Barroso 1 – Europa 0

Cattura

Cattura

Gli OGM uccidono: è un fatto.

Quando si auspica il superamento dell’istituzione Stato, si dovrebbe considerare anche che le autorità europee – non elette – hanno dimostrato a più riprese di essere molto sensibili al lobbismo delle multinazionali euro-americane. In questo, come in altri casi, sono stati i governi nazionali di Italia e Francia a proteggere i loro cittadini dall’avidità ed irresponsabilità degli amministratori delegati – non eletti – delle grandi imprese transnazionali. E l’hanno fatto sfidando le decisioni di Bruxelles, che solo a causa di queste resistenze ha accettato di considerare l’ipotesi di una “maggiore flessibilità” concessa ai Paesi dell’Unione che vogliano limitare o vietare la coltivazione di OGM nel loro territorio.

*****

Superparassiti (erbacce ed insetti) evolutisi per aggirare le “difese” del mais geneticamente modificato della Monsanto ora sono inarrestabili. Questo stesso articolo riporta i risultati di studi clinici canadesi ed italiani che dimostrano la tossicità per gli esseri umani degli OGM

http://www.npr.org/blogs/thesalt/2011/12/05/143141300/insects-find-crack-in-biotech-corns-armor

*****

Qui una rassegna delle dozzine di ricerche specialistiche che documentano le conseguenze impreviste degli OGM:

http://natureinstitute.org/nontarget/report_class.php

*****

Tumori plurimi così grandi da formare protuberanze visibili e palpabili e forte incremento della mortalità: sono le conclusioni di uno studio choc sulla tossicità degli Ogm realizzato dai ricercatori dell’Università di Caen, nel nord della Francia, su 200 topi.

In particolare lo studio, condotto nella massima segretezza per evitare intercettazioni telefoniche e pressioni, ha valutato gli effetti tossici di un mais transgenico e di un erbicida molto diffuso, il Roundup, prodotti dal gigante americano Monsanto. Pronta la reazione del governo francese che ha annunciato “misure urgenti”. “Per la prima volta al mondo si è studiato sul lungo termine l’impatto sulla salute di un Ogm e di un pesticida, cosa che non era mai stata fatta dai governi e dalle industrie. I risultati sono allarmanti”, osserva il coordinatore del rapporto, Gilles-Eric Seralini, ricercatore di biologia fondamentale e applicata all’Università di Caen, e autore del libro, ‘Tous cobayes’ (Tutte cavie), pubblicato in queste ore.

“Le conclusioni del nostro rapporto – prosegue Seralini – dimostrano un effetto tossico del mais transgenico e del Roundup sull’animale e ci portano a pensare che (queste sostanze, ndr.) siano tossiche anche per l’uomo. Diversi test che abbiamo effettuato su cellule umane vanno nella stessa direzione”. E aggiunge: “dallo studio emerge che anche a piccole dosi, l’assorbimento a lungo termine di questo mais, così come del Roundup, agisce come un veleno potente e molto spesso mortale, i cui effetti colpiscono prioritariamente i reni, il fegato e le ghiandole mammarie“.

Durante l’esperimento i ricercatori di Caen hanno ripartito i 200 topi-cavie in tre gruppi alimentandoli per due anni rispettivamente con mais Ogm NK603, Mais Ogm trattato al Roundup, e mais non Ogm trattato con l’erbicida. Rispetto a un altro gruppo di topi-campione, non alimentato con l’Ogm e il pesticida, il primo topo-cavia è morto un anno prima e al 17/o mese di esperimento si è osservato che i topi alimentati con gli Ogm hanno una mortalità di cinque volte superiore rispetto agli altri.

“I risultati mostrano un tasso di mortalità più rapido e più elevato quando vengono consumate le due sostanze incriminate (mais e Roundup, ndr.). Nei tre gruppi i ricercatori hanno constatato una mortalità da due a tre volte superiore nei topi femmina e la comparsa di tumori nei topi di entrambi i sessi fino a tre volte maggiore.

Lo studio ha suscitato vive reazioni. Il governo francese sta valutando l’attuazione di “misure urgenti” e il ministro dell’Agricoltura, Stephane Le Foll, ha chiesto che vengano attuate procedure di omologazione degli Ogm in seno all’Ue “molto più strette”. La Commissione europea ha subito chiesto che il rapporto sia sottoposto all’Agenzia per la sicurezza alimentare (Efsa), mentre il vicepresidente della commissione agricoltura, José Bové, ha richiesto all’Ue la sospensione immediata delle autorizzazioni per la coltivazione di mais geneticamente modificato. Per la Coldiretti i risultati dello studio “rafforzano la scelta dell’Italia di vietare le coltivazioni di organismi geneticamente modificati nel rispetto del principio di precauzione”.

La ricerca francese potrebbe riaprire la discussione sulla tesi finora sostenuta ufficialmente da Bruxelles, ovvero che i prodotti transgenici finora esaminati siano innocui. Una tesi che però è già stata contestata da alcuni Paesi, come è il caso della Francia dove è stata adottata una clausola di salvaguardia per impedire la coltivazione del Mon 810 sul suo territorio”.

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=113&ID_articolo=1227&ID_sezione=242

“Il Governo francese ha attaccato lunedì scorso Monsanto anche per gli effetti degli ogm, ed in particolare di quelli del mais geneticamente modificato MON810 che non sembra si limiti a minacciare la biodiversità delle colture, ma pare contempli “rischi significativi per l’ambiente e la salute”, ha fatto sapere il ministero dell’Ambiente francese in una nota. Notizia confermata anche dai risultati pubblicati recentemente sulla rivista International Journal of Biological Sciences che parlano di grossi danni agli organi dei mammiferi provocati proprio da un noto mais ogm della Monsanto diffuso per la sua fama di essere resistente alla siccità.

Così, anche in seguito al blitz di due settimane fa all’interno del centro di ricerca della Monsanto a Trèbes-les–Capucins di alcuni attivisti No-Ogm, che avrebbero trovato sacchi di mais MON810 trattati con il Poncho 2, un potente pesticida prodotto da Bayer (già sotto accusa per la moria di api), il ministro delle Politiche Agricole Bruno Le Maire e quello dell’Ecologia Nathalie Kosciusko-Morizet hanno confermato la moratoria indetta quattro anni fa per la coltivazione del mais della controversa azienda. Una decisione in netta contrapposizione con il parere negativo espresso lo scorso novembre dalla Corte suprema francese, in linea con la Corte di Giustizia europea, secondo le quali “non c’è alcuno studio che possa provare che gli ogm siano rischiosi”.

Non si è fatta attendete la replica della Monsanto che dopo aver dichiarato che “dal 2008 ad oggi, non ha venduto né sperimentato colture ogm in Francia in quanto i suoi stabilimenti potevano solo stoccare ed imballare sementi geneticamente modificate e convenzionali da destinare all’esportazione” ha in ogni caso annunciato che intende lasciare la Francia e l’Europa “per il clima di accesa opposizione da parte dell’opinione pubblica francese verso l’introduzione degli ogm”.

http://www.unimondo.org/Guide/Ambiente/Francia-la-Monsanto-lascia-Parigi-per-il-clima-velenoso-quasi-come-i-suoi-pesticidi-133972

La Russia, sulla base dello studio francese, ha deciso di bloccare l’importazione di mais geneticamente modificato targato Monsanto:
http://rt.com/business/news/russia-monsanto-corn-ban-005/

La famigerata Commissione Trilaterale esce allo scoperto sulla Grande Coalizione

 

Le idee della Commissione Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento ideologico che incarna il punto di vista sovranazionale delle società multinazionali, che cerca di subordinare le politiche territoriali a fini economici non territoriali.

Richard Falk (Emerito, Princeton), “A New Paradigm for International Legal Studies”, The Yale Law Journal (Vol 84, no. 5, April 1975)

Carlo Tecce (Fatto Quotidiano) intervista Carlo Secchi.

“Vuol sapere un segreto?”, dice Carlo Secchi con la voce impastata durante un’ora di colloquio a murare domande e tramandare leggende. La Commissione Trilateral, origine americana e desideri di tecnocrazia, dollari e diplomazia, maneggia sapientemente i segreti. Secchi è il presidente italiano, nonché ex rettore all’Università Bocconi e consigliere d’amministrazione di sei società quotate in Borsa tra cui Italcementi, Mediaset e Pirelli: “Quando il nostro reggente europeo Mario Monti ha ricevuto l’incarico dal Quirinale, e stava per formare il governo, noi eravamo riuniti: curiosa coincidenza, non l’abbiamo scelto noi”. Questo è un tentativo di respingere i complotti che inseguono la Commissione.

Monti premier, promosso o bocciato?

La Trilateral guarda l’Italia con grande interesse. Tutti sono contenti e ammirati per il lavoro di Mario Monti. È inevitabile che ci sia un’ottima considerazione del premier, che è stato un apprezzato presidente del gruppo europeo.

Prima osservava e giudicava, ora è osservato e viene giudicato.

Ovviamente i princìpi di fondo – su economia, finanza, riforme, bilancio, sviluppo – sono ancora condivisi. Mario non li ha rinnegati: c’è continuità fra il Monti in Commissione Trilateral e il Monti a Palazzo Chigi.
È un fatto positivo. Non è l’unico che passa per le nostre stanze: da Jimmy Carter a Bill Clinton, da Romano Prodi fino al greco Lucas Papademos.

Cos’è la Trilateral?

Una storia di quarant’anni, a breve onoreremo l’intuizione del banchiere David Rockefeller e le visioni di Henry Kissinger. Avevamo una struttura tripolare che rispettava i poteri di un secolo fa: americani, canadesi e messicani; l’Europa democratica, cioè occidentale; Giappone e Corea del Sud. Adesso ci spingiamo verso i paesi orientali, quelli più rampanti: India e Cina, Singapore e Indonesia. Siamo una specie di G-20 allargato. La Croazia è l’ultima ammessa.

Che ruolo giocate?

Favorire il dialogo su temi di carattere economico e geopolitico. Vogliamo coniugare l’interesse fra le istituzioni e gli affari.

Bella definizione, teorica però. Chi seleziona i componenti?

Siamo divisi in gruppi continentali e nazionali con un numero limitato. In Europa non possiamo superare i 200 membri, mentre in Italia siamo 18. Posso citare, per fare un esempio, Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Enrico Tomaso Cucchiani (Intesa), John Elkann (Fiat). Io sono entrato come rettore della Bocconi.

Chi si dimette fa un nome per la successione, ma si cercano figure simili. Soltanto un banchiere può sostituire un banchiere.

Il nostro disegno è quello di contenere la società italiana: professori universitari, esperti militari, ambasciatori, imprenditori, politici, giornalisti. Ci vediamo due volte all’anno con vari argomenti da approfondire e cerchiamo di trovare una soluzione. Lanciamo idee.

E chi le raccoglie?

Ciascuno di noi ha un collegamento con le istituzioni. Il nostro presidente può chiedere un incontro con i commissari europei.

Noi elaboriamo proposte, non facciamo pressioni. Non votiamo mai per un nostro piano, discutiamo, punto.

Differenze con il Club Bilderberg?

Le nostre porte sono più aperte, c’è un profondo ricambio generazionale. A volte si può assistere ai dibattiti, invitiamo personalità a noi vicine, ma con un divieto assoluto: non è permesso riportare dichiarazioni all’esterno. Questo serve a garantire la nostra libertà.

C’è tanta massoneria fra di voi?

Personalmente non me ne sono accorto, può darsi che qualcuno dei membri maschi sia massone. Non c’è nulla, però, che rimandi a una loggia. Più che i grembiulini, noi indossiamo una rete: è chiaro che, avendo numerosi contatti sparsi ovunque, ci si aiuti a vicenda.

Come influenzate i governi?

Soltanto in maniera indiretta, non abbiamo emissari, non siamo un sindacato né un partito. Non mi piace il verbo influenzare.

Ma non posso negare che le nostre conoscenze siano ampie.

Scommettete contro l’Euro morente?

Non posso portare fuori il pensiero interno alla Trilateral. Posso raccontare spezzoni, elementi messi insieme durante l’ultima assemblea di Tokyo. Quando ragioniamo sull’euro ci rendiamo conto che siamo di fronte a una creatura incompiuta e quindi consigliamo un mercato europeo comune, non soltanto una moneta.

Previsioni?

La Cina è un chiodo fisso, a Tokyo è stata protagonista. Cina vuol dire crescita e integrazione, e il timore che quel mezzo potentissimo possa rallentare. Invece gli americani si sentono tranquilli, ma credono che l’Europa sia un po’ lenta a risolvere i suoi problemi e sono molto insoddisfatti di Bruxelles.

Meglio i tecnici o i politici al governo?

Ci sono tecnici ad Atene e Roma.

Papademos e Monti, due ex illustri esponenti della Trilateral.

Il prossimo modello, forse anche in Italia, sarà una coalizione trasversale come in Germania. Poi cambia poco se i ministri saranno o no dei partiti.

Quali sono i vostri amici nel governo italiano?

Oltre a Monti e al sottosegretario Marta Dassù (Esteri), per motivi professionali, dico i ministri Lorenzo Ornaghi (Cultura) e Corrado Passera (Sviluppo economico).

La Trilateral è potente perché misteriosa?

Siamo semplicemente una rete forte, la migliore al mondo. Non prendiamo direttamente decisioni importanti, ma ci siamo sempre nei momenti più delicati. Jimmy Carter non è diventato presidente perché era il capo americano: una volta alla Casa Bianca, però, sapeva di avere un gruppo di persone con cui consigliarsi“.

Carlo Tecce
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it
26.04.2012

http://shop.ilfattoquotidiano.it/2012/04/26/noi-della-trilateral-contenti-di-monti/

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43172

“Contro i miti etnici” presentato a Bruxelles con l’onorevole Herbert Dorfmann

Comunicato su 2° Incontro con l’Autore – 28 marzo, Ufficio PAT Bruxelles

“Un centinaio di persone, trentini del Belgio, diplomatici e funzionari delle istituzioni europee hanno assistito, mercoledì 28 marzo, alla presentazione del libro di Stefano Fait e Mauro Fattor “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” presso la sede dell’Euroregione a Bruxelles. Alla tavola rotonda, coordinata dal direttore dell’Ufficio della PAT, Vittorino Rodaro, hanno partecipato Stefano Fait e l’on.le Herbert Dorfmann.

La serata, 2° Incontro con l’Autore, promossa in collaborazione con l’Associazione Trentini nel mondo, affrontando il tema dei miti etnici ha inteso porre all’attenzione dei partecipanti un argomento di estrema attualità, ossia l’uso ‘politico’ delle appartenenze e delle identità. Questo il tema di fondo richiamato da Rodaro nell’introduzione alla tavola rotonda. L’Ufficio comune di Bruxelles rappresenta tre territori con radici e storie con qualche comunanza e molte diversità, comunque con identità plurime. Lo spazio europeo diventa, cosi’, luogo e occasione privilegiata per fare esercizio comune di queste diversità,  e fare di esse un’occasione di crescita e di elaborazione di nuovi valori comuni. L’attività dell’Ufficio è testimonianza quotidiana di questo esercizio

Per Stefano Fait, lo studio sull’Alto Adige effettuato assieme a Mauro Fattor, vuol essere un atto d’amore nei confronti di una terra e di una popolazione che esercitano una particolare attrazione per l’intensità della loro simbiosi e, si puo’ dire, per la loro reciproca fedeltà. Ma occorre avere il coraggio di andare oltre, di fare ancora rispetto al passato e al presente, di lasciare spazio alle libere ‘contaminazioni’, oltre le scelte di appartenenza etnica, oltre qualsiasi quota che tende a limitare  pesantemente la libertà delle persone in quanto tali.

Herbert Dorfmann, sudtirolese e parlamentare europeo che rappresenta a Bruxelles anche il Trentino, ha ricordato la storia e le specificità dell’Alto Adige/Sudtirolo e i guasti che il fascismo ha operato in questa terra. Richiamare queste peculiarità aiuta anche a comprendere le vicende dell’autonomia sudtirolese e anche certi comportamenti della classe politica che, nel corso degli anni, ha rappresentato la popolazione di questo territorio.

Oggi, l’Alto Adige si presenta come realtà molto articolata, con differenze marcate tra centri urbani e valli, con notevoli aperture all’esterno e all’Europa.

Bisogna anche saper aspettare i tempi di maturazione e dei cambiamento della politica locale che oggi è rappresentata da una componente significativa che si è lasciata alle spalle certi traumi del passato. Questo sono i segnali che ci fanno guardare con fiducia all’Europa e al futuro.

E questa è anche la scommessa sulla quale si giocherà la terza fase dell’autonomia, per l’Alto Adige/Sudtirolo e per il Trentino. La modernità, come sostiene Mauro Fattor in una intervista del 2010, è una complessità in cui le identità nazionali e locali sfumano e sfumeranno sempre di piu’. Mistilingui, immigrati, un mercato del lavoro che richiede competenze linguistiche nuove, sono variabili difficili da governare e da ricondurre a certi paradigmi noti delle appartenenze chiuse. Come conclusione, oltre al suggerimento di leggere il libro di Stefano Fait e Mauro Fattor, pubblicato dall’editrice bolzanina Raetia nel 2010, invito, anche a riflettere e a condividere uno splendido articolo di Barbara Spinelli “L’errore del bruco”, apparso sul quotidiano ‘La Repubblica’ lo scorso 28 marzo, proprio lo stesso giorno della nostra tavola rotonda”.

Vittorino Rodaro

Zuccotti Park e Piazza Battisti: il fallimento di indignati ed autonomisti ci serva di lezione

di Stefano Fait

Ho notato (numero di visualizzazioni) che c’è un certo interesse per il mio punto di vista sulla questione: “autonomia al bivio”.

Mi fa ovviamente molto piacere e mi auguro vivamente di non deludere i lettori: non posso fare molto altro per la mia comunità se non cercare di analizzare quel che vedo e sento quanto più lucidamente mi sia possibile fare.

Dice bene il direttore del Trentino Alberto Faustini, nel suo editoriale: “A mancare erano…le facce delle persone che ogni giorno vivono d’autonomia, ma che sentono il Palazzo meno vicino d’un tempo…I cittadini, in piazza, non ci sono scesi proprio: chi di dovere, si chieda perché“.

È un fatto: Piazza Battisti era affollata, ma non piena, e certamente non più di un terzo dei presenti non è stato “convocato”.

Il tanto deprecato e vezzeggiato popolo non si è visto.

Sono stato intervistato e non ho idea di cosa sarà trasmesso in TV di quanto ho detto.

Ne approfitto per riproporre ed elaborare i punti nodali che ho toccato.

Primo, ma non per importanza. L’assessore Panizza doveva usare maggior circospezione. La situazione richiede una certa coesione, non visibilità personale e a vantaggio del proprio partito: uniti nella diversità, con pari dignità. Le strumentalizzazioni politiche allontanano la gente e costringono il dibattito nei binari del monologo. Un manifestazione per l’autonomia è diventata una manifestazione per gli autonomisti, non particolarmente riuscita. Bah…
Mettiamo da parte le partigianerie e lavoriamo tutti assieme per il bene comune (con diritto di critica e di dissociarsi).

Secondo. Faustini ha scritto un’altra cosa importante, che è venuta in mente anche a me. Lui l’ha espressa molto meglio: “Il Trentino…può scegliere di chiudersi a riccio, interpretando l’autonomia come un privilegio, oppure può mettere la propria esperienza al servizio dell’Italia come esempio. L’evento di ieri avrà senso solo se perseguirà la nuova strada”.

La strategia del riccio è nobilmente nonviolenta, perché fa male solo a chi aggredisce, ma è anche futile ed autodistruttiva, quando l’aggressore è di un certo peso. Appallottolarsi per resistere all’attacco di un’automobile è istintivo, però è anche suicida.

Per questo il movimento degli indignati e di Occupy Wall Street sta, temporaneamente, fallendo, com’è fallita la mobilitazione trentina.
Gli indignati non hanno combinato nulla, non hanno ottenuto nulla e ora li stanno scacciando da tutti i luoghi occupati, uno dopo l’altro. Succederebbe lo stesso ai no-Tav, se le comunità della Val di Susa non fossero determinate a resistere. Il fallimento è dovuto alla pateticità del fine principale, che pare essere solo quello di far vedere che ci siamo, che non possiamo essere ignorati, non di cambiare le cose in modo duraturo.

La gente si mobilita quando vede che c’è una ragionevole possibilità che un movimento possa cambiare le cose, che possa ristabilire la giustizia sociale o la libertà, quando è stata persa.

Al momento i Trentini non hanno ancora sentito i veri morsi della crisi, ma solo dei mordicchiamenti sopportabili. Molti non si sono resi conto che ciò è successo soprattutto grazie all’autonomia. I negozi del centro chiudono, ma la maggior parte dei Trentini può continuare a credere che è solo questione di tempo e tutto si sistemerà.

In quei paesi dove l’autonomia non esiste, la gente ha invece capito che la situazione è ben diversa:

Che ci piaccia o no, i dati indicano che è in atto una lotta di classe scatenata unilateralmente da un’oligarchia di ricchi contro la classe media. Dove questo conflitto ci potrebbe condurre l’ha spiegato Gustavo Zagrebelsky senza tanti giri di parole:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/29/gustavo-zagrebelsky-sul-nuovo-ordine-mondiale-e-lapocalisse/
Perché sia stata intrapresa proprio ora non è una questione da affrontare in questa sede, ma è probabilmente legata ad un progressivo risveglio della società civile globale, reso possibile da internet (e forse dalla consapevolezza di altri grandi eventi imminenti).

Data la situazione, credo senza precedenti, si rende necessaria una stategia diversa, che pretenda dai politici di rispettare la sovranità e la volontà popolare e di difendere lo stato sociale. Questo è un altro punto che ho toccato nell’intervista. L’autonomia è il fondamento della democrazia, che è nata per contrastare incessantemente ed instancabilmente la tendenza del potere ad accentrarsi in poche mani e per promuoverne la diffusione tra tutti i cittadini, assieme alla consapevolezza ed alle competenze necessarie ad usarlo saggiamente.

Ora, quel che è mancato ad indignati ed autonomisti è la capacità di fare richieste. Il potere non concede nulla se non c’è una richiesta specifica. Se vogliamo qualcosa dobbiamo domandarlo.
Dellai
e Durnwalder hanno chiesto maggiori competenze, ossia hanno assicurato che le due province autonome si faranno carico di maggiori spese, alleviando ulteriormente i costi che spettano allo Stato. È una buona mossa, ma non credo che avrà alcun successo, perché a Roma e Bruxelles la tendenza prevalente è quella dell’accentramento, della sottrazione di fette sempre più ampie di sovranità ai paesi membri.

Trentini ed Alto Atesini/Sudtirolesi non devono dividersi, devono fare fronte comune e farsi sentire, devono parlare la lingua di tutti, proprio come raccomanda di fare Faustini.

Ho scritto con Mauro Fattor il saggio “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso” proprio in previsione di questo tipo di evenienza globale con ripercussioni locali (cf. introduzione, pp. 15-20). Gli eventi ci stanno dando ragione.

Si devono fare richieste concrete che riguardino tutti e che possano realisticamente cambiare le cose, altrimenti Roma avrà buon gioco a mettere Lombardi e Veneti contro i Trentini, mentre i separatisti sudtirolesi frazioneranno ancora di più la società civile della provincia di Bolzano. Dobbiamo dare l’esempio a tutte le comunità italiane e non solo. Dobbiamo batterci per tutti e non solo per noi stessi. Dobbiamo agire localmente, ma pensare globalmente, pensare ad un Mondo Nuovo, dove il neoliberismo dei monopoli politico-economico-finanziari sia ricacciato indietro e si riprenda il cammino tracciato dai padri dell’autonomia e dai padri della Costituzione.

O si fa così, oppure le piazze non si riempiranno mai: né le nostre, né quelle altrui.

Concludo con una serie di interrogativi che spero riceveranno una risposta corale e positiva.
L’Alto Adige può imparare dagli errori trentini e vice versa?
Possiamo creare assieme un modello autonomistico che serva da piattaforma per tante altre realtà, disgiuntamente dal fattore etnico-linguistico?
Possiamo, cioè, essere “glocali”?
Come suggerisce Michele Nardelli, è possibile “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”?
http://www.michelenardelli.it/
Ma, soprattutto, Bruxelles sarà capace di superare il paradigma centralista ed accettare questo genere di sperimentazioni?

C’è chi dice no alla manifestazione per l’autonomia (e ha buone ragioni per farlo)

Piergiorgio Cattani dice cose molte giuste e scrive un articolo davvero molto bello, ma resto convinto della bontà della mia scelta per le seguenti ragioni.
I Trentini, da sempre, tendono alla letargia civica: si mobilitano solo nelle grandi emergenze e se le autorità li chiamano a farlo, e spesso neanche allora (il che non è necessariamente un male, dipende dalle circostanze: es. se sei alleato dei nazisti).
L’establishment locale sa che la nostra autonomia è a rischio, sa che a Bruxelles e a Roma non è vista di buon occhio. I Trentini non l’hanno ancora capito. Non credo che tutti i manifestanti di oggi siano simpatizzanti degli Schuetzen o della Trentinità etnicamente declinata e non credo che, manifestando, farò un favore a quel tipo di ideologia. La situazione richiede una mobilitazione popolare e io vi partecipo, con le mie idee e con la mia sensibilità, accettando che assieme a me vi siano persone con idee diverse e sensibilità diverse: abbiamo un obiettivo comune ed è giusto unirsi per essere più forti.

Ecco comunque il pezzo di Cattani.

“Andare in piazza o meno? Così avranno pensato molti politici trentini nel decidere se aderire o meno alla manifestazione per l’autonomia di sabato. Alla fine ci saranno tutti, nella più classica ammucchiata in cui l’importante è esserci per farsi un po’ notare: tutto il resto viene messo in subordine. Anche chi non ci sarà però finirà nello stesso calderone della propaganda opposta. Sarà additato come il perenne arrabbiato, come l’esibizionista che, appunto per farsi un po’ notare, preferisce andare contro le sue stesse idee: speriamo almeno che non sia considerato un nemico del Trentino. La manifestazione per l’autonomia può anche andare bene in termine di numeri, ma sicuramente non sortirà alcun cambiamento di immagine e di sostanza. Ci sono molte ragioni per non partecipare a un evento di questo genere.
In primo luogo per il contesto in cui questa idea è nata. Nei mesi scorsi il Trentino è stato vittima della periodica ondata di attacchi all’autonomia da parte di quotidiani nazionali. Di qui interviste infuocate del Presidente Dellai affinché le sortite del nemico fossero rintuzzate da una milizia popolare in grado di affrontare valorosamente le più numerose schiere altrui. Insomma bisognava andare in piazza. “Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, il Trentino chiamò”. Però citare l’inno d’Italia è proprio sbagliato in questo contesto, come pure sarebbe l’inno del Trentino quando parla di “italico cuore, italica mente”.
No, nella manifestazione di sabato c’è tutto un corredo di nostalgie improponibili, di difesa dell’autonomia stile Schützen, di identità pantirolese fuori dal tempo. Infatti all’auspicio dellaiano hanno risposto i giovani del PATT e quei settori più localisti e antimoderni che albergano nella nostra provincia. È bene che il “sacro furore” di certa gente sia contenuto, non alimentato dalla politica. Parteciperanno esponenti di varie sensibilità ma ciò non toglie nulla alla piattaforma ideologica sottostante. Quella di un autonomismo che guarda poco al futuro che crede di andare avanti ricordando il passato ed immergendosi in esso. All’esterno questa manifestazione non apparirà. Ne parleranno i giornali nazionali? Non credo. Cambierà qualcosa nella delicata trattativa tra Provincia e governo Monti? Difficile pensarlo. Come sempre avviene, queste manifestazioni sono ad uso interno. Si chiama alla mobilitazione immaginando un nemico esterno perché si è in difficoltà con la propria politica interna. Un classico, soprattutto nei regimi autoritari.
Veniamo qui alla seconda ragione per non andare in piazza. Questa manifestazione denota un basso livello di democrazia nel nostro Trentino. L’incontro di domani è stato ideato, voluto e sostenuto dalla Provincia Autonoma. È una manifestazione di “regime”, nel senso di establishment, di potere al governo. Appare risibile quando i politici parlano di “manifestazione spontanea”. Sarebbe come dire che Putin non c’entra niente con i cortei in suo favore. Probabilmente Dellai non ha fatto telefonate organizzative. Ma tutta l’istituzione si è mossa con lettere ripetute, con spot televisivi, con pressioni sugli amministratori. Bisogna esserci, vieni tu che vengo anch’io. Questa non è coesione, non è compattezza dietro la bandiera autonomistica. No, è semplicemente un far parte di una truppa sorvegliata a vista. Bisogna esserci, altrimenti non si sa mai. Questo è l’ordine tassativo venuto dall’alto. Per molti la convenienza, se non la paura, invita ad essere ben visibili in piazza. L’ideologia della “magnadora” non è lontana da questa impostazione. È incredibile che a questo appello (per usare un eufemismo) abbiano risposto all’unisono tutte le forze politiche di maggioranza e opposizione. Oggi però ci vorrebbero idee, non celebrazioni di una inesistente comunità autonoma.
I personaggi che si alterneranno dal palco probabilmente non condivideranno queste critiche. Anche non volendolo però reciteranno una parte in commedia. Ascolteremo critiche all’autonomia? All’uomo che ci rappresenta tutti? Non penso proprio. Anzi di fronte all’arrivo del nemico, la logica, la prudenza, la ragione impongono che il condottiero non si cambi. Bisogna stringersi invece intorno a lui.
Dato che qui in Trentino siamo fortunati e di consoli ne abbiamo due, Schelfi e Dellai, è bene mantenerli in sella. Ecco il vero messaggio della manifestazione di domani”.
http://ricerca.gelocal.it/trentinocorrierealpi/archivio/trentinocorrierealpi/2012/03/09/ANLPO_ANL01.html

L’Italia farà la fine della Spagna e la Spagna sta facendo la fine della Grecia e del Portogallo

a cura di jcassociati

“Con moderazione ma giustificata soddisfazione, la stampa finanziaria ha annunciato che dopo oltre sei mesi il rendimento dei titoli di stato italiani è tornato al di sotto di quello delle obbligazioni spagnole.

È evidente che questa circostanza rappresenta un’evoluzione molto positiva rispetto a solo poche settimane fa, soprattutto perché è stata raggiunta grazie ad un significativo calo dei rendimenti delle nostre obbligazioni.

Le operazioni di finanziamento a lungo termine della BCE hanno certamente contribuito in maniera sostanziale alla riduzione dei rendimenti, ma i titoli italiani ne hanno beneficiato in maniera enormemente maggiore rispetto a quelli spagnoli (per non parlare poi dei portoghesi).

Il merito va certamente all’azione del nuovo governo, che ha ridato fiducia ai mercati attraverso l’approvazione di importanti riforme, che aiuteranno il paese a tornare al pareggio di bilancio nel 2013, iniziando così un percorso “virtuoso” di rientro dell’indebitamento.

Tutto bene quindi? Può darsi.

Noi però abbiamo (forse) la memoria un po’ più attenta di tanti giornalisti e analisti, o forse ci piace fare l’avvocato del diavolo, e siamo andati a ripescare le motivazioni che, circa un anno fa, fecero iniziare un movimento inverso a quello attuale, con i rendimenti dei bond spagnoli in forte discesa rispetto a quelli italiani.

Allora, erano i mesi di marzo e aprile 2011, il governo Zapatero passò una serie di riforme, tra cui quelle delle pensioni e del contenimento della spesa pubblica (vi ricorda qualcosa?). I mercati finanziari apprezzarono, indicando la Spagna come un esempio da seguire per la serietà e l’impegno con i quali si stavano perseguendo gli obiettivi di risanamento. Proprio in quei mesi iniziò il movimento a ribasso dei rendimenti spagnoli, che li portò a fine 2011 di quasi 2 punti percentuali (sulle scadenze decennali) al di sotto di quelli italiani.

Cosa è cambiato quindi nei primi due mesi del 2012?

Oltre alla percezione nettamente migliorata sull’Italia, due “tegole” si sono abbattute sulla Spagna: la prima riguarda i dati di deficit di bilancio decisamente peggiori delle attese, sia per il consuntivo 2011 che per la previsione del 2012. Oltre a ciò il “vicino” Portogallo sembra avviarsi verso un “avvitamento” della propria posizione finanziaria in stile Grecia, con dati di deficit nettamente peggiori delle attese. Va sottolineato che anche il Portogallo aveva approvato nel corso del 2011 misure drastiche di austerità e risanamento, tanto da meritarsi il plauso delle autorità europee e del Fondo Monetario Internazionale.

È accaduto che nei paesi iberici, l’implementazione delle riforme di austerità durante una fase di generale difficoltà economica, ha creato i presupposti per una recessione più profonda delle attese; quindi meno entrate fiscali e deficit più elevati.

In un certo senso, le stesse riforme che avevano “convinto” i mercati nel 2011, hanno contribuito al peggioramento dei conti pubblici di Spagna e Portogallo invertendo la percezione e la propensione degli investitori.

La storia non si deve necessariamente ripetere, ma le similitudini tra il percorso intrapreso dalla Spagna un anno fa e quello iniziato dal governo Monti tra fine 2011 e inizio 2012 sembrano davvero numerose.

Come cittadini italiani auguriamoci che l’Italia non segua lo stesso percorso della Spagna, come investitori però non possiamo non sottolineare il rischio che la “luna di miele” tra gli investitori e i titoli di stato italiani iniziata a gennaio, potrebbe avere basi meno solide rispetto a quanto molti danno per scontato”.

http://www.soldionline.it/network/idee-investire/il-sorpasso-i-bond-italiani-rendono-meno-di-quelli-spagnoli.html

Perché il 10 marzo sarò in piazza per l’autonomia (sintesi)

di Stefano Fait

Il precedente post su questo argomento era troppo lungo:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/06/il-10-marzo-si-fa-la-storia-a-piccoli-passi/

L’ho sintetizzato perché è importante che siano chiare le mie motivazioni, che mi auguro siano ampiamente condivisibili e condivise.

Sarò anch’io in piazza a celebrare l’autonomia, il 10 marzo.

Questo per due ragioni.

La prima è la condivisione del progetto ventilato da Michele Nardelli e da altri di “fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale”.

La seconda ragione si è imposta ascoltando le parole di due parlamentari italiani, entrambi fautori di una Grande Coalizione a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013. La definivano un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!), bollati come “populisti” e “demagoghi”. Mi ha particolarmente colpito una frase: “Non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione, dobbiamo fare lo stesso”.

I due parlamentari dichiarano che esiste un unico modello di sviluppo possibile e che chi non lo condivide è un irresponsabile, proprio in una fase storica in cui le magagne del sistema sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene nostro e delle generazioni a venire.

Quel che è peggio è che s’intravede, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali sia sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere centrale siano al contrario sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi.

Viene così a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità, fonte di creatività, innovazione, miglioramento, autocritica, graduale maturazione della società civile. Si prospettano, al contrario, energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia potrebbe avere un significato molto importante, forse perfino epocale e voglio esserci anch’io.

Il 10 marzo si fa la storia, a piccoli passi

di Stefano Fait

Qui una sintesi delle riflessioni sviluppate nell’articolo che segue le citazioni:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/07/perche-il-10-marzo-saro-in-piazza-per-lautonomia-redux/

Se in piazza non ci saranno migliaia di persone, sarà un flop clamoroso.

Luis Durnwalder, “Trentino”, 2 marzo 2012

Il mio timore è che molti di noi, pur amando dissertare di autonomia, pur riconoscendone valore e utilità, non ne avvertano invece una sincera ed autentica passione.

Franco Panizza, “Trentino”, 3 marzo 2012

Una proposta, quella di fare del Trentino un laboratorio permanente per la risoluzione dei conflitti nazionali e territoriali attraverso l’autogoverno come paradigma post-nazionale, mettendo in rete – come è stato per la Carta sull’autonomia del Tibet – i luoghi della ricerca di questa terra impegnati sul piano internazionale, dall’Università al Centro di formazione alla solidarietà internazionale, dal Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani all’Osservatorio Balcani Caucaso… Ne avevamo parlato qualche giorno fa con l’ambasciatore del Marocco e con il presidente Dellai, a partire dalla semplice considerazione che quello trentino è in sé un piccolo laboratorio sull’autonomia, guardato con attenzione da molti e in latitudini diverse.

Michele Nardelli

http://www.michelenardelli.it/diario.php?anno=2012&mese=03

L’autonomia, sia individuale sia collettiva, pietra angolare dei regimi democratici, corrisponde al diritto di cercare attraverso se stessi, non alla certezza di trovare.

Tzvetan Todorov, “Il secolo delle tenebre”

Difetta nei più, per miseria, per indifferenza, secolare rinuncia il senso geloso e profondo dell’autonomia e della responsabilità. Un servaggio di secoli fa sì che l’italiano medio oscilli oggi ancora tra l’abito servile e la rivolta anarchica. Il concetto della vita come lotta e missione, la nozione della libertà come dovere morale, la consapevolezza dei limiti propri ed altrui, difettano. Gli italiani hanno più spesso l’orgoglio della loro persona, nei suoi valori e rapporti esterni, che della loro personalità. […]. Mussolini fornisce la misura della sua banalità quando considera il problema della autorità e della disciplina come il problema pedagogico essenziale per gli Italiani. Vivaddio, non è questo che occorre insegnare agli Italiani! Da secoli si piegarono a tutti i domini e servirono tutti i tiranni. La nostra storia non offre sinora nessuna vera rivoluzione di popolo.

Carlo Rosselli, “Socialismo liberale”

Ieri sera sono rimasto assolutamente sconcertato dalla visione del mondo delineata su Rai News 24 da due parlamentari italiani, Adolfo Urso (ex MSI, presidente della Fondazione i FareFuturo, e Guido Crosetto (PDL).

Entrambi fautori di una Grande Coalizione PDL-PD-Centro a sostegno della ricandidatura di Monti nel 2013, la definiscono un’Alleanza dei Responsabili, contrapposta a “tutti gli altri” (sic!) che bollano come “populisti” e “demagoghi”, spiegando che “non si può andare contromano su un’autostrada. Se il mondo va in una certa direzione l’Italia deve fare lo stesso”. I due parlamentari dividono il mondo tra i realisti che appoggiano Monti e la Tav e gli altri, gli anti-moderni, che rappresentano una zavorra per l’Italia e con i quali non si possono stabilire degli accordi, perché sono per definizione nel torto. La Grande Coalizione sarebbe allora una muraglia contro questi nuovi barbari, per preservare la civiltà. Se qualcuno pensa che io sia caduto in eccessi retorici, lo invito a seguire con attenzione le dichiarazioni di chi si schiera con il progetto della Grande Coalizione. Urso e Crosetto hanno promesso che nei prossimi mesi la separazione antropologica tra gli uni e gli altri sarà resa sempre più netta, “per poter chiarire le idee all’elettorato italiano, in special modo riguardo alla grande trasformazione della logica degli schieramenti che si renderà necessaria per dar vita alla Grande Coalizione”.

Considero un’assoluta priorità smascherare la reale natura di questo progetto, che è destinato a ridurre ulteriormente gli spazi democratici di questo paese e a confliggere con le autonomie locali.

La visione del mondo propagandata dai summenzionati parlamentari (ma anche dal governo Monti e da Napolitano) è quella, fatalistica, di una società governata da forze inarrestabili ed incontrollabili che si possono solo assecondare. Mentre la premessa della democrazia è l’autodeterminazione, la capacità dei cittadini di trasformare le proprie circostanze di vita eleggendo dei rappresentanti che incarnino la loro volontà, che può essere e spesso è in contrasto con quella di chi detiene il potere economico-finanziario e militare, la lettura della realtà di questi politici non è dissimile a quella che ha ostacolato l’abolizione dello schiavismo e dell’apartheid: esiste un unico modello possibile, chi dissente è un demagogo, chi sottoscrive è responsabile. Crosetto lo diceva con gli occhi bassi, senza guardare la telecamera. Forse una parte di lui si vergognava delle parole che gli uscivano dalla bocca. Urso, memore del suo passato alla direzione nazionale del Fronte della Gioventù, sembrava trovarsi molto a suo agio in questa cornice di ineluttabilità e di gerarchie inossidabili. Fosse stato per loro Rosa Parks, l’involontaria eroina dell’anti-segregazionismo, non sarebbe mai dovuta esistere: irresponsabile! Com’è irresponsabile, sempre dal loro punto di vista, una comunità autonoma che si oppone al volere delle autorità centrali.

Lo chiede Bruxelles! Lo chiedono le autorità mondiali!

Sarebbe bene che Durnwalder e Dellai – e chi verrà dopo di loro – riflettessero a lungo sulle implicazioni del varo della Grande Coalizione. Vi è, alla radice, l’idea che il dissenso dei cittadini e delle comunità locali è sempre e comunque espressione di un interesse particolare nocivo al bene comune e che i progetti del potere sono sempre guidati da una prassi decisionale efficace, rapida e pragmatica che privilegia razionalità, disciplina ed assenza di sentimentalismi, preconcetti e pregiudizi. Tecnici e professori non sbagliano e, se sono dalla parte sbagliata, come nel caso dei no-Tav, è perché sono faziosi e non analizzano la realtà obiettivamente (altrimenti sarebbero pro-Tav).

In questa supponente Weltanschauung, gli autonomismi rappresentano un’incoerenza ed una contraddizione nel disegno generale, sono intellettualmente e psicologicamente irritanti, fomentano l’indisciplina ed il disordine.

L’aggressività montiana contro le autonomie non è esclusivamente motivata dalla dottrina dell’austerità senza se e senza ma. C’è dietro anche un impulso psicologico dettato dal senso di intangibilità morale (che normalmente appartiene alla sfera del sacro), il senso che le proprie decisioni sono insindacabili e moralmente ineccepibili e che chi punta il dito contro l’arbitrarietà di certe decisioni prese in nome del bene comune non sa quello che dice o è un fanatico, populista/demagogo, ecc. Questo paternalismo/maternalismo statalista mal tollera le autonomie e non è per nulla benevolo, anche se ritiene di esserlo: il potere di generare la vita e di nutrirla è anche quello che la fa appassire; la fiducia può mutarsi in ricatto.

Viene allora a mancare la cultura tipicamente democratica della gestione del conflitto e della pluralità come fonti di creatività, innovazione, miglioramento, proprio in un momento in cui le magagne del modello di sviluppo dominante sono dolorosamente sotto gli occhi di tutti ed è sempre più chiaro che il nostro stile di vita deve essere negoziabile, per il bene delle generazioni a venire.

Invece il conflitto viene riclassificato come caos: il mantenimento dell’ordine delle cose non va messo in discussione e chi lo fa è dogmatico, superstizioso o disadattato ed il suo atteggiamento è passibile di correzione. Giusto è quel che il potere stabilisce sia giusto e solo dei malvagi e degli egoisti si potrebbero opporre al giusto ed al bene: saranno dunque necessari degli energici disciplinamenti della popolazione e dei governi locali. Ciò che stona va rimosso, in nome dell’utilità sociale.

Alla luce di quanto detto, la manifestazione di sabato 10 marzo in piazza Battisti a Trento in difesa dell’autonomia avrà un significato molto importante, forse perfino epocale.

In Italia non se ne accorgerà nessuno, perché i media saranno occupati a coprire ben altre questioni, ma resta il fatto che questo evento molto piccolo crescerà, con il tempo, fino ad assumere proporzioni forse ingiustificate, perché noi esseri umani viviamo in una rete di miti ed archetipi e continuiamo a produrne di nuovi. Quel che è certo è che si tratta dell’inizio di un discorso più ampio che non sappiamo dove ci condurrà, ma che è diventato irrinunciabile ed è decisamente stimolante, come lo sono, di norma, le grandi trasformazioni.

Data la situazione attuale:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/prima-vennero-per-i-greci-e-non-dissi-nulla-perche-non-ero-greco/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

ad aprile, i Greci voteranno quasi certamente per un governo tenacemente ostile a Bruxelles, che molti prevedono indirà quanto prima un referendum sulla permanenza nell’eurozona. Sfidando l’ira delle autorità europee, il nuovo primo ministro spagnolo Mariano Rajoy ha dichiarato che sarebbe suicida inseguire i termini europei sul taglio del deficit, perché spingerebbe il tasso di disoccupazione oltre la soglia del 25% (quella giovanile è già oltre il 40%). La Spagna è un morto che cammina, anche se i riflettori si concentrano su Grecia e Portogallo, che in effetti, fino ad oggi, se la sono passata peggio. Si trascura la Spagna (in termini di PIL, 1XSpagna = 5XGrecia), perché la sua caduta segnerebbe la fine del progetto degli Stati Uniti d’Europa. Però alla fine del 2011 il deficit spagnolo ha toccato quota 8,51%, 2 punti e mezzo percentuali oltre quel che aveva preventivato Zapatero. Quello delle comunità autonome è più che raddoppiato in un solo anno. Una politica di rientro del deficit che eviti sommosse in ogni città spagnola è praticamente impossibile.

In Francia la notizia che la Merkel avrebbe fatto (slealmente: si può dire?) campagna elettorale per Sarkozy ha favorito il suo sfidante socialista, Hollande, molto critico della politiche europee di austerità e centralistiche:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-03-06/patto-antihollande-sarkozy-autogol-063917.shtml?uuid=AbRsOz2E

I potenti d’Europa non hanno ancora capito che la maggioranza dei cittadini li detesta?

La Repubblica Ceca si è saggiamente chiamata fuori dall’intesa fiscale (Fiscal Compact – la “regola d’oro” della disciplina del budget), assieme ai britannici. Il governo irlandese indirà un referendum sul Fiscal Compact, l’insieme delle nuove norme europee di controllo del budget fiscale. Gli Irlandesi hanno già bocciato il trattato di Nizza nel 2001 e quello di Lisbona nel 2008. Il giudizio dell’elettorato è, per il momento, negativo. Questo voto non rappresenta una minaccia per le autorità europee, dato che sono sufficienti 12 ratifiche su 25 stati firmatari per approvare il F.C. Tuttavia il no lancerebbe un chiaro segnale agli altri popoli europei che già associano il termine austerità all’idea di trasferimento dei beni dalla classe media ai ricchi.

Veniamo all’Italia, che registra una caduta dei consumi persino nel settore alimentare, quello che in tempi di crisi è l’ultimo a cedere. Nel frattempo il mercato delle auto sta tirando le cuoia (mentre Marchionne continua a pontificare su tutto):

http://www.unrae.it/primo-piano/categorie/comunicati-stampa/item/2287-immatricolazioni-di-autovetture-febbraio-2012

Quest’inverno migliaia di Europei sono morti assiderati (ipotermia) o di malattie stagionali perché non potevano permettersi di pagare le bollette e le medicine.

In Portogallo:

http://www.rtp.pt/noticias/index.php?article=530502&tm=8&layout=121&visual=49

nel Regno Unito:

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2100232/Frozen-death-fuel-bills-soar-Hypothermia-cases-elderly-double-years.html?ito=feeds-newsxml

nell’Europa orientale ed occidentale:

http://it.euronews.net/2012/02/02/europa-ondata-di-freddo-killer/

Il prossimo inverno, se sarà rigido quanto il precedente (o più rigido),

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/verso-una-nuova-era-glaciale-il-quadro-dinsieme/

tutto questo non sarà accettato con fatalismo. Tra una tormenta e l’altra i cittadini andranno a prendersi con la forza quello di cui necessitano.

Il forte rallentamento dell’economia cinese (-1,5% rispetto all’anno precedente) e il nuovo boom dei junk bonds (i titoli spazzatura/obbligazioni ad alto rischio che ci hanno portato al disastro) ci fa capire che la crisi dell’eurozona è quasi certamente definitiva e che anche gli stati nazionali rischiano di essere trascinati nell’abisso di questo colossale fallimento, sotto il peso di un indebitamento senza rimedio.

Questo scenario può sfociare in due possibili direzioni: quella di uno stato centralizzato, sul modello degli Stati Uniti d’America (federazione), oppure quella di una proliferazione di piccoli stati confederati (confederazione), allineati allo spirito delle occupazioni degli indignati e della lunga tradizione dell’autonomismo/regionalismo/municipalismo italiano, che evolveranno verso nuove forme di auto-organizzazione collettiva.

Ahimè, ciò, verosimilmente, non avverrà pacificamente: nessun parto è pulito ed indolore.

L’AUTONOMIA PUÒ ESSERE IL VALORE-GUIDA DEL MONDO NUOVO

Ospitalità ed autonomia potrebbero rappresentare lo strumento del nostro riscatto, il volano per un Mondo Nuovo.

La libertà individuale, con annessa responsabilità personale, a volte ci sembra una zavorra. È più facile delegare le decisioni ad altri ed accusarli di aver sbagliato, se commettono degli errori. È ancora più facile distribuire la responsabilità tra i membri di un’intera comunità, enfatizzando la libertà collettiva e i narcisismi collettivi: “mal comune mezzo gaudio, e comunque tutte queste persone non possono aver torto” (chissà quanti Tedeschi l’hanno pensato o detto durante il nazismo!).

L’idea moderna di autonomia, però, è incentrata sul principio dell’importanza di assumere, almeno in una certa misura, il controllo delle proprie esistenze, coralmente, invece di vivere alla mercé degli agenti esterni, in un infantilismo protratto.

Ho già affrontato la questione della libertà, il principio da cui scaturisce quello dell’autonomia in un articolo di qualche tempo fa:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-liberta-quella-vera/

L’idea moderna di autonomia presuppone l’autodeterminazione personale (libertà) in una cornice di autodeterminazione comunitaria (responsabilità).

L’una non esclude l’altra: sono complementari.

Un cittadino adulto, maturo, non ripudia la sua autonomia di giudizio e si batte per espandere questo suo diritto inalienabile (giacché non è un privilegio né una concessione), a partire dalla sua comunità, perché sa che essere circondato da persone consapevoli, libere e responsabili, che sanno decidere in coscienza, va a tutto vantaggio suo e del bene comune. In questo senso la democrazia autonomista ha provato, per quanto è possibile, a realizzare (inverare) l’ideale delle prime comunità cristiane: la piena autonomia delle personalità nell’unità di un destino comune. Questo ideale, a sua volta, in un circolo virtuoso, si fa spontaneo promotore delle virtù dell’autonomia: la tolleranza (non paternalistica), il dialogo, l’apertura, l’autodisciplina e la disponibilità all’autocritica ed al cambiamento. 

Riguardo a quest’ultimo aspetto, non dobbiamo commettere l’errore di ricadere in quello che chiamo “autonomismo tassidermico”, ossia la tendenza a fissare le identità come quando s’impaglia un animale, a bloccare il cambiamento, come i serpenti che cambiano pelle ma rimangono sempre gli stessi. Quella è la strada della morte dell’autonomismo e delle sue istituzioni, che diventano dei morti-viventi che pretendono devozione ed asservimento a beneficio della loro auto perpetuazione, invece di porsi al servizio dei cittadini, come sarebbero tenute a fare (è quella la loro ragion d’essere).

L’autonomia, l’autonomismo, le comunità autonome devono poter cambiare nel tempo, come cambiano gli esseri umani, altrimenti diventano ingabbiatori e vampiri, annichilitori della ragione e dignità umana. Un autonomismo etnicamente connaturato, per quanto si sforzi di passare per una crociata in favore dei più deboli, è ispirato al principio del diritto del più forte di prevalere ed infantilizza i cittadini invece di avviarli alla maturità. Infatti nessuno può definire me o chiunque altro: solo io posso assumermi la responsabilità di stabilire chi sono e come gestire responsabilmente questa mia identità mutevole, eterogenea, sfuggente.

Malauguratamente, la tendenza dominante al momento attuale è quella di un’unificazione europea di carattere tecnocratico ed autoritario, avversa alle autonomie locali. In ogni occasione ci viene ripetuto che questa è l’unica soluzione a tutti i nostri problemi.

Queste sono le mie argomentazioni in favore di un programma confederale (ossia contro il progetto degli Stati Uniti d’Europa):

  1. L’attuale configurazione dell’Unione Europea va già più che bene: c’è pace, c’è stabilità e ci sarebbe pure prosperità, se i politici prestassero più ascolto ai cittadini-elettori che alle sirene dell’alta finanza. Semmai, una sua riforma dovrebbe privilegiare le autonomie locali, non abolire la sovranità degli stati nazionali e, così facendo, minacciare le stesse autonomie locali (cf. Trentino-Alto Adige);
  2. tenuto conto dei successi indiscutibili delle nazioni più piccole di ogni continente, l’obiettivo dovrebbe essere quello di una confederazione di repubbliche di dimensioni più ridotte, meno militariste, unite dalla gestione della politica estera e delle questioni di interesse generale;
  3. le riforme dovrebbero riguardare essenzialmente la regolamentazione dell’economia, della finanza, del fisco e del mondo del lavoro – nel senso della tutela di chi produce ricchezza, non di chi si comporta come un parassita e vive alle spalle dei lavoratori, investitori ed imprenditori (speculatori ed evasori);
  4. non si attua un radicale riorientamento delle istituzioni dall’alto se manca il consenso popolare (la democrazia prevede strumenti di consultazione della cittadinanza);
  5. è mai possibile che le lezioni del nazismo, del comunismo e dell’americanismo non siano state apprese?
  6. quando il potere si accentra cresce il rischio di corruzione e si rafforza la minaccia di sviluppi oligarchici e tirannici (“il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente”);
  7. più ampia è la popolazione, più grande sarà la distanza tra elettori ed elettorato, perché ci saranno pochi rappresentanti per numerosissimi cittadini e ciò non può che nuocere alle dinamiche democratiche (Montesquieu docet: è improvvisamente diventato un pensatore irrilevante?);
  8. l’unionismo europeista comporta un drastico ridimensionamento dell’autonomia dei governi locali, gli unici strettamente a contatto con la realtà locale, eredità della lotta contro gli autoritarismi del passato: vogliamo più autonomie locali, non meno;
  9. un’unica capitale federale diventerebbe un ricettacolo di burocrati parassitari e politicanti. Pensiamo a Washington ed a Bruxelles. Hanno forse completamente torto i leghisti quando esclamano: “Roma ladrona”? Non c’è neppure un fondo di verità? Vogliamo che Bruxelles si degradi ulteriormente?
  10. in un ordinamento compiutamente confederale dotato di una carta dei diritti (o anche senza di essa, se le costituzioni dei vari stati vengono rispettate) ci potremmo permettere più ampie forme di democrazia diretta senza scivolare nella tirannia delle maggioranze. Saremmo tutelati dagli arbitri della Commissione Europea e della Banca Centrale Europea che stanno spogliando i cittadini dei loro risparmi per riassegnarli a chi già prospera;
  11. in una confederazione ci sarebbe il rischio di una burocrazia ipertrofica ed onnipotente come quella dell’attuale Unione Europea sarebbe attenuato;
  12. in una confederazione si introdurrebbero procedure che consentano le rotazioni periodiche degli incarichi politici di raccordo, per evitare che qualcuno si “incolli” alla sua poltrona, togliendo la delega in caso di incompetenza o disonestà;
  13. si bloccherebbe la strada del presidenzialismo, che assegna eccessive prerogative al presidente, senza che ci sia la minima certezza che sia invariabilmente una persona proba (es. Bush negli Stati Uniti e il mentitore, violatore del diritto internazionale e guerrafondaio Tony Blair, la cui candidatura alla presidenza dell’Unione Europea era stata ventilata da più parti);
  14. una confederazione abolirebbe gli eserciti professionali (permanenti), preferendo addestrare milizie locali, che non rappresentano mai una minaccia per la democrazia e i diritti civili e non instillano nei cittadini quella mentalità guerriera, aggressiva che affligge il mondo (cf. Merkel e Sarkozy e la vendita coatta di armi alla Grecia).

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/no-agli-stati-uniti-deuropa-le-ragioni-del-dissenso/#axzz1nlLMVkzb

“Tav subito o sarà troppo tardi” (martedì 15 ottobre 1991)

« Older entries

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: