Elezioni austriache e oligarchi
25 aprile 2016 a 10:10 (Etnofederalismo/Etnopopulismo)
Tags: Alba Dorata, ambientalisti, Corbyn, destra austriaca, destra europea, destra populista, estrema destra, etnopopulismo, lepenismo, nazionalismo, Norbert Hofer, razzismo, Sanders, Verdi
Violenza, nonviolenza e democrazia nella prossima guerra totale in Medio Oriente
28 luglio 2014 a 12:36 (Terza Guerra Mondiale e Secondo Olocausto)
Tags: apartheid, Arafat, democrazia, disinformazione, Gandhi, guerra totale, guerriglia, Haaretz, Hamas, informazione, intifada, Israele, lotta armata, Mandela, Medio Oriente, nazionalismo, nonviolenza, pacifismo, Palestina, propaganda, Salman Rushdie, stampa libera, Sudafrica, Terza Guerra Mondiale
For a New World Order to live well
Quando Israele sarà al centro del più grande conflitto mediorientale della storia (e succederà, perché è il Likud che lo vuole) la gente prenderà posizione per gli uni e contro gli altri. Io tifo per gli uni e per gli altri o, per meglio dire, per tutti quegli israeliani e palestinesi che guardano oltre i tribalismi, i propri orticelli, le proprie paure e rancori.
I pro-Israele dichiarano: “Israele è l’unica democrazia della regione”.
Però:
1. I media israeliani sono quasi esclusivamente ultranazionalisti e il povero Haaretz è sottoposto a una costante campagna di delegittimazione interna. Può essere realmente democratico un paese neoprussiano in cui non esiste di fatto pluralismo nell’informazione?
2. Hamas ha vinto delle elezioni monitorate e ritenute legittime;
3. Nelson Mandela, nel 1961, divenne il comandante dell’ala armata Umkhonto we Sizwe dell’ANC (“Lancia della nazione”, o MK), della quale fu co-fondatore. Coordinò la campagna di sabotaggio contro l’esercito e gli obiettivi del governo ed elaborò piani di una possibile guerriglia per porre fine all’apartheid. Raccolse anche fondi dall’estero per il MK e dispose addestramenti paramilitari, visitando vari governi africani. Nell’agosto del 1962 fu arrestato dalla polizia sudafricana, in seguito a informazioni fornite dalla CIA (wikipedia);
4. Benché la violenza non sia lecita, quando è opposta per autodifesa, o in difesa degli inermi, è un atto di coraggio assai preferibile alla codarda sottomissione. (Gandhi, Harijan, 27 ottobre 1946)
5. Il messaggio di “Gandhi” [il film di Richard Attenborough] è che il modo migliore di ottenere la libertà è quello di mettersi in fila, senza armi, e marciare verso gli oppressori, permettendo loro di ridurti inerme al suolo a suon di manganello; se resisti sufficientemente a lungo, li metterai in tale imbarazzo da costringerli ad andar via. Tutto ciò è la peggior sciocchezza mai sentita ed è una sciocchezza pericolosa. La nonviolenza fu una strategia scelta da un popolo specifico nei confronti di un oppressore specifico; generalizzare da tutto ciò costituisce un atto sospetto. Che utilità avrebbe avuto la nonviolenza, ad esempio, contro i nazisti? […]. “Gandhi” ci mostra un santo che vinse un impero, ma non è che frutto di invenzione (Salman Rushdie, 1991).
6. Lasciate anche che essi prendano possesso della vostra bella isola e dei vostri numerosi bei palazzi. Darete loro tutto questo, ma non le vostre anime né i vostri cuori. Se quei gentiluomini decidono di occupare le vostre case, vi trasferirete, e se non vi permetteranno di andarvene liberamente, vi farete massacrare tutti, uomini, donne e bambini, ma rifiuterete di dar loro la vostra lealtà (Messaggio di Gandhi agli inglesi,1940)
A me pare che la questione non sia così scontata
http://www.futurables.com/2014/07/21/israele-un-monito-per-lumanita/
Io desidero fortemente che Israele e la Palestina sopravvivano a quel che verrà e dimostrino nel corso delle prossime generazioni che l’umanità ha tutto quel che occorre per costruire una civiltà diversa, un mondo migliore.
Ci vorranno moltissimi anni, forse più di un secolo, come nel Sudafrica, che è ben lungi dall’aver risolto i suoi problemi. Ma questi popoli vanno assistiti, una volta che le fazioni guerrafondaie e nazionaliste saranno state scacciate dal potere.
Il loro successo è il nostro successo. Queste persone non devono essere morte invano.
Mario Mauro muro di gommarabica. Ammiraglia mira a mirabolanti mercimoni con emiri e mori. Merda! (1914-2014)
14 novembre 2013 a 14:01 (Terza Guerra Mondiale e Secondo Olocausto, Verità scomode)
Tags: 1914, 1914-1918, 2014, business is business, Cavour, celebrazioni, centenario, commemorazione, dittature, guerra, guerra mondiale, guerrafondai, guerrafondaio, guerre mondiali, Mario Mauro, ministro, Napolitano, NATO, nazionalismo, patria, portaerei, quarta guerra mondiale, regimi, stati canaglia, Terza Guerra Mondiale, vendita di armi, war is a business
a cura di Stefano Fait
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Le nostre ‘eccellenze militari’ faranno bella mostra di sé in paesi dove sono in vigore regimi autoritari, e in alcuni di questi sono in corso conflitti armati. L’impegno dell’Italia dovrebbe invece andare nella direzione della pace e della diplomazia, e non privilegiare l’industria militare come strumento di politica estera. Le parole del Ministro Mauro non hanno convinto nessuno. Né noi né il Parlamento. Sulla portaerei Cavour (il ministro, ndr) ha rimandato a risposte future e ha aggiunto che l’Italia non farà il tour dell’Africa per vendere armi. Certo, non direttamente. Ma, la pubblicità dei prodotti militari cosa produce?
Arturo Scotto, capogruppo SEL in Commissione Esteri
Si stanziano milioni di euro per commemorare (celebrare?) un olocausto militare (1914-1918) che ci ha trascinati fino alle due guerre mondiali successive (1939-1945: Europa e Pacifico / 1947-1989: ex colonie) e, in prospettiva, a una possibile quarta guerra mondiale (2014-???). Il tutto nel giro di un secolo.
Ci si chiede di ricordare coloro che sono morti nelle grandi guerre anche se le nostre commemorazioni saranno cooptate dai politici per giustificare guerre al terrore o contro gli “stati canaglia” che diventano un pretesto per spogliarci dei nostri diritti civili (sì, qualcuno se né accorto) e fare affari.
Siamo tenuti a commemorare soldati che non sono morti per la patria o per degli ideali, che erano in gran parte contadini, artigiani e operai che non avevano mai assaggiato il sapore della libertà, dell’uguaglianza, della fratellanza, della dignità, della democrazia, che non avevano altra scelta che essere gettati in un gigantesco tritacarne a beneficio delle ambizioni di una ristrettissima élite.
Dovremo sorbirci un’altra orgia nazionalistica dopo quella del 2011 per i 150 anni d’Italia, un’ubriacatura di simboli e valori come sacrificio, patria, dovere onore, naturalmente declinati umanitaristicamente – com’è d’uopo nel terzo millennio –, ma non per questo meno dozzinali e offensivi per l’intelligenza di una popolazione non più rintronata e analfabeta come un tempo, che convoglieranno i nostri pensieri ed emozioni nella direzione desiderata dall’establishment (o una sua parte?): la direzione dello scontro armato con – tanto per non sbagliare – il resto del mondo.
Perché, come ci assicura il mai sorprendente e ormai totemistico Napolitano, in un mondo “sempre più complesso” ed esposto a “rischi e minacce”, “non possiamo indulgere a semplicismi e propagandismi che circolano in materia di spesa militare e di dotazioni indispensabili per le nostre forze armate” (e abbiamo soldi da buttare nei catorci che ci rifilano i nostri soci di maggioranza: Lockheed Martin).
A settembre il nostro ministro della “difesa” (leggi: guerra), Mario Mauro, per nulla semplicisticamente e per nulla propagandisticamente, mentre digiunava con il papa contro la guerra, inviava alla chetichella unità navali nel Mediterraneo orientale, dove i nostri soldati e quelli francesi attendono di trovarsi nel bel mezzo dello scontro finale tra Israele ed Hezbollah, non diversamente da quelli accerchiati in Afghanistan (perché noi, strategicamente, abbiamo fatto passi da gigante dai tempi di Stalingrado…e poi gli americani, come i tedeschi del 1942, sanno quel che fanno: una passeggiata)
http://www.analisidifesa.it/2013/09/siria-mauro-manda-le-navi-non-lo-dice-a-nessuno/
Questo è il modo in cui onoriamo i nostri caduti, preparando un altro sacrificio di massa di giovani volonterosi e seriamente convinti di essere in missione per conto del Bene: dulce et decorum est pro patria mori (e per un “mondo migliore”).
Quel Bene che appoggia apertamente il Trucidatore di massa al-Sisi in Egitto, gli alqaedisti in Siria, le tirannie del Golfo, i torturatori del popolo greco e tutti i fautori del neoliberista Washington Consensus.
Il Bene che costruisce gigantesche basi aeronavali a poche centinaia di chilometri da Shanghai – a Jeju, l’Isola della Pace (!!!) sudcoreana –, giusto per far capire ai cinesi che si possono fidare di noi e agli isolani sudcoreani che “business is business” e “war is a business”.
L’insana idea dello Stato Libero del Sudtirolo e le mafie transnazionali
16 agosto 2013 a 08:56 (Alto Adige / Sudtirolo, Antropologia, Controrivoluzione e Complotti, Etnofederalismo/Etnopopulismo, Miti da sfatare)
Tags: Alto Adige, Ambrose Evans-Pritchard, Assam, balcanizzazione, Bultrini, Catalani, Catalogna, Charlemagne, Costituzione, cultura, culturalismo, Darjeeling, divide et impera, Economist, entropia, essenzialismo, Evans-Pritchard, federalismo, François Thual, Freiheitlichen, Freistaat, globalismo, Heimat, imperialismo, imperialismo culturale, India, indipendentismo, indipendentismo sudtirolese, jugoslavizzazione, Kurapovna, Lega Nord, leghismo, localismo, mafia, Marcia Christoff Kurapovna, media angloamericani, nazionalismo, oligarchie, oligarchie transnazionali, Padania, particolarismo, patriottismo, piccole patrie, Raymond Zhong, razzismo, Südtiroler Freiheit, secessionismo, separatismo, sovranità, stampa angloamericana, Sudtirolo, Suedtiroler-Freiheit, Telangana, Tirolo, umanità, unificazione, universalismo, Uttar Pradesh, Wall Street Journal
Nel Terzo Millennio, il solito, volgare refrain; il solito manicheismo
Volendo preservare l’unità spirituale e culturale del Tirolo ed il suo patrimonio storico…
Proposta di Costituzione per lo Stato Libero del Sudtirolo, a cura dei Freiheitlichen
Tra sfide e rancori in India nasce un nuovo stato, il Telangana…la scelta del Congresso sta già ottenendo un effetto boomerang negli altri territori dove ci si batte per l’indipendenza. A Kokrajhar gli animi sono surriscaldati…per una protesta dei separatisti del Bodoland, Karbi e Anglong che vogliono divorziare dall’Assam. Incidenti anche nel Darjeeling per i sostenitori del Gorkhaland, mentre in Uttar Pradesh la ex premier Mayawati Kumari ha rilanciato la sua idea di dividere in quattro il più popoloso stato indiano.
Raimondo Bultrini, il Venerdì, 16 agosto 2013
L’offensiva filo-separatista della stampa angloamericana ha raggiunto il suo culmine nella seconda metà del 2012. Il 12 luglio 2012 Marcia Christoff Kurapovna, neoliberista sloveno-americana residente a Vienna, pubblica sul Wall Street Journal un peana in favore della dissoluzione di Grecia e Italia in piccole città-stato. Ambrose Evans-Pritchard, figlio di un antropologo invischiato nella strategia del divide et impera dell’imperialismo britannico, preconizza la jugoslavizzazione della Spagna (Telegraph 25 settembre 2012). Il New York Times pubblica un articolo di due indipendentisti catalani dal titolo “prigionieri della Spagna” (2 ottobre 2012). Il blog Charlemagne dell’Economist prevede rivolte tra i giovani catalani se i loro sogni indipendentisti non saranno soddisfatti (26 novembre 2012). Quello stesso giorno, sulle colonne del Wall Street Journal, Raymond Zhong esorta i catalani a creare un loro stato più snello, più generoso verso le imprese, più pragmatico, più parsimonioso (leggi: meno welfare, più precariato, licenziamento dipendenti pubblici e congelamento dei salari).
François Thual, expert en géopolitique , qui présenté son dernier ouvrage “Géostratégie du crime” (éd. Odile Jacob), co-écrit avec Jean-François Gayraud, commissaire divisionnaire en poste au Conseil supérieur de la formation et de la recherche stratégique: « Nous ne sommes plus dans la série noire d’après-guerre ; désormais, sous l’action de puissances criminelles, les États eux-mêmes se trouvent contestés dans leur existence et doivent parfois battre en retraite. C’est la survie de nos démocraties qui est en jeu » : pour Jean-François Gayraud et François Thual, les phénomènes criminels sont bien loin d’échapper aux effets de la mondialisation, on le voit.
Pourquoi la grande criminalité internationale a augmenté de façon exponentielle ; comment la lutte contre le terrorisme et le recul de l’État un peu partout l’ont favorisée ; quelles sont les luttes de territoires entre organisations ; comment des empires criminels se constituent, menaçant l’équilibre des États ; comment l’argent sale pèse sur l’économie mondiale ; pourquoi les élites sont fragilisées : deux spécialistes croisent criminologie et géopolitique pour nous révéler les vrais dangers de demain et peut-être déjà d’aujourd’hui !
Conseiller du président du Sénat pour les affaires stratégiques, François Thual est professeur au Collège interarmées de défense (ex-Ecole de guerre). Il est l’auteur de nombreux ouvrages sur la géopolitique dont certains ont connu un succès mondial.
La sovranità è onerosa, per questo si cerca di condividerla. La fascinazione quasi maniacale e consumistica per la sovranità particolaristica sovraccarica i contribuenti; frammenta l’umanità depotenziandola e intensificando screzi, frizioni, timori, risentimenti; moltiplica la già abnorme pletora di staterelli a sovranità limitata; condanna le entità politiche minori a una pressoché istantanea ed irrevocabile subordinazione clientelare nei confronti degli stati maggiori: rafforza chi è già forte e indebolisce chi è già debole (divide et impera). In primo luogo le oligarchie mafiose transnazionali – ufficiali e non ufficiali – come spiega François Thual.
federalismo sì
separatismo no
La cultura è il grimaldello usato per abbattere lo stato di diritto (da parte di certi interessi criminali) e ogni progetto federalista (da parte di certi interessi geostrategici), facendo leva su sentimenti originariamente innocenti e positivi, ma che vengono pervertiti, esasperati.
Non esiste una cultura padana, trentina, italiana, o una cultura americana, cinese, ebrea, indiana, bantù. Gli esseri umani non sono automi che eseguono un programma culturale (software) caricato nel loro cervello (hardware) alla nascita. Non esistono due italiani che usano la lingua italiana allo stesso modo e non esistono due sudtirolesi che saprebbero mettersi d’accorso su cosa si debba intendere per cultura sudtirolese e Heimat. Ogni cultura è una narrazione e ogni individuo è un narratore che la interpreta, la racconta a modo suo, declinandola secondo le sue sensibilità, aggiungendo qualcosa qui e lì, e togliendo qualcos’altro altrove. La cultura è un prodotto dell’immaginazione umana ed ogni mente, essendo diversa, contribuisce a renderla porosa, flessibile, incessantemente mutevole, eterogenea. Ogni persona narra la “sua” cultura ponendosi in relazione con altre persone che narrano la loro e solo Dio potrebbe cogliere la narrazione complessiva nella sua interezza, senza sacrificarne la complessità. La cultura non è un’essenza o un oggetto, le culture non si scontrano tra loro, non si confrontano, non conversano, non agiscono: non sono degli esseri viventi che operano per nostro conto.
La cultura è una relazione dinamica tra soggetti che non hanno come priorità la conservazione della medesima, ma il vivere pienamente, al meglio delle proprie possibilità. Per farlo, tutti noi usiamo la cultura come uno strumento e apprendiamo ad adoperare altri strumenti, perché lo troviamo utile e piacevole, e talvolta ci inganniamo e trasformiamo la narrazione in una tavola delle leggi, in un fine e non un mezzo.
Ci inchiniamo alla lettera delle presunte “leggi culturali” anche quando esse sono interpretate in modo tale da tradirne lo spirito. Chiunque rilevi un’eventuale discrepanza è accusato di tradimento. È una degenerazione patologica dell’idolatria, una dipendenza che ci vincola a degli idoli al posto dei significati che sono chiamati a rappresentare. Si chiama razzismo culturalista e non è diverso o migliore del razzismo su basi biologiche. È una patologia della coscienza che sclerotizza e mortifica (rende morto) ciò che è vivo, imbalsama ciò che è mutevole e variabile, reifica un parto della fantasia umana. Una patologia che dissemina superstizione, paura e violenza ed ostacola la naturale disposizione dei singoli a fiorire, maturare, emergere, trascendere le proprie circostanze, eccellere, ciascuno secondo le proprie inclinazioni.
Come la lettera delle leggi subisce un processo di decadimento (entropia), mentre il suo spirito resta immortale, perché si basa su ciò che è giusto, così le culture possono decadere, se si allontanano dal loro spirito, che è quello di riflettere la comune, universale esperienza umana.
L’indipendenza non è un diritto, è un capriccio (il nazionalismo scozzese e sudtirolese)
22 febbraio 2013 a 08:51 (Alto Adige / Sudtirolo, Etnofederalismo/Etnopopulismo, Territoriali#Europei)
Tags: 2011, 2014, 2016, adesione, Alto Adige, autodeterminazione, autogoverno, autonomia, campanilismo, Consiglio d'Europa, Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, Corte Europea per i Diritti Umani, devoluzione, etnopopulismo, indipendentismo, indipendenza, Inghilterra, Lega Nord, leghismo, nazionalismo, nazionalismo scozzese, nazionalisti scozzesi, petrolio, referendum, Regno Unito, risoluzione 1832, risorse, Scozia, Scozzesi, secessionismo, separatismo, Shetland, sondaggi, sovranità, Sudtirolo, Unione Europea
L’indipendenza scozzese: panem et circenses
Le promesse dei nazionalisti scozzesi diventano ogni giorno più fantastiche. La cosa non deve sorprendere: i sondaggi li danno in ripiegamento.
Brian Wilson, Guardian, 7 febbraio 2013
“Si tende ad essere benevoli verso i nazionalismi altrui, quando li si guarda da una certa distanza. Diversa è la cosa se si vive in una realtà nazionalista. Quando però si recuperano le proprie facoltà critiche, è chiaro che tutti i nazionalismi hanno una cosa in comune: dividono le persone per categorie identitarie e creano confini laddove non ne esistevano.
Questo è lo scenario che la Scozia deve ora affrontare. Non vi è alcun marcato aumento di richiesta di indipendenza, e ancor meno giustificazioni. Tranne che nella testa di qualche paranoico, non siamo perseguitati, derubati, discriminati o esclusi. Dal punto di vista sociale ed economico abbiamo le stesse ragioni di lamentarci di molte altre parti del Regno Unito.
Lo zoccolo duro dell’indipendentismo scozzese si attesta a circa il 20%, ma vi è anche una significativa domanda di poteri più decentrati. Se si sottopone all’attenzione degli scozzesi un elenco di problemi che li riguardano, questi danno le stesse risposte degli inglesi, con le modifiche costituzionali che arrancano molto dietro ai soliti apripista – posti di lavoro, la salute, l’istruzione e una dozzina di altre questioni.
La differenza è che la Scozia ora deve rispondere a una domanda che solo una minoranza vorrebbe fosse posta: “La Scozia dovrebbe diventare una nazione indipendente?” E questo perché, due anni fa, il 21% degli scozzesi ha votato per i nazionalisti, dando loro la maggioranza assoluta. Il SNP (partito nazionalista scozzese) ha in mano le leve del potere e ha il diritto di usarle. Di qui il referendum.
Questa settimana sono andati un po’ oltre. Pur non avendo ancora fissato una data per il referendum, hanno annunciato che l’”Independence Day” [giorno della proclamazione dell’a sovranità] si terrà nel marzo del 2016. Il circo è già organizzato, mentre altri dovranno preoccuparsi del pane. L’intenzione è quella di creare un’aria di inevitabilità alla marcia per l’indipendenza, e in questo sono assistiti dalla disposizione delle notevoli risorse del governo devoluto.
I sondaggi indicano che la campagna separatista è in stallo.
Quando le opzioni sono ridotte a due, il sostegno per l’indipendenza sale al 25-30%. Ma sarebbe sciocco supporre che rimarrà lì. Giocando sul lungo periodo, lo SNP conta sul fatto che entro la fine del 2014 la scelta sarà tra l’indipendenza e la probabilità di un altro governo conservatore, il che potrebbe alterare significativamente lo stato d’animo prevalente.
Quelli di noi che non vogliono frantumare la Gran Bretagna non sono del tipo che si commuove nel veder garrire la bandiera dell’unione. Noi crediamo che staremo meglio insieme che divisi, e che non c’è alcuna ragione credibile per dissolvere 300 anni di storia comune. Sappiamo che ogni cambiamento progressivo che ha beneficiato la gente comune in tutto il Regno Unito è stato conquistato e votato da persone a Newcastle e Liverpool tanto quanto a Glasgow e Edimburgo.
E sappiamo che se lo SNP ce la farà, non sarà solo la Scozia a pagarne il prezzo, a prescindere dagli ipotetici benefici che sono stati promessi. Saranno anche i nostri amici, familiari e compagni ad essere abbandonati alla loro sorte in un “resto del Regno Unito” politicamente sbilanciato, in un paesaggio molto più ostile [la Scozia è una regione “rossa”, NdT]. Non c’è nulla di lontanamente progressista, per nessuno di noi, in questo.
Questa settimana il governo scozzese ha allegramente promesso che, se la gente voterà per l’indipendenza della Scozia, il tutto si risolverà nel giro di 18 mesi [tra il 2014 ed il 2016, appunto, NdT]. Non possono dirci che valuta sarà impiegata o che tassi di interesse saranno fissati, però possono dirci quanto dureranno i negoziati.
La loro intera argomentazione economica si basa sulla richiesta della maggior parte dei ricavi delle risorse energetiche del Mare del Nord, ma presuppongono che un benevolo governo Tory [conservatori] sia disposto a sottoscrivere tranquillamente ogni aspetto della separazione dei beni che sarà loro proposta, al fine di agevolare il grande party al castello di Edimburgo. Basano la loro politica energetica sull’assunto che i consumatori inglesi sovvenzioneranno le energie rinnovabili scozzesi mentre la Scozia si appropria dei proventi del petrolio [NB cosa succederebbe se le isole Shetland votassero per l’indipendenza dalla Scozia e poi reclamassero una parte di quegli stessi proventi, in quanto ricavati dalle proprie acque territoriali? NdT]. Sono stati presi in castagna quando mentivano spudoratamente in merito all’automatica adesione all’UE che, è ormai chiaro, non sarebbe tale.
A sostegno della loro tesi che il processo richiederebbe solo 18 mesi, – e ricordate che questo è un documento ufficiale del governo, non una nota di partito – hanno fatto riferimento a quei 30 paesi che hanno ottenuto un divorzio all’acqua di rose dai vicini o dai loro signori coloniali: dal Mali al Montenegro, alle isole Kiribati nel mare del sud.
L’idea che esista un paragone pertinente con la dissoluzione di 300 anni di relazioni, istituzioni condivise ed interdipendenza economica nel Regno Unito può essere assurda, ma è indicativo dell’approccio nazionalista. Sanno che dovranno limitarsi ad ingannare la maggior parte delle persone per un singolo giorno, nell’autunno del 2014, e il futuro apparterrà a loro. Si tratta di un grande trofeo, e il fine sarà utilizzato senza pietà per giustificare i mezzi”.
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/feb/07/scottish-nationalists-bread-and-circuses
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Non esiste una nazione in cui gli elettori ottengono ciò che vogliono, anche solo occasionalmente. Anche se vincono i “nostri”, l’azione di governo dovrà comunque tener conto delle esigenze di tutti. L’infantilizzazione della società contemporanea ha però indotto molti a credere che se i propri desideri non vengono esauditi, allora è giusto che ciascuno se ne vada per la sua strada. Ci si divide in gruppi sempre più piccoli, alla ricerca di una crescente conformità di vedute che è tossica per la mente, per la coscienza, per la società e per la civiltà umana. I miti della cultura, della patria, della lingua, della fede, ecc. sono solo espressione di coscienze immature che antepongono al benessere collettivo il benessere della propria parrocchia e campanile, o l’interesse personale. L’egoismo è all’origine dell’attuale Depressione (la chiama Depressione anche Paul Krugman, Nobel per l’Economia, ne “Il ritorno dell’economia della depressione”, 2013), l’egoismo degli speculatori, delle caste, delle categorie, delle nazioni, delle classi, e così via.
Con la risoluzione 1832 (2011) concernente “la sovranità nazionale e lo stato di diritto nel diritto internazionale contemporaneo: necessità di un chiarimento”, il Consiglio d’Europa – che non è un’istituzione dell’Unione Europea, ma include la Corte Europea per i Diritti Umani ed è la fonte della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” – ha dato priorità all’integrità degli stati stabilendo che questa può cessare solo in caso di oppressione e violenze che impediscano una riconciliazione pacifica tra le parti. Il diritto all’ autodeterminazione non dà luogo a un diritto automatico alla secessione. Il rapporto che accompagna la risoluzione afferma quanto segue:
“all’infuori del processo di decolonizzazione, l’opinione prevalente non vede nel diritto all’autodeterminazione un fatto costitutivo del diritto per ogni gruppo minoritario regionale di addivenire alla secessione da uno stato esistente. L’autodeterminazione delle minoranze dovrebbe essere piuttosto realizzata per mezzo della partecipazione al governo dello Stato nel suo complesso, e attraverso la devoluzione del potere con lo sviluppo dell’autonomia regionale, vale a dire l’auto-governo in questioni come l’istruzione, la cultura, ecc., ad esclusione dell’indipendenza”.
Il governo britannico non era tenuto a concedere la possibilità di votare per l’indipendenza, ma l’ha fatto. Difficile considerarlo un governo oppressivo e violento.
http://www.raetia.com/it/shop/item/1567-contro-i-miti-etnici.html
Le prossime mosse suicide di Israele (e il Trentino collabora entusiasticamente)
7 novembre 2012 a 08:24 (Terza Guerra Mondiale e Secondo Olocausto, Verità scomode)
Tags: acqua, ambasciata d'Israele, annessione, apartheid, arabi, arabi israeliani, area A, area B, area C, attacco preventivo, bantustan, Cisgiordania, coloni, colonialismo, crociate, Dellai, demografia, deportazione, diritti civili, donatori, due nazioni, due stati, Ebrei, economia palestinese, finanziatori, Fondazione Bruno Kessler, Fondazione Edmund Mach, genocidio, Grande Israele, guerra, imperialismo, insediamenti, insediamenti israeliani, Iran, Israele, Lorenzo Dellai, Medio Oriente, nazionalismo, Netanyahu, Palestina, Palestinesi, Pappe, paranoia, Provincia Autonoma di Trento, pulizia etnica, razzismo, risorse idriche, sindrome dell'assedio, sionismo, statistica, stato ebraico, stato giudeo, Sudafrica, suicidio, Territori Occupati, Trentino, Trentino Sviluppo, Trento - Israele Day, Trento Rise.
Sottoscrivo interamente l’analisi di un lettore del Guardian straordinariamente lucido e conciso che ha commentato questo ragionevole articolo che difendeva la soluzione della creazione di uno stato palestinese:
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/nov/02/israel-palestine-two-state-solution
“Il vero pericolo è che Israele operi un’ancora più massiccia pulizia etnica dei Palestinesi:
1. gli insediamenti israeliani (ora circa 750mila coloni che si sono spartiti la Cisgiordania e si sono appropriati del 90% dell’acqua) rendono impossibile la soluzione dello stato palestinese – ed era questo il piano fin dall’inizio;
2. Israele non accetterà mai uno stato bi-nazionale perché questo richiederebbe uno status paritario per ebrei e palestinesi e la fine del sionismo;
3. Israele non la farà franca in caso di annessione dell’area C (62% della Cisgiordania), benché sia questo il suo desiderio, se ciò lascerà 2 milioni e mezzo di palestinesi intrappolati e circondati nei bantustan dell’area A (32% della Cisgiordania): l’opposizione dell’opinione pubblica internazionale ad un singolo stato binazionale che occupi l’intera palestina sarà troppo forte;
4. Temo che Israele proverà a risolvere 1, 2 e 3 espellendo la maggior parte dei Palestinesi dalla Cisgiordania nei seguenti modi: a) riducendo ulteriormente le disponibilità idriche; b) demolendo ulteriormente la già moribonda economia palestinese; c) persuadendo i donatori occidentali ad interrompere i loro finanziamenti o ostruendo il flusso; d) dando il via ad un’altra guerra (con l’Iran?) per schermare una pulizia etnica più diretta.
Con una popolazione palestinese significativamente ridotta, Israele potrebbe annettersi l’intera Cisgiordania e, se necessario, concedere ai Palestinesi rimasti un po’ di diritti civili conservando un dominio sionista inattaccabile”.
Penso sia esattamente quel che accadrà.
Già nel 2003 Netanyahu, l’attuale primo ministro israeliano, dichiarava che se gli Arabi fossero arrivati a costituire il 40% della popolazione di Israele sarebbe stata la fine dello stato giudeo: “Ma anche il 20% è un problema e se le relazioni con questo 20% diventano problematiche, lo stato è autorizzato a prendere misure drastiche” (ct. Pappe, 2010). Ruth Gabisonp, docente all’Università Ebraica di Gerusalemme, non ha esitato ad affermare che “Israele ha il diritto di controllare la crescita naturale della popolazione palestinese” (ibidem). La sindrome dell’assedio che ha colonizzato la psiche israeliana si è cristallizzata nell’esigenza di difendere una fortezza bianca circondata da popoli non-bianchi, avamposto europeo-occidentale-giudeocristiano; come durante le Crociate, come in Sudafrica. Così vari sondaggi documentano l’approvazione con la quale una maggioranza di Israeliani vedrebbe la deportazione in massa dei palestinesi (ma un 51% pensa che Arabi israeliani e Ebrei israeliani dovrebbero avere gli stessi diritti – Haaretz, 30 novembre 2010).
Queste non sono indicazioni di forza, ma di debolezza, di insicurezza, di paura, di una irrisolta condizione psicologica per cui la nazione e l’identità sono sempre sull’orlo del collasso, il che accentua nervosismo e ferocia. I ladri tendono a sospettare che tutti gli altri siano ladri. I bugiardi sospettano che gli altri mentano. I guerrafondai sospettano che gli altri preparino una guerra contro di loro. I razzisti e nazionalisti temono sempre di essere minacciati di distruzione dalle altre razze e nazioni. Si chiama proiezione e colpisce gli israeliani, come colpisce gli europei, gli americani e tutti gli esseri umani. Purtroppo la paranoia e l’aggressività non servono ad assicurare un futuro migliore alle nuove generazioni. È semmai vero il contrario.
Finirà malissimo (per Israele, la Palestina, l’Iran e molti altri milioni di esseri umani):
http://fanuessays.blogspot.it/2012/01/auschwitz-in-israele-il-secondo.html
http://fanuessays.blogspot.it/2012/01/golia-usraele-nella-trappola-chi-ce.html
davvero malissimo:
http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/verso-un-secondo-olocausto.html
IN TRENTINO IL BUSINESS È BUSINESS
“Nuova, significativa tappa nei rapporti tra Trentino e Israele. A pochi giorni di distanza dalla conferenza di Gerusalemme sui temi della ricerca e dell’alta formazione, nell’ambito del vertice bilaterale Italia – Israele, alla quale ha preso parte anche il presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, è infatti in programma, lunedì prossimo, 5 novembre, il “Trento – Israele day”, una intera giornata di incontri istituzionali e di business organizzati dalla Provincia autonoma di Trento e dall’Ambasciata d’Israele in Italia in collaborazione con Trentino Sviluppo, Fondazione Bruno Kessler, Trento Rise.
A sottolineare la valenza dell’incontro la presenza, alla guida della delegazione istituzionale israeliana, di Naor Gilon, ambasciatore d’Israele in Italia. Ad aprire la giornata la tavola rotonda su “Le relazioni scientifiche e tecnologiche tra Italia ed Israele ed il ruolo del Trentino”. Interverranno: Naor Gilon, ambasciatore d’Israele in Italia; Lorenzo Dellai, presidente della Provincia autonoma di Trento; Aviv Zeevi Balasiano, Israel Europe R&D Directorate, Director ICT-Security; Francesco Salamini, presidente Fondazione Edmund Mach; Carla Locatelli, Pro Rettore con delega ai rapporti internazionali, Università degli studi di Trento; Andrea Simoni, segretario generale, Fondazione Bruno Kessler; Fausto Giunchiglia, presidente Trento Rise.
Un nuovo incontro, dunque, che fa seguito a quello in terra d’Israele quando, alla conferenza su ricerca e alta formazione – con gli interventi dei ministri Francesco Profumo e Giulio Terzi di Sant’Agata e con un confronto tra il premier Mario Monti e il Governatore della Banca di Israele, Stanley Fisher – proprio il ministro Terzi ha voluto ringraziare Dellai per quello che il Trentino sta facendo in questo campo. Un riconoscimento al ruolo svolto nel favorire la crescita della cooperazione fra i due Paesi e che ha portato anche alla sottoscrizione di un accordo il quale consentirà, nei prossimi giorni, di attivare il primo bando congiunto per la ricerca applicata rivolto a imprese trentine e israeliane.
È con questo spirito che il “Trento – Israele day” proporrà, dopo la tavola rotonda, una serie di appuntamenti. La delegazione istituzionale – oltre all’ambasciatore Naor Gilon sarà composta da Jonathan Hadar, Consigliere per gli Affari Commerciali dell’Ambasciata d’Israele in Italia; Aviv Zeevi Balasiano, Israel Europe R&D Directorate, Director ICT-Security, MATIMOP; Giovanna Bossi, Trade Officer, Ambasciata d’Israele in Italia; Vanessa Zerilli, Business Development Officer, Ambasciata d’Israele in Italia – si trasferirà infatti presso la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige. Nel pomeriggio tappa alla Fondazione Bruno Kessler e incontro con le imprese impegnate nei B2B e visita ad alcuni laboratori e alle strutture della Fondazione Bruno Kessler e del Consorzio Trento Rise”.