Meglio pensare al dopo Renzi e al dopo “Partito della Nazione”…

2
Non ho mai capito perché abbiano scelto lui. Forse doveva rassicurare le mamme italiane e conquistare i voti dei fan di Pieraccioni?
Fatto sta che non funziona. Solo una minoranza di persone è felice di farsi governare da qualcuno che considera più mediocre di lui/lei, specialmente sulla scena internazionale (noi italiani, come tutti i popoli narcisisti, amiamo criticarci ma non perdoniamo chi ci fa sfigurare e non perdoniamo le critiche altrui).
Così nei sondaggi Renzi è stabilmente sotto il 40%, tallonato dai vari G.W. Bush e Hollande nei loro momenti peggiori:

http://www.ilvelino.it/it/article/2015/04/30/sondaggi-ixe-italiani-bocciano-renzi-su-fiducia-italicum/8d27262e-3558-418e-82b2-506a61e8a52c/
http://www.termometropolitico.it/1172090_sondaggio-datamedia-pd-ancora-in-difficolta-fiducia-in-renzi-in-declino-3004.html

Solo una situazione di marcata instabilità sociale potrebbe farlo risalire, ma a patto che fosse in grado di gestirla senza troppe bischerate, incertezze, ambiguità, smargiassate. Direi che non ha alcuna chance. E’ un ganassa, uno sbruffone nato. Per questo si è lasciato usare e per questo è già sulla via del declino.
I suoi avversari politici sono potenti e sono pronti a fargli le scarpe:

“Dal partito del Divo Giulio, Enrico Letta ha ereditato anche l’afflato terzomondista che gli costa la poltrona a Palazzo Chigi: inserendosi senza essere invitato nel gioco delle grandi potenze sul nucleare iraniano, il governo Letta invia a Teheran il ministro degli Esteri Emma Bonino già nel dicembre del 2013; sfidando il boicottaggio di Washington e delle cancellerie occidentali che ha come pretesto la violazione dei diritti degli omosessuali (il regime change ucraino è ancora in gestazione), Enrico Letta partecipa all’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Sochi nel febbraio 2014; è fautore di una politica araba che non subordina la questione palestinese ai diktat israeliani e dei falchi americani. Cerca insomma di ritagliarsi un margine di manovra all’interno dei paletti fissati dagli USA, attirandosi lo scherno delle figure italiane più vicine a Tel Aviv ed ai repubblicani, come il giornalista Giuliano Ferrara che lo definisce sprezzantemente un “giovane vecchio”.
http://federicodezzani.altervista.org/aspettando-il-partito-della-nazione/

Come abbiamo visto, i suoi sponsor neocon non se la passano bene.
Non gliene va in porto una, sono sulla difensiva e probabilmente non riusciranno a far eleggere Hillary Clinton:

“Dichiarato già negli anni ’80 persona “non grata” dall’ammiraglio Fulvio Martini a capo del SISMI, non solo Ledeen non si allontana dall’Italia ma interferisce ancora con la politica nostrana, segnalando a Washington gli amici fidati di USA ed Israele: risale infatti al 2007 l’articolo che Ledeen scrive per l’influente rivista conservatrice National Review, dove racconta di aver avuto due anni prima (2005) uno scambio di battute con con giovane amico italiano sui vini del Bel Paese. Il commensale con cui discetta di bottiglie è un rampante e brillante politico toscano, appena rieletto alla presidenza della provincia di Firenze: Matteo Renzi.

Abbiamo quindi uno storico del fascismo, studioso e collaboratore di Renzo De Felice, invischiato in traffici illegali d’armi, inserito nei servizi segreti americani e forse israeliani, neo-conservatore affiliato all’American Enterprise Institute, che diventa mentore di Matteo Renzi fin dal 2005 e, quasi sicuramente, ne segue passo dopo passo la scalata al potere.

È lecito supporre che alla base delle incredibili somiglianze tra gli esordi di Benito Mussolini e Matteo Renzi, ci sia lo studioso del fascismo Micheal Ledeen? Sì, è lecito.

Il Partito della Nazione, nella sua gestazione e nei tratti che sta assumendo, è la versione aggiornata del fascismo-regime o partito-nazione che Dino Grandi e Benito Mussolini concepirono nel 1922-1923.

Micheal Ledeen sta suggerendo a Matteo Renzi come resuscitarlo, passo dopo passo, fiducia dopo fiducia, giorno dopo giorno”.
http://federicodezzani.altervista.org/la-legge-acerbo-si-ripete-con-la-farsa-italicum/

Non ci sarà alcun Partito della Nazione perché la ripetizione farsesca della storia è come un cinepanettone che diventa realtà: l’entusiasmo è passeggero e la gente passa presto a occuparsi delle cose serie della vita.

 

SCHEDA

Il neocon, sionista, ultraguerrafondaio Michael Ledeen è uno dei principali sponsor di Matteo Renzi.
Questo spiacevolissimo dato di fatto è stato confermato da:

Corriere della Sera

http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/politica/2012/6-settembre-2012/quella-rete-americana-asse-clinton-blair-2111718004332.shtml

L’Espresso

http://espresso.repubblica.it/attualita/2013/11/04/news/ecco-chi-e-marco-carrai-il-gianni-letta-di-matteo-renzi-1.139920

L’Unità

http://cerca.unita.it/ARCHIVE/xml/2490000/2486104.xml?key=bersani&first=341&orderby=1

Il Giornale

http://www.ilgiornale.it/news/interni/strana-amicizia-premier-lamericano-indesiderato-1012850.html

Il Sole 24 Ore (N.B. descrivere Tony Blair e i neocon come se fossero su fronti opposti è straordinario)

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-01-15/i-due-consiglieri-atlantici-e-opposti-sindaco-064225.shtml?uuid=ABU5pop

Gad Lerner

http://www.gadlerner.it/2014/04/22/lamico-amerikano-di-renzi-e-il-giornale-complottista

Fatto Quotidiano

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/28/renzi-a-nozze-con-i-poteri-forti-da-cimbri-a-palenzona-tutti-al-matrimonio-di-carrai/1136057/

Formiche: “Ledeen, ormai settantatreenne, non ha mai smesso negli Stati Uniti di occuparsi d’Italia e d’italiani. Lo dimostra il suo articolo di elogi a Mattarella appena pubblicato da The Wall Street Journal. Non più tardi dell’autunno scorso egli ha partecipato in Toscana al ricevimento nuziale di Marco Carrai, tanto giovane quanto storico amico di Renzi, suo testimone di nozze”.

http://www.formiche.net/2015/02/19/mattarella-renzi-usa-libia-isis/

Michael Ledeen

http://www.wsj.com/articles/michael-ledeen-a-chance-for-italy-to-distinguish-itself-1424206385

 

Renzi il mutazionista – Vulgus vult decipi, ergo decipiatur

A cura di Stefano Fait

Web Caffè Bookique [Facebook]

Dimostreremo che non è vero che l’Italia e l’Europa sono state distrutte dal liberismo, ma che al contrario il liberismo è un concetto di sinistra, e che le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore.
Matteo Renzi, intervista al Foglio, 8 giugno 2012
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/12/08/con-renzi-verso-il-cacerolazo-votate-renzi/

Il sindaco di Firenze si sente un liberista e non ha paura a dirlo: «le idee degli Zingales, degli Ichino e dei Blair non possono essere dei tratti marginali dell’identità del nostro partito, ma ne devono essere il cuore», ha detto alcuni mesi fa. E ha più volte dichiarato che «il liberismo è di sinistra». Parole che risultano gradite a quegli elettori del centro-destra che sarebbero disponibili a cambiare barricata nel caso Renzi diventasse leader del Pd…«Per rilanciare l’economia Renzi ricalca le ricette montiane e della Bce, che sono basate sulla maggiore flessibilità del mercato del lavoro e su interventi quali la semplificazione fiscale e burocratica

http://espresso.repubblica.it/palazzo/2013/04/15/news/economia-renzi-e-liberista-br-1.53177

Vivo in un paese popolato da alcuni milioni di allocchi narcisisti, ciascuno dei quali è convinto che Renzi farà quel che lui/lei si aspetta da lui, indipendentemente da quel che il nuovo leader del PD ha dichiarato di voler fare nei suoi programmi. E’ neoliberista, ma siccome a loro questa cosa non piace, allora farà per forza politiche anti-liberiste. Sindrome di Peter Pan.

È già successo con Craxi, con Berlusconi, con Monti.

Diceva Montanelli: “L’unico modo per liberarci di Berlusconi è lasciarlo governare. Tutto finirà male, malissimo, nella vergogna e nella corruzione. E sarà stato inutile avere ragione”.

Per Renzi il discorso è leggermente diverso. Uomo della Merkel, di Blair, di JPMorgan Chase e Blackstone

http://www.lanazione.it/firenze/cronaca/2012/06/01/722410-renzi-blair-cena-pranzo.shtml

http://www.corriere.it/politica/13_luglio_19/merkel-renzi-invito_981c6246-f078-11e2-ac13-57f4c2398ffd.shtml

se diventerà capo del governo, seguirà fedelmente le istruzioni ricevute dall’alto – usare lo Stato a sostegno delle oligarchie e farne un capro espiatorio – e, a un certo punto, QUANDO le cose si metteranno male, verrà sacrificato.

La storia mostrerà che Berlusconi era molto più volpe di lui.

Gli italiani, invece, restano in buona parte fessi almeno quanto gli altri popoli che continuano a votare per i loro carnefici scambiandoli per figure messianiche. Raccoglieranno quel che hanno seminato col voto e ben gli starà.

cambiare-renzi-cambia-verso

agenda-monti

Santanché+cambiamento+Berlusconi+-+Nonleggerlo+MM manifestoobama_69921renzi_segreteria_pd_italia_cambia_verso3_okresizertestatanew_cambiamento testatina_sito_comit1000x288new
R_9939166db3crozza-imita-matteo-renzicrozza-imita-renziIl-Renzusconi-Mara-carfagna-ministro-della-Carità-9vignetta-renzi-bieber-apparatoSnapShot_064812o-RENZI-E-NONNE-facebookwewantrenzi--620x420o-MATTEO-RENZI-facebookmatteo-renzi-versione-252754renzirenzi-slide_265688_1803085_freeRenzusconirenzusconi-renzi-berlusconi-228706resizer2unità-contro-renzi6a00d83451654569e2017c382d2233970b-320wi1018_211539_Crozza-Paese-Meraviglie-620x3501115_214822_Crozza-620x3501266461_crozzaVENrenzini_thumb_big1451571_551828724906703_624992898_n1455998_710034835674316_814437859_n1459091_708955845782215_1839702169_n1471390_184389258430528_1224360189_n1472965_482737275178818_1837258133_n1474431_189123337945662_1938697517_n164917328-f28108ea-e2b2-4049-bcc2-d9886e8426a73154200311article_f386474d43faa4d1_1363673093_9j-4aaqsk1465199_787936514565252_463633803_ncorel100

curranposter41blog_renzi-giannino_01renzi-santo-subito-196283Renzi santo subito, ora…adesso!

A me basta la faccenda dell’orologio trecentesco della Torre d’Arnolfo di Palazzo Vecchio, per il quale Renzi non trova pace, perché ha un quadrante indicante le 24 ore ed è a lancetta unica che, a suo parere, inganna i turisti sull’ora esatta o, peggio, potrebbe dar da credere che l’amministrazione guidata da cotanto sindaco non lo regoli a puntino (e speriamo non s’accorga che il David di Michelangelo ha le gambe un po’ più corte di quanto ci aspetterebbe considerando la lunghezza delle braccia sulle curve auxologiche).

Non che sia mancato chi gli abbia fatto presente che quel tipo di orologio è caratteristico del XVI in cui fu creato dalle mani di Niccolò di Bernardo, e che ad aggiungere una lancetta si dovrebbe sostituire il quadrante, che è di Paolo Uccello, o la meccanica, che è di Giorgio Lederle, un geniale artigiano del XVII secolo. Macché, «troveremo uno sponsor, la gente deve vedere bene l’ora, mica deve essere un orologio filosofico». Non avrà le idee chiare neanche su cosa sia la filosofia, ma come biasimarlo? Lo fa per la «gente». E a chi gli obietta che sarebbe uno stupro a storia e cultura della sua città risponde piccato: «Mica voglio metterci un orologio al quarzo, è che così ’un funziona». Lasciando perdere il resto, l’aggiunta del pisello che Berlusconi decise per la statua di Marte che è a Palazzo Chigi, al confronto, è niente”.

http://malvinodue.blogspot.it/2013/12/mica-deve-essere-un-orologio-filosofico.html

CasaPound, Alba Dorata, Breivik – Combattiamo le idee, non le persone

 a cura di Stefano Fait

996666_10200513522954497_1399808718_n
Casa Pound arriva a Trento, forte dei suoi 50mila voti scarsi

chiudere_casapound1-594x180

alcune reazioni

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale…I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi...I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare.

Costituzione della Repubblica italiana (articoli 16, 17, 18)

“Uccidere i fascisti non è un reato” stava scritto sulla mia scuola, anni fa. Ho sempre odiato quello slogan. E detesto i fascisti.

Paolo Ghezzi

Un mondo fondato sulle quattro libertà umane: la libertà di parola e di espressione, la libertà per ogni persona di pregare Dio nel modo che preferisce, il diritto di vivere al riparo dall’indigenza e il diritto di vivere al riparo dalla paura.

Franklin D. Roosevelt, 6 gennaio 1941

In realtà, la libertà è aristocratica, non democratica. Dobbiamo riconoscere, sconfortati, che la libertà è cara solo a chi pensa creativamente. Non è necessaria per chi non dà valore al pensiero. Nelle cosiddette democrazie, che si fondano sul principio della sovranità popolare, una proporzione considerevole della cittadinanza non possiede ancora la consapevolezza di essere libera, di recare con sé la dignità della libertà

Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951

La libertà di espressione si afferma e si difende anche con l’ascolto di chi non la pensa come noi e magari utilizza metodi che non condividiamo. Questo non significa accettare acriticamente tutto ma penso sia necessario portare eventualmente chi professa idee contrarie alle nostre sul terreno del confronto, anche aspro ma sempre entro i limiti della tolleranza. La cultura della pace si coltiva anche in questo modo, smascherando quella che si definisce la banalità del male.

Roberto Maestri

CasaPound non è Alba Dorata. Ezra Pound non è Breivik.

Si definiscono “fascisti del terzo millennio”. Fascisti anti-xenofobi (“Nel Dna di Casapound non è contemplata la xenofobia” – homepage, 2011) e favorevoli al riconoscimento delle unioni di fatto tra cittadini dello stesso sesso. Come tutti i rosso-bruni, ammirano Mussolini (specialmente quello “sociale” di Salò, burattino nelle mani di Hitler e volonteroso complice dell’Olocausto) e, non sporadicamente, Hitler stesso, ma anche Che Guevara e Pier Paolo Pasolini.

Pound, poeta esoterista antisemita rosacrociano, l’uomo che, dopo la morte di Hitler, definì quest’ultimo “una Giovanna d’Arco, un santo. Un martire. Come molti martiri, porta con sé visioni estreme”, era anche ammiratore di Lenin e Stalin (così tipico di tutte le personalità autoritarie: rosso o nero, basta che sia granitico-fallico).

Per tre anni dimorò a Tirolo, capitale del Tirolo storico, dove gli è stato dedicato un centro studi.
Nei “Canti Pisani” interloquisce con Marinetti:

“Vai! Vai! Da Macalè sul lembo estremo del gobi, bianco nella sabbia, un teschio CANTA e non par stanco, ma canta, canta: -Alamein! Alamein! Noi torneremo! NOI TORNEREMO!-” “Lo credo”, diss’io, e mi pare che di codesta risposta ebbe pace” (72).

E fa una dedica ai volontari della Repubblica di Salò:

“Gloria della patria!…Nel settentrion rinasce la patria, / Ma che ragazza! / che ragazze, / che ragazzi, / portan’ il nero!” (73)

C‘è poco da aggiungere: “fascisti del terzo millennio”.

Eppure Ezra Pound godette della stima di Dag Hammarskjöld, segretario generale della Nazioni Unite, una delle figure che più ammiro in assoluto.

Ora arrivano a Trento: “Città blindata e alta tensione per l’inaugurazione di Casa Pound a Trento, oggi. In occasione dello sbarco in città del movimento neofascista, le associazioni di sinistra hanno organizzato una serie di manifestazioni di protesta. La festa per l’apertura di casa Pound è prevista per le 13, ma fin dalla mattina ci saranno manifestazioni di protesta. Alle 10, in piazza Pasi, il neonato Coordinamento unitario antifascista del Trentino ha organizzato un sit-in democratico in piazza Pasi. Ma il clou delle manifestazioni di protesta sarà alle 14 in piazza Dante dove il Centro Sociale Bruno ha promosso un’assemblea antifascista dal titolo più che eloquente: «No nazi in my town». Sono attese almeno 700 persone anche da fuori città”.

http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/cronaca/2013/11/09/news/casa-pound-oggi-la-citta-sara-blindata-1.8077255

Che si fa?

136344-anders-behring-breivik

L’ESTREMA DESTRA IN EUROPA E NEGLI STATI UNITI

Gli eccidi perpetrati negli Stati Uniti e nel Nord Europa da giovani neonazisti super-armati, da integralisti islamici, da neocrociati norvegesi islamofobi, hanno prodotto un sottofondo di costante tensione che autorizza implicitamente i governi a restringere le libertà civili di tutti i cittadini in nome della sicurezza. Nel corso del suo processo, Breivik in persona ha dichiarato che il suo obiettivo, nel breve e medio periodo, era quello di provocare una caccia alle streghe contro gli estremisti cristiano-nazionalisti come lui, perché solo così si sarebbe prodotta quella polarizzazione che innesca processi di radicalizzazione, “man mano che sempre più persone perdono fiducia e fede nella democrazia”. I nuovi radicali sarebbero poi stati reclutati [ma da chi?] per proteggere i popoli europei autoctoni e le loro culture dalla minaccia islamica, con l’uso della forza.

Una vera e propria strategia della tensione finalizzata alla sistematica destabilizzazione dello stato diritto, quasi certamente condivisa da altri attivisti con i quali si teneva in contatto, e che è sostanzialmente identica a quella descritta da Osama Bin Laden nei suoi farneticanti videomessaggi.

Possiamo escludere che quest’odio verso lo stato non si tradurrà, prima o poi, in azioni apertamente eversive, di stampo brigatista?

Negli anni bui del dopoguerra, le forze a difesa della democrazia e dello stato di diritto hanno trionfato, in Italia e in Germania. Lo si è fatto allora, lo si può rifare.

La Norvegia ci ha indicato la strada giusta, quella della dignità (verdighet). Le autorità e la popolazione norvegese si sono comportate con dignità, decoro, civiltà, umanità. Il rispetto che hanno dimostrato per l’imputato che si è comportato come un mostro, ma resta pur sempre un essere umano, onora la Norvegia e la democrazia. È certamente vero che gli è stata data la possibilità di avere un’audience mondiale a cui rivolgersi per comunicare il suo pensiero, ma è un prezzo che è stato ampiamente ripagato dall’effetto di questa sua performance. Molti dei sopravvissuti, dopo averlo visto al processo, si sono sentiti sollevati nel vedere un piccolo uomo con una vocina sottile. Tutt’altra cosa rispetto al carnefice di Utoya. Il mostro è stato esorcizzato, ed è tornato a essere un ometto viziato con la vocetta immatura.

Oggi oltre 40mila persone si sono trovate nel centro di Oslo per cantare insieme “Bambini dell’arcobaleno” (“Barn av regnbuen”), un adattamento in norvegese della canzone “Rainbow Race” di Pete Seeger del 1973. Lo hanno fatto come atto dimostrativo contro Anders Behring Breivik, l’autore degli attentati a Oslo e della strage di Utøya del luglio dello scorso anno, che nel corso del proprio processo ha detto di odiare la canzone di Seeger. Secondo Breivik la canzone ha contenuti chiaramente di stampo marxista e verrebbe utilizzata per fare il lavaggio del cervello ai bambini… Il testo della versione norvegese parla di un cielo pieno di stelle, del mare azzurro e di terre piene di fiori, dove vivono i bambini dell’arcobaleno. È una canzone di speranza, che invita a cercare il bene e a convivere in pace insieme, evitando la violenza”.

http://www.ilpost.it/2012/04/26/la-canzone-odiata-da-anders-breivik/

I norvegesi hanno ascoltato Breivik e gli hanno chiesto di ascoltare. Hanno sorpreso il mondo. Alcuni sono rimasti sbigottiti e negativamente impressionati. In realtà non è che non ci sia rabbia e desiderio di vendetta, in Norvegia, è che la cultura locale è una sorta di viatico a quell’ideale di disciplinamento delle emozioni che può essere riscontrato anche in Giappone e che avrebbe piacevolmente sorpreso Spock, o gli stoici, o i buddhisti, o i taoisti.

Questa umiltà, semplicità, padronanza di sé, rispetto per la dignità delle persone e per la diversità (“infinita diversità in infinite combinazioni”, direbbe Spock), ragionevolezza, sollecitudine, pacatamente ma senza fatalismo, l’espressione del dolore che non diventa esibizione, può sembrare quasi disumana, inquietante. È probabile che in diversi casi lo sia, o quantomeno sia una maschera per l’ipocrisia, il cinismo e un malcelato impulso autoritario (es. film “Festen” e tirannia umanitaria).

Ma, in questo caso, i norvegesi, con il loro atteggiamento, hanno comunicato a Breivik e a quelli come lui che i loro valori sono agli antipodi dei suoi e sono prevalenti, vale a dire che la sua crociata era persa in partenza. Si aspettava di essere ucciso dalle forze dell’ordine, oppure torturato. Non è successo nulla di tutto questo. Il principio guida è stato: non ci farà diventare come lui, altrimenti avrà vinto.

Re Haakon VII, che ha regnato tra il 1905 e il 1957, dichiarava di essere anche “il re dei comunisti”. Re Harald V ha annunciato alla popolazione che è anche “il re dei musulmani, sikh, ebrei e indù norvegesi”.

 Fuga-dalla-Liberta-Erich-Fromm

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE

Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

Art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Art. 21 della Costituzione della Repubblica italiana

Viviamo in un mondo spaventato dalla libertà. Il politicamente corretto soffoca preventivamente il pensiero critico, chiamando in causa il dovere di rispettare le sensibilità altrui (!!!). Certe idee non solo non possono essere espresse, ma non devono essere neppure concepite. Si cerca di proibire per legge persino a degli accademici di fare storiografia. Certe figure istituzionali sono poste automaticamente al di là del diritto di critica. I media impediscono a certi comici o a certi intellettuali di venire a contatto con lettori e spettatori. Intanto le comunicazioni dei nostri politici sono registrate sistematicamente per poterli ricattare o manipolare.

Chi è veramente libero di dire ciò che pensa all’alba del terzo millennio?

Com’è possibile che la popolazione occidentale abbia accettato passivamente tutto questo?

Non si dovrebbe avere paura di questa libertà, che include anche la libertà di non rispettare le idee altrui (pur rispettando l’interlocutore), di canzonare e di rappresentare un inconveniente per le opinioni altrui.

Un principio cardine della costituzione come la libertà d’espressione non può essere fatto valere in certi casi ed ignorato in altri, anche perché una parola è una parola e non serve dare alle parole più peso di quel che meritano. Non siamo automi che rispondono meccanicamente a sollecitazioni verbali e le nostre personali credenze non sono tutelate da alcun diritto inviolabile a non essere messe in discussione, con tutto il tatto ed il senso di responsabilità necessari. Sono le parole o gli atti che distruggono le persone e le cose? Un effetto indiretto è moralmente equivalente a un effetto diretto? Le parole esercitano un’influenza sulle persone solo se queste decidono che così dev’essere, perché attribuiscono credibilità ed autorevolezza a chi le pronuncia e perché vogliono o temono che il messaggio sia vero. Le parole hanno potere solo se chi le ascolta o legge glielo conferisce. Altrimenti sono solo vibrazioni nell’aria. Dunque attribuire uno speciale potere alle parole è una semplice credenza che ciascuno può respingere coscientemente. Se certe parole ci irritano la responsabilità è nostra, perché lasciamo che ciò avvenga. Possiamo forse plasmare il prossimo in modo da costringerlo ad essere più sensibile? Sarebbe giusto? È sbagliato cercare di controllare gli altri, è una forma di manipolazione tanto deprecabile quanto l’uso di parole al fine di ferire la sensibilità altrui. E siccome non è giusto controllare gli altri, non è nemmeno giusto censurare gli altri.

Senza la libertà di dire qualcosa di sconveniente non c’è libertà. Se le mie azioni sono giudicate in base alla sconvenienza, potrò fare solo quello che gli altri mi consentono graziosamente di fare e, poiché moltissimi sono suscettibili e permalosi, ciò decreterebbe la morte della libertà

Le società democratiche sono conflittuali perché sono formate da esseri umani con punti di vista anche molto diversi riguardo alla realtà, ciascuno convinto che il suo sia più fedele al vero. Nessuno di noi è consapevole dell’intera estensione delle sue credenze e convinzioni e ancor meno di quanto unica e peculiare sia la sua percezione della realtà. 

La libertà di espressione consente a superstizioni, preconcetti e pregiudizi di essere vagliati, separati e respinti dal maggior numero possibile di persone, che potranno invece avvalersi delle idee originali e promettenti. È quindi nel nostro stesso interesse rispettare la libertà del nostro prossimo di dire la sua, anche quando ci infastidisce, ci sciocca, c’indigna, ci oltraggia, ci disgusta, ci ferisce. Solo difendendo la libertà altrui posso continuare a difendere la mia, anche se questa libertà sarà da loro impiegata per ridursi in un angolo, per scegliere di condurre una vita convenzionale, di rinunciare a esercitare i propri diritti, di consegnarsi a rapporti vincolanti, affiliazioni soffocanti, appartenenze totalizzanti.

Se la ricerca della verità e dell’autenticità li conduce in quei paraggi, allora hanno la prerogativa di comportarsi di conseguenza senza che una tutela paternalistica li inibisca, senza trattarli come degli infanti plagiabili, plasmabili, eternamente sprovveduti, inculcando in loro il sospetto di esserlo veramente anche quando si tratta di una mera divergenza d’opinioni. Soprattutto, nessuno osi censurare il prossimo per il mero fatto di essersi permesso di esprimere un punto di vista differente. 

La casa comune dell’umanità che verrà, nel Mondo Nuovo dovrà essere tollerante. Se noi stessi decretiamo che un diritto universale non è più universale, ma vale solo quando pare a noi, la nostra credibilità ed autorevolezza saranno compromesse, la forza di quel principio sarà compromessa, la possibilità di tutelare le persone vulnerabili in nome di quello stesso principio sarà compromessa.

Se la nostra casa comune avrà timore di idee diverse, allora non avrà un futuro. Un soffio e il castello di carte cadrà: “Far apparire come necessario ciò che è assurdo – che si debba difendere il “mondo libero” rendendolo meno libero, salvare la civiltà occidentale minacciando i principi della sua identità –, e dall’altro cerca di rendere credibile ciò che è incredibile, ovvero che si possa diffondere nel mondo la libertà con l’occupazione militare, instaurare la democrazia con la coazione, istituire l’autonomia con l’eteronomia” (Bovero, 2004, p. X).

La libertà che conta è quella da forze e circostanze che trasformano l’uomo in una cosa e la sua vita interiore in un processo meccanico, automatico, prevedibile, inerziale, come la materia stessa. Se la libertà è come un volo, allora più si mozzano le ali per circoscriverla, più basso ed incerto sarà il volo stesso, a discapito dell’intera comunità. Non si può essere sicuri, nel volo, la libertà non è rassicurante, non dà garanzie, ma è l’unico modo che ci è dato di essere autentici (di non limitarci ad essere ciò che gli altri hanno stabilito per noi) e di diventare più vivi (gioia di vivere) e consapevoli, come il prigioniero rilasciato nella parabola della caverna di Platone. A quel punto la sicurezza che si acquista sarà più stabile, più affidabile, ma mai completa.

 no_casapound

CASA POUND A TRENTO

Trento può fungere da modello? Può incarnare il cambiamento che vuole vedere nel mondo? Può vedere una sfida laddove altri vedono unicamente una minaccia? Può odiare il fascismo ma vedere nei membri di CasaPound prima di tutto degli esseri umani con dei diritti fondamentali, poi dei cittadini con dei diritti civili, poi degli avversari da sfidare sul terreno delle idee e dei valori e infine dei fascisti?

Non vorrei che la formula della “banalità del male” diventasse una scusa per trovare demoni anche dove non ce ne sono e inscenare crociate, cacce alle streghe, “sante” inquisizioni, che servono solamente a estremizzare chi le subisce e chi le compie.

L’importante è che il Trentino divenga un territorio esente da fascismo per scelta, perché si dimostra un terreno infecondo per il fascismo, perché la sensibilità della popolazione l’ha immunizzata. Non per bullismo. Il bullismo lasciamolo ai fascisti.

È peraltro giusto e necessario che una comunità si mobiliti pacificamente e costruttivamente per testimoniare il suo pensiero, come hanno fatto meravigliosamente bene i norvegesi con Breivik, cantando la canzone che lui più odiava.

E poi rimane sempre la satira – la satira intelligente, che fa pensare, non quella pecoreccia, che spegne il senso critico –, che funziona eccellentemente quando dall’altra parte non c’è volontà di dialogo (e questo non va imposto).

Chi è veramente Nigel Falange…cioè Farage?

Nigel Farage

Lo stato è oggi ipertrofico, elefantiaco, enorme e vulnerabilissimo, perché ha assunto una quantità di funzioni di indole economica che dovevano essere lasciate al libero gioco dell’economia privata. […] Noi crediamo, ad esempio che il tanto e giustamente vituperato disservizio postale cesserebbe d’incanto se il servizio postale, invece di essere avocato alla ditta stato, che lo esercisce nefandemente in regime di monopolio assoluto, fosse affidato a due o più imprese private. […] In altri termini, la volontà del fascismo è rafforzamento dello stato politico, graduale smobilitazione dello stato economico.

Benito Mussolini. Opera Omnia., XVI, p. 101

Lo stato deve esercitare tutti i controlli possibili immaginabili, ma deve rinunciare ad ogni forma di gestione economica. Non è affar suo. Anche i servizi cosiddetti pubblici devono essere sottratti al monopolio statale.

Benito Mussolini, cf. Sternhell, “Nascita dell’ideologia fascista”, 2008, p. 315.

Una dittatura può essere un sistema necessario per un periodo transitorio. […] Personalmente preferisco un dittatore liberale ad un governo democratico non liberale. La mia impressione personale – e questo vale per il Sud America – è che in Cile, per esempio, si assisterà ad una transizione da un governo dittatoriale ad un governo liberale.

Friedrich von Hayek, nume tutelare dei neoliberisti, intervistato da Renée Sallas per El Mercurio”, il 12 aprile 1981.

La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno invisibile. McDonald’s non può prosperare senza McDonnell Douglas e i suoi F-15. E il pugno invisibile che mantiene il mondo sicuro permettendo alle tecnologie della Silicon Valley di prosperare si chiama US Army, Air Force, Navy e Marine Corps.

Thomas L. Friedman, “A Manifesto for the Fast World”, New York Times, 28 marzo 1999

L’eurofobia induce a venerare i propri carnefici, come Nigel Farage, molto presente sul blog byoblu di Claudio Messora (consulente della comunicazione per i parlamentari grillini) ed intervistato dai quotidiani della destra berlusconiana:

http://www.ilfoglio.it/soloqui/17348

qui da David Parenzo (la Zanzara)

http://www.ilgiornale.it/news/leurodeputato-nigel-faragela-germania-merkelvi-sta.html

Farage: Mio nonno e mio padre erano entrambi agenti di cambio ed io ho trascorso 20 anni sul London Metal Exchange. Entrambi i miei figli lavorano nella City, e voglio lottare per difenderla

http://www.londonlovesbusiness.com/business-news/tobin-tax/nigel-farage-who-will-defend-the-city/949.article

La City di Londra: Stato nello Stato che apre le porte dei paradisi fiscali. La roccaforte finanziaria che Cameron ha difeso a costo di rompere con l’Europa ha la sua polizia e il suo sindaco, eletto anche dalle banche. Prima regola: tasse al minimo e saldi legami con Cayman, Jersey, Bermuda. Un quartiere di Londra che non dipende dall’amministrazione comunale, bensì una realtà a parte. Per l’esattezza una corporazione a sé stante – la dizione esatta è City of London Corporation – che ha un suo sindaco, un suo organo consiliare composto da 100 membri, suoi magistrati e forze dell’ordine.

L’elezione dei consiglieri è prerogativa dei (pochi, solo 8 mila) residenti e delle (molte, solo le banche sono oltre 500) compagnie attive nella City, con il piccolo dettaglio che chi ha più dipendenti e di conseguenza un giro d’affari maggiore ha più potere di voto. Tanto per fare un esempio, un’impresa con 3.500 membri di staff ha diritto a ben 79 voti. Chi comanda disegna a suo piacimento le norme e i regolamenti per la maggior parte destinati a limitare al massimo la pressione fiscale….Secondo John Christensen, del Tax Justice Network, la City è il più grande paradiso fiscale del pianeta, con diramazioni nelle Cayman Island, a Jersey, nelle Bermuda, a Singapore o a Hong Kong.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/12/city-londra-stato-nello-stato-apre-porte-paradisi-fiscali/177067/

image.axd

È quindi del tutto ridicolo descrivere quest’uomo come un difensore delle sovranità nazionali. È vero esattamente il contrario: è un globalista [l’internazionalismo è socialista, il globalismo è neoliberista] tra i più determinati, nemico degli stati-nazione come lo sono tutti i ricchi che tosano le masse ed eludono le tasse.

Nigel Farage è un europarlamentare inglese, leader dell’Ukip (United kingdom indipendence party) e capodelegazione del gruppo “Efd” (European freedom and democracy), di cui fanno parte anche la Lega nord e altri partiti dell’estrema destra xenofoba.

[…]. Accusa l’Europa di essere a tratti troppo debole, a tratti soffocante, se la prende con la mediocrità delle Istituzioni, provoca gli Europarlamentari più in vista, boccia senza appello ogni proposta legislativa.

[…] Nel Regno Unito ha ottenuto il 3.1% dei voti e 0 seggi in parlamento.

[…] Lo stipendio di 7000 euro mensili che percepisce ed al quale, per quel che mi risulta, non ha ancora rinunciato, gli viene pagato proprio dal budget dell’Unione – e cioè dai cittadini europei.

[…] Non si conoscono infatti proposte di legislazione, emendamenti, risoluzioni di una certa rilevanza che l’Ukip abbia presentato. A meno che non si considerino tali le “tirate” in difesa della City di Londra, dei banchieri, dei fondi di investimento della cui pressione lobbistica l’Ukip è il principale megafono. 

Una specie di Lega nord, insomma, che grida “Bruxelles ladrona” e all’ombra dell’Atomium ingrassa felice.

http://www.ilfuturista.it/alfonso-ricciardelli-eurocrats/il-paradosso-di-nigel-farage.html

Amico di Israele e contrario ai finanziamenti EU alla Palestina: la nostra battaglia contro il progetto europeo non è dissimile dalla battaglia per la sopravvivenza di Israele.

http://www.thejc.com/news/uk-news/ukip-leader-attacks-trendy%E2%80%99-israel-hate-eu-parliament

Beniamino di Rupert Murdoch, il Berlusconi del mondo angloamericano:

Rupert Murdoch, il magnate australiano che guida un impero nel mondo dei media (Sky, Times, Fox News, tanto per dire), ha voluto conoscere personalmente Farage invitandolo a cena a casa nel quartiere londinese di Belgravia.

http://www.ilmessaggero.it/primopiano/esteri/nigel_farage_murdoch_grillo/notizie/257390.shtml

Uno dei siti di riferimento degli eurofobi è:

http://www.observatoiredeleurope.com/

ed è un parto del suddetto edf

http://www.efdgroup.eu/

l’edf è presieduto congiuntamente da Nigel Farage e dal nostro Francesco Speroni, Ambasciatore del Parlamento del Nord.

Speroni non ama l’Italia

http://archiviostorico.corriere.it/1998/gennaio/30/Bossi_contro_Stato_chiesto_rinvio_co_0_9801301550.shtml

e ha difeso Mario “le idee di Breivik sono condivisibili” Borghezio

“Le idee di Breivik sono a difesa della civiltà occidentale – ha affermato l’ex ministro delle Riforme del governo Berlusconi I -. Se le idee sono che stiamo andando verso l’Eurabia e cose del genere, che va difesa la civiltà cristiana occidentale, sì, sono d’accordo”.

http://www.giornalettismo.com/archives/135173/borghezio-speroni-la-vergogna-delleuropa-siamo-noi/

Abbiamo esaurito le scorte di papi?

531754_415439291878508_745493033_n1115953-complotto.jpg-qn-quotidiano-net

Solo il Signore può licenziare da Papa.
Ratzinger a Porta a Porta

È come se Benedetto XVI avesse cercato di emancipare il papato e la Chiesa cattolica dall’ipoteca di una specie di Seconda Repubblica vaticana; e ne fosse rimasto, invece, vittima…. si parla del contenuto «sconvolgente» del rapporto segreto che tre cardinali anziani hanno consegnato nei mesi scorsi a proposito di Vatileaks … Si fa notare che da oltre otto mesi lo Ior, l’Istituto per le opere di religione considerato «la banca del Papa», è senza presidente dopo la sfiducia a Ettore Gotti Tedeschi… E continuano a spuntare «buchi» di bilancio a carico di istituti cattolici, dopo la presunta truffa milionaria a danno dei Salesiani: un episodio imbarazzante per il quale il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha inutilmente cercato la solidarietà e la comprensione della magistratura italiana….Bertone ha chiesto di incontrare per una decina di minuti il capo dello Stato Giorgio Napolitano prima della festa in ambasciata di oggi pomeriggio.

Massimo Franco, Corriere della Sera, 12 febbraio 2013

http://rassegna.camera.it/chiosco_new/pagweb/getPDFarticolo.asp?currentArticle=1S5CDG

A indicare la data fatidica del 2012 è stato il gesuita René Thibautg nel libro “La misterieuse prophétie des Papes”, del 1951. Thibautg cita un professore di Oxford, Sanders, che già nel 1571 aveva fissato al 2012 la distruzione di Romae il giudizio finale. Sanders a sua volta fa riferimento all’ ultima delle 112 profezie del monaco irlandese Malachia relativa all’ ultimo papa, che sarà eletto dopo Benedetto XVI come Pietro II. Stavolta però i conti non tornano: non solo perché Ratzinger gode ottima salute, ma anche perché la profezia di Malachia dovrebbe avverarsi nel 2026, l’ anno indicato pure da Michel Nostradamus per l’ avvento dell’ Anticristo e la distruzione di Roma. È quindi probabile che certi profeti da quia tre anni saranno smentiti; accanto alle loro, però, hanno preso consistenza altre profezie. La Vergine a La Salette nel 1846 annuncia ai pastorelli Massimino e Melaina: «Roma sparirà e il fuoco cadrà dal cielo». Nel 1886, il sensitivo Blanchard racconta la distruzione di San Pietro; don Bosco nel 1870 profetizza a Pio IX quattro sventure di Roma: «Nella prima saranno percosse le terre e gli abitanti (forse la caduta di Roma papale). Nella seconda la strage e lo sterminio sarà sulle tue mura (forse la Seconda guerra mondiale). La terza volta al comando del Santo Padre subentrerà il regno del terrore, dello spavento, della desolazione. La quarta volta il tuo sangue e quello dei tuoi figli laveranno le macchie che tu fai alla legge di Dio». E anche suor Imelda nel 1872 vede in un futuro imprecisato Roma «coperta di macerie».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/11/22/nostradamus-malachia-tanti-profeti-della-distruzione-di.html

L’elezione unanime da parte del Sacro Collegio di un semplice monaco eremita, completamente privo di esperienza di governo e totalmente estraneo alle problematiche della Santa Sede, può forse essere spiegato dal proposito attendista di tacitare l’opinione pubblica e le monarchie più potenti d’Europa, vista l’impossibilità di eleggere un porporato su cui tutti fossero d’accordo…il monaco, forse anche intimorito dalla potenza della carica, inizialmente oppose un netto rifiuto che, successivamente, si trasformò in un’accettazione alquanto riluttante, avanzata certamente soltanto per dovere d’obbedienzaIl 28 aprile 2009 Benedetto XVI, visitando la basilica duramente colpita dal terremoto di qualche giorno prima, pose sull’urna (una teca di cristallo) di Celestino V il suo pallio pontificio in ricordo della visita.

http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Celestino_V

Un papa che non informa neppure le persone a lui più vicine delle sue intenzioni e si dimette nella più banale e perciò imprevedibile delle occasioni, che cosa ci dice sulla situazione in Vaticano?

Come bisogna leggere questa notizia se non come un’evasione?

Non voleva essere papa e sa benissimo cosa sta per succedere. Lo scandalo finanziario che sta per colpire il Vaticano (e che coinvolgerà anche molti risparmiatori) sarà epico e darà la stura a molti altri scandali. Il prossimo papa regnerà sulle rovine metaforiche del potere pontificio. Ci saranno omicidi e suicidi eccellenti, la lotta di potere esploderà ancora più virulenta.
Non c’è nulla di originale o sconvolgente in questa tesi. In pochi minuti di ricerche in rete lo arriva a capire chiunque. Il processo è inevitabile e si tratta solo di aspettare.

È arrivato il momento in cui il Vaticano imploderà sotto il peso di tre scandali:

1. riciclaggio del denaro sporco e mafierie varie;

2. omicidi/suicidi eccellenti;

3. pedofilia.

fulmine

Cadono 2 fulmini (!!!) sulla cupola di San Pietro proprio il giorno delle dimissioni. Un presagio?

RICICLAGGIO E REATI FINANZIARI ASSORTITI

“Prima la fuga di documenti di monsignor Caiola che consentirono a Nuzzi di scrivere il suo libro e che ha rivelato la prosecuzione dello Ior parallelo, che si credeva finito già anni prima. Poi a raffica gli scandali Fiorani, Anemone, Roveraro e riciclaggi vari. Poi l’inchiesta della Procura romana sui movimenti dello Ior presso la Jp Morgan e le pressioni della finanza mondiale perché lo Ior regolarizzasse la sua posizione giuridica (formalmente esso non è una banca e non è soggetto ai controlli internazionali del sistema bancario).

Conseguentemente, Benedetto XVI, dopo aver imposto Gotti Tedeschi (uomo dell’Opus Dei) a capo dello Ior (sino a quel punto più vicino all’ala massonica del “sacro collegio”), decise,  a fine 2010, di aderire alla convenzione monetaria Ue, accettando l’applicazione delle norme antiriciclaggio. Quel che non servì ad evitare nuovi scandali su sospetti movimenti di capitali. A proposito: nella stranissima vicenda dei falsi titoli di Stato americani, che girano dal 2009, il nome dello Ior spunta in 6 casi su 11. Forse solo un caso.

Poi continuò implacabile la fuga di documenti per tutto il 2011-12 dietro la quale non era difficile intravedere lo scontro fra gli uomini dell’Opus e quelli della “Loggia” vaticana. Al punto che, nel maggio dell’anno scorso, Gotti Tedeschi rassegnava le dimissioni, dando il via ad un aperto scontro in seno alla commissione cardinalizia presieduta dal cardinal Bertone, segretario di Stato. Da allora lo Ior non ha un presidente effettivo.

Il prossimo 23 febbraio occorrerà riformare la commissione cardinalizia, con l’uscita dei cardinali Attilio Nicora e Laois Tauran (grande amico di Gotti Tedeschi) entrambi assai polemici con Bertone. In queste stesse settimane il nome dello Ior è tornato all’onore (si fa per dire: onore!) delle cronache per l’acquisizione di Anton Veneta da parte del Monte dei Paschi di Siena e tutto fa pensare che altro verrà fuori, nonostante la scontata smentita vaticana”.

http://www.aldogiannuli.it/2013/02/dimissioni-papa/

“La Consob americana e tedesca alle costole, per speculazioni con mutui, tassi d’interesse e derivati. La Bundespolizei negli uffici, per sospetto di frodi fiscali e riciclaggio. Infine, un buco gigante di quasi 3 miliardi di dollari (2,2 miliardi di euro) in perdite appurate, solo nell’ultimo trimestre del 2012.

Se le rivelazioni alla Sec (l’autorità di controllo sulle società del governo americano) di tre dipendenti silurati si dimostrassero vere, potrebbe essere la punta dell’iceberg di un rosso abissale mascherato negli anni, pari a oltre 12 miliardi di dollari.

La Deutsche Bank, il maggiore gruppo bancario dell’Unione europea, resta un monolite della finanza in Germania. Ma è sempre meno difendibile e intoccabile, anche dagli inquirenti di Berlino. E non solo per il maxi-derivato Santorini da 1,5 miliardi di euro, disegnato su misura nel 2008 per il Monte dei Paschi di Siena, così da coprire – speculandoci sopra – i bond in pancia all’istituto toscano.

[…]

A Roma, Bankitalia vigila anche su un sospetto flusso di riciclaggio in Vaticano, attraverso pagamenti elettronici su bancomat e conti del gruppo tedesco. In Germania, incalzato da Bruxelles e dall’Eba (l’Autorità bancaria di vigilanza), il governo studia come risanare il sistema bancario. Spesso infarcito – come la storia di Deutsche Bank dimostra – di titoli tossici e conti truccati, attraverso una mole di «operazioni collaterali».

Citando tutte le inchieste, lo Spiegel ha chiamato questo castello di carta (e di miliardi volatilizzati) «il lato oscuro della Deutsche Bank». Che la misura, anche per la prima banca d’Europa, sia colma?”

http://www.lettera43.it/economia/finanza/la-voragine-nei-conti-di-deutsche-bank_4367582062.htm

Mussolini paga il Vaticano per il riconoscimento ufficiale del regime da parte della Chiesa (1929), la Chiesa investe bene quei soldi, anche offshore, e ora il capitale iniziale si è moltiplicato fino a raggiungere la soglia del mezzo miliardo di sterline ed un notevole impero immobiliare paneuropeo
http://www.guardian.co.uk/world/2013/jan/21/vatican-secret-property-empire-mussolini

OMICIDI/SUICIDI ECCELLENTI

“…Il “fumo di Satana” di cui parlava Paolo VI sembra diventato invadente. Anche quando ci fu lo scandalo dei preti pedofili una diplomazia nota per la sua esperienza si lasciò andare a dichiarazioni discordanti e scomposte. Altrettanto sconcertanti i documenti che escono oggi. Lettere anonime contro il primo ministro Bertone, il trasferimento-allontanamento di un prelato che aveva denunciato scandali e ruberie, la diceria di un attentato al Papa. Padre Lombardi, portavoce, si ostina a dire che quest’ultima è solo una sciocchezza. Credo anch’io che lo sia. Il punto però non è nella credibilità della voce ma nel fatto in sé che la voce circoli, e che esca dalle “sacre mura”. Lì è il segno dello sconquasso. Una volta non era così. Quando si seppellì in una veneranda basilica il gangster De Pedis nessuno seppe, e ancora oggi nessuno sa, perché. Quando si consumò (4 maggio 1998) il triplice omicidio del comandante delle guardie svizzere, di sua moglie e del povero caporale Cédric Tornay, la versione data a caldo, chiaramente falsa, non ebbe smentita tanto che ancora oggi è la sola versione ufficiale di un crimine rimasto irrisolto e impunito. Quando si hanno precedenti di tale gravità non ci si può stupire se, degradandosi ulteriormente il tono generale, succeda quello che sta accadendo in questi giorni”.

Corrado Augias, la Repubblica, 17 febbraio 2012

Occhi puntati su gesuiti ed Opus Dei e Cl.

PEDOFILIA

Charles J. Scicluna era il funzionario della Santa Sede che perseguiva i preti pedofili. E lo ha fatto – a differenza di altri – con determinazione, denunciando anche la cultura del silenzio italiana. Ieri è stato rimosso, senza spiegazioni, e spedito a Malta come funzionario di basso rango. Una mossa che sconcerta.

http://www.linkiesta.it/preti-pedofili#ixzz2KbCWTNhj

http://www.linkiesta.it/blogs/papale-papale/come-ti-normalizzo-un-pontificato

http://www.lettera43.it/cronaca/pedofilia-in-vaticano-404-nuove-denunce_4367562684.htm

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Cronache_e_politica/Pedofilia-Vaticano-600-denunce-anno/05-02-2013/1-A_004749341.shtml

“Nel 1990, Savile ricevette un Ordine Cavalleresco dell’Impero Britannico (OBE) dalla regina Elisabetta II in persona, anche se già correva voce che avesse abusato della sua posizione di star in due programmi popolari della BBC, “Top of the pops” e “La vita secondo Jim”, per aver molestato sessualmente delle ragazzine minorenni. Il suo impegno in opere di carità per gli orfani e gli adolescenti mentalmente disturbati lo ha portato ad una relazione stretta con il principe Carlo, non estraneo a sua volta a scandali sessuali. Lo stesso anno del premio dell’Ordine Cavalleresco Savile ricevette anche un Ordine papale, l’Ordine Pontificio Equestre di san Gregorio il Grande, da papa Giovanni Paolo II. Furono messi sotto pressione sia Buckingham Palace che il Vaticano affinché i premi fossero postumamente tolti, ma entrambe le istituzioni rifiutarono di farlo e continuano a mantenere comunque i premi, scaduti con la morte di Savile”.

Wayne Madsen

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/20/barbablu-vive/

**********

12.02.13: Steve Bell on the Pope's resignation

Questi scandali saranno seguiti da rivelazioni sulla reale natura del “cristianesimo” predicato dal Vaticano (un culto anticristiano di natura mitraica)

http://it.wikipedia.org/wiki/Cristianesimo_e_Mitraismo

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/27/gesu-il-grande-inquisitore-economia-esoterica/

Succederà tutto entro due anni al massimo, con una rapidità che prenderà tutti di sorpresa, anche quelli che già sospettavano.

Vatileaks era solo un piccolo assaggio.

Si dimette il 28 febbraio, anniversario dell’abolizione della democrazia in Germania, con la Verordnung des Reichspräsidenten zum Schutz von Volk und Staat (1933)

65516_10200660751590117_116921099_n

Monti, Marchionne, Montezemolo, Mussolini – feudalesimo e libertà

314585_183072595168352_1724465854_n

feudalesimo-e-libertà-9

http://www.giornalettismo.com/archives/679613/feudalesimo-e-liberta-il-partito-che-aspettavi/

monti-marchionne-2

casini-monti-bersani-alfano_610x458

resizer.jsp

Ancora non è chiaro cosa significhi, nelle parole di Monti, il centrismo radicale proposto come Agenda di una futura unità nazionale: un ordine nuovo, addirittura, dove le classiche divisioni fra destra e sinistra sfumerebbero.

Barbara Spinelli, la Repubblica, 27 dicembre 2012

I movimenti fascisti hanno sempre rappresentato un estremismo di centro.

Seymour Lipset, sociologo statunitense, “Political Man”, 1959

Lo stato è oggi ipertrofico, elefantiaco, enorme e vulnerabilissimo, perché ha assunto una quantità di funzioni di indole economica che dovevano essere lasciate al libero gioco dell’economia privata. […] Noi crediamo, ad esempio che il tanto e giustamente vituperato disservizio postale cesserebbe d’incanto se il servizio postale, invece di essere avocato alla ditta stato, che lo esercisce nefandemente in regime di monopolio assoluto, fosse affidato a due o più imprese private. […] In altri termini, la volontà del fascismo è rafforzamento dello stato politico, graduale smobilitazione dello stato economico.

Benito Mussolini. Opera Omnia., XVI, p. 101

Lo stato deve esercitare tutti i controlli possibili immaginabili, ma deve rinunciare ad ogni forma di gestione economica. Non è affar suo. Anche i servizi cosiddetti pubblici devono essere sottratti al monopolio statale.

Benito Mussolini, cf. Sternhell, “Nascita dell’ideologia fascista”, 2008, p. 315.

Una dittatura può essere un sistema necessario per un periodo transitorio. […] Personalmente preferisco un dittatore liberale ad un governo democratico non liberale. La mia impressione personale – e questo vale per il Sud America – è che in Cile, per esempio, si assisterà ad una transizione da un governo dittatoriale ad un governo liberale.

Friedrich von Hayek, nume tutelare dei neoliberisti, intervistato da Renée Sallas per El Mercurio”, il 12 aprile 1981.

La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno invisibile. McDonald’s non può prosperare senza McDonnell Douglas e i suoi F-15. E il pugno invisibile che mantiene il mondo sicuro permettendo alle tecnologie della Silicon Valley di prosperare si chiama US Army, Air Force, Navy e Marine Corps.

Thomas L. Friedman, “A Manifesto for the Fast World”, New York Times, 28 marzo 1999

Io sono liberale nel senso economico del termine…Il termine americano “liberale” significa qualcuno che pensa che si dovrebbe permettere a tutti di svilupparsi a proprio piacimento e fare quel che gli pare.

Lee Kuan Yew, ex despota di Singapore

[Il liberismo] si fonda sull’idea che solo una ristretta cerchia di eletti meritino le opportunità offerte dall’individualismo e che la società esiste idealmente allo scopo di consentir loro di sviluppare al meglio le proprie potenzialità e di farsi valere impunemente, tipicamente ma non esclusivamente a spese degli altri.

George Kateb, “On liberty”, 2003, p. 289

Ci dobbiamo chiedere come mai i liberali siano stati in prima fila, assieme alla sinistra, nella lotta per l’abolizione della schiavitù, nella decolonizzazione e nella conquista dei diritti costituzionali (liberale era la classe dirigente dell’Italia unificata; liberale era una parte importante della classe dirigente dell’Italia post-fascista), mentre ora i cosiddetti liberali sono in realtà neoliberisti. Si è tanto parlato della cattura cognitiva della sinistra da parte della destra – con il PD che ha ripudiato la sua vocazione social-democratica per abbracciare la sua antitesi, il liberismo – ma non si è parlato abbastanza della morte della destra migliore, quella liberale appunto, pugnalata alle spalle dai neoliberisti, che poi ne hanno assunto machiavellicamente l’identità.

In linea generale, la differenza tra anarchismo di destra (libertarismo/liberismo/neoliberismo) e liberalismo consiste in questo: (a) il liberista privilegia la propria libertà a spese di quella altrui, mentre il liberale è attento alle libertà di tutti ed alla loro attuazione concreta; (b) il neoliberismo avversa l’intervento statale nell’economia e favorisce la difesa dei rapporti gerarchici nella natura e nella società, mentre il liberalismo approva l’intervento statale nell’economia al fine di consentire ad un crescente numero di cittadini di porre in essere i propri progetti di vita, nella prospettiva della loro emancipazione – per quel che è lecito attendersi – dall’assistenza delle istituzioni.

La loro visione del mondo non ha nulla ha che vedere con un genuino liberalismo. Infatti, storicamente, come ha sottolineato il filosofo politico Samuel Freeman (cf. Illiberal Libertarians. Why Libertarianism is not a liberal view, in Philosophy and Public Affairs, 30(2), pp. 105-151, 2002), il liberalismo è emerso in contrapposizione al libertarismo, che invece condivide molti attributi della “dottrina del potere politico privato alla base del feudalesimo”. Come il feudalesimo, il libertarismo si appoggia a “un reticolo di contratti privati” e si oppone all’idea liberale che “il potere politico è un potere pubblico, esercitato con imparzialità per il bene comune”.

Per questo il libertarismo tende al populismo ed all’autoritarismo: è la pretesa del forte di stabilire autonomamente le proprie regole (tirannia privata) e di convincere il maggior numero possibile di persone che queste regole vanno a vantaggio di tutti, ossia che il suo volere beneficerà, indirettamente, la collettività.

In pratica il liberismo è una difesa filosofica e politica dell’egoismo, mentre il liberalismo è una difesa filosofica e politica dell’autonomia all’interno di una comunità. Il liberismo è secessionista, il liberalismo è autonomista. Il liberismo è anti-universalista ed anti-comunitario, privilegiando l’interesse privato (privatismo, monopolismo), il liberalismo privilegia l’interesse generale (individualità democratica).

In sintesi, il neoliberismo è un’ideologia neo-feudale, è un feudalesimo aggiornato, adattato all’era del capitalismo globalistaNon della servitù della gleba si avvale, ma della servitù del debito “sovrano” (N.B. neolingua orwelliana).

Ogni diritto ha un costo ed ogni libertà richiede un vigoroso intervento statale che la sancisca e la protegga.

L’intervento statale contemplato dai neoliberisti è di tutt’altro genere. Tanto ostili al gigantismo statale, una volta al governo (es. Reagan, Pinochet, Thatcher, Cameron) sono quasi sempre riusciti a far crescere lo stato nei seguenti settori:

– difesa;

– forze dell’ordine;

– apparato tecno-burocratico.

Guarda caso proprio quei settori che servono ai pochi per difendere i propri immeritati privilegi dai molti.

Un articolo del Giornale – quotidiano allineato alla dottrina neoliberista – fa luce sulla questione:

“Si può dire che il liberalismo sia quell’ideologia che, avendo come radice la libertà stessa, si presta meno di qualsiasi altra ad essere codificata in un’unica formulazione? Considerazione, questa, pressoché banale, che però non sembra essere condivisa dal curatore e da alcuni collaboratori dell’ultimo numero della rivista Paradoxa, che porta come titolo “Liberali davvero!” Secondo costoro, in modo particolare, Gianfranco Pasquino, Salvatore Veca e Francesca Rigotti, una parte dell’esiguo mondo del liberalismo italiano sarebbe popolata da «sedicenti liberali» che avrebbero fornito in questi ultimi anni – sull’onda del berlusconismo – un’interpretazione molto distorta dell’idea liberale. Le colpe dei «sedicenti liberali» – ricorrono alla rinfusa i nomi di Piero Ostellino, Angelo Panebianco, Dino Cofrancesco, Giuliano Ferrara, Giuseppe Bedeschi, Marcello Pera e altri – sono quelle di aver avallato la credenza secondo cui il liberalismo va inteso come una concezione estremista della libertà tendente a relegare in un angolo lo Stato, tanto da sconfinare non solo nel liberismo, ma addirittura nellanarchismo (troppa grazia!). A tale inclinazione permissivista, che in sostanza decreterebbe la libertà come assenza di regole, farebbero da contrappeso taluni provvedimenti legislativi di grave limitazione della libertà individuale, ad esempio nel campo bioetico.

Ai «sedicenti liberali», il curatore e gli autori di Paradoxa contrappongono quello che ritengono il vero liberalismo, riconducibile al costituzionalismo, concepito come limitazione, separazione e bilanciamento dei poteri. All’interno di questa prospettiva, volta a collocare la libertà in un quadro normativo molto preciso (si può dire angusto?), viene assegnato al potere politico un ruolo primario, che non sembra però contemplare quei princìpi formulati dal padre del liberalismo, John Locke, per il quale, prima di tutto, vanno affermati i diritti individuali; diritti, a cominciare da quello di proprietà e di libero scambio, che lo Stato ha il dovere di difendere, non essendo, di per sé, produttore di diritto. Linterpretazione del liberalismo come costituzionalismo è sacrosanta. Unilaterale ci pare invece l’esclusione del liberismo dal liberalismo. Ad esempio, considerando la nota polemica fra Croce ed Einaudi, dove quest’ultimo aveva rivendicato la libertà economica quale condizione imprescindibile della libertà politica, dovremmo concludere per l’esclusione dello stesso Einaudi dal novero del liberalismo!”

È bene precisare che Einaudi era ostile al liberismo (anarchismo oligopolista), infatti, nel 1948, scriveva sul ” Corriere della Sera”: “A che serve la libertà politica a chi dipende da altri per soddisfare i bisogni elementari della vita? Fa d’ uopo dare all’ uomo la sicurezza della vita materiale, dargli la libertà dal bisogno, perché egli sia veramente libero nella vita civile e politica…La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica...Vi sono due estremi nei quali sembra difficile concepire l’ esercizio effettivo, pratico, della libertà: all’un estremo tutta la ricchezza essendo posseduta da un solo colossale monopolista privato; ed all’altro estremo della collettività. I due estremi si chiamano comunemente monopolismo e collettivismo: ed ambedue sono fatali alla libertà

Il liberismo ( = mors tua vita mea, il forte schiaccia legittimamente il debole, dispotismo) è, non a caso, la dottrina preferita dagli oligopoli finanziari e dai CEO delle multinazionali.

Il liberalismo, come spiegava Norberto Bobbio, è contrario alla concentrazione dei poteri in mani pubbliche o private, essendo una dottrina politica che aspira a realizzare una piena “garanzia di diritti di libertà (in primis libertà di pensiero e di stampa), la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti, la tutela delle minoranze politiche”.

Gianfranco Pasquino, rispondendo ai critici citati dal Giornale, scrive: “Non capisco perché Cofrancesco e altri ci accusino di anti-berlusconismo, un tema assolutamente marginale nei nostri capitoli. Giusto, invece, lo ribadisco, criticare coloro che non criticano le caratteristiche illiberali del berlusconismo: conflitto di interessi, interpretazione della sovranità popolare, uso strumentale della religione, insistita sfida alla separazione dei poteri, duopolio televisivo… Sappiamo che neppure la democrazia è una perfetta allocatrice di “beni”, ma ha meccanismi, come l’alternanza, e limiti al potere delle maggioranze, proprio come voluti dai liberali classici, che impediscono le degenerazioni possibili nei mercati sregolati. La mia non-condivisione non significa che Cofrancesco non abbia la facoltà di continuare a definirsi liberale e a sentirsi in buona compagnia con coloro che del liberalismo, politico, etico, culturale, fanno un disinvolto uso à la carte. Che è esattamente quello che abbiamo criticato ricevendo astiose repliche, non su quello che abbiamo scritto, ma sulle nostre persone. Quanto di più illiberale, meglio di quasi stalinista, si possa immaginare”.

http://www.novaspes.org/paradoxa/detArticolo.asp?id=470

Troppi fra loro credono che essere antisocialisti sia sufficiente per definirsi liberali. Anche i conservatori e i reazionari sono antisocialisti ma questo non serve loro per comprarsi il biglietto d’ingresso nel giardino del liberalismo politico e del costituzionalismo. Poiché i liberali sanno che «provando» si può anche sbagliare e che la storia impartisce dure repliche, concluderò suggerendo a Ostellino di «provarci» ancora a confutare il liberalismo dei liberali classici da Montesquieu a Kant, da Tocqueville a Mill, magari dopo avere letto anche soltanto gli articoli loro dedicati da Paradoxa”.

Gianfranco Pasquino, Corriere della Sera, 19 aprile 2012

Ora, siete liberi di scegliere di chi fidarvi.

Potete dare più peso al parere di alcuni tra i massimi politologi italiani del nostro tempo [Pasquino, Veca e Rigotti; ma anche Norberto Bobbio], oppure a quello della redazione del Giornale, di Ferrara, Ostellino, Panebianco, Marcello Pera e Silvio Berlusconi (ma anche di Mario Monti e Sergio Marchionne, che si sentono così in sintonia http://www.gadlerner.it/2012/12/21/monti-marchionne-insieme-sono-gia-un-programma-elettorale).

A voi la scelta.

“È liberale il liberismo?” [Con il Patrocinio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati]

Matteo Renzi, Nunzio dell’Apocalisse (una canzonatura in 4 passaggi illogici)

Anche Mussolini e Hitler erano giovani.

Giulio Tremonti, ottobre 2012

È noto che Hitler aveva una personale, sterminata ammirazione per Wagner. Alcuni biografi di Hitler sostengono che egli usasse dire che “tutto era cominciato” (vale a dire l’inizio della sua attività politica), durante una rappresentazione di Rienzi a Linz. Hitler avrebbe tanto apprezzato la figura del protagonista, ispirata alla storia di Cola di Rienzo, da vedere in esso un modello per il riscatto del proprio popolo, ovviamente con se medesimo come dittatore.

http://memoria.comune.rimini.it/binary/rimini_memoria/progetto/LA_POLITICA_MUSICALE_DEL_NAZISMO.1205827357.pdf

Rienzi, der Letzte der Tribunen (Rienzi, l’ultimo dei tribuni) e il titolo completo del primo successo teatrale di Wagner. L’opera, scritta a Parigi schivando abilmente creditori e gendarmi, fu rappresentata per la prima volta il 20 ottobre 1842 nel nuovo teatro di corte di Dresda, appena costruito dall’architetto Gottfried Semper. L’opera reca con se anche la fama sinistra di essere stata tra le favorite di Adolf Hitler, che si fece regalare il manoscritto in occasione del suo cinquantesimo compleanno e lo porto con se nel bunker di Berlino. L’autografo non e più tornato alla luce e rimane uno dei tanti misteri che circondano la fine del Fuhrer. Wagner aveva tratto spunto per il libretto da un romanzo dello scrittore Edward Bulwer-Lytton, un nobile inglese autore di lavori a sfondo storico come Gli ultimi giorni di Pompei o Richelieu. Il soggetto ruota attorno alla figura di Cola di Rienzo, un plebeo romano del Trecento che riuscì per breve tempo a strappare il potere dalle mani della nobiltà, prima di venire rovesciato a sua volta da una rivolta popolare sobillata dalle grandi famiglie e dalla Curia.

http://www.teatrocomunalemodena.it/upload/doctesti/Pagine%20da%20ORCH%20RAI%204.pdf

“Credono che un giorno torneranno a vedere il sole, per sterminare la specie umana che ha sporcato il mondo” (cf. “La razza ventura” di Edward Bulwer-Lytton).

http://www.lankelot.eu/letteratura/bulwer-lytton-edward-george-la-razza-ventura.html

Se gli Antichi si risveglieranno, distruggeranno il mondo intero. Per questo motivo la Direttrice invita Dana ad uccidere Marty prima dell’alba per completare il rituale e salvare tutta l’umanità… Marty si siede e conforta Dana, ferita mortalmente, facendole notare che potrebbe essere migliore un’altra umanità. La ragazza è d’accordo e, mentre i due fumano una canna, una gigantesca mano esce da terra, annunciando quindi il ritorno degli antichi dèi”.

http://it.wikipedia.org/wiki/Quella_casa_nel_bosco

Cuscinetto o scherzetto? Una delle guerre più annunciate ed odiate della storia

effetti degli attacchi con autobombe nel centro di Aleppo

La guerra ci permise di risolvere delle questioni che in condizioni di pace sarebbero rimaste insolute

Joseph Goebbels

È ovvio che la gente non vuole la guerra. Perché mai un povero contadino dovrebbe voler rischiare la pelle in guerra, quando il vantaggio maggiore che può trarne è quello di tornare a casa tutto intero? Ma sono i capi che decidono la politica dei vari stati ed è sempre facile trascinarsi dietro il popolo. Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese.

Hermann Göring (Goering)

Ricevo l’ambasciatrice tedesca in Spagna, Baronessa von Stohrer. È molto pessimista sulla situazione interna della Germania. Crede che lo scoppio di una guerra generale possa molto rapidamente condurre al bolscevismo. Dice che il popolo tedesco, “che è il più ingrato del mondo”, è agitato in questo momento da fortissime correnti antinaziste.

Galeazzo Ciano, Diario

Come quello dei generali, anche l’animo della nazione è lungi dallo stato di esaltazione: in questo agosto del 1939, non vi è nulla che si sia avvicinato al torrente di entusiasmo, al frenetico precipitarsi verso l’olocausto (sic!) del luglio 1914, e Hitler lo sa benissimo. L’anno precedente, prima di Monaco, aveva fatto un esperimento che quest’anno non ha più osato tentare: la sfilata a Berlino di una divisione corazzata. Egli si attendeva un uragano di patriottismo e ha avuto come risultato uno spettacolo di costernazione generale! Per tre ore i carri armati hanno percorso in lungo e in largo la capitale in mezzo a un silenzioso stupore, come un esercito nemico in una città occupata, mentre Hitler, al balcone della Cancelleria, attendeva invano che, al passaggio dei suoi mostri d’acciaio, si levasse quel bellicoso clamore che egli intendeva suscitare. Alla fine egli era rientrato nel suo studio, si era gettato in poltrona e aveva cominciato a ingiuriare il popolo tedesco.

Raymond Cartier

Non c’era nessun entusiasmo per la guerra.

Richard von Weizsäcker

Alberto Negri, “Al via un conflitto a bassa intensità”, Il Sole 24 Ore, 5 ottobre

“Dall’inizio della rivolta contro Assad nella primavera del 2011 si sapeva che la Turchia, membro di primo piano della Nato, poteva essere coinvolta in un conflitto con una proiezione che oltre alla Siria interessa direttamente l’Iraq e l’Iran, due vicini con i quali Ankara ha relazioni politiche ed economiche rilevanti ma anche problemi cronici soprattutto per la storica rivalità tra Ankara e Teheran, riflesso di un’altra contrapposizione secolare tra la sfera di influenza del mondo sunnita, turco e arabo, e quello sciita.

Già da tempo quella siriana è una pericolosa guerra per procura tra potenze regionali concorrenti. Le tensioni, da decenni, riguardano la guerriglia curda del Pkk che ha i suoi santuari nel Kurdistan iracheno, conta appoggi tra i curdi siriani e viene manovrata, quando fa comodo, anche da Teheran, alleato di Damasco e del Governo sciita di Baghdad. Per altro i rapporti nel triangolo Ankara-Baghdad-Teheran sono fondamentali pure per l’Europa perché secondo il piano energetico dell’Unione dalla Turchia passano e passeranno le pipeline più importanti per le importazioni di gas e petrolio dall’Oriente.

Niente di quanto avviene da queste parti quindi ci può essere indifferente. Lungo i quasi mille chilometri di confine tra Siria e Turchia si gioca una partita strategica per gli equilibri del Levante del Medio Oriente: il conflitto tra il regime di Assad e la guerriglia è alimentato dal mondo arabo sunnita e dalle monarchie del Golfo che vogliono controbilanciare la potenza dell’Iran e prendersi una rivincita sull’ascesa degli sciiti in Iraq dopo la caduta di Saddam. Un obiettivo non semplice ma in linea con l’agenda occidentale e anche israeliana.

La primavera araba ha innescato la miccia di tensioni che esistevano da tempo e non erano neppure troppo latenti. Il 23 novembre 2011 “Zaman”, quotidiano vicino alle posizioni dell’Akp del premier Erdogan, scriveva che Ankara rischiava di essere trascinata nella guerra civile ospitando nei campi profughi il Free Syrian Army. I vertici militari turchi hanno ripetutamente avanzato l’ipotesi di penetrare in Siria per insediare una “zona cuscinetto” e la Turchia, insieme alle petro-monarchie, ha chiesto più volte di dichiarare una “no-fly zone”.

Con l’approvazione del Parlamento di Ankara a intervenire oltre confine inizia un altro conflitto a bassa intensità, anche se forse non con effetti immediati: Erdogan, capo di un governo islamico moderato, ci penserà due volte prima di infilarsi in un’escalation, mostra i muscoli per ragioni di prestigio internazionale e proteggere i confini nazionali ma deve anche fronteggiare l’ostilità dell’opinione pubblica che secondo i sondaggi non vuole una guerra contro Damasco.

Il problema è quale sarà l’atteggiamento futuro della Nato se ci saranno altri scontri tra turchi e siriani, dando per scontato che al Consiglio di sicurezza ogni votazione contro il regime di Damasco viene regolarmente bloccata dal veto della Russia e dalla Cina, in una riedizione della guerra fredda che rende lo scenario più complicato.

L’Occidente non vuole fare la guerra [La NATO è sempre pronta alla guerra, ma stavolta ha paura della Russia, NdR] ma neppure può ignorare il coinvolgimento della Turchia. I guai non sono soltanto di Erdogan ma anche nostri.

La verità è che gli Stati Uniti e l’Europa, all’inizio di questa crisi si sono affidati alla Turchia e a una valutazione sbagliata di Ankara condivisa dagli alleati della Nato: che bastasse poco tempo per abbattere Bashar Assad, un regime al capolinea ma non ancora finito. La Turchia ha quindi abbracciato il compito di dare una retrovia alla guerriglia. In un primo tempo era formata da oppositori e disertori siriani, poi i turchi hanno accolto, con l’appoggio finanziario delle monarchie del Golfo e di varie organizzazioni islamiche, formazioni di combattenti libici e di altri Paesi arabi, di reduci dall’Afghanistan o dall’Iraq, ben sapendo che cosa potesse significare il loro intervento.

Il risultato è che oggi i turchi combattono su due fronti, quello siriano e quello del Kurdistan iracheno, mentre la Nato non ha ancora ben chiaro quali siano le forze della guerriglia affidabili e neppure quale potrebbe essere il dopo Assad: l’opposizione è disunita e gli occidentali annaspano tra le sigle dei gruppi ribelli senza trovare gente credibile. Non è un caso che Kofi Annan abbia lasciato il suo incarico a Lakhdar Brahimi: sapeva che la via diplomatica, per l’ostinata resistenza di Assad [precisazione: se non ci fosse una maggioranza di Siriani che sostiene Assad, magari anche a malincuore, quest’ultimo sarebbe caduto, NdR] e gli interessi in gioco, era quasi impossibile, come ha ribadito anche il suo successore. In Siria ogni soluzione politica, giorno dopo giorno, sembra svanire, inghiottita da un turbine di violenza fuori controllo”.

*****

48 morti ed edifici sventrati in una piazza del centro di Aleppo (Saadallah al-Jabiri). Se i partigiani avessero combattuto in questo modo – con attacchi suicidi, autobombe e violenze indiscriminate – tutto il Nord si sarebbe schierato con Mussolini.

I Turchi ci avevano già provato con l’aereo

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/25/labbattimento-dellaereo-turco-non-e-un-semplice-incidente-e-i-cittadini-turchi-non-vogliono-la-guerra/

ma la cosa non aveva funzionato

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/28/laereo-turco-il-precedente-libico-ed-un-intervento-nato-che-si-complica/

E i neocon americani si interrogano pubblicamente su come INVENTARE un pretesto per attaccare l’Iran

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/01/con-favoloso-candore-gli-apprendisti-stregoni-ci-dicono-come-intendono-far-scoppiare-la-guerra/

Solo il 18% dei Turchi approva le interferenze turche in Siria

http://www.voanews.com/content/turkish_polls_show_waning_support_for_ankaras_policy/1510503.html

Guardian e New York Times  riportano che “Non si sa se i proiettili di mortaio siano stati sparati dalle forze governative siriane o dai ribelli che combattono per rovesciare il governo del presidente Bashar al-Assad”.

La Russia ha costretto la Siria a scusarsi per bloccare l’escalation ma la Siria sta conducendo un’inchiesta per verificare chi abbia sparato i colpi di mortaio ed ha consigliato alla Turchia di mantenere la calma, tenuto conto del fatto che l’area è percorsa da bande di ribelli di varia nazionalità e con varie finalità.

La Turchia dopo aver armato e fornito supporto logistico ai ribelli siriani e mercenari internazionali che cercano di abbattere il governo siriano, non si è mai sentita in dovere di scusarsi per i suoi raid e bombardamenti in Siria (questo è l’ultimo in ordine di tempo)

http://www.google.com/hostednews/afp/article/ALeqM5iKxnodFAJ1tOLa6CkcK52soa7eZg?docId=CNG.8b2b456bdc514b0dd075381637648f70.2e1

è l’atteggiamento dei bulli. La NATO è un gruppo di bulli che decide a sua discrezione e convenienza chi ha ragione e chi ha torto e punisce chi sgarra. Arriva il momento in cui i bulli ricevono la lezione che meritano, una volta che le vittime si coalizzano per porre fine ad una condizione di perenne soggezione e ricatto.

Il parlamento turco ha autorizzato l’esercito turco ad invadere ed occupare parti della Siria per mettere in sicurezza il territorio.

Ciò potrebbe portare alla creazione di zone franche e corridoi umanitari che dovrebbero essere sostenuti da un limitato potere militare. Ciò, naturalmente, non raggiunge gli obiettivi degli Stati Uniti per la Siria, in cui Assad potrebbe conservare il potere. Da questo punto di partenza, però, è possibile che una vasta coalizione con un mandato internazionale possa aggiungere ulteriori azioni coercitive ai suoi sforzi“.

Pagina 4, ‘Valutazione delle opzioni per il cambiamento di regime’, Middle East Memo, Brookings Institution.

I turchi l’avevano già proposto ad agosto

http://italian.ruvr.ru/2012_08_21/85674329/

Aviv Kochavi, capo dell’intelligence militare israeliana ha preannunciato che Israele farà la stessa cosa nel sud della Siria perché, sostiene, il governo di Assad non riesce a controllare gli jihadisti che costituiscono una minaccia per Israele (gli stessi pagati da sauditi e qatari, alleati di Israele contro l’Iran e la Siria, quelli che usano le stesse tecniche che hanno portato all’uccisione di 25 nostri soldati a Nassiriya)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/01/al-qaeda-alleata-della-nato-in-siria/

“Inoltre, i servizi di intelligence d’Israele hanno una forte conoscenza della Siria, così come delle attività nel regime siriano, che potrebbero essere utilizzate per sovvertire la base di potere del regime e avviare la rimozione di Assad. Israele potrebbe inviare truppe su o vicino le alture del Golan e, in tal modo, potrebbe distogliere le forze del regime dal reprimere l’opposizione. Questa posizione può evocare la paura nel regime di Assad di una guerra su vari fronti, in particolare se la Turchia è disposta a fare lo stesso sul suo confine, e se l’opposizione siriana è alimentata continuamente con armi e addestramento. Una tale mobilitazione potrebbe, forse, convincere la leadership militare della Siria a cacciare Assad al fine di preservare se stessa. I sostenitori argomentano che questa pressione supplementare potrebbe far pendere la bilancia contro Assad in Siria, se altre forze vi si allineano correttamente”.

Pagina 6, ‘Valutazione delle opzioni per il cambiamento di regime’, Brookings Institution.

http://www.oltrelacoltre.com/?p=13731&preview=true

La Russia ha messo in guardia la NATO: non tollererà nessun tentativo di creare zone cuscinetto

http://italian.irib.ir/featured/item/114206-russia-respinge-idea-di-zone-cuscinetto-in-siria

La Sicurezza Paesi Nato indivisibile. Per il ministro degli Esteri Giulio Terzi la richiesta del governo Erdogan al Parlamento è legittima. E “la sicurezza dei Paesi Nato è indivisibile”. Principio, riaffermato nel Consiglio atlantico della scorsa notte, “al quale i membri dell’Alleanza atlantica tengono molto”,

Bravo Terzi, rendici complici di altre infamie e coinvolgici in una guerra con la Russia.

Non voglio più amici,

Non voglio più amici,

Voglio solo nemici!

E basta alle vostre bugie, bugie!

E allora tu cavalca, cavalca mio cowboy

che la terra tanto ce la fotti a noi…

Ah, che cazzo dici?

La vostra libertà?!?!

Uoh, ma cosa dici?

Noi ce l’avevamo già…

Litfiba, “Tex”

La guerra in corso tra Germania e USA – un’interpretazione della crisi (Gattei di UniBo)

Premetto il commento critico di un lettore
“Una buona sintesi del pensiero repubblichino, cioè una costruzione basata su articoli di Repubblica, che tende raggiungere gli obiettivi prefissati in partenza:
– la colpa è della Germania (da personalizzare come Merkel per avere un migliore effetto antropomorfo, il nemico deve essere un umano);
– non c’è alternativa a questo pensiero economico;
– la NATO non c’entra niente;
– Goldman Sachs poverina, cerca di aiutare questi europei disastrati;
– le agenzie di rating fanno del loro meglio per riportare onestamente il valore delle valute.
C’è una parte iniziale promettente sul partito della finanza (citazione inziale di Giannuli) ma serve solo per colpire l’attenzione, perchè poi si devono raggiungere le conclusioni prefissate.
In realtà siamo in un gioco dove tutti barano e la prima regola per ristabilire ordine al tavolo da gioco è cacciare i bari. Con le buone o con le cattive”.

Giudizio mio: Gattei aggira un po’ troppo facilonamente un paio di contraddizioni fondamentali nel suo ragionamento, attribuendo il comportamento dei politici tedeschi allo choc dell’iperinflazione di un secolo fa e ad un atteggiamento dottrinale in materia di politiche economiche. Mi pare francamente implausibile. C’è del buono in quest’analisi e c’è del meno buono, ossia buchi, segnalati dal lettore summenzionato che ha ragione da vendere nel sottolineare come lo studioso abbia preso per buona la lettura della crisi fatta dalla Repubblica, che non è certo imparziale. Tali buchi andrebbero riempiti con argomentazioni solide, che qui non ci sono. Non credo che Gattei sia in malafede. E’ che un economista tende a vedere solo alcuni aspetti di certe questioni e non altri, come tutti. Se, per di più, fa un eccessivo affidamento sul punto di vista di un quotidiano dell’establishment, difficilmente potrà procedere spediatamente sulla strada della ricerca della verità.
Comunque ecco l’analisi in questione.

“La Germania contro tutti”

di Giorgio Gattei, docente di Storia del pensiero economico presso la Facoltà di Economia di Bologna.

1. Se la Grande Germania ritorna.

Quando i giornali raccontano la speculazione finanziaria in atto come un attacco dei “mercati” contro l’Europa, non la dicono giusta. Innanzi tutto, cosa sono mai questi “mercati”? «Hanno fisionomia giuridica, un portavoce, un responsabile, un legale rappresentante, qualche nome e cognome al quale, all’occorrenza, presentare reclamo? Qualcuno ha mai votato per loro? Se sbagliano, si dimettono? Quando e dove è stato deciso che il loro giudizio (il famoso “giudizio dei mercati”) conta di più dell’intera classe politica mondiale?» (M. Serra, “La Repubblica”, 19.6.2012).

E poi, siamo proprio sicuri che essi si muovano contro l’Europa od il suo omologo monetario, l’euro, e non piuttosto contro qualcosa di ben più specifico e nazionale come la Germania? Per capirlo, bisogna partire da lontano.

Si è ormai costituito da tempo a livello planetario un vero e proprio partito della finanza che comprende tutti coloro che guadagnano dai movimenti dl capitale speculativo. Stimabile attorno ai 90 milioni di persone, questo vero e proprio “blocco sociale” opera sui mercati di Borsa «come un partito informale ma solidissimo, in grado di determinare l’andamento dell’economia e di condizionare in modo determinante la politica» (A. Giannuli, Uscire dalla crisi è possibile, Milano 2012, p. 43). È questo “partito della finanza” che agita i “mercati”, i quali però vanno declinati al plurale perché non hanno un comportamento univoco secondo a come si muovono nei confronti delle due valute monetarie che si contendono gli scambi internazionali: il dollaro e l’euro. Conseguentemente due sono i suoi poli geografici di riferimento: da un lato gli Stati Uniti e dall’altro la Germania, che è la vera custode della solidità di quella moneta unica europea decisa a fare concorrenza al dollaro.

È questa una contrapposizione recente. Gli accordi di Bretton Woods del 1944 avevano consegnato agli Stati Uniti il monopolio della emissione della moneta mondiale e nemmeno la fine della convertibilità del dollaro in oro nel 1971 era riuscita a scalfirne la supremazia valutaria. È solo con la ricomposizione delle due Germanie nel 1990 che le cose sono cambiate. La divisione della Germania in due unità separate e contrapposte era stata la conseguenza/punizione per i due disastrosi “assalti al potere mondiale” che aveva tentato manu militari nel 1914-1918 e nel 1939-1945. Per evitarne un terzo gli alleati vincitori l’avevano smilitarizzata e tagliata in due come una sogliola. Ma con la riunificazione successiva alla implosione dell’URSS, il problema geopolitico si è ripresentato: quale collocazione internazionale, adeguata alla sua potenza non più militare bensì economica, dare alla rinata Grande Germania?

 

2. Due visioni geopolitiche.

Secondo la dottrina geopolitica anglosassone, come è stata elaborata da Halford Mackinder e Nicholas Spykman, ci sarebbe nel mondo un luogo privilegiato, detto il “Cuore della terra” (Heartland), il cui controllo politico assicurerebbe il governo del pianeta [NOTA MIA: il famigerato ed in fluentissimo Zbigniew Brzezinski sottoscrive questa visione geopolitica]. Questo centro strategico della storia è posizionato nelle grande steppe euroasiatiche, così che soltanto la Russia può impadronirsene. Con una limitazione, però: che per esercitare nei fatti la supremazia geopolitica, essa deve traboccare su qualcuna delle “Terre di contorno” (Rimlands) che la circondano e che si affacciano sui mari caldi degli oceani Atlantico, Indiano e Pacifico. Da qui l’obiettivo permanente della Russia (zarista, sovietica o quant’altro) di muoversi verso l’Europa, il Medio Oriente, l’Afghanistan o la Corea, ma con la Gran Bretagna prima e gli Stati Uniti poi a contrapporle una accorta ed efficace (finora) azione di “contenimento-respingimento”.
Però la Germania ha dato alla geopolitica un proprio ed originale contributo per opera di Karl Haushofer (1869-1946). Secondo questa diversa “visione” del mondo non è più questione di “Cuore della terra” e “Terre di contorno” ad esso concentriche, bensì di Pan-Regioni che si estendono nel senso dei meridiani, da polo a polo, avendo ciascuna uno stato-guida dominante [NOTA MIA: Carl Schmitt, l’eminente giurista filo-nazista che tanto influenzò Leo Strauss, il padre dei neocon americani, apparteneva a questa stessa scuola di pensiero].

Esse sono quattro, e quindi Pan-America con a capo gli Stati Uniti, Pan-Asia guidata dal Giappone (ma oggi si dovrebbe dire meglio la Cina), Pan-Eurasia dominata dalla Russia e Pan-Europa a direzione tedesca. E siccome ogni Pan-Regione dovrebbe godere del proprio “spazio vitale geopolitico” in reciproco rispetto con quello di ogni altra, alla Germania, in rapporti di buon vicinato con la Russia (il capolavoro di Haushofer è stato il patto Ribbentrop-Molotov del 1939), il Giappone e pure gli Stati Uniti, avrebbe dovuto spettare la guida delle penisole mediterranee che allora era facilitata dalla somiglianza di regime fascista presente in Portogallo (Salazar), Italia (Mussolini), Grecia (Metaxas) e Spagna (Franco): quattro paesi che nell’insieme già facevano in sigla PIGS = “maiali”.

Restavano estranee a questo Nuovo Ordine Europeo con mire espansionistiche sul Medio Oriente ed il continente africano soltanto le democrazie di Francia e Gran Bretagna, che comunque sarebbero state ridotte all’obbedienza con la forza. Si sa però che, se con la Francia la sottomissione riuscì, non altrettanto avvenne con la più ostica Gran Bretagna, nonostante il volo conciliatore tentato nel 1941 da Rudolph Hess (il vice di Hitler che era anche il migliore allievo di Haushofer) per trovare un accomodamento spartitorio col governo britannico. Ma proprio in quello stesso anno Hitler, smentendo le buone regole della geopolitica tedesca, dichiarava guerra all’Unione Sovietica ed agli Stati Uniti (fu solo allora che la guerra “europea” divenne “mondiale”), votandosi a quella clamorosa sconfitta da cui dovevano nascere le due Germanie separate da una “cortina di ferro”, poi materializzatasi fisicamente nel Muro di Berlino, che doveva sancire la fine di una Pan-Europa autonoma dalle altre Pan-Regioni.

 

3. “Framania” e i suoi “maiali”.

Con la riunificazione del 1990 il gioco geopolitico tedesco si è però riaperto e ha trovato una esplicita manifestazione di volontà nel documento elaborato nel 1994 per conto della CDU/CSU da Wolfgang Schäuble (cfr. Bonn va avanti con pochi sponsor, “Il Sole-24 Ore”, 12.9.1994 – artefice del progetto dell’Europa a due velocità:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/14/che-fine-fara-litalia-dopo-leutanasia-dellunione-europea/

http://www.alternativaeuropea.org/documenti/aemag/Edit26.htm).

Vi si teorizzava che senza un consolidamento interno l’Unione Europea avrebbe rischiato «di crollare per tornare ad essere un debole raggruppamento di Stati incapaci di soddisfare il bisogno di stabilità della Germania,… che è in linea di principio identico a quello dell’Europa considerata nel suo insieme,… in quanto gli USA non possono più svolgere il loro ruolo tradizionale ora che il conflitto Est-Ovest è un ricordo del passato». Però questa volta a «nocciolo duro» della rinascente Pan-Europa doveva essere posta una alleanza organica con la Francia, che da De Gaulle in poi si era mostrata insofferente della stretta tutela americana sulle cose europee. Attorno a questa Framania avrebbero ovviamente gravitato nazioni “satelliti” come l’Olanda, mentre i paesi “maiali” del Mediterraneo, ad esempio Spagna ed Italia, e perfino la Gran Bretagna avrebbero dovuto essere «convinti» ad aderire al Nuovo-Nuovo Ordine Europeo non appena avessero «risolto alcuni dei loro attuali problemi». Ma quali?

Se nella sua nuova offensiva geopolitica la Grande Germania non avrebbe fatto questione di supremazia militare (lasciando alla Francia il compito di assicurare all’Europa unita la deterrenza nucleare) bensì soltanto di egemonia finanziaria, ad essa i paesi mediterranei e la Gran Bretagna si sottraevano, come doveva vedersi negli anni successivi, per ragioni differenti. Intanto la Gran Bretagna, che batteva una moneta propria come la sterlina, ad essa non avrebbe rinunciato quando è nato l’euro, la moneta unica europea esemplata sul marco tedesco. A loro volta i paesi “maiali” vi hanno aderito gravati da debiti sovrani esagerati che i c.d. “parametri di Maastricht” non sono arrivati nel tempo a ridimensionare.

C’è però da dire che questo indebitamento sovrano non è tanto l’effetto di governi eccessivamente spendaccioni (come di solito si giudica), bensì del mal riuscito amalgama, all’interno dell’Unione Monetaria Europea, di economie nazionali organicamente difformi per capacità di produzione e, soprattutto, di esportazione – e questo proprio quando la moneta unica toglieva ai paesi in deficit commerciale la possibilità di adottare “svalutazioni competitive” della propria moneta per pareggiare i conti con l’estero, come era stato il caso della svalutazione della lira nel 1992. All’ombra dell’euro si è così “cronicizzato” lo squilibrio tra i paesi esportatori netti di merci (il “nocciolo duro” con esportazioni maggiori delle importazioni) e quelli che invece importano più di quanto esportano (che è la vera causa del loro essere “maiali”). Ma ciò nemmeno basta perché, se lo scompenso della bilancia commerciale è stato pagato dai “maiali” in moneta comune, essi se la sono vista restituire dal “nocciolo duro” in cambio di titoli dei loro debiti sovrani così da lucrare interessi fino al loro rimborso. Se quindi il “nocciolo duro” ha finito per risultare esportatore netto di merci e creditore di capitali ed i paesi “maiali” importatori netti e debitori, tuttavia si riteneva che l’asimmetria si sarebbe sanata quando quei capitali ricevuti in prestito si fossero indirizzati alla produzione di merci per l’estero, riportando progressivamente la bilancia commerciale in pareggio. Nell’attesa di tanto risultato in Europa si pazientava, finché a mezzo 2011 non è successo qualcosa che ha fatto precipitare la situazione.

 

4. I “mercati” tra dollaro ed euro.

Nel pieno dell’estate del 2011, quale conseguenza del duro braccio di ferro dei “mercati” contro il governo di Washington che era necessitato a violare il limite di legge posto all’indebitamento pubblico, quel limite è stato sforato ma le agenzie di rating (longa manus dei “mercati”) hanno punito il debito sovrano americano togliendogli la valutazione massima di tripla A (cfr. G. Gattei, La grande guerra dei rating (2011-2011), Bologna, 2012). Siccome però il debito sovrano tedesco manteneva la valutazione AAA, si è creata una fastidiosa disparità di rating che avrebbe potuto portare i risparmiatori internazionali, nelle proprie scelte d’investimento, a preferire i Bund di Berlino ai Bond di Washington. Che i “mercati” avessero finito per fare gli interessi della Germania? A ciò bisognava porre urgentemente rimedio, ma senza rinnegare la punizione inflitta al governo di Obama.

I titoli pubblici tedeschi a tripla A sono espressi in euro. Ed è un paradosso che in euro siano espressi anche i debiti sovrani dei paesi “maiali” che costituiscono l’anello debole della Unione Monetaria Europea e che godono (si fa per dire…) di rating di bassa, se non di pessima qualità. Perché allora non approfittare del difficile momento congiunturale per deprezzare ulteriormente i loro rating, così da allontanare i risparmiatori dall’acquisto di titoli sempre più “maiali” ma più di tutto svalutando il portafoglio di quanti (siano Stati, banche o imprese) li detengono? È stata così innescata l’arma micidiale dello spread che paragona il prezzo d’acquisto dei titoli in euro dei paesi “maiali” con i migliori sul mercato quali sono, per l’appunto, i Bund tedeschi. Se i risparmiatori, a fronte di rating peggiorati, si fanno riluttanti ad acquistarli, per indurli a sottoscrivere bisognerà offrire loro migliori condizioni di rendimento, da cui consegue l’aumento dello spread. Ma a tassi d’interesse più alti peggiorano i bilanci pubblici dei paesi “maiali” che potrebbero finire per trovarsi addirittura costretti a ripudiare quei debiti diventati troppo onerosi per le loro finanze (qualcosa di simile non è forse successo in Argentina qualche tempo fa e non si è ripetuto in Islanda nel 2010?). In caso di default di Grecia, Portogallo, Spagna o Italia i possessori dei loro titoli si troverebbero con quella loro parte di portafoglio inesigibile e le agenzie di rating avrebbero tutte le buone ragioni per abbassare i rating delle imprese private e degli Stati “incagliati” in quei crediti a rischio. Sia uno di questi Stati la Germania: non si meriterebbe allora di perdere la tripla A equiparandosi al rating americano?

 

5. “Fiscal compact”.

Di fonte alla minaccia la Germania è corsa subito ai ripari. Ma come difendere la massima valutazione del proprio debito sovrano? Imponendo ai paesi “maiali” di non far scherzi e di obbligarsi a ripagare i loro creditori “senza se e senza ma”. Lo strumento è stato l’accordo di fiscal compact sottoscritto dai governi europei nel marzo 2012 (solo Gran Bretagna e Repubblica Ceca non hanno firmato) poi passato alla ratifica dei parlamenti nazionali. La “filosofia” del fiscal compact è presto detta: se lo spread peggiora la situazione finanziaria dei bilanci pubblici dei paesi “maiali” minacciandone il default, il rimedio sta nel rimborsare la più parte del debito sovrano esistente vincolandosi contemporaneamente a non accenderne più altro. È per questo che due sono i termini del patto a cui i governi si sono impegnati a dare esecuzione a partire dal 2013.

Il primo vincolo è l’obbligo del bilancio statale in pareggio, così che le spese pubbliche vengano interamente coperte dal gettito fiscale. Ma siccome tra le spese sono compresi pure gli interessi da pagare sul debito esistente, i governi firmatari si obbligano in verità a realizzare un avanzo di bilancio primario, che è il saldo positivo d’imposte e tasse sulle spese statali. Se così non verrebbero più contratti nuovi debiti, per quelli vecchi che fare? Qui interviene il secondo vincolo che prevede il rientro in vent’anni della parte di debito eccedente il 60% del PIL, che è la percentuale originariamente prevista dagli accordi di Maastricht. Allo scopo di capire l’entità dello sforzo finanziario richiesto ai paesi “maiali”, si consideri il caso dell’Italia: a fronte di un debito pubblico che sfiora i 2000 miliardi di euro (120% del PIL), in vent’anni lo si dovrebbe ridurre della metà a colpi di 50 miliardi all’anno (50×20 = 1000). Ma considerando che ci sono anche gli interessi dai pagare sul debito esistente (sebbene in diminuzione per la riduzione progressiva del suo ammontare), si stima la necessità di un avanzo primario di 65 miliardi di euro all’anno da coprirsi con l’imposizione fiscale anche in assenza di qualsiasi spesa pubblica!

Comunque tanta severità di manovra era giustificata dall’idea della c.d. austerità espansionistica: se gli investimenti privati oggi difettano perché il risparmio viene “spiazzato” dallo Stato che lo sequestra per i propri fini improduttivi, con il bilancio in pareggio ed il rientro (almeno parziale) del debito sovrano si rimetterebbero in circolo capitali che affluirebbero spontaneamente verso i migliori impieghi occupazionali. Per questo (come spiegato da Wolfgang Schäuble, l’autore del programma geopolitico del 1994 che adesso è ministro delle finanze) «i piani di austerità non creano recessione» (“La Repubblica”, 1.3.2012), bensì sviluppo. Ma chi garantisce che, restituito dallo Stato ai creditori il “maltolto”, essi lo rivolgano ad investimenti produttivi e non invece a speculazioni finanziarie senza ricaduta in termini di produzione e occupazione? E poi nello specifico dei paesi “maiali”, essendo buona parte dei creditori straniera (quasi il 50% per l’Italia), a rimborsarla il risparmio nazionale non andrebbe a finire all’estero rilanciando altrove, ad esempio in Germania, la produzione per l’esportazione? Ma per esportare dove (si replica) se non proprio verso quei paesi “maiali” penalizzati dalla fuoriuscita dei propri capitali? Non ci sarebbe quindi convenienza per la Germania ad un programma di austerità, a meno che non si trovassero altri mercati di sbocco al posto di quelli, ormai avviati ad estinzione, dell’Europa mediterranea. È giusto, ma non è un caso che la Cancelliera Merkel sia corsa più volte a Pechino per concordare contratti d’esportazione con la Cina, ferrovia transiberiana coadiuvando.

 

6. I “mercati” contro la Germania.

La prospettiva di un’alleanza, anche solo logistica, della Germania con la Russia (che nella geopolitica anglosassone resta pur sempre il “Cuore della Terra”) preoccupa il governo di Washington, educato alla visione di Spykman-Mackinder. Per questo oltre Atlantico si giudica pericolosa una repressione finanziaria che finisca per marginalizzare il Mediterraneo spostando gli interessi commerciali della Germania verso l’Eurasia. Da qui nasce il sostegno ad un diverso trattamento dei debiti sovrani “maiali” che non passi attraverso quel loro rimborso coatto imposto dalle regole del fiscal compact.
Il soggetto dell’alternativa dovrebbe essere la Banca Centrale Europea che, rinunciando al proprio “principio di nascita” di sola difesa della stabilità dei prezzi, dovrebbe stabilire un livello tollerabile dello spread e, qualora i “mercati” lo superassero, intervenire acquistando i titoli sovrani dei paesi in sofferenza, così da riportarlo a quel giusto livello. Con peso finanziario ridotto i paesi “maiali” non dovrebbero più ricercare avanzi primari di bilancio esagerati e potrebbero dedicare le maggiori risorse a disposizione se non proprio ad aumenti della spesa pubblica (sempre malvista di questi tempi), almeno a riduzioni della pressione fiscale ormai a livelli insopportabili. Con più denaro in tasca, i cittadini potrebbero aumentare la domanda trascinando nella sua scia la produzione e l’occupazione. E quindi sarebbe crescita invece di austerità.

Ma come dovrebbe finanziarsi la BCE? Anche con la stampa di più moneta, così che i prezzi interni della zona-euro in aumento incentivassero le imprese alla produzione. Ma su quali sbocchi piazzare le maggiori merci prodotte? Intanto sul mercato europeo dove la domanda sarebbe in aumento anche per la sola crescita dell’occupazione; ma poi sui mercati esteri perché la maggior moneta circolante porterebbe ad una svalutazione dell’euro sul mercato dei cambi favorendo le esportazioni, anche dei paesi “maiali”, fuori dalla zona-euro. E qualcuno ha provato a quantificare la svalutazione che sarebbe necessaria per far riprendere a correre l’Europa: secondo Nouriel Roubini la BCE dovrebbe «mettere in circolazione più moneta e abbassare ancora i tassi, se non altro per far svalutare l’euro fino alla parità col dollaro» (“La Repubblica”, 2.4.2012).

Ma accetterebbe mai spontaneamente la Germania che la BCE si facesse artefice di una inflazione che nell’immaginario tedesco è parola (e cosa) tabù? La Germania non si è mai ripresa dallo shock della Grande Inflazione degli anni 1919-1923, a cui si addebita la responsabilità della salita al potere di Hitler. Così ragionando essa però rimuove il fatto inequivocabile che da quella iperinflazione si è usciti con la stabilizzazione del marco della socialdemocratica Repubblica di Weimar (1923-1932) e che la catastrofe elettorale del 1933 è stata piuttosto provocata dalla sciagurata politica di austerità deflattiva adottata dal governo Brüning (è ricorrenza storica che le dittature escano politicamente dalle deflazioni monetarie, mentre l’inflazione sposta l’elettorato a sinistra!). Ma tant’è. E allora, per superare la resistenza tedesca non resta che far agire i “mercati” che dovrebbero porre l’aut-aut a Berlino: o impegnare la BCE al salvataggio dei paesi “maiali” caricandosi in parte di quei debiti sovrani anche al prezzo d’indebolire l’euro, oppure spingere i “maiali” verso il default, così che le agenzie di rating siano giustificate ad abbassare le valutazioni di tutte le istituzioni (statali e non) che ne posseggono i titoli. Insomma, delle due l’una: o l’euro si svaluta rispetto al dollaro oppure la Germania perderà la tripla A.

7. “La finanza è un’arma e la politica è sapere quando tirare il grilletto” (F. F. Coppola, Il padrino, parte III).

A mezzo del 2011 l’asse “framanico” tra Angela Merkel e Nicholas Sarkozy sembra veramente inossidabile. Ne fa le spese Silvio Berlusconi, vaso di coccio tra due vasi di ferro, che quando si vede intimare ai primi di agosto dalla BCE di Jean Claude Trichet e del suo successore subentrante Mario Draghi di «rafforzare la reputazione della sua firma sovrana» adottando misure d’austerità estrema (leggere per credere!) da prendersi «il prima possibile per decreto legge, seguito da ratifica parlamentare entro la fine di settembre 2011» (cfr. “Corriere della Sera”, 29.9.2011), tergiversa e lascia passare la scadenza di settembre. Ma ci si può fidare di un governo così “maiale”? Secondo i retroscena giornalistici è stata la Cancelliera tedesca, il 20 ottobre, a chiedere la testa di Berlusconi (cfr. “La Repubblica, 31.12.2011), eppure occorrono ancora tre settimane di pressioni concentriche perché quelle «dimissioni volontarie» giungano finalmente il 12 novembre, lasciando il posto ad un più malleabile (così si spera) Mario Monti, appena nominato senatore a vita perché la sostituzione non sembri extra-parlamentare.

E Monti, sebbene in precedenza “uomo Goldman Sachs”, sul momento viene incontro ai suoi sponsor europei facendo approvare da una alleanza parlamentare tripartisan (PD-UDC-PdL) l’anticipo del pareggio di bilancio al 2013 e quindi una manovra Salva-Italia d’inusitata durezza: i partiti, commenta, «non avrebbero potuto permettersi di correre il rischio di diventare così impopolari. Noi non abbiamo questo problema, non dobbiamo presentarci alle prossime elezioni» (cit. in C. Bastasin, Tra Atene e Berlino, Milano, 2012, p. 45). Però Monti è come Badoglio: proclama che la guerra continua, mentre già tratta l’armistizio con gli alleati. Infatti gli basta appena un viaggio a Washington nel febbraio 2012 per rivelarsi il migliore “amico americano”, come dimostra il 20 febbraio firmando, insieme ad altri 11 capi di governo europei (quello inglese in testa), una lettera di «misure coraggiose» per ripensare alla «crescita oltre l’austerità». Ma è fatica sprecata perché Merkel e Sarkozy non recepiscono. Comunque ad aprile lui ci riprova, in compagnia del presidente della Commissione Europea, per chiedere almeno un ripensamento delle regole del fiscal compact, ma la Merkel gli risponde che «il fiscal compact non si tocca» (“La Repubblica”, 28.4.2012).

Siamo quindi allo stallo e solo le elezioni francesi, che sostituiscono Sarkozy con il “socialista” Hollande, possono venire a fare la differenza. Lo si capisce il 30 maggio quando, in una teleconferenza, Obama e Monti ed Hollande vanno per tre volte alla carica del rigore di Berlino e «per tre volte Angela Merkel dice di no. In inglese e, per non sbagliare, anche in tedesco» (“La Repubblica”, 1.6.2012). Ma la resa dei conti non può tardare perché, come Obama ha suggerito a Monti, «se la Merkel non cede va messa spalle al muro» (“La Repubblica”, 7.6.2012). E’ il 28 giugno, al summit europeo di Bruxelles, quando va in scena lo psico-dramma: alle 19,30, in coincidenza con la partita di calcio Italia-Germania, Monti pone il veto dell’Italia su qualsiasi decisione comunitaria se prima non si costituisce un Fondo salva-Stati “maiali”. Lo spalleggia subito il presidente spagnolo Rajoy e «nella sala scende il gelo». Per il momento si sospende la seduta e si va a cena, così da vedersi anche la partita che finisce con l’Italia che batte la Germania e passa alla finale… con la Spagna! «Congratulations, Italy played very well», ammette alle 22,30 Angela Merkel, ma ben più esplicito è il commento del premier irlandese Enda Kenny perché (dice) adesso il veto di Italia e Spagna è diventato «di tutto rispetto perché è stato posto dalle due finaliste». Eppure esso potrebbe ancora non bastare se non vi si aggiungesse a sorpresa quello ben più pesante della Francia. La Germania è isolata e «alle 4,20 del mattino, dopo 15 ore di negoziati, la Merkel capitola» (“La Repubblica”, 30.6.2012). Lo scudo anti-spread si farà e «Vaffanmerkel» è il titolo liberatorio, ma poco elegante, di un giornale italiano di quel dì (però l’Italia dovrà pagare lo scotto di perdere la finale di calcio a ringraziamento di quell’aiuto spagnolo ricevuto a Bruxelles…).

 

8. Tempi supplementari.

Alla sconfitta la risposta di Berlino è rabbiosa. Il giorno dopo parte un ricorso alla Corte Costituzionale per verificare se possa la Germania firmare una partecipazione al Fondo salva-Stati senza preventiva autorizzazione del Parlamento nazionale. Contemporaneamente un altro ricorso arriva sul tavolo della Corte. In simultanea con il summit di Bruxelles è stato approvato dal Parlamento tedesco, con voto bipartisan CDU/CSU e SPD, l’accordo di fiscal compact. Questa volta è die Linke a non starci, promuovendo il giudizio di costituzionalità su di una misura che dall’estero condizionerebbe la libertà di decidere la politica di bilancio nazionale. Però la Corte prende tempo, annunciando il 17 luglio che darà il proprio parere solo il 12 settembre e che nel frattempo ci si affidi alla buona sorte. Subito, il 24 luglio, l’agenzia Moody’s ammonisce che la Germania mantiene ancora la tripla A, ma che il suo outlook (la previsione) da positivo passa a negativo dipendendo dall’esito della sentenza che sarà emessa su fiscal compact e scudo anti-spread.

Per più di un mese Borsa e spread vanno sulle montagne russe e solo il 6 settembre il presidente della BCE Mario Draghi riesce a mettere le mani avanti strappando al suo Consiglio Direttivo, col solo voto contrario della Bundesbank, l’autorizzazione di principio ad acquistare quantità «illimitate» di titoli dei paesi aggrediti dalla speculazione, qualora questi ne facciano esplicita richiesta. Ma c’è un codicillo. L’intervento della BCE non dovrà essere inflazionistico perché per l’ammontare del suo intervento dovranno essere ritirati altrettanti titoli dal mercato. Tecnicamente funzionerebbe così: la BCE immette moneta per acquistare i titoli “maiali” con vita residua da 1 a 3 anni (l’autorizzazione concessa consente solo questo), ma in contropartita venderà titoli che già possiede, non necessariamente “maiali” ed anche con scadenze superiori, per recuperare la maggior liquidità che ha messo in circolazione. Insomma, non ci sarà nessun aumento dei prezzi, men che meno svalutazione dell’euro e solo la BCE pagherebbe il proprio intervento peggiorando la qualità e la scadenza del proprio portafoglio titoli.

Poi finalmente arriva, il 12 settembre, la sentenza della Corte Costituzionale tedesca. Il Fondo salva-Stati è dichiarato legittimo (e quindi il presidente della BCE potrà dare esecuzione effettiva alla decisione di principio del 6 settembre), ma la Germania vi parteciperà solo fino al massimo di 190 miliardi di euro, così che quell’intervento “illimitato” diventa, almeno per i tedeschi, limitato. Ma pure il fiscal compact è dichiarato costituzionale, così che la sua approvazione da parte di Berlino può far legge per tutti i Parlamenti degli altri governi firmatari (in Italia si è già provveduto approvandolo ai primi di luglio). Come già spiegato, gli Stati aderenti si impegnano a rientrare del proprio debito sovrano fino al limite del 60% del PIL. Ma naturalmente non saranno i governi a rimborsarne i creditori, bensì i cittadini tutti a colpi di avanzi primari di bilancio che siano l’effetto di meno spese pubbliche e più tasse.
Così per il prossimo ventennio, che è il tempo stabilito per il rientro dell’eccedenza di debito sovrano, non ci potrà essere denaro per la crescita in Europa. E’ come nel Nuovo Ordine Europeo di nazista memoria: allora il Terzo Reich aveva risucchiato, come una enorme idrovora, nelle proprie fabbriche (anche di morte) la manodopera dei paesi vicini, alleati o sottomessi; adesso, nel Nuovo-Nuovo Ordine Europeo la Grande Germania ci riprova, ma questa volta più pacificamente risucchiando il denaro degli altri.

Giorgio Gattei, docente di Storia del pensiero economico presso la Facoltà di Economia di Bologna

http://www.carmillaonline.com/archives/2012/09/004458.html

20.09.2012

Possiamo e vogliamo smentire Jack London?

 

Il romanzo fu scritto nel 1907, in un periodo in cui Jack London si professava ancora apertamente socialista: del resto questa ideologia politica, che vedeva nel merito e nel lavoro le molle che dovevano portare ad un avanzamento sociale, ben si accordava con quanto lo scrittore aveva realizzato nella propria vita, arrivando al successo dal basso.

I primi anni del ’900 furono dominati dalla sensazione che grandi cambiamenti fossero in arrivo: il partito socialista, che riceveva molti voti dagli operai, stava guadagnando consensi nel nuovo come nel vecchio mondo. In Europa la Germania stava diventando una potenza economica e militare a cui occorrevano nuovi sbocchi commerciali: una guerra era nell’aria. Il capitalismo stava cominciando a mostrare il suo volto organizzato e disciplinato, in grado di cambiare l’assetto della società su scala mondiale: iniziava l’erosione della classe media, che continua ancora oggi, per portare ad un nuovo assetto fatto di  grandi potenze economiche da una parte, ed una massa sterminata di poveri dall’altra.

Nel suo “Il tallone di ferro“, il tallone dei grandi poteri che schiaccia il popolo, Jack London tenta di interpretare questi cambiamenti, di analizzare la natura vera del capitalismo e del socialismo e dell’inevitabile scontro che questi due sistemi sembrano destinati ad affrontare. Il risultato è un libro che è solo parzialmente quello che sembra, perché in realtà è più una vera e propria denuncia politica, che non un semplice romanzo. In questo libro vi è forse la più profonda, dettagliata e sconcertante descrizione di cosa sia veramente il capitalismo e di quali siano i suoi obiettivi sul lungo termine.  Multinazionali che schiacciano uomini indipendenti, agricoltori che finiscono per essere  “impiegati” dell’industria, organi d’informazione completamente sotto il controllo dell’oligarchia: questo il volto marcio del capitalismo e Jack London lo aveva già visto più di un secolo fa. Questo libro fu letto da generazioni di socialisti, ma anche, e molto bene, da chi militava nella fazione opposta: Mussolini, ad esempio, ne proibì la stampa durante il fascismo e seguì molte delle tecniche di intimidazione che i plutocrati applicano ne “Il tallone di ferro”.

Ernest Everhard, il protagonista, viene descritto come un uomo carismatico, capace di calamitare facilmente l’attenzione del pubblico e di suscitare immancabilmente le più vive reazioni fra chi gli sia d’opinione avversa. Everhard è più di un rivoluzionario, è quasi un profeta del socialismo, tanto da generare quasi “una conversione” fra coloro che, vivendo nel privilegio, hanno chiuso gli occhi di fronte allo sfruttamento dei poveri e del popolo. Fra costoro vi è anche Avis, una giovane donna di una classe sociale agiata che finisce per aderire completamente al progetto rivoluzionario di Ernest. Non tutti saranno però ugualmente fortunati: la plutocrazia è spietata con chi manifesti la propria avversione ai suoi progetti, e persino un vescovo, che dopo aver ascoltato Ernest vuole vivere solo in mezzo ai poveri e ai diseredati,  e il padre di Avis verranno privati di tutti i loro beni e accusati di essere pazzi.
In un crescendo di persecuzioni, azioni repressive e violenza, il libro termina in modo brusco, dopo che a Chicago le masse sono insorte, in una specie di rivoluzione che sembra anticipare quanto accadrà di lì a breve in Russia.

Forse come “puro romanzo”, “Il tallone di ferro” ha più di un difetto, eccedendo talora nella santificazione del personaggio principale, e prediligendo le spiegazioni politiche e tecniche allo sviluppo della  trama. Tuttavia, come ho scritto sopra, questo non è davvero  solo un romanzo. È forse quanto di più onesto, e attuale, si possa trovare scritto sul capitalismo. In questo senso fa quasi paura, perché ci dice che è in atto un processo: l’eliminazione degli uomini indipendenti e liberi e della libera informazione. Jack London non poteva sapere che ci sarebbe stato internet, che l’istruzione avrebbe raggiunto così tante persone, che sarebbe esisto qualcosa come l’”Open Source” in grado di far collaborare la gente, che insomma al capitalismo e al socialismo, sarebbe succeduta questa epoca, quella dell’informazione. Non è più solo il denaro a muovere le acque. Siamo ancora tutti in gioco in questa partita.

http://ilpesodellafarfalla.org/post/29959145941/il-tallone-di-ferro

Jack London – La peste scarlatta – Adelphi, Milano 2000

Anno 2013. Un vecchio cencioso e un giovane cacciatore armato di arco e frecce si aggirano in un paesaggio selvaggio ed abbandonato, dove il muschio ricopre prepotentemente il ferro delle rotaie arrugginite e gli aeroplani non solcano il cielo ormai da quasi settant’anni. La Natura ha ripreso il sopravvento sulla Civiltà e l’umanità è ripiombata nell’età della pietra. I pochi sopravvissuti si coprono con rudimentali pelli di orso o di capra e si nutrono dei proventi della caccia. È così che Jack London immagina l’apocalisse ne La Peste Scarlatta, un racconto visionario in cui ripercorre gli eventi che hanno trascinato l’umanità verso il baratro, dalla comparsa del morbo rosso che colpì il genere umano tanto inavvertitamente, quanto velocemente lo decimò, fino alla lenta e disperata ricerca, per i pochi sopravvissuti, di altre comunità umane. La storia della peste scarlatta è un lungo racconto che “il Nonno”, ultimo superstite di un mondo morto e di una lingua, l’inglese, ormai inutilizzata, narra ai suoi nipoti attorno al fuoco: un tempo insegnate a Berkeley, il professor Smith parla commosso ai nipotini dell’inaspettato e terribile arrivo dell’epidemia che, in meno di dieci giorni, ha flagellato il genere umano, e di come i pochi supersiti siano fuggiti nelle campagne, cercando poi di ricostruire una vita sociale che non sarebbe mai stata più la stessa di prima; il vecchio racconta il lungo vagabondaggio in solitudine, durato quasi tre anni, dominati dall’angoscia, e dalla rassegnazione, di essere ormai rimasto l’ultimo uomo vivente, prima di poter finalmente riascoltare voce umana. Ma La Peste Scarlatta non è solo un racconto fantastico, descrizione di un mondo post-apocalittico, a cui la letteratura, anche precedente (L’ultimo uomo di Mary Shelley è del 1826), già ci aveva abituati, né Jack London appartiene alla schiera dei molti autori del dopoguerra che cercheranno di trasporre in racconti fantascientifici le tragedie belliche, e  La terra sull’abisso di George R.Stewart o Io sono leggenda di Richard Matheson, scritti non a caso negli anni ’50, ne sono un classico esempio. La Peste Scarlatta insegna di più. Memore delle atrocità commesse durante la guerra russo-giapponese, a cui aveva assistito come cronista, Jack London dà vita a un libro visionario e profetico in un mondo (il libro venne scritto nel 1912) non ancora abbrutito da Guerre Mondiali, totalitarismi, genocidi, disastri nucleari e ambientali.

Eppure, l’autore preannuncia con sconcertante lucidità gli incubi e i pericoli che affliggeranno l’uomo moderno, dipingendo un’umanità vendicativa e prepotente che, proprio nell’epoca più “civilizzata” della storia, è però oltremodo facile a dar sfogo agli istinti umani più brutali e animaleschi. All’alba dell’epidemia infatti, il mondo è dominato dal Consiglio dei Magnati dell’Industria (preveggenza di quello che sarebbe poi diventato l’odierno capitalismo industriale?) che hanno ridotto gli uomini in docili servi e automi silenziosi ma che, con lo scoppio e il pretesto della peste, si trasformeranno in bestie feroci che rubano e uccidono, incendiano e saccheggiano; bruti e rancorosi, approfitteranno del caos provocato dall’epidemia per liberare le frustrazioni più represse e gli istinti di vendetta da sempre nutriti nei confronti della classe dirigente, ma a lungo tacitamente soffocati, come farà l’Autista che, nel “nuovo mondo”, soggiogherà crudelmente la bella e ricca Vesta, in un gioco dei ruoli invertiti (non è un caso che l’autore, di simpatie socialiste, conoscesse direttamente e approfonditamente il movimento operaio e certe sue derive). L’intera storia si  presenta quindi come un malinconico necrologio della civiltà e del tempo andato, ma la vena nostalgica si accompagna alla disincantata rassegnazione del vecchio circa l’ineluttabilità di quel destino, come se il germe che la Civiltà porta già in sé fosse l’autodistruzione, l’inevitabile abisso in cui essa sprofonderà, poiché “La polvere da sparo tornerà, niente potrà impedirlo, e la stessa vecchia storia si ripeterà. L’uomo si moltiplicherà e gli uomini si combatteranno. La polvere da sparo permetterà agli uomini di uccidere milioni di uomini, e solo a questo prezzo, con il fuoco e con il sangue, si svilupperà, un giorno, una nuova civiltà”.

Valerio D’Angelo

http://www.lafrusta.net/rec_london_peste_scarlatta.html

« Older entries

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: