a cura di Stefano Fait
Di solito, in gruppi troppo coesi, dove c’è una forte tendenza verso valutazioni e decisioni unanimi, si può affermare un modo di pensare erroneo che porta a scelte e decisioni sbagliate e anche disastrose. Si può perfino giungere al risultato paradossale che il gruppo nel suo insieme finisce per prendere una decisione che ognuno dei suoi membri, se decidesse da solo non prenderebbe.
Ugo Morelli, “Taccuino dei giorni scomodi”.
Il conflitto, diverso dalle guerra e dal consenso tacito, può rendere produttivo il dialogo perché non mortifica nessuna delle posizioni in gioco e non tende a vincere ed a convincere l’altro presupponendo di essere i soli padroni della verità. […]. Il conflitto è diverso dalla tolleranza che richiama la presunzione di superiorità di chi benevolmente rifiuta la soppressione dell’altro, volendone e pretendendone però l’educazione e la convergenza verso il proprio sistema ed i propri modi di vivere.
Ugo Morelli, “Conflitto. Identità, interessi, culture”
La validità logica di un ragionamento non ne garantisce la verità
David Foster Wallace
Nulla mi appare più vacuo e inconsistente delle raffinate corone di ragionamenti volte a mascherare un punto di partenza insostenibile. Ne ho sentiti tanti, di questi ragionamenti, in Germania; e ho facilmente imparato a ridurli alla loro essenza mistificatrice.
Mario Spinella, “Memoria della Resistenza”
“Non ci sono alternative” è il mantra usato per imporre un’unica soluzione, quella prediletta dall’élite, ai problemi dei nostri giorni, dalla TAV, al risanamento, alla crisi, al cambiamento climatico, ai conflitti, ecc. Gli esperti hanno pronunciato il verdetto e quindi nessun’altra ipotesi è contemplabile. Economisti, ingegneri, fisici, sociologi che la pensano diversamente da chi esercita il potere politico-economico sono bollati come faziosi, senza mai entrare nel merito delle loro critiche. Come la lingua impoverita di 1984 di George Orwell, questo mantra serve a rendere inelastica la mente dei cittadini, persuadendoli che questo è il migliore dei mondi possibili o comunque lo diventerà, se daremo retta ai pastori. In questo modo, ogni reale alternativa si volatilizza dalla sfera dell’immaginabile. L’operazione si completa con l’etichettatura. Infatti, la gente tende a credere di aver capito qualcosa se gli affibbia un nome o un’etichetta, come se classificazioni e marchiature equivalessero ad una reale conoscenza di una cosa o un fenomeno.
Le conseguenze di questo atteggiamento possono essere drammatiche. Il contratto sociale, il patto civile tra cittadini e stato si sta sbiadendo da tempo e ormai quasi non si distinguono più le parole e le firme. Sta succedendo in Europa, nel Nord America, in Giappone e altrove.
È difficile capire come si sia giunti così in basso. Perché il compromesso social-democratico è stato rifiutato proprio quando aveva contribuito in modo determinante alla sconfitta del comunismo? Perché i dogmi neoliberisti la fanno da padrone proprio quando la crisi ne ha decretato il fallimento?
Abbiamo perso il senno? Abbiamo perso la partita contr il Pensiero Unico?
Non credo. Corradino Mineo (tenacemente pro-Monti) segnalava stamattina una profonda spaccatura all’interno della redazione di Repubblica in merito all’adesione acritica alle iniziative del governo Monti.
Sono segnali confortanti. Laddove esiste un consenso unanime non solo non c’è democrazia, ma non c’è neppure vita, bensì solamente stasi, inerzia.
Una redazione sana è plurale, una società sana è plurale.
SULLA TAV
“Caro presidente Monti, l’8 gennaio a Che tempo che fa le ho donato una copia del mio libro Prepariamoci e Lei, squisitamente, mi ha stretto la mano e detto “Ne abbiamo bisogno”. Un mese dopo assieme ad alcune centinaia di docenti di atenei italiani, ricercatori e professionisti (inclusi Vincenzo Balzani, Luciano Gallino, Alberto Magnaghi, Salvatore Settis) firmavo un appello per sollecitare una Sua riconsiderazione delle argomentazioni tecnico-economiche a supporto della linea ad alta capacità Torino-Lione, che da anni risultano non convincenti. A tutt’oggi non solo non è giunto un Suo cenno di considerazione, quanto piuttosto la perentoria affermazione che i dati sono definitivi e invarianti, le decisioni sono assunte, il progetto deve andare avanti anche manu militari. Non mi aspettavo una tale chiusura, ora fonte di una profonda spaccatura in una parte del mondo intellettuale e scientifico italiano.
Il dialogo, soprattutto tra rappresentanti dell’ambito della ricerca usi ad argomentare secondo il metodo scientifico, non si dovrebbe mai negare nei paesi democratici, a maggior ragione allorché la controversia assume vaste proporzioni coinvolgendo l’ordine pubblico e sollevando una quantità di dubbi, ambiguità e contraddizioni che invitano a un’ulteriore dose di prudenza e approfondito riesame. Ciò non è purtroppo avvenuto, ed è motivo di profonda frustrazione da parte di molti di noi. […]. Personalmente, come ricercatore e giornalista, il rifiuto a discutere l’estrema complessità di questo progetto, mi avvilisce, e mi annienta come cittadino. Faccio mia l’accurata analisi sociologica di Marco Revelli confermando che in me il patto civile con lo Stato sta andando in frantumi. La fiducia nelle istituzioni, da me sempre onorata – dal servizio militare (alpino, ovviamente!) al pagamento delle imposte – sta venendo meno e ora un grande vuoto alberga in me.
http://temi.repubblica.it/micromega-online/tav-il-silenzio-degli-arroganti/
SULLE MISURE ANTI-CRISI
“Blanchard [capo economista del FMI] dice che i programmi di austerity possono risultare controproducenti e danneggiare l’economia a un punto tale da finire per appesantire i conti pubblici. Ciò significa che l’analogia con i dottori del Medioevo, che salassavano i loro pazienti e quando il salasso faceva peggiorare le loro condizioni li salassavano di nuovo, è assolutamente corretta: l’austerity riduce le prospettive di crescita e produce richieste di ancora più austerity. Ma guarda!”
L’appello degli economisti:
“Nel quinto anno della crisi globale più grave da quella del 1929, una drammatica prospettiva di recessione incombe sull’Europa mettendone a rischio non solo l’Euro ma anche il modello sociale e l’ideale della “piena e buona occupazione”, pur sancito in tutte le strategie europee, a partire dall’Agenda di Lisbona. È proprio nel Vecchio Continente infatti che si stanno ostinatamente portando avanti politiche economiche fortemente depressive che minacciano un aumento della disoccupazione, specialmente giovanile e femminile. Non a caso il FMI afferma che, anche a causa di ciò, il mondo corre il rischio di una nuova “grande depressione” stile anni ’30.
Eppure, si è scelta la linea dell’austerità, del rigore di bilancio – a cominciare dal Patto di Stabilità e Crescita, passando per il Patto Euro Plus, per arrivare all’attuale “Fiscal Compact” – con l’idea di contrarre il perimetro statale continuando a sperare che i privati aumentino investimenti e consumi, sulla base della fiducia indotta dalle immissioni di liquidità nel circuito bancario, a sua volta “sollecitato” ad acquistare titoli di stato europei. Si è, dunque, deliberatamente optato per la non-correzione delle distorsioni strutturali di un modello di sviluppo economico basato sui consumi individuali, sull’ipertrofia della finanza, sul sovrautilizzo delle risorse naturali e sull’indebitamento, in contraddizione con il modello sociale europeo. Si è nuovamente scelta una politica monetarista e liberista”.
http://www.rassegna.it/articoli/2012/03/9/84677/lappello-degli-economisti-una-svolta-per-leuropa
SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO
“Il «consenso unanime» degli scienziati è un’invenzione di chi non vuol nemmeno entrare nel merito del confronto su basi scientifiche e preferisce restare sul piano dei dogmi, negando addirittura il fatto stesso che vi siano scienziati che la pensano diversamente, sebbene più di trentamila esponenti del mondo accademico e ricercatori di tutti il mondo abbiano ad esempio sottoscritto e continuino a sottoscrivere l’Oregon Petition, lanciata nel 1999 contro la teoria antropocentrica del riscaldamento climatico e contro il Protocollo di Kyoto, e sebbene vi siano altre iniziative analoghe (Dichiarazione di Heidelberg, Dichiarazione di Lipsia, Manhattan Declaration) pure sottoscritte da autorevoli ricercatori. Questi uomini di scienza meritano lo stesso rispetto che è dovuto a chi reputa che siano l’uomo e le sue attività a determinare i cambiamenti odierni nel clima terrestre”
Fabio Pontiggia, condirettore del Corriere del Ticino:
http://www.cdt.ch/commenti-cdt/editoriale/58949/se-il-clima-surriscalda-gli-animi.html
SULLA SIRIA
C’è un consenso unanime tra tutti i leader occidentali sul fatto che i giorni di Assad siano contati.
Eppure l’intelligence statunitense ammette che Assad è troppo forte e che sarebbe persino difficile imporre una no-fly zone. L’esercito gli è leale, l’establishment sta con lui, i Siriani non scioperano e non si rivoltano in massa, nonostante le presunte atrocità perpetrate dal regime:
http://www.miamiherald.com/2012/03/10/2686707/us-officials-loyal-army-inner.html
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L’atto del ragionare presuppone il ritrarsi della coscienza dagli abiti mentali, dalla meccanicità del pensiero. Necessita di immaginazione, buon senso, dell’osservazione obiettiva della realtà dei fatti. Il preteso consenso unanime è invece una razionalizzazione, cioè l’assoggettamento della ragione, che viene posta al servizio delle passioni, in particolare dell’avidità, dell’egoismo, del narcisismo e del desiderio di prevalere. È un dozzinale pretesto per continuare a fare ciò che si sta facendo e scegliere di non scegliere, come in un moto perpetuo del pensiero irriflessivo, dell’azione non ponderata.
È l’era dei tecnici, dei professori, che segna ufficialmente la fine dell’era delle ideologie, delle partigianerie e così via. La nuova politica è pragmatica, innovativa, neutrale, efficiente. Peccato che il governo Monti ci abbia mostrato come un singolo tecnocrate pragmatico sia più saturo di ideologie e dogmi di uno stuolo di Hare Krishna:
In questa nuova gerarchia del sapere e del saper fare, la comunicazione è a senso unico. Ci sono quelli che parlano con “suprema autorevolezza” e decidono delle sorti di tutti gli altri, e poi ci sono i critici, che sono irrazionali.
I primi sono, di norma, utilitaristi. Gli utilitaristi sono eccessivamente fiduciosi nella validità dei loro assunti. Sono portati (tenuti?) a credere che le loro valutazioni sui benefici a breve e lungo termine delle condotte che raccomandano siano affidabili e non lasciano alternative se non riconoscere l’errore ed accettare la verità.
Parlano di consenso unanime, ma in effetti quel che cercano non è il consenso, bensì la resa della ragione. Subordinano la pratica democratica alla riaffermazione della loro lettura riduzionistica della realtà, ristretta ai suoi aspetti univocamente tematizzabili, quantificabili o esprimibili. I tecnocrati che dominano la politica europea dei nostri tempi si dichiarano positivisti, immuni da emozioni e preferenze e dunque garanti di un’efficace epistemologia del vero. Finché riusciranno a farlo credere all’opinione pubblica, non dovranno render conto a nessuno: il sistema va accettato perché l’alternativa è il caos.
Intanto i cittadini, ammansiti (addomesticati?), non si accorgono che i mantra tecnocratici fungono da solventi, diluenti e dolcificanti. Producono gradualmente un consenso di massa, estinguendo la democrazia.
Tuttavia, finché c’è internet c’è speranza: la partita non è ancora chiusa.