https://twitter.com/stefanofait
Francia 1943: 30-40% della sua economia controllato dai nazisti
Egitto 2013: 30-40% della sua economia controllato dall’esercito
CECI N’EST PAS UN COUP
Anche in Italia c’è chi alimenta il mito che NON si tratti di un colpo di stato militare appellandosi agli emotivismi del consumatore mediatico medio, senza minimante degnarsi di prendere in considerazione anche una singola argomentazione di chi non la pensa come lui e sa ancora usare gli occhi e l’intelletto per vedere oltre la cortina fumogena delle versioni ufficiali (es. vede anche gli eccidi, gli arresti di massa, la censura, le espulsioni di giornalisti, la sospensione della costituzione, la militarizzazione del Cairo, il controllo dell’economia egiziana nelle mani delle forze armate, il ritorno al potere delle stesse facce che c’erano al tempo di Mubarak e di tecnocrati neoliberisti che neanche Monti…). Marco Alloni ne ha piene le tasche degli analisti egiziani che non la pensano come lui:
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/07/09/marco-alloni-egitto-basta-parlare-di-golpe/
Fortunatamente, con il passare del tempo e il moltiplicarsi dell’evidenza del fatto che all’esercito egiziano non gliene può fregar di meno dei manifestanti di piazza Tahrir, i “negazionisti” del golpe (uso questo vocabolo allusivamente) sono rimasti davvero in pochi. Per questo sono furiosi, come Alloni.
Robert Fisk, uno dei giornalisti internazionali più competenti in materia, non la pensa come lui:
Per la prima volta nella storia un golpe non è un golpe. L’esercito depone e incarcera un presidente democraticamente eletto, sospende la costituzione, arresta i soliti sospetti, si impadronisce di tutte le stazioni televisive e fa scendere le truppe per le strade della capitale. Ma la parola ‘golpe’ non può e non deve uscire dalla bocca di Barack Obama. E nemmeno l’impotente segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon osa mormorare una simile sconveniente parola. Non che Obama non sappia cosa sta accadendo. Questa settimana al Cairo i cecchini hanno ucciso 15 egiziani sparando dal tetto di quella stessa università nella quale Obama nel 2009 pronunciò il famoso discorso al mondo islamico… L’Occidente aspira a distruggere Assad, ma non muove un dito se l’esercito egiziano rovescia un presidente eletto, ma colpevole di essersi schierato dalla parte dei nemici di Assad….
Morsi è stato eletto con elezioni svoltesi sotto il controllo dell’Occidente. Certo ha ottenuto poco più del 50% dei voti, ma ha vinto. E George W. Bush ha vinto veramente le prime elezioni presidenziali? Morsi senza dubbio gode dell’appoggio di una percentuale più ampia della popolazione rispetto a Cameron. Ha perso ogni legittimazione democratica tradendo la volontà della maggioranza degli egiziani. Ma questo vuol forse dire che gli eserciti occidentali possono assumere il controllo del governo ogni qual volta l’indice di gradimento del primo ministro scende al di sotto del 50%? E, tanto per essere chiari: i Fratelli Musulmani potranno partecipare alle prossime elezioni? E cosa accadrà se parteciperanno e il loro candidato vincerà di nuovo?… Israele comunque può essere soddisfatto. Sa benissimo che di golpe si tratta e può riprendere il ruolo, tanto caro agli israeliani, di ‘unica democrazia’ del Medio Oriente avendo al potere in Egitto i governanti che più le vanno a genio: i militari. E visto che i militari egiziani percepiscono dagli Usa un miliardo e mezzo di dollari l’anno, certo non faranno nulla per mettere in discussione il trattato di pace con Israele per quanto impopolare possa essere tra la gente.
Robert Fisk
I Fratelli Musulmani hanno vinto 3 elezioni, ma l’establishment egiziano ha deciso che la democrazia va bene solo quando vincono i tuoi (ossia quelli guidati dalla Mano Invisibile del Mercato, un diverso dio monoteista). Ora decine (centinaia?) di sostenitori di Morsi sono stati uccisi dall’esercito e dalle forze dell’ordine (perché erano “terroristi”, sic!), la leadership del partito è stata incarcerata, i media censurati, i giornalisti stranieri espulsi o tenuti a debita distanza, la costituzione sospesa: Morsi non ha mai fatto nulla di anche solo lontanamente paragonabile alle azioni dei golpisti. Infatti Tony Blair – il criminale di guerra (cf. Gustavo Zagrebelsky, “”La felicità della democrazia: un dialogo”) – approva il golpe o lo definisce “indispensabile”.
Cosa ne pensano i manifestanti per la libertà di piazza Tahrir? Cosa ne pensano i filo-golpisti di casa nostra?
I diritti dei fratelli musulmani valgono meno della metà di quelli degli altri?
Il governo laico appoggiato dall’esercito va bene in Egitto per tenere lontani gli islamisti dal potere, mentre in Siria non va bene: addirittura lì forniamo armi a migliaia di guerriglieri legati ad Al-Qaeda perché effettuino un cambio di regime.
Il colpo di stato militare anti-teocratico in Egitto (i Fratelli Musulmani sono islamisti moderati) va bene, mentre l’invasione cinese del Tibet, giustificata usando le stesse motivazioni (in Tibet la teocrazia c’era e c’era anche lo schiavismo e molte altre cose spiacevoli), non va bene.
“Ma in Egitto ci saranno elezioni libere nel 2014!”.
Sì, va beh…
Dopo il golpe militare che ha abbattuto Morsi, non sono mancate le esternazioni islamofobe e sinistramente autoritarie, anche nel giornalismo mainstream.
Il New York Times ha pubblicato un articolo in cui in sostanza si definivano gli egiziani inadatti alla democrazia: “Non è che l’Egitto non abbia la ricetta per una transizione democratica, è che gli egiziani sembrano proprio essere carenti negli ingredienti a livello mentale” (David Brooks, 4 luglio 2013). Analoghe argomentazioni potrebbero essere indirizzate alla destra cristiana americana, o alle lobby dei coloni israeliani che controllano, direttamente o indirettamente, una buona parte dei processi decisionali su questioni di estremo rilievo, nei rispettivi paesi.
Ancora più virulento l’attacco del Wall Street Journal di Murdoch, che auspica l’avvento di un Pinochet egiziano che governi la transizione e sani l’economia egizia con tagli ed austerità, seguendo l’esempio del dittatore cileno (4 luglio 2013).
In generale i media occidentali hanno accusato Morsi di essere autocratico ed islamista, anche se la fazione islamista – i salafiti – gli aveva voltato le spalle giudicandolo troppo moderato, manifestando contro di lui, era costretto a governare a forza di decreti perché la magistratura nominata da Mubarak poteva sciogliere il parlamento a sua discrezione e le forze armate avevano dissolto il primo parlamento dell’era post-Mubarak. Il presidente egiziano non era neppure stato in grado di garantire la scorta ai membri del suo partito, non aveva potuto incidere sugli oligopoli delle forze armate in vari settori dell’economia egiziana (controllano fino al 40% dell’economia egiziana), non aveva potuto respingere le “terapie” neoliberiste del Fondo Monetario Internazionale, non godeva della lealtà dei funzionari pubblici, si era detto disponibile ad un governo di unità nazionale con l’opposizione e attendeva il verdetto delle elezioni di settembre che avrebbero rinnovato il Parlamento. Un “dittatore” abbastanza patetico.
Quel che più di tutto infastidisce è il ritorno della dottrina del “fardello dell’uomo bianco”, per cui gli altri popoli “inferiori” dovrebbero imitarci il più possibile invece di cantare con la propria voce. Preoccupante è anche la virulenza islamofobica che spinge persone altrimenti ragionevoli a pretendere che 14 secoli di islam egiziano siano un dettaglio. Nel giro di un anno 85 milioni di egiziani, in gran parte contadini, avrebbero dovuto completare un percorso che a noi ha richiesto secoli (e abbiamo ancora tanta strada da fare). I turchi sono ancora a metà del guado e hanno iniziato un secolo fa.
La verità è che in Egitto è successo che gli egiziani non hanno votato per il tipo di politica e politici che volevamo.
La cosa era prevedibile. Nei paesi musulmani è in atto un processo di islamizzazione politica, legato ad aspirazioni identitarie che si riaffermano nelle fasi di forte crisi. Non sta a noi giudicarle, ma non possiamo ignorarle. Le società evolvono e ciascuno ha il diritto di scegliere il proprio destino. Non è certo colpa dei partiti islamici se sono le uniche forze nei paesi arabi che si occupano veramente delle questioni sociali, che cercano di attutire l’impatto della globalizzazione del capitalismo finanziario, di ridurre per quanto possibile le disparità. Non è colpa dei partiti islamici se le classi dirigenti occidentali hanno appoggiato oligarchie corrotte ed autocratiche per decenni, anche a dispetto della contrarietà delle rispettive opinioni pubbliche, perché ne ricavavano qualche vantaggio sostanziale. Essere musulmani non è una colpa, come non lo è essere nati in un certo luogo ed essere stati allevati in una certa cultura.
Con buona pace dei teorici dello scontro di civiltà, non c’è alcun conflitto tra modernità e mondo arabo, tra progresso e Islam. Non esiste una peculiare natura dell’Islam che lo indirizza verso la violenza e il fanatismo. Ci sono solo le forze sociali e storiche che stanno condizionando una regione con problemi complessi.
Quando è sotto gli occhi di tutti che un miliardo di musulmani vive la sua fede serenamente, come si può immaginare che l’Islam possa essere di per sé un fattore di intolleranza? Lo può fare solo chi non è in grado di osservare obiettivamente la realtà. Purtroppo sono precisamente i pregiudizi ad ostacolare il diffondersi di quel rispetto e tolleranza – da entrambe le parti – che possono fermare l’odio e la violenza di una sparuta minoranza.
Nessuno desidera vivere in un mondo accecato dalla paura. Il fondamentalismo è il prodotto di un incontro non riuscito tra due mondi, un fallimento spesso dettato dalla diffidenza, dai malintesi e dal cinismo. Si nutre di ingiustizia e di ignoranza, non di religione. Sgorga da identità ferite, in Occidente come in Oriente; quelle di chi non riesce a trovare il suo posto. L’integralismo è proprio di coloro che si sentono rifiutati, superati e reagiscono con un rifiuto uguale e contrario, e con una collera crescente. Intere popolazioni ora si sentono ignorate, fuori tempo rispetto alla danza del mondo.
Per questo sono meritori tutti gli sforzi che qualunque governo, anche locale, profonde per ristabilire un nuovo rapporto con tutti i popoli e le culture: sono testimonianza di una indispensabile fiducia nell’umanità. Non dobbiamo accettare che un governo sfrutti la paura degli altri, paura degli immigrati, la paura dello straniero, paura dell’Islam, negando la nostra nuova vocazione, conquistata dopo secoli di intolleranza (verso gli ebrei, i protestanti, le “streghe”, i socialisti, ecc.).