concentrazione di ricchezze e di competenze in certi luoghi strategici?

Il piccolo non è bello in quanto tale, come vuole un retorico slogan; lo è se rappresenta e fa sentire il grande, se è una finestra aperta sul mondo, un cortile di casa in cui i bambini giocando si aprono alla vita e all’avventura di tutti. L’identità autentica assomiglia alle Matrioske, ognuna delle quali contiene un’altra e s’inserisce a sua volta in un’altra più grande. Essere emiliani ha senso solo se implica essere e sentirsi italiani, il che vuol dire essere e sentirsi pure europei. La nostra identità è contemporaneamente regionale, nazionale — senza contare tutte le vitali mescolanze che sparigliano ogni rigido gioco — ed europea; del nostro Dna culturale fanno parte Manzoni come Cervantes, Shakespeare o Kafka o come Noventa, grande poeta classico che scrive in veneto. È una realtà europea, occidentale, che a sua volta si apre all’universale cultura umana, foglia o ramo di quel grande, unico e variegato albero che era per Herder l’umanità.

Claudio Magris

“Piccolo è bello” è un titolo che non è mai piaciuto a E.F. Schumacher, convinto che bisognasse realizzare il piccolo nel grande, non ridimensionare tutte le attività umane.

Etsy nasce con questa stessa logica.

Non conta che un progetto sia piccolo o grande, conta che sia la scala appropriata e sostenibile, nel quadro di un consumo ottimale.

Non è questione di scegliere tra crescita moderna e stagnazione tradizionale. Si tratta di trovare il giusto percorso di sviluppo, la Via di Mezzo tra materialismo dissennato e immobilismo tradizionalista.

E.F. Schumacher

BIOMIMETICA

L’uomo non può vivere senza la scienza e la tecnologia più di quanto egli possa vivere contrapposto alla natura.

E.F. Schumacher

I sistemi accentratori sono fragili, anti-resilienti, entropici.

La Natura NON accentra e la Natura è in circolazione da un pochino più di tempo di noi.

(Qualche miliardata d’anni dedicati alla Ricerca&Sviluppo: miliardo più, miliardo meno).

L’umiltà di apprendere da chi ha testato le varie opzioni da tempi immemorabili per concludere che il centralismo.

In Natura ogni sistema è interconnesso con altri sistemi.

La Natura adotta una prospettiva olistica, una meccanica organica.

La biomimetica guarda alla natura come fonte di ispirazione per le soluzioni sostenibili.

Gli esseri umani stanno superando lo stadio in cui sentono la vocazione del controllo e del dominio.

Siamo pronti a una fase evolutiva della nostra civiltà e coscienza in cui ci rendiamo conto che la nostra migliore chance è una riconciliazione con la natura in cui siamo in grado di mantenere le tante cose meravigliose che la civiltà ha creato e utilizziamo la biomimetica per ripensare il nostro futuro e la nostra relazione con l’ambiente naturale.

Dalla monocoltura intensiva alla biodiversità della permacultura.

L’evoluzione procede a partire da forme di vita e modalità di interazione semplici, che diventano sempre più complesse, ricche di sfumature e che, assieme, si dimostrano capaci di operazioni quantitativamente e qualitativamente superiori rispetto a quando erano separate: è allora che il comportamento egoista dei singoli finisce promuovere il benessere della rete di cui fanno parte, il beneficio reciproco.

Il biomimetismo non copia tutto ciò che è naturale: non c’è una virtuosità intrinseca nella natura, che procede per tentativi, come la scienza.

Certi funghi dell’Amazzonia trasformano le formiche in zombie. Nella sfera umana trova una fatale corrispondenza nella personalità sociopatica.

Si prende ispirazione, non si copia.

Possiamo guardare alla natura per constatare che gli ecosistemi più maturi sono quelli più resilienti (e vice versa).

Maturità è quando la collaborazione tra le specie irrobustisce lo stato di salute dell’ecosistema complessivo, in un rapporto reciprocamente vantaggioso (win-win).

Da gioco a somma zero a gioco in cui tutti i partecipanti vincono qualcosa e nessuno perde.

Ecosistemi immaturi molto competitivi ed espansivi. Poi maturano e diventano collaborativi. Al centro l’equilibrio e la biodiversità. Così si diventa resilienti.

Permacultura finanziaria salverebbe capra e cavoli (Bernard Lietaer)

L’autonomismo, il multipolarismo, il federalismo, la sussidiarietà sono il corrispettivo umano delle meccaniche naturali.

La carenza di risorse è spesso artificiosa e serve a mantenerne alto il prezzo.

È vero anche per il denaro, che è una risorsa comune (ma si veda Giovanna Ricoveri, Elinor Ostrom e i beni comuni, 2013).

Il denaro, la democrazia, la tecnologia, il diritto non sono come la pioggia: sono meravigliosi prodotti dell’ingegno umano e devono servire l’umanità, ossia devono rispondere il più possibile a logiche biomimetiche.

Se così non è li si devono reinventare finché non assolveranno i compiti per cui sono nati (Star Trek, la Giornata dell’Autonomia e il tallero trentino-tirolese, FuturAbles, 30 agosto 2015;Bernard Lietaer, Re-inventare il nostro sistema monetario).

Sì, è davvero così semplice!

Se questa verità è offuscata, occultata e derelitta è primariamente perché una minoranza di esseri umani vuole che sia così.

Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare.

La Nobel per l’Economia Elinor Ostrom criticava l’atteggiamento degli esperti che non tengono conto del grado di adattamento e resilienza delle comunità umane che si sono evolute organicamente.

Metis locale: pacchetto di conoscenze ed esperienze trasmesse oralmente e informalmente, accumulate nel corso di intere generazioni e distribuite quasi capillarmente in una comunità.

I sistemi sociali ed ecosistemi più di successo sono quelli affrontano la complessità del reale sfruttando la conoscenza pratica di tutti i membri.

Serve la scienza e serve la sapienza.

Sua patria sarebbe stato quel paese che avesse il maggior numero di persone disposte ad apprendere

Giamblico, a proposito di Pitagora

CONTRO I MITI ETNICI

Smettiamola con gli elogi dell’ignoranza, della seminfermità mentale, del politicamente corretto, della sospensione selettiva o automutilazione del discernimento critico.

La mente non va riempita, ma accesa e questo non può accadere in una società passiva e conformista, cioè autoritaria.

J.B.M Hertzog esortava bianchi e neri a collaborare nella difesa dell’apartheid, affinché ciascuno preservasse i suoi ideali e la sua cultura, intraducibili e per ciò stesso preziosi e intoccabili.

Grosso modo la stessa argomentazione impiegata dai critici di Abraham Lincoln per difendere la schiavitù.

Una schiacciante evidenza etnografica comprova che l’immaginazione umana è illimitata.

Le vite umane sono limitate, come i nostri corpi, ma la nostra creatività non ha confini.

Gli esseri umani non sono fisicamente e mentalmente uniformi; sono l’esatto contrario. Questa variabilità è il motore della nostra evoluzione.

L’umanità può trasformare la natura per mezzo della cultura ma può anche, almeno in una certa misura, lasciarsi alle spalle le proprie nature senza per questo diventare altro rispetto alla natura. La cultura non è una fuga dalla natura, essendone una delle sue multiformi espressioni.

Perciò non è propriamente corretto affermare che gli umani non hanno più una storia naturale. È indubbio che la nostra è una storia artificiale, creata da noi stessi, ma essa è pienamente inserita nelle dinamiche dell’evoluzione della vita nell’universo.

Non è per nulla certo che l’intelligenza umana si sia “evoluta” in misura apprezzabile dai tempi dell’ascesa dell’Homo sapiens sapiens. Ciò che si è “evoluto” (come un airone che spiega le ali) è la coscienza umana e, con essa, la cultura, che è tutto ciò che gli esseri umani hanno inventato, di materiale e di immateriale, a partire dai primi utensili in pietra risalenti ad almeno 3 milioni di anni fa.

La cultura è un universale umano, ma nessuna cultura è identica alle altre, allo stesso modo in cui non ci sono due individui identici (neppure i gemelli omozigoti cresciuti nel medesimo ambiente lo sono). Perciò è inesatto parlare di natura umana e cultura umana al singolare. Il plurale è inevitabile.

Gli esseri umani non si adattano tecnologicamente al proprio ambiente. Sono loro a crearlo, ad adattarlo a loro stessi. In questo senso rappresentano un salto qualitativo dell’evoluzione, sono un ulteriore strumento del dispiegamento della vita nell’universo.

http://www.futurables.com/2015/10/03/il-futuro-e-venuto-come-un-ladro-nella-notte-citazioni-aforismi-e-tweet-sul-nostro-futuro-nel-nuovo-ordine-multipolare/

Quelli che: “Corbyn pensa vecchio, papa Francesco pensa vecchio pure lui. Perché non si tolgono dai piedi?”

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Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: “La Scrittura dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri“.  

Gesù, un altro che pensava vecchio anche quando era giovane (era vecchio dentro!)

Matteo era un pubblicano, cioè riscuoteva le tasse degli ebrei per darle ai romani. I pubblicani erano malvisti e inoltre considerati peccatori, per questo vivevano isolati e disprezzati dagli altri. Con loro non si poteva mangiare, né parlare e né pregare. Per il popolo erano dei traditori, che prendevano dalla loro gente per dare ad altri.

Papa Francesco

Corbyn, durante e dopo le primarie, è stato oggetto di attacchi durissimi dall’ala moderata del suo partito, dal Primo Ministro David Cameron e dalla stampa nazionale ed estera (anche i giornali italiani hanno fatto la loro parte). Tutti intenti a prendere di mira, con argomentazioni generiche, e spesso con qualche calunnia (basti pensare all’infondata accusa di antisemitismo circolata qualche tempo fa), il nuovo volto del Labour…le semplificazioni che accompagnano Corbyn, che lo dipingono o come “il male” o come la personificazione della “sconfitta”

Renzi attacca Corbyn. La replica: “No comment”, PolisBlog, 22 settembre 2015

B017Osservate attentamente l’onda di disprezzo (odio?) che si è levata nel centrodestra e nel centrosinistra all’indirizzo di Jeremy Corbyn, il nuovo leader del partito laburista inglese.

Non è paragonabile a quella riservata a Podemos o Syriza. Qui c’è qualcosa di più profondo e implacabile, presumibilmente l’astio dei ricchi e potenti contro chiunque prenda le difese dei deboli e si permetta di farlo a Londra, nella tana del lupo (la City).

Quando Cameron definisce in un twitter il Labour guidato da Corbyn “una minaccia per la nostra sicurezza nazionale, per la nostra economia e la sicurezza delle vostre famiglie“, l’analista più attento capisce che l’establishment si è spaventato sul serio e ha perso il controllo della retorica, con una virata iperbolica che getta discredito su di sé.

Corbyn è universalmente associato al concetto di “vecchio”, ossia sorpassato. Il suo programma è anti-moderno. Ma che che cosa si propone di fare?

Ridurre le disparità sociali, interrompere l’iter di privatizzazione delle risorse comuni, scaricare i costi anche sui ricchi, lottare contro le agevolazione fiscali per le grosse multinazionali, riprendere il controllo del sistema finanziario e regolarlo, prevedere spazi verdi coltivabli ogni volta che si costruiscono abitazioni, riconoscere lo stato palestinese, investire nell’energia e nelle infrastrutture per migliorare i servizi, non rifinanziare l’armamento nucleare, ridimensionare i costi per l’istruzione senza indebitare gli studenti, porre fine ai “bombardamenti umanitari”, dare slancio all’edilizia popolare per aiutare le giovani coppie a vivere dignitosamente, restituire Chagos agli indigeni “etnicamente ripuliti” per costruire la base americana, pensare a un’amministrazione congiunta per la Falkland/Malvinas, mettere l’embargo alla vendita delle armi ad Israele, bloccare il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), è contrario al fracking, favorevole alla riunificazione dell’Irlanda, al tetto agli stipendi, all’educazione musicale dei bambini, allo smantellamento della NATO, alla riduzione della produzione e commercio delle armi.

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Più in generale, i discorsi di Corbyn grondano di termini desueti come giustizia, uguaglianza, solidarietà, altruismo e fratellanza (orrore! orrore! magari è più a sinistra di papa Francesco!).
Ora, se è papa Francesco a dire certe cose, i “nuovi sinistri” non lo possono attaccare, perché sarebbe un suicidio elettorale. Lo tollerano e aspettano che passi a miglior vita e contano sul fatto che tanto lui si occupa di anime, non di politiche e voti.
Michael Ledeen (sponsor di Renzi) su papa Francesco:
_http://pjmedia.com/michaelledeen/2015/09/20/the-pope-of-montecristo/

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Corbyn, invece, è imperdonabile e, poiché propone misure che avrebbero sottoscritto i fratelli Kennedy, rischia di fare la loro fine.

Julian Assange, che lo ammira, l’ha avvertito: vacci piano, abbassa i toni, se no in qualche modo ti rimuovono:

 

La democrazia perduta e la democrazia riconquistata (note e aforismi)

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L’umanità è la stessa, a ogni latitudine, e i suoi desideri e sogni sono grosso modo gli stessi (pace, amore, prosperità, sicurezza, felicità, libertà), ma il destino ultimo dell’umanità non è quello di un’evoluzione convergente verso un unico modello socioculturale e politico, perché le vie per realizzare le suddette ambizioni sono molteplici.

Nella pratica di bilancio partecipativo troppo spesso il decoro urbano prevale sulla giustizia sociale (Bilancio partecipativo 2015, Parigi tira le somme, L’Indro, 13 marzo 2015).

La democrazia partecipata permette alla gente comune di capire che amministrare la cosa pubblica non è uno scherzo (People’s panel pitches in to advise Melbourne City Council where it should spend $5 billion, The Age, 2 dicembre 2014).

Superata una certa soglia di astensionismo, non è più moralmente legittimo parlare di mandato pienamente democratico.

La “società civile” deve diventare adulta, ossia civile, assumendosi le responsabilità degli adulti, pensando e agendo conformemente a quello che ci si dovrebbe attendere dalle persone che hanno raggiunto l’età adulta e non necessitano di tutele paternalistiche. Non è più ammissibile delegare tutto ad altri e poi lamentarsi infantilmente tutto il tempo per le cose che non vanno.

Bisogna creare occasioni e luoghi in cui diversi punti di vista siano messi a confronto, in cui le persone imparano ad ascoltare e a raggiungere compromessi che non siano al ribasso.

Solo la partecipazione democratica sembra in grado di restituire dignità alla politica e a chi fa politica (Making local government engaging, The Boston Globe, 12 aprile 2015).

La regione alpina ama essere avanguardia del cambiamento, ma i cinesi ci stanno battendo al “nostro gioco”, da anni, con iniziative dal basso e dall’alto, ispirate e supervisionate dai pionieri australiani e nordamericani della democrazia deliberativa (How Can a Democracy Solve Tough Problems? Time, 2 settembre 2010; The Continued Search for Deliberative Democracy in China, 2012; Consultation and Deliberating in China: The Making of the Recent Healthcare Reform, 2012; China’s Experiment with Democracy, Huffington Post, 28 maggio 2014; Discourses on Chinese-Style Democracy in China, 2014; Online Consultation and Governance Reform in Chinese Ministries and Provinces, 2014).

La competizione a sostegno della cooperazione (egoismo illuminato) genera un equilibrio dinamico. La cooperazione a sostegno della competizione produce un’escalation compulsiva con effetti entropici.

Quel che invece serve è che la “società civile” divenga adulta, si assuma le responsabilità degli adulti, pensi ed agisca come fanno gli adulti, invece di delegare tutto ad altri e poi lamentarsi infantilmente tutto il tempo delle cose che non vanno.

Bisogna creare occasioni e luoghi in cui diversi punti di vista vengono messi a confronto, in cui le persone imparano ad ascoltare e a raggiungere compromessi che non siano al ribasso.

Bisogna che per la metà del secolo la gente pensi a noi come dei bamboccioni pieni di buone intenzioni ma ancora immaturi. Questo serve, perché l’umanità abbia un futuro dignitoso.

Non possiamo continuare a credere che tutto il genere umano ragioni come ragioniamo noi, in una specifica e breve fase della nostra storia. Siamo diversi da come eravamo, saremo diversi da come siamo, e la curiosità nei confronti del prossimo, il rispetto per la dignità delle sue declinazioni dell’umano è una necessità in un mondo globalizzato. L’ignoranza dell’altro è un’automutilazione; la curiosità è un accrescimento, un potenziamento. Non saranno i droni a salvarci, ma il dialogo profondo.

Se si fa democrazia deliberativa, lo si deve fare sul serio. Questo significa fare in modo che le minoranze non siano schiacciate dalle maggioranze, che l’interesse di una parte non sia fatto passare per interesse generale, che i cittadini attivi non constatino che il loro impegno era vano perché le decisioni erano comunque già state prese e serviva solo una qualche forma di legittimazione [Cf. Archon Fung (Harvard University), Putting the Public Back into Governance: The Challenges of Citizen Participation and Its Future, 2015].

L’evoluzione procede a partire da forme di vita e modalità di interazione semplici, che diventano sempre più complesse, ricche di sfumature e che, assieme, si dimostrano capaci di operazioni quantitativamente e qualitativamente superiori rispetto a quando erano separate: è allora che il comportamento egoista dei singoli finisce promuovere il benessere della rete di cui fanno parte, il beneficio reciproco [Cf. Mae-Wan Ho genetista britannica]

Una decisione saggia tiene conto dell’impatto atteso sulle future generazioni e sul resto del mondo; considera punti di vista esterni e diversi da quelli a cui siamo abituati nel nostro piccolo mondo universale e collettivo; riflette sulle esigenze più profonde e universali dell’umanità. Una decisione saggia è il frutto di un dialogo a 360 gradi, anche con chi non è ancora nato e non vive nei paraggi, perché siamo tutti sulla stessa barca e un evento locale può innescare impressionanti ripercussioni globali.

Diversità è resilienza. La natura, come gli investitori, cerca di diversificare e bilanciare il proprio portafoglio. Se anche qualcosa non va per il verso giusto, qualcos’altro andrà in porto e la vita continua. Per questo è saggio evitare di dipendere da monopoli di conoscenza, produzione e distribuzione di energia, cibo, ecc. (Fame a Dublino, il genocidio negato). Un mondo multilaterale, plurale, unito sinergicamente nella diversità è un mondo resiliente.

Se il rischio è che dei gruppi si separino rancorosamente, è meglio facilitare la rottura, nell’ottica di poter successivamente ricostruire uno spirito di comunità. Separazioni ed esclusioni sono soluzioni provvisorie. Ogni esclusione permanente dell’altro è disfunzionale e irrobustisce tribalismi ed egotismi personali che possono solo produrre conseguenze spiacevoli per tutte le parti coinvolte.

Non è saggio diventare schiavi del futuro. Le probabilità sono astrazioni, non fatti accertati; gli orizzonti sono per definizione remoti e indistinti; una previsione non è una presa di visione. Pessimismo e ottimismo avvelenano o condizionano il presente, impedendoci di osservare la realtà oggettivamente. La descriviamo sempre alla luce delle nostre anticipazioni. Una conversazione che includa una pluralità di voci scongiura l’egemonia di una visione monocola di ciò che ci attende, un fattore di distrazione che ci rende inefficaci, fatalisti, spettatori passivi, non co-creatori di realtà. Meglio andare incontro al futuro sapendo che il viaggio resta più importante della destinazione.

La democrazia non è una cosa, non è un’istituzione. È un processo, un rituale, una capacità acquisita che va costantemente esercitata e perfezionata. Si impara la democrazia come si impara a nuotare. Qualcuno diventa un campione, altri si tengono a galla, ma più facciamo esperienza e tocchiamo con mano i nostri miglioramenti, maggiore sarà l’entusiasmo e ogni fallimento sarà solo un passaggio a vuoto in un percorso di perfezionamento personale e collettivo.

Per essere democratici bisogna saper Ascoltare. Ascoltare aiuta gli altri e noi stessi a pensare e capire le proprie circostanze e a risolvere i propri problemi. È una prassi riconciliativa (hoʻoponopono, nella Polinesia).

Per essere democratici bisogna accettare l’idea che un conflitto creativo è un’opportunità di esaminare le questioni da prospettive inattese e più promettenti. Senza conflitti creativi saremmo condannati a vedere la realtà in modo drasticamente semplificato, in funzione dei nostri preconcetti e pregiudizi. Si può fare chiarezza su una questione anche senza tagliarla con l’accetta, imparando a tollerare la complessità e ad apprezzare l’apprendimento continuo.

Essere democratici non significa tendere sempre a compromessi al ribasso per raggiungere comunque un consenso. Occorre prendersi il tempo e ingegnarsi creativamente per identificare, laddove esistono, delle soluzioni che soddisfino gli interessi di tutte le parti. Per vedere delle possibilità che esistono ma non sono facili da scorgere serve immaginazione, umiltà, flessibilità, acume e quanta più conoscenza si possa mettere sul tavolo di una discussione.

Peter Elbow (University of Massachusetts) ha adottato questa strategia. Se qualcuno pensa che un’idea non è stata compresa dagli interlocutori, può chiedere che, per 5 minuti, tutti sospendano il loro giudizio critico o di chiusura nei confronti dell’idea e si sforzino di scovare delle virtù, come se ne fossero dei genuini sostenitori. Una ginnastica della mente utile quotidianamente in un mondo che non è statico e che conosciamo così poco. Così diventa più facile immaginare futuri possibili.

http://www.futurables.com/2015/04/21/come-il-pastore-separa-le-pecore-dalle-capre-e-dai-babbuini-psicopatie-e-democrazie-nel-ventunesimo-e-ventiduesimo-secolo/

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La democrazia nella Via Lattea (dirittidoveri di un Mondo Nuovo)


Ora l’inverno del nostro scontento

è reso estate gloriosa da questo sole di York,

e tutte le nuvole che incombevano minacciose sulla nostra casa

sono sepolte nel petto profondo dell’oceano.

Ora le nostre fonti sono cinte di ghirlande di vittoria,

le nostre armi malconce appese come trofei,

le nostre aspre sortite mutati in lieti incontri,

le nostre marce tremende in misure deliziose di danza.
Riccardo III

 

Arriverà anche quel momento e bisognerà pensare a cosa costruire sulle macerie.

Questi dirittidoveri non abbisognano di spiegazioni e giustificazioni, sono intuizioni morali spontanee il cui significato e cogenza possono sfuggire solo a persone prive di empatia o introspezione. In un ipotetico consesso di civiltà della Via Lattea esemplificherebbero l’ethos umano, sarebbero il nostro biglietto da visita, qualcosa di cui essere orgogliosi.

Il dirittodovere alla giustizia sociale ed all’equità

Nella filosofia greca classica giustizia e senso della misura erano inestricabilmente connessi. Archita elogiava la giusta misura, che neutralizza “l’avido desiderio di avere sempre di più” (pleonexia). Eraclito, Anassimandro, Esiodo, Solone convenivano sul fatto che il fondamento della moralità umana sia la misura e la repressione dell’eccesso e che mutualità e giustizia sono le virtù che producono l’uguaglianza.

La giustizia non è semplice imparzialità o equità, presuppone uguaglianza nel rispetto, trascende le norme di legge: sei un mio pari, ti tratterò di conseguenza. La giustizia è qui intesa non come ideale ma come una prospettiva sul mondo. Sono in una posizione di privilegio rispetto alla tua, ma è un accidente, un caso del destino e quindi un mio eventuale senso di superiorità sarebbe del tutto ingiustificato.

Non c’è giustizia se manca il riconoscimento della comune umanità e il desiderio di riparare ad un’ingiustizia occorsa ad un altro come se l’avessimo subita in prima persona.

Per questo la civiltà contemporanea sta affondando e dalle sue ceneri non dovrà nascere una fenice, ossia un clone del presente, ma un mondo nuovo e diverso.

Tanto per cominciare si dovrebbero adottare misure di seria e rigorosa regolamentazione dei mercati, di tassazione delle transazioni finanziarie e di contrasto al fenomeno dei paradisi fiscali.

Secondo un rapporto realizzato da un ex capo economista di McKinsey, James Henry, sulla base dei dati della Banca dei Regolamenti Internazionali e del Fondo Monetario Internazionale, ed intitolato “Il prezzo dell’offshore rivisto”, fino al 2010 i patrimoni dei super-ricchi di tutto il mondo nascosti nei paradisi fiscali ammontano ad una cifra che potrebbe raggiungere i 32mila miliardi di dollari, pari ad una volta e mezza la somma del PIL americano e giapponese. Le 10 maggiori banche hanno messo da parte un quinto del totale, nel 2010, quasi triplicando il gruzzolo di 5 anni prima. Miracoli delle crisi globali. Le mancate entrate derivanti da questa elusione fiscale sono enormi. La ricchezza sottratta ai paesi in via di sviluppo (in primis alla Russia post-comunista) negli ultimi 40 anni sarebbe più che sufficiente a coprire il loro indebitamento con il resto del mondo, con effetti decisivi sui flussi migratori. Il rapporto precisa che “il problema è che i beni di queste nazioni sono controllati da un ristretto numero di persone mentre i governi ridistribuiscono i debiti sui cittadini ordinari”. La somma calcolata è così colossale da lasciar capire che la misura dell’ingiustizia sociale dei nostri tempi è “drammaticamente sottostimata”. Quasi la metà di queste ricchezze è posseduta da 92mila persone, ossia circa lo 0,001% della popolazione mondiale. Finora i politici si sono ben guardati dal prendere l’iniziativa contro questa vero e proprio crimine contro l’umanità. Del resto ben 68 parlamentari britannici controllano o sono partner finanziari di imprese uffici, conti correnti e sedi in vari paradisi fiscali (inchiesta del Guardian, 2012).

Anche la Tobin Tax, la cosiddetta “tassa Robin Hood”, continuamente evocata, non è mai stata approvata. Colpirebbe le compravendite borsistiche che, a differenza di quelle ordinarie (merci, beni e servizi sono sottoposti all’IVA o ad altre imposte), sono gratuite. Innumerevoli miliardi di dollari ed euro di fatturato non tassato. Negli Stati Uniti erano tassate fino alla seconda metà degli anni Sessanta, poi questa misura fu abolita dal successore di JFK, Lyndon Johnson. Curiosamente, è proprio dagli anni Settanta che il divario tra i redditi dell’1% e quelli del 99% della popolazione americana prima e occidentale poi ha cominciato a crescere in modo molto sostenuto. Una tassa di un semplice 1% risolverebbe la colossale crisi del debito sovrano americana.

Il dirittodovere alla libertà ed all’autonomia

La libertà è lo svincolamento da forze e circostanze che oggettificano l’umano, che impongono ad una persona la passività e prevedibilità della materia grezza. Gli oggetti hanno cause, i soggetti hanno motivazioni e ragioni complesse ed anche contraddittorie.

La libertà è la dimensione di apertura illimitata che consente all’essere umano di trascendere la finitezza. È una condizione d’esistenza indispensabile allo sviluppo della psiche e della coscienza. Essere libero, libero di essere onesto con me stesso, di pensare senza dovermi chiedere ogni volta cosa gli altri penseranno di me, di vivere pienamente ed abbondantemente.

Non c’è umanità senza libertà di scegliere, non esiste morale e maturazione spirituale se una persona non può essere libera di compiere il male. Quella persona sarebbe un’arancia meccanica, un congegno, non un essere vivente. Per questo nei campi di sterminio il suicidio e lo sciopero della fame erano proibiti e severamente puniti, anche se acceleravano la morte dei detenuti. Ogni atto di autodeterminazione era bandito.

In una democrazia che rispetto libertà ed autonomia, io conto, le mie decisioni possono fare la differenza, perché sono mie; non sono trascurabile, la mia volontà ha un peso. Mi si devono delle spiegazioni, posso esprimere il mio parere, posso contestare quello altrui, ho diritto di poter ascoltare il parere altrui, di prendere parte alla vita della comunità. In questo risiede la mia dignità, nel fatto che sono imprevedibile perfino a me stesso; sono solo parzialmente determinato dal mio corredo genetico e dal mio ambiente socio-culturale; c’è qualcosa in me che è unico e che è in larga misura inespresso.

Sono un progetto, un lavoro in corso, posso e debbo riflettere su chi sono, da dove vengo e dove voglio andare. Posso scegliere, mi creo e ricreo ogni giorno e non sono un prodotto, un manufatto, una merce, un burattino, un automa. Posso trovare il coraggio di essere me stesso, di vivere consapevolmente e sento che questo enorme beneficio vale per tutti gli altri, che vivrei meglio in una comunità in cui tutti potessero farlo, senza violare l’altrui diritto di poterlo fare. Una comunità di persone libere e responsabili che si sforzano di consentire agli altri di essere nelle condizioni di poter esprimere e migliorare se stesse, di non nascondersi a se stesse ed agli altri, di cambiare, di desistere e ricominciare da capo.

Non sono la proprietà di nessun altro, neppure della mia comunità, di una casta, della società, di una multinazionale, o dello Stato. Nessuno mi può trattare come un bambino o un animale domestico se sono un adulto e mi comporto come tale. Ci sono dei confini che non devono essere violati, ho dei diritti inalienabili che mi permettono di procedere nell’elaborazione del progetto di me stesso, assieme agli altri, coralmente. Mi pongo al servizio del prossimo ma non sono a disposizione degli altri per qualunque cosa, eccezion fatta per le persone che amo ed anche lì con dei distinguo.

Devo poter vivere a modo mio anche se le mie scelte sono impopolari e magari persino considerate aberranti, purché non leda il diritto altrui di fare lo stesso e non danneggi il mio prossimo (ma non certo la sua sensibilità, che è un arbitrio e come tale non merita rispetto a prescindere dalle circostanze e dalla persona).

Il dirittodovere alla tolleranza

È più facile essere tolleranti quando si è consapevoli della nostra finitezza, dei nostri difetti e della nostra ignoranza. La disposizione d’animo di chi ritiene di poter apprendere dal prossimo è il fondamento della tolleranza.

Il bisogno di convertire il prossimo al nostro punto di vista è invece alla radice dell’intolleranza. La persona tollerante è pronta ad includere nel principio di libertà l’altrui espressione anche di idee che personalmente ripudia.

Ciò non significa però che la tolleranza debba essere illimitata. Esistono dei principi fondamentali incastonati nelle nostre costituzioni che fanno sì che non si varchi mai quella soglia oltre la quale una democrazia non è più in grado di gestire un eccesso di pluralismo e sprofonda nell’anarchia, nell’anomia, nel caos.

Il dirittodovere alla democrazia ed all’uguaglianza

Democrazia è bello perché le decisioni sono più ragionate e precise, perché ci sono meno possibilità di lasciarci la pelle, perché c’è maggiore prosperità, perché una società democratica è tenuta a difendere i suoi assunti fondanti: l’essenziale dignità dell’essere umano; l’importanza di proteggere e coltivare la personalità dei cittadini in un clima di collaborazione e non di divisione (pluralità unitaria); l’eliminazione di privilegi basati su interpretazioni arbitrarie ed esagerate delle differenze tra esseri umani; l’idea che l’umanità possa migliorare; la convinzione che i profitti debbano essere ridistribuiti il più possibile tra tutti ed in tempi ragionevoli; il pari diritto dei cittadini di far sentire la propria voce su questioni delicate (coesistenza del maggior numero possibile di opinioni, o pluralismo) e di decidere autonomamente chi li debba rappresentare; la premessa che i cambiamenti sono normali, possono essere molto vantaggiosi e vanno realizzati tramite processi decisionali consensuali (spirito del compromesso, suffragio universale) e non con la prevaricazione e la forza bruta.

La democrazia è un ambiente in cui, idealmente, ciascuno, anche la persona più mediocre, ha qualcosa da esprimere che merita la nostra attenzione, ha valore di per sé e non in relazione ad un gruppo di appartenenza o riferimento, ed in cui nessuno ha la verità in tasca. Di qui l’obbligo di concedere spazi di sperimentazione per le coscienze. La società democratica è una grande scuola dove tutti sono alunni e maestri, dove tutti imparano insegnando ed insegnano imparando, dove è indispensabile essere curiosi, attenti e ricettivi e nel contempo difendere la propria indipendenza di giudizio; dove ciascuno deve fare la sua parte nel processo di democratizzazione delle relazioni umane, di rafforzamento del senso di uguaglianza tra le persone, di espansione della capacità di sospendere il nostro giudizio prima di aver ben compreso. Ascoltare, dibattere, partecipare, deliberare, acconsentire, mettere in discussione: solo così ogni singolo cittadino acquista valore, “peso”, diventa consapevole del suo ruolo nella società e nel mondo e dell’importanza del parere altrui.

Il dirittodovere alla fratellanza (convivialità)

Il più grave errore commesso dai rivoluzionari francesi è stato quello di trascurare la fraternité, sacrificata in nome della lotta alla controrivoluzione, all’edificazione di un’utopia in terra sfociata nel Terrore giacobino, alla volontà di schiacciare il movimento indipendentista ed anti-schiavista degli Haitiani, all’idea di una repubblica campanilista e uniforme nella sua volontà che stava tanto a cuore a Jean Jacques Rousseau ed ai suoi discepoli, Robespierre e Saint-Just.

Rousseau ci offre un esempio particolarmente efficace di come si possa ripudiare l’anelito alla fratellanza continuando però a credere di battersi per il bene dell’intera umanità.

Orfano di madre dalla nascita e di padre dall’età di 15 anni, senza fissa dimora, Rousseau conduce l’esistenza di un nomade, legandosi a chi lo ospita, specialmente a figure materne. È straniero in ogni luogo e patisce questa condizione di precarietà ed estrema vulnerabilità. È ossessionato dall’altrui generosità, eternamente sospettoso di ogni dono, delle motivazioni degli altri, fino al punto da rifiutarli, per paura del fardello dell’obbligo di reciprocità. L’ospitalità lo fa sentire alienato, un eterno straniero nel mondo. C’è in lui una forte ambivalenza: ne ha bisogno ma odia il senso di dipendenza. È ingrato verso le sue protettrici, senza l’assistenza e l’ospitalità delle quali sarebbe restato nell’anonimato e magari persino deceduto prematuramente. Finisce i suoi giorni come un eremita, prediligendo la compagnia del suo cane a quella degli altri esseri umani e quella dei libri alla compagnia di un amico. Preferisce il visitare all’essere visitato, si sente ostaggio, non ospite; rifiuta i doni per non doverli ricambiare.

Immanuel Kant è l’opposto di Rousseau. Per lui mangiare da solo è malsano, nocivo (ungesund), equivale alla morte del filosofo, che perde vivacità ed acutezza, non potendo avvalersi del contributo stimolante di un punto di vista alternativo, quello dell’ospite al suo desco. Il filosofo che consuma il suo pasto da solo diventa autarchico, auto-referenziato, si auto-consuma (il proprio cibo, come le proprie idee, a ciclo continuo), disperdendosi (sich selbst zehrt) in ragionamenti circolari, idee fisse, vicoli ciechi. Perde il suo vigore, la vivacità dell’intelletto (Munterkeit). L’ospitalità è invece apertura al resto del mondo, all’altro, è una messa in discussione di se stessi, una breccia nel proprio egoismo. Per questo Kant sente il bisogno di avere sempre degli invitati al pasto, a costo di domandare alla servitù di invitare un passante a sedersi al tavolo con lui. La compagnia conviviale deve essere eterogenea ed includere dei giovani, per variare la conversazione e renderla più giocosa. Il piacere deriva dalla presenza di commensali con interessi diversi dai nostri: “non mi attrae chi ha già ciò che possiedo, ma chi mi può dare ciò che mi manca”, spiega il filosofo di Königsberg.

Al contrario, Rousseau non sa gestire la diversità, ne è allergico, vorrebbe controllarla. Non ama mangiare con gli altri: mangia un boccone alternandolo con una pagina di libro. L’ospitante, nei suoi racconti, è incline al dispotismo, all’assimilazione cannibalistica dell’ospitato. Per questo muore da eremita, in preda alle allucinazioni, vittima del peso del matricidio, l’uccisione della madre, l’ospitante per eccellenza.

Il sentimento di fratellanza è quello dimostrato dal buon samaritano. Non viveva per compiere buone azioni – aveva sicuramente altre occupazioni, nella vita –, ma le faceva quando si presentava l’occasione. Non era l’amore a guidarlo, ma la compassione. La regola d’oro, infatti, si applica in egual misura alle persone che si amano o con le quali esiste un rapporto amicale o di intimità e familiarità ed agli sconosciuti, agli stranieri, agli immigrati. Lo straniero bisognoso d’aiuto non lo incomoda, non è più straniero, non è etnicamente/razzialmente differente, non è meno reale e meno degno di lui. Straniero, vicino, amico: non conta. Lo Stato salvaguarda i dirittidoveri, ma è il samaritanismo dei cittadini che deve supplire alla sua inevitabile e anche necessaria ed opportuna (in quanto lo stato è comunque coercitivo) assenza.

Nel 2009 Walt Staton, un programmatore elettronico dell’Arizona, è stato condannato ad un anno di libertà vigilata per aver lasciato brocche d’acqua con scritto “buena suerte” (buona fortuna) sul percorso attraversato dai chicanos che entrano clandestinamente negli Stati Uniti attraverso la frontiera con il Messico. Dava da bere agli assetati in un’area in cui negli ultimi vent’anni, sono morti come minimo 5mila immigrati illegali, in gran parte per disidratazione.

L’accusa: aver inquinato il parco naturale Buenos Aires National Wildlife Refuge.

Libertà, uguaglianza e fratellanza: o trionfano unite, o restano solo sulla carta.

Il dirittodovere all’ospitalità (cittadinanza mondiale e beni comuni)

Umberto Curi, storico e filosofo all’Università di Padova e Maria Chiara Pievatolo, filosofa politica all’Università di Pisa, ci aiutano a comprendere la dimensione politica e giuridica del principio di ospitalità (Curi, 2010; Pievatolo, 2011) che ha come suo insigne pioniere nientemeno che Immanuel Kant.

Kant concepisce un diritto cosmopolitico fondato su un principio cardine, quello, appunto, dell’ospitalità universale: “il diritto che uno straniero ha di non essere trattato come nemico a causa del suo arrivo nella terra di un altro”. Questo perché “originariamente, nessuno ha più diritto di un altro ad abitare una località della terra”. Anche per il filosofo di Königsberg siamo solo di passaggio su questo pianeta, la cui superficie sferica e finita fa sì che non possiamo evitare di incontrarci. Le nostre nascite sono del tutto accidentali, per quanto ne sappiamo. Siamo nati in un certo luogo piuttosto che in un altro e ciò non ci dà alcun diritto di reclamare un’area come nostra. Per lo stesso principio nessuno può rivendicare alcun titolo preferenziale a risiedere in un dato luogo piuttosto che in un altro. Se è vero, come è vero, che nessuno ha più diritto di un altro di essere titolare di una porzione di questo pianeta, poiché siamo tutti viaggiatori, allora la condizione originale dell’uomo è quella di una relazione aperta, di condivisione, che respinge ogni pretesa di esclusività. Il risiedere in un luogo, la delimitazione del proprio rifugio, santuario, riparo, non assegna alcun diritto di possesso. La superficie della terra e le sue risorse appartengono a tutti e a nessuno e non è pertanto  inquadrabile nella logica del diritto d’uso esclusivo e meno che meno della proprietà privata. Non esiste una terra promessa ed un popolo eletto destinato a dimorarvi. Lo straniero per Kant è ospite e lo si allontana solo se crea problemi, ma non se ciò comporta la sua rovina.

Kant parla di diritto alla visita, alla mobilità, in nome della socievolezza e del destino comune (siamo su una stessa barca e non è grande): “diritto di possesso comune della superficie della terra”. Esclude il possesso esclusivo: “l’inospitalità è contraria al diritto naturale”. Per questo il diritto cosmopolitico non è una “rappresentazione di menti esaltate”. L’evidenza del fatto che la superficie terrestre è un possesso comunitario di tutti gli esseri umani – con tutti i diritti fondamentali che ne conseguono – è rimasta un’ovvietà per la quasi interezza della storia umana, ma non lo era per gli europei che massacrarono i nativi americani proprio in virtù di un diritto proprietario e di sfruttamento delle risorse antitetico a quello indigeno. Gustavo Zagrebelsky ribadisce che dovrebbe ritornare ad essere un’ovvietà (Mauro/Zagrebelsky, 2011, pp. 101-102):

L’idea dell’essere umano come animale stanziale, un animale che, come altri, ha il suo territorio e lo difende dalle intromissioni, deve essere un’idea del profondo…La terra, questa “aiuola che ci fa tanto feroci” (Par., XXII, 151) l’abbiamo divisa in tante parti e ce ne siamo impossessati, popolo per popolo, come cosa nostra, e ci pare normale, naturale, l’idea di straniero, di colui che passa o tenta di passare da un’aiuola all’altra turbando le sicurezze che riponiamo “in casa nostra”. Quante volte abbiamo sentito ripetere anche da noi, come se fosse ovvia e innocente, questa espressione!

Kant simpatizza per una posizione analoga a quella dei nativi americani ed invoca il diritto di visita e di asilo, non certo il diritto di imporre con la forza la propria volontà alle altre nazioni, come facevano le potenze coloniali. L’ospitalità universale diventa uno dei pilastri imprescindibili per il conseguimento della pace perpetua, la “comunanza tra i popoli della Terra”, in un’epoca, la sua, in cui il pianeta si andava già globalizzando, tanto che: “si è arrivati a tal punto che la violazione di un diritto commessa in una parte del mondo viene sentita in tutte le altre parti”.

L’ospitalità dovrebbe precedere, fondare ed orientare il diritto.

La vera ospitalità deve superare la violenza intrinseca all’ospitalità, che risiede nella dipendenza dall’altro, interiorizzata, e che nasce con il concetto di proprietà. C’è un legame occulto, ma vibrante, tra il tuo e il mio, me e te: siamo ospiti di questo pianeta. Siamo provvisori, nomadi, votati alla scomparsa. Questo legame non ha nulla a che vedere con la pietà, ma piuttosto con il rispetto e la devozione per l’ospite, nel quale riconosco l’estraneità che alberga in me stesso: anch’io, come lui, nato e cresciuto per caso qui ed ora. Anche e soprattutto così si realizza la promessa della fratellanza, il terzo termine della triade rivoluzionaria francese.

Il dirittodovere alla dignità

L’idea di dignità umana – “ci sono cose che non si fanno agli esseri umani” – esisteva in nuce già tra i Cro-Magnon che, a differenza dei Neanderthal, mostravano una spiccata sensibilità nel trattamento dei cadaveri e pare si astenessero, in genere, dal cannibalismo.

È con Socrate – o, forse, prima di lui, con Pitagora – che si diffonde nell’Occidente il precetto che tutti gli esseri umani hanno un medesimo valore, pari dignità intrinseca, ossia il principio su cui si fondano lo stato di diritto, le carte costituzionali di tutti i paesi democratici, le convenzioni internazionali per la tutela dei diritti umani, insomma tutto ciò che ci separa dalla barbarie. Socrate è convinto che sopravvivere non sia sufficiente; occorre esserne degni e devono essere presenti quelle precondizioni essenziali senza le quali la vita non è tollerabile e perde il suo valore specifico, riducendosi ad un concetto astratto. Sopravvivere senza una coscienza integra è peggio che morire. La vita del corpo non è il valore precipuo. C’è un confine che molti esseri umani, come Socrate, non osano oltrepassare, ci sono azioni che queste persone non commetterebbero mai, indipendentemente dagli ordini che vengono loro impartiti o da quanto disperata sia la loro situazione. Questo perché sentono, istintivamente, che varcata quella linea, non potrebbero più tornare indietro, non ci sarebbe più un punto ulteriore dove marcare il confine del nec plus ultra (non oltre). Una tale azione, se compiuta, causerebbe un danno irreparabile dentro di loro, distruggerebbe qualcosa che vale più della loro stessa vita. Eseguito un certo comando, diventerebbe più difficile rifiutarsi di eseguirne altri, ancora più discutibili e riprovevoli.

La soddisfazione con cui persone dalla coscienza assopita si prestano ad ogni tipo di servizio corrisponde al patimento di chi quella coscienza ce l’ha ben desta e non si rassegna all’idea di eseguire certi ordini. Per questo Socrate affronta a testa alta un processo ingiusto, per insegnare a tutti che il valore etico fondativo delle nostre società è la dignità, non la forza, il giudizio di chi vince le elezioni, la presunta sovranità popolare incarnata nel capo.

Nuocere o tentare di rimuovere la dignità di qualcuno significa trattarlo come se fosse non completamente umano, uno strumento o una creatura subumana (Kateb 2011). L’essere umano è l’unico animale indeterminato, in quanto parzialmente non-naturale, cioè frutto dell’interazione di genoma, ambiente naturale ed ambiente culturale. Proprio nella sua indeterminazione, ossia nell’assenza di confini precisi, risiede la sua dignità intrinseca, che è il fondamento dei diritti umani (nonché il suo libero arbitrio e quindi il senso morale e di responsabilità). La sua fondamentale indefinitezza consente ad ogni singolo essere umano di essere migliorabile: ha un potenziale indeterminabile, inestimabile, appunto. È creativo, innovatore. Come aveva intuito Sartre, gli esseri umani sono sempre più di quel che credono di essere in ogni singolo istante della vita e se scelgono di negarlo, è per mala fede o falsa coscienza. Tale è la nostra condizione che ogni persona è unica ed individuata, non interscambiabile, anche quando non è interessata ad esserlo, senza però per questo essere esistenzialmente e moralmente superiore a chiunque altro.

 La specie umana è solo parzialmente naturale, rappresenta uno scarto rispetto alla natura. Questo la rende la più speciale tra le specie, ciascuna a suo modo speciale. L’umanità è la parte più interessante della natura, nel bene e nel male, l’unica che può aiutare la natura a riflettere su stessa. Per questa ragione, il prossimo passo dovrebbe essere quello di comprendere e rispettare la dignità dell’ambiente naturale e di chi vi dimora.

Una volta che questi principi saranno condivisi da una massa critica di europei e di ospiti di questo pianeta, l’Europa dei dirittidoveri, confederale, unione euro-mediterranea, costruita dal basso e non calata dall’alto, diventerà un modello per il mondo (Caracciolo, 2010).

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