L’indipendenza non è un diritto, è un capriccio (il nazionalismo scozzese e sudtirolese)

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L’indipendenza scozzese: panem et circenses

Le promesse dei nazionalisti scozzesi diventano ogni giorno più fantastiche. La cosa non deve sorprendere: i sondaggi li danno in ripiegamento.

Brian Wilson, Guardian, 7 febbraio 2013

“Si tende ad essere benevoli verso i nazionalismi altrui, quando li si guarda da una certa distanza. Diversa è la cosa se si vive in una realtà nazionalista.  Quando però si recuperano le proprie facoltà critiche, è chiaro che tutti i nazionalismi hanno una cosa in comune: dividono le persone per categorie identitarie e creano confini laddove non ne esistevano.

Questo è lo scenario che la Scozia deve ora affrontare. Non vi è alcun marcato aumento di richiesta di indipendenza, e ancor meno giustificazioni. Tranne che nella testa di qualche paranoico, non siamo perseguitati, derubati, discriminati o esclusi. Dal punto di vista sociale ed economico abbiamo le stesse ragioni di lamentarci di molte altre parti del Regno Unito.

Lo zoccolo duro dell’indipendentismo scozzese si attesta a circa il 20%, ma vi è anche una significativa domanda di poteri più decentrati. Se si sottopone all’attenzione degli scozzesi un elenco di problemi che li riguardano, questi danno le stesse risposte degli inglesi, con le modifiche costituzionali che arrancano molto dietro ai soliti apripista – posti di lavoro, la salute, l’istruzione e una dozzina di altre questioni.

La differenza è che la Scozia ora deve rispondere a una domanda che solo una minoranza vorrebbe fosse posta: “La Scozia dovrebbe diventare una nazione indipendente?” E questo perché, due anni fa, il 21% degli scozzesi ha votato per i nazionalisti, dando loro la maggioranza assoluta. Il SNP (partito nazionalista scozzese) ha in mano le leve del potere e ha il diritto di usarle. Di qui il referendum.

Questa settimana sono andati un po’ oltre. Pur non avendo ancora fissato una data per il referendum, hanno annunciato che l’”Independence Day” [giorno della proclamazione dell’a sovranità] si terrà nel marzo del 2016. Il circo è già organizzato, mentre altri dovranno preoccuparsi del pane. L’intenzione è quella di creare un’aria di inevitabilità alla marcia per l’indipendenza, e in questo sono assistiti dalla disposizione delle notevoli risorse del governo devoluto.

I sondaggi indicano che la campagna separatista è in stallo.

Quando le opzioni sono ridotte a due, il sostegno per l’indipendenza sale al 25-30%. Ma sarebbe sciocco supporre che rimarrà lì. Giocando sul lungo periodo, lo SNP conta sul fatto che entro la fine del 2014 la scelta sarà tra l’indipendenza e la probabilità di un altro governo conservatore, il che potrebbe alterare significativamente lo stato d’animo prevalente.

Quelli di noi che non vogliono frantumare la Gran Bretagna non sono del tipo che si commuove nel veder garrire la bandiera dell’unione. Noi crediamo che staremo meglio insieme che divisi, e che non c’è alcuna ragione credibile per dissolvere 300 anni di storia comune. Sappiamo che ogni cambiamento progressivo che ha beneficiato la gente comune in tutto il Regno Unito è stato conquistato e votato da persone a Newcastle e Liverpool tanto quanto a Glasgow e Edimburgo.

E sappiamo che se lo SNP ce la farà, non sarà solo la Scozia a pagarne il prezzo, a prescindere dagli ipotetici benefici che sono stati promessi. Saranno anche i nostri amici, familiari e compagni ad essere abbandonati alla loro sorte in un “resto del Regno Unito” politicamente sbilanciato, in un paesaggio molto più ostile [la Scozia è una regione “rossa”, NdT]. Non c’è nulla di lontanamente progressista, per nessuno di noi, in questo.

Questa settimana il governo scozzese ha allegramente promesso che, se la gente voterà per l’indipendenza della Scozia, il tutto si risolverà nel giro di 18 mesi [tra il 2014 ed il 2016, appunto, NdT]. Non possono dirci che valuta sarà impiegata o che tassi di interesse saranno fissati, però possono dirci quanto dureranno i negoziati.

La loro intera argomentazione economica si basa sulla richiesta della maggior parte dei ricavi delle risorse energetiche del Mare del Nord, ma presuppongono che un benevolo governo Tory [conservatori] sia disposto a sottoscrivere tranquillamente ogni aspetto della separazione dei beni che sarà loro proposta, al fine di agevolare il grande party al castello di Edimburgo. Basano la loro politica energetica sull’assunto che i consumatori inglesi sovvenzioneranno le energie rinnovabili scozzesi mentre la Scozia si appropria dei proventi del petrolio [NB cosa succederebbe se le isole Shetland votassero per l’indipendenza dalla Scozia e poi reclamassero una parte di quegli stessi proventi, in quanto ricavati dalle proprie acque territoriali? NdT]. Sono stati presi in castagna quando mentivano spudoratamente in merito all’automatica adesione all’UE che, è ormai chiaro, non sarebbe tale.

A sostegno della loro tesi che il processo richiederebbe solo 18 mesi, – e ricordate che questo è un documento ufficiale del governo, non una nota di partito – hanno fatto riferimento a quei 30 paesi che hanno ottenuto un divorzio all’acqua di rose dai vicini o dai loro signori coloniali: dal Mali al Montenegro, alle isole Kiribati nel mare del sud.

L’idea che esista un paragone pertinente con la dissoluzione di 300 anni di relazioni, istituzioni condivise ed interdipendenza economica nel Regno Unito può essere assurda, ma è indicativo dell’approccio nazionalista. Sanno che dovranno limitarsi ad ingannare la maggior parte delle persone per un singolo giorno, nell’autunno del 2014, e il futuro apparterrà a loro. Si tratta di un grande trofeo, e il fine sarà utilizzato senza pietà per giustificare i mezzi”.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/feb/07/scottish-nationalists-bread-and-circuses

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Non esiste una nazione in cui gli elettori ottengono ciò che vogliono, anche solo occasionalmente. Anche se vincono i “nostri”, l’azione di governo dovrà comunque tener conto delle esigenze di tutti. L’infantilizzazione della società contemporanea ha però indotto molti a credere che se i propri desideri non vengono esauditi, allora è giusto che ciascuno se ne vada per la sua strada. Ci si divide in gruppi sempre più piccoli, alla ricerca di una crescente conformità di vedute che è tossica per la mente, per la coscienza, per la società e per la civiltà umana. I miti della cultura, della patria, della lingua, della fede, ecc. sono solo espressione di coscienze immature che antepongono al benessere collettivo il benessere della propria parrocchia e campanile, o l’interesse personale. L’egoismo è all’origine dell’attuale Depressione (la chiama Depressione anche Paul Krugman, Nobel per l’Economia, ne “Il ritorno dell’economia della depressione”, 2013), l’egoismo degli speculatori, delle caste, delle categorie, delle nazioni, delle classi, e così via.

Con la risoluzione 1832 (2011) concernente “la sovranità nazionale e lo stato di diritto nel diritto internazionale contemporaneo: necessità di un chiarimento”, il Consiglio d’Europa – che non è un’istituzione dell’Unione Europea, ma include la Corte Europea per i Diritti Umani ed è la fonte della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” – ha dato priorità all’integrità degli stati stabilendo che questa può cessare solo in caso di oppressione e violenze che impediscano una riconciliazione pacifica tra le parti. Il diritto all’ autodeterminazione non dà luogo a un diritto automatico alla secessione. Il rapporto che accompagna la risoluzione afferma quanto segue:

all’infuori del processo di decolonizzazione, l’opinione prevalente non vede nel diritto all’autodeterminazione un fatto costitutivo del diritto per ogni gruppo minoritario regionale di addivenire alla secessione da uno stato esistente. L’autodeterminazione delle minoranze dovrebbe essere piuttosto realizzata per mezzo della partecipazione al governo dello Stato nel suo complesso, e attraverso la devoluzione del potere con lo sviluppo dell’autonomia regionale, vale a dire l’auto-governo in questioni come l’istruzione, la cultura, ecc., ad esclusione dell’indipendenza”.

http://www.mfa.gov.cy/mfa/mfa2006.nsf/All/F1D37E25613644E1C22579210036662B/$file/Report%20on%20national%20sovereignty%20%20statehood%2012%207%202011.pdf?OpenElement

Il governo britannico non era tenuto a concedere la possibilità di votare per l’indipendenza, ma l’ha fatto. Difficile considerarlo un governo oppressivo e violento.

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http://www.raetia.com/it/shop/item/1567-contro-i-miti-etnici.html

Alto Adige, Baviera, Catalogna, Veneto, Parco della Vittoria, Viale dei Giardini – il Vaso di Pandora dei separatismi

Le qualifiche necessarie per sedere al tavolo globale e attrarre soluzioni globali finiranno progressivamente per coincidere non più con i confini politici che separano artificiosamente i Paesi, ma con unità geografiche più focalizzate […], in pratica le aree dove si svolge il vero lavoro e dove fioriscono i veri mercati. Ho chiamato queste unità “Stati-regione”…eccellenti porti d’entrata per l’economia globale, poiché tendono a formarsi proprio in base ai criteri dettati da quell’economia…debbono essere abbastanza piccoli da consentire ai loro abitanti di condividere gli stessi interessi in quanto consumatori e, nello stesso tempo, sufficientemente estesi da giustificare non tanto economie di scala (ottenibili a partire da una base di qualunque entità, tramite esportazioni verso il resto del mondo) quanto economie di servizio – ossia, le infrastrutture rappresentate dalle comunicazioni, dai trasporti e dai servizi professionali indispensabili per partecipare all’economia globale.

Kenichi Ohmae, economista neoliberista [“lasciate fare ai mercati e tutto si sistemerà”], “La fine dello Stato-nazione”, 1996

Ma come si è mai potuto pensare che l’ideale di una vita riuscita fosse l’indipendenza totale, ossia l’assenza di ogni obbligo e di ogni attaccamento, non soltanto verso Dio ma anche verso gli uomini? La libertà illimitata, infatti, non può essere un ideale dell’esistenza umana – del resto, non ne è nemmeno il punto di partenza.

Tzvetan Todorov, I nemici intimi della democrazia, 2012, pp. 132-133

L’indipendenza è una via percorribile e seria per un paese europeo nel XXI secolo? E poi con che fine e con che programma? Uscire dalla Spagna per rientrare come paese indipendente nell’UE migliorerebbe la situazione economica del popolo catalano? Il rebus, come si diceva all’inizio, non è di facile soluzione. E la classe politica catalana, al pari di quella spagnola, sta dimostrando di non averla trovata e nemmeno pensata questa soluzione, se non con le solite risposte unilaterali, semplicistiche e di corte vedute, fautrici, come la storia ci ha dimostrato, solo di più grandi sciagure. In una crisi senza precedenti come quella attuale, la soluzione si deve trovare insieme, non con la secessione, ma con la solidarietà reciproca

Steven Forti, Catalogna: nuovo Stato d’Europa?

http://www.politicaresponsabile.it/pensiero/853/catalogna-nuovo-stato-deuropa.html

Fino a qualche mese fa i sondaggi gli promettevano al leader di Convergenza e Unione (CiU) e presidente in carica, Artur Mas, almeno 68 seggi su 135, invece è sceso a 50 (contro i 62 conquistati nel 2010). Il presidente della regione catalana conferma che il referendum si farà “nei tempi previsti”, ma è difficile pensare che CiU riuscirà a governare in modo stabile con le formazioni indipendentiste di sinistra ed ecologiste che si sono opposte nel biennio precedente alle politiche economiche dell’attuale leadership.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/15910

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Il congresso della Südtiroler Freiheit, il movimento politico di Eva Klotz, ha votato ieri all’unanimità la proposta di referendum per separare la minoranza sudtirolese dall’Italia. L’intenzione emersa dall’assemblea del partito che si è tenuta ad Appiano è quella di votare due mesi prima delle prossime elezioni provinciali, nell’autunno del 2013. Tre i quesiti: rimanere in Italia, ritornare in Austria o autodeterminarsi come stato libero del Sudtirolo. Il referendum, è stato spiegato, sarà aperto «a tutti i cittadini con diritto al voto in Alto Adige». Circa trecento le persone presenti al congresso, tra cui anche esponenti di minoranze europee. La Südtiroler Freiheit aderisce infatti ad una raccolta di firme a livello europeo per ottenere il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Intanto il portavoce della commissione del Parlamento austriaco per le questioni altoatesine, Hermann Gahr, ha respinto nel modo più assoluto l’istanza di uno Stato libero del Sudtirolo, come riportato dal giornale Tiroler Tageszeitung.

Via dall’Italia, sì al referendum, Alto Adige, 25 novembre 2012

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Convocato un consiglio straordinario il 28 novembre per votare sul referendum per l’indipendenza veneta. La mozione del consigliere di Unione Nordest, Mariangelo Foggiato verrà discussa e sta già raccogliendo consensi, anche tra “insospettabili”.

Oltre ai pareri favorevoli di Lega e Pdl, il consigliere vicentino, Stefano Fracasso, è l’unico del Pd ad aver sottoscritto la richiesta di convocazione. “E’ proprio nei momenti di crisi che lo sguardo va lanciato un po’ lontano” ha dichiarato a Il Gazzettino. Con lui il rappresentante di Rifondazione Comunista, Pietrangelo Pettenò: “Con le opportune modiche si può approvare, anche il referendum si può fare purché non sia demagogia: lasciare l’Italia è fuori discussione, insistere sull’autodeterminazione del popolo veneto è doveroso – ha dichiarato, aggiungendo una frecciata ai colleghi di Fracasso – Quelli del Pd sono i più statalisti. Devono occupare lo stato per governarlo anche a costo di restringere spazi di democrazia: il governo Monti è il governo di Napolitano e del Pd, mica di Berlusconi”.

Resta solo da vedere se l’iniziativa sarà dichiarata inammissibile per motivi di incostituzionalità. La parola al consiglio veneto.

http://www.vicenzatoday.it/politica/indipendenza-veneto-referendum-stefano-fracasso.html

Referendum sull’indipendenza veneta, Zaia: “Voterei sì”

Domani in Consiglio regionale si discute sul referendum per l’indipendenza veneta proposto da Unione Nord Est e sostenuto trasversalmente.

„Se il voto fosse legale, come auspico, sulla scheda io segnerei si”’ anticipa Luca Zaia, presidente della giunta regionale, a proposito della discussione, domani, in Consiglio regionale, sulla proposta di un referendum sull’autonomia veneta, proposto da Mariangelo Foggiato di Unione Nordest“

”Sono per l’indipendenza perché il Veneto – spiega Zaia – ha determinati valori da tutelare e da promuovere e si sente senza dubbio piu’ vicino alla Baviera che alla Calabria”. Oltre ai pareri favorevoli di Lega e Pdl, il consigliere vicentino, Stefano Fracasso, è l’unico del Pd ad aver sottoscritto la richiesta di convocazione, mentre è entusiasta il consigliere di Rifondazione comunista, Pietrangelo Pettenò.“

http://www.vicenzatoday.it/politica/indipendenza-veneto-referendum-luca-zaia.html

‘L’autodeterminazione è il passaggio fondamentale per arrivare alla richiesta legittima di referendum per l’indipendenza. Referendum che si deve tenere rispettando le regole. Oggi non ci sono”. Lo ha detto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, intervenendo all’assemblea regionale dove si sta discutendo del possibile referendum per l’indipendenza del Veneto. Zaia ha proposto la costituzione di un tavolo di ”autorevoli giuristi” per definire ”in maniera chiara” il percorso referendario ”affinché’ sia inquadrabile giuridicamente”. Un tavolo, ha precisato Zaia, a costi zero. ”Dopodiché’ ognuno deciderà secondo la propria coscienza”.

http://www.asca.it/newsregioni-Veneto__Zaia__prima_autodeterminazione__poi_referendum_indipendenza-1223785-.html

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La Baviera può farcela da sola … Der Spiegel ironizza, la FAZ prende la cosa sul serio, per la Merkel è un’altra grana, che si aggiunge alle tante che affliggono la sua coalizione. La Baviera vuole andarsene, o, almeno, c’è qualcuno – sempre di più –  che in Baviera vuole andarsene dalla Repubblica Federale Tedesca. La Germania è uno stato federale e in questo sistema la Baviera gode di particolari autonomie: Freistaat Bayern, libero stato di Baviera. Ha una sua costituzione e una lunga tradizione di autonomismo.  Ha un suo partito – la CSU – che è nella coalizione di governo ed è il più importante in Baviera. Ma oggi ai Bavaresi non basta più. Dal basso fioriscono le iniziative in cui si chiede di farla finita coi “Prussiani” e con un governo federale che sta svendendo il benessere bavarese ai poteri finanziari eurocratici. Così, anche nella CSU, che non vuole perdere il suo ruolo di rappresentanza territoriale, crescono le voci che invocano maggiore incisività nei rapporti con Berlino. Anche perché, in Baviera, guadagna sempre più consensi la Bayernpartei, partito politico apertamente separatista. Questo spiega perché sta diventando un best seller il libro pubblicato nello scorso mese di agosto dal giornalista Wilfried Schnargl: Bayern kann es auch allein, «La Baviera può farcela da sola», in cui il tema dell’indipendenza e della secessione sono trattati con toni che suonano di sfida aperta al sistema federale e al socialismo di stato della Merkel. Scharnagl ha avuto ruoli importanti nella CSU, come amico e consigliere di Franz Josef Strauss e come caporedattore del Bayernkurier. Il suo libro inizia con un appello ai suoi compatrioti: «è tempo ormai che la Baviera si sollevi!».

http://giuseppereguzzoni.blogspot.it/2012/09/se-la-baviera-se-ne-va.html

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La mia previsione? Scozia, Baviera e Corsica resteranno dove sono. La Scozia è solo uno specchietto per le allodole: gli Scozzesi vogliono più autonomia, non l’indipendenza; per questo Cameron ha approvato il referendum separatista al posto di quello sulla devolution. Sa di avere la vittoria in tasca.

Inoltre Alex Salmond, il leader dei nazionalisti scozzesi, è un ex consulente della Royal Bank of Scotland (famiglia Rothschild) per il settore petrolifero.

Germania, Regno Unito e Francia resteranno integri. I PIGS, invece, potrebbero essere fatti a pezzettini, per poi essere “privatizzati”. Il Belgio si spezzerà in 3 tronconi, con la parte germanofona e quella francofona assorbite da Germania e Francia e le Fiandre federate ai Paesi Bassi.

Qualcuno ha fatto notare che i movimenti separatisti europei – inclusi quelli in Jugoslavia e Cecoslovacchia hanno fatto il “salto di qualità” dopo l’unificazione tedesca. Il Movimento Lega Nord è nato il 4 dicembre 1989, poche settimane dopo la caduta del Muro di Berlino (forse con capitali bavaresi, cf. Saverio Vertone, “Padania e altre padanie: L’oro dal Reno? Finanza tedesca e Lega Nord”, Limes, (4), 1997, pp. 221-224)

Per approfondire:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/27/lucio-caracciolo-leuropa-e-finita-considerazioni-di-immenso-buon-senso-sulleuropa-sullitalia-e-su-altro-ancora/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/20/bruno-luvera-tg1-rai-sulla-jugoslavizzazione-dellitalia-e-la-balcanizzazione-delleuropa/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/17/il-corriere-della-sera-pubblica-un-inno-alla-jugoslavizzazione-dellitalia-perche/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/23/la-geopolitica-dei-miti-etnici-la-morte-delleurozona-e-lavvento-dellimpero/

I due fuochi, l’uovo di serpente, la lotta per un Mondo Nuovo

Le autonomie europee alla sfida dell’immigrazione. Quali diritti-doveri per i nuovi cittadini glocali?

21 settembre 2012, 18.00

Incontro pubblico

La crisi europea offre una grande opportunità per le autonomie locali come Trentino e Alto Adige, ma anche Catalogna, Baviera, Scozia, Paesi Baschi, Corsica. Queste regioni sono protagoniste di un processo di costruzione di una identità propria sempre più fortemente proiettata sullo scenario internazionale. Tale processo crea tuttavia una fortissima tensione attorno al concetto di cittadinanza: aperta all’inclusione degli immigrati come nuovi cittadini delle autonomie europee, o chiusa su una concezione attenta alla difesa della propria identità storica e delle radici etniche e territoriali?
Ne parliamo con Lorenzo Piccoli, Stefano Fait e Piergiorgio Cattani. Introduce Michele Nardelli.

Organizza: Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani

Luogo: Sala Aurora, c/o Sede Consiglio Provinciale – Trento

http://www.tcic.eu/web/guest/eventi/-/asset_publisher/8ZdO/content/storie-di-immigrazione-appunti-di-cittadinanza?redirect=%2Fweb%2Fguest%2Feventi

LINEE GUIDA DEL MIO INTERVENTO

La crisi dell’eurozona e la crisi globale aprono scenari nuovi per il futuro.

Un cambiamento positivo è quello che consente di diventare più liberi, più consapevoli, più responsabili e più miti (ossia meno prevaricatori).

Un cambiamento negativo è quello in cui la piramide sociale diventa più ripida, la dignità delle persone è mortificata, la libertà è compressa, l’iniquità è diffusa, la fratellanza umana è vilipesa.

Al momento attuale il Trentino-Alto Adige, come il resto del mondo, si trova preso tra due fuochi: quello della destra neoliberista, esportato dal mondo anglo-americano (Wall Street e la City di Londra) – il suo verbo è incapsulato in quel “a me non interessano i poveri” di Mitt Romney – , e quello della destra etnopopulista/etnofederalista, particolarmente forte nell’area che si estende tra i confini settentrionali della Baviera ed il Po e che, localmente, preme per la soppressione della regione Trentino-Alto Adige e vuole che il Trentino sia escluso dalla candidatura alle Olimpiadi Invernali del 2022.

Il rischio che corriamo è quello di un ritorno al passato, addirittura ad un sistema neo-feudale su base etnica-sciovinista che si proponga come rimedio (falso) alle catastrofi prodotte dal neoliberismo (vere); cioè a dire, ad una ridotta alpina (Alpenfestung) in un’Europa unita di stampo “imperiale” (“Fortezza Europa” la chiamano i critici), tenuta insieme solo dalla bramosia di potere e risorse e dalla paura di ciò che sta fuori e di ciò che è sgusciato dentro (milioni di immigrati, molti di loro musulmani).  

Alcune citazioni aiuteranno a delineare meglio i contorni e la natura del problema.

Vergérus, “L’uovo del serpente”, di Ingmar Bergman:

Il mio esperimento è come un abbozzo di ciò che avverrà nei prossimi anni. Tuttavia nitido e preciso: proprio come l’interno dell’uovo di un serpente. Attraverso la sottile membrana esterna, si riesce a discernere il rettile già perfettamente formato.

Lucio Caracciolo (prefazione a “I confini dell’odio”, 1999):

In discussione non è la dimensione geopolitica, economica o demografica della mia, della vostra, o forse della nostra patria di domani. In gioco è il carattere delle sue istituzioni e della sua società civile. Prima di decidere pro o contro l’Europa – l’Europa delle nazioni, l’Europa delle Regioni, lo Stato europeo o l’Europa ineffabile ed esoterica degli europeisti – dobbiamo decidere per o contro la democrazia liberale. Il resto viene dopo.

La decisione, come abbiamo oramai capito, non è purtroppo così scontata.

Ho parlato di due fuochi.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012, pp. 89-90) descrive il primo fuoco:

Noi non sappiamo se la crisi attuale sia una di quelle cicliche che investono il mondo capitalistico, oppure se sia qualcosa di completamente nuovo, come nuove saranno le uscite. In ogni caso, ne constatiamo già gli effetti, più o meno evidenti, nella vita delle nazioni, i cui governi, da rappresentanti delle istanze popolari, decadono a strumenti amministrativi dell’ordine dell’economia finanziaria mondiale. Alla cementificazione del pensiero, all’espulsione delle alternative dal campo delle possibilità, all’omologazione delle aspirazioni, alla diffusione di modelli pervasivi di comportamento, di stili di vita e di status e sex symbol nelle società del nostro tempo, lavorano centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tanks, uffici di marketing politico e commerciale, in cui vivono e operano intellettuali e opinionisti che sono in realtà consulenti e propagandisti, consapevoli o inconsapevoli, ai quali la visibilità e il successo sono assicurati in misura proporzionale alla consonanza ideologica. La loro influenza sul pubblico è poi garantita dall’accesso a strumenti di diffusione capillari e altamente omologanti. Non è forse lì che, prima di tutto, si stabiliscono i confini simbolici del legittimo e dell’illegittimo, del pensabile e dell’impensabile, del desiderabile e del detestabile, del ragionevole e dell’irragionevole, del dicibile e dell’indicibile, del vivibile e dell’invivibile? Da qui provengono le forze simboliche potenti che, fino a ora, cercano di tenere insieme le nostre società….come in una religione, per di più monoteista.

Bruno Luverà (“Il razzismo del rispetto”, Una Città, 1999) descrive il secondo fuoco:

Nel nuovo regionalismo europeo ci sono due correnti: il regionalismo autonomista della Svp in Alto Adige o di Pujol in Catalogna, che hanno come idea-guida quella dell’autonomia dinamica, con l’acquisizione di sempre maggiori competenze per arrivare a forme forti di autogoverno, senza però che si arrivi a mettere in discussione la lealtà rispetto allo Stato nazionale, se non in una prospettiva lontana (per esempio, il diritto di autodeterminazione viene posto come valore, ma non se ne chiede l’esercizio immediato). L’altra corrente è quella, invece, micronazionalista, secondo la quale la regione diventa sinonimo di nazione, di piccola nazione, di piccola patria, e il richiamo alla regione serve per creare dei meccanismi di esclusione, serve per innalzare dei muri attorno a un luogo molto facile da controllare, potenzialmente più sicuro, in cui il criterio fondante la cittadinanza è quello dell’omogeneità etnica… La Baviera ha giocato fino in fondo la carta dell’Europa a due velocità perché questa poteva aprire scenari geopolitici interessanti. I quali, guarda caso, sarebbero andati nella direzione dell’Europa delle Regioni; l’Europa delle due velocità era uno scenario che poteva rimettere in discussione i confini.

Lucio Caracciolo, in un dibattito con Enrico Letta (Caracciolo/Letta, 2010, p. 22), illustra il punto di contatto tra i due fuochi: la distruzione del progetto europeo pluralista, democratico e liberal-socialista e degli stessi stati-nazione che lo compongono, attraverso la creazione di un’Europa a due velocità:

L’attuale crisi economica, che è sempre più una crisi sociale, rischia poi di mettere in questione il senso concreto degli Stati nazionali, a cominciare dal nostro. Quando i tedeschi riscoprono l’Euronucleo come insieme riservato ai Paesi connessi all’economia e alla cultura monetaria germanica, constatiamo che ne risulta rafforzata la tesi «padana» per cui il Nord Italia pertiene a questo spazio, il Sud niente affatto. […]. Se davvero si costituisse un Euronucleo paracarolingio, forse ne saremmo esclusi. In tal caso metteremmo a rischio l’unità nazionale. Perché se il criterio di quel nucleo è l’appartenenza alla sfera economica tedesca, fino a Verona ci siamo, più a sud molto meno. Bossi avrebbe buon gioco a rispolverare i suoi argomenti secessionisti. Per la Lega l’Euronucleo tornerebbe a rivelarsi la leva per dividere l’Italia, non per unire l’Europa.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia dagli anni Settanta, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, ha espresso la sua approvazione per questo genere di sviluppo, che si integra perfettamente nelle strategie della NATO (Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012):

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Questo è un progetto che piace molto alle fondazioni e think tank neoliberisti e che potenzierebbe a dismisura le spinte secessioniste nei paesi relegati in “serie B”. Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Alto Adige e “Padania” difficilmente tollererebbero l’esclusione.

In un’intervista per il Corriere della Sera (“Ispiratevi alle città del Rinascimento”, 14 luglio 2012), Marcia Christoff Kurapovna, sfegatata paladina del neoliberismo residente a Vienna, ha perciò esortato la Grecia e l’Italia a seguire l’esempio jugoslavo, smembrandosi in piccoli staterelli sul modello dell’Alto Adige/Sudtirolo. Ha sorvolato però sul dettaglio che tali micro-entità sarebbero istantaneamente e completamente alla mercé dei mercati, delle oligarchie finanziarie, delle multinazionali.

Esaminiamo dunque questo progetto di uno Stato Libero del Sudtirolo.

Il politologo Günther Pallaver, intervistato nel febbraio del 2009 da Gabriele Di Luca, in vista di un dibattito pubblico sul tema “Stato libero: una visione” ha dichiarato, in modo piuttosto perentorio:

Chi rivendica il diritto all’autodeterminazione sottolinea in continuazione che gli italiani – in uno Stato autonomo o nell’ambito dello Stato austriaco – sarebbero tutelati come lo sono i tedeschi in Italia. Ciò significa che la tutela attuale non può essere poi così male. Ma se penso a come l’Austria tutela le sue minoranze, allora il mio scetticismo si acuisce. Basta dare uno sguardo alla Carinzia, dove vive la minoranza slovena. Confesso che in uno Stato sovrano avrei paura del nazionalismo tedesco, dei suoi impulsi vendicativi. Solo fino a pochi anni fa gli Schützen dichiaravano che gli italiani sono solo ospiti in questa terra, un’assurdità che contrasta con i diritti fondamentali dell’uomo, poiché ogni cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di residenza in tutti i suoi Stati membri. Preferisco dunque le certezze di oggi: garanzie costituzionali e internazionali e una cultura politica europea di democrazia e tolleranza. Alle promesse di un radioso futuro preferisco le sicurezze del presente.

I Freiheitlichen hanno commissionato la stesura della bozza di una possibile costituzione per lo Stato Libero del Sudtirolo. Tale bozza corrobora i timori di Pallaver, stabilendo che lo strumento referendario consentirebbe di emendare la costituzione: il che introduce la prospettiva di una tirannia della maggioranza che stravolga quegli articoli che tutelano i diritti civili di chiunque risieda in Alto Adige – in primis gli immigrati, che non sono particolarmente ben visti –, lasciando intatti quelli più problematici, come quello che consente ai ladini veneti di chiedere l’annessione al nuovo stato, generando ulteriori tensioni con l’Italia e quello che sancisce il diritto per ogni gruppo etnolinguistico di difendere la propria identità, aprendo la strada ad ogni possibile interpretazione. Infatti, molti si ricorderanno della famosa vicenda della rana verde che stringe un boccale di birra ed un uovo tra le zampe, autoritratto dell’artista Martin Kippenberger, torturato dall’alcolismo, la sua croce. Fu esposta al Museion di Bolzano e scatenò la furia di una parte della popolazione locale. Il presidente del Consiglio Regionale, Franz Pahl, arrivò a dire che “la Rana è un oltraggio alla nostra cultura. Se continueremo di questo passo arriveremo alla totale anarchia”. Ora, al di là del fatto che la stessa destra che mandava gli Schützen a presidiare l’accesso al Museion ora bolla come primitivi i musulmani che si sentono ingiuriati da una pellicola trash che ritrae Maometto come un pedofilo-stupratore-pappone-sterminatore, questa è una dichiarazione che esplicita la bizzarra credenza che non insegnare ai bambini la (presunta) verità di una particolare religione equivalga ad educarli al nichilismo. Bizzarra perché c’è da augurarsi che molti concordino nel dire che la fonte più affidabile per una condotta autenticamente morale è imparare a metterci nei panni degli altri – pur tenendo conto dei loro gusti. Chiunque dovrebbe essere in grado di farlo, ma sono proprio le militanze ed identificazioni forti (incluso l’ateismo) ad essere di grave ostacolo. Pichler-Rolle, il presidente del partito di governo in Alto Adige, l’SVP, chiese la rimozione dell’opera perché “troppi sudtirolesi si sono sentiti feriti nei loro sentimenti religiosi”.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012,  p. 45) ci ragguaglia rispetto al potere dei simboli ed alla necessità di democratizzarli:

“Il simbolo che non è di tutti, ma è solo di qualcuno, cessa di essere simbolo e diventa diabolo. Viene meno ai suoi compiti d’unificazione, di diffusione di sicurezza e di promozione di speranza…Se qualcuno se ne impadronisce, governandone i contenuti, inculcandoli come propaganda o come pubblicità nella testa degli altri, facendone così strumento di governo e di dominio delle coscienze, il simbolo cambia natura…Il simbolo-diabolo può diventare il diapason del potere totalitario.

Chi controlla certi simboli controlla le coscienze attratte da tali simboli; può così dominare intere nazioni (pensiamo ad Hitler, alla swastika, all’Ariano) e magari perfino interi pianeti.

Quel che vogliono i Freiheitlichen è, molto semplicemente, una piccola fortezza, una ridotta alpina, all’interno della Fortezza Europa.

Proprio sul tema delle fortezze in Alto Adige e della loro vacuità, la celebre scrittrice indiana Arundhati Roy ha qualcosa da dire (da “The Briefing”, Manifesta 7, 2008):

Cosa custodivano qui, care compagne e compagni? Cosa difendevano? Armi. Oro. La civiltà stessa. Questo è ciò che dice la guida…Quando le ossa di pietra di questo leone di pietra saranno interrate nella terra inquinata, quando la Fortezza-che-non-è-mai-stata-attaccata sarà ridotta in macerie e la polvere delle macerie avrà formato dei cumuli, chissà che non nevichi di nuovo.

Per concludere, un intervento (Alto Adige, 25 luglio 2012) di Luigi Gallo, assessore alla Partecipazione, al Personale e ai Lavori Pubblici del comune di Bolzano, che va dritto al cuore del problema. Rispondendo a due lettori impregnati di luoghi comuni xenofobici, mostra il nesso tra i due fuochi, l’immigrazione e l’unica, concreta, attuabile soluzione ai nostri problemi, un autentico viatico verso un Mondo Nuovo:

I due lettori hanno sacrosanta ragione a lamentare una drammatica crisi economica che colpisce giovani, pensionati, lavoratori; ma dovrebbero rivolgere i propri strali verso altri bersagli; mentre loro guardano male il carrello della spesa del vicino immigrato o notano con invidia la marca della sua auto di “seconda mano”, qualche decina di speculatori a livello mondiale – con un clic sulla tastiera di un computer – guadagna miliardi di euro con operazioni di Borsa che mandano sul lastrico interi paesi, Italia compresa; le conseguenze sono poi che i governi di quei paesi devono tagliare gli ospedali, le scuole e le pensioni per risparmiare e pagare interessi astronomici sui titoli di stato. Forse i due lettori potrebbero prendersela con queste politiche economiche che tagliano pensioni e diritti del lavoro mentre gli evasori fiscali rimangono salvi. Certo, è più facile guardare il vicino di casa che viene dal Marocco o dal Pakistan e pensare che sia colpa sua, ma non è così. Piaccia o meno, semplicemente non è così. Avete tante ragioni cari signori ma la guerra fra poveri serve solo a distruggere la solidarietà fra le persone e a far ridere “quelli in alto, ma molto in alto” che decidono la nostra vita. Sta a voi decidere da che parte stare

Heiliges Land Tirol / Fratelli d’Italia

 

Estratto da Stefano Fait e Mauro Fattor, “Contro i miti etnici: alla ricerca di un Alto Adige diverso“, Raetia, 2010, 224 pagine.

Ti sei mai chiesto cosa sia questa patria, questa nazione? Pure invenzioni di un piccolo gruppo di sciagurati che vogliono governare sui popoli! Quando la Terra venne creata non fu suddivisa in nazioni! …poi vennero gli uomini, con le loro strampalate idee di possedere il territorio, dimenticando, inoltre, che su questa Terra, mentre lei permane, noi veniamo e ce ne andiamo.

Mario Martinelli

 

Dopo lo spettacolare fallimento della moralità convenzionale (di stampo comunitario) nel corso del secolo scorso, la mansueta, meccanica identificazione dell’individuo ad una collettività, sia essa un’etnia, una patria o una corporazione, è estremamente problematica e va trattata come ogni altra forma di idolatria o tribalismo, ossia con il più lucido scetticismo. L’Heimat è un territorio dell’immaginario, non un’entità naturale. Gli esseri umani fanno già abbastanza fatica a non fuggire da se stessi per paura di essere inadeguati e a non essere prevenuti nei confronti degli sconosciuti per paura di scottarsi l’anima: indurli ad amare una finzione che esalta le differenze verso l’esterno ed annulla l’unicità di ciascuno di noi è irresponsabile.

Dunque il valore dell’Heimat/Patria non solo non esercita effetti virtuosi sulla società civile, ma addirittura la danneggia, sia a livello morale sia a livello pratico. Vediamo meglio come e in che misura ciò avvenga nel contesto altoatesino. C’è una significativa testimonianza di Bernhard Pircher che fu intervistato dalla rivista “UnaCittà” quando aveva 19 anni ed era membro della compagnia di Schützen venostana di Glurns/Glorenza (Pircher 1997). Illustrando le ragioni che lo avevano indotto a diventare uno Schütze, Pircher spiega che “Quello che mi affascinò di più era questo essere dalla parte della Heimat, delle tradizioni, della religione e anche del bisogno di coesione, il fatto cioè che ci si raduni per le celebrazioni pubbliche e per marciare insieme. L’ammissione nella compagnia degli Schützen di un nuovo membro deve essere unanime”. Questa scelta fu resa più facile da un evento particolarmente spiacevole, una rissa con degli italiani per futili motivi. Così Pircher confessava di essere stato per lungo tempo anti-italiano: “Adesso però la vedo diversamente. Anche gli italiani sono esseri umani e hanno quindi molto in comune con noi”. Una frase che chiarisce meglio di dozzine di saggi la natura disumana e de-umanizzante, per entrambi i gruppi etnici, della separazione etnica in vigore nella Heimat altoatesina, specialmente per i giovani, inesperti e quindi estremamente influenzabili. E l’Heimat? Cos’era l’Heimat per quel giovane Schütze della Val Venosta? “Heimat è quel luogo in cui ci si sente “a casa”. Qui da noi ci si conosce tutti. Ci si saluta anche se non ci si conosce e si ha fiducia negli altri…Heimat è per me lì dove si sta volentieri. Io nella mia terra posso fare le cose che amo fare…Nella mia Heimat io ho l’aria pura e un ambiente quasi incontaminato, che rispetto”. Per Pircher l’Heimat non è chiusa ai forestieri: “Essa è per tutti, questo lo voglio ben sperare. Anche per quegli italiani che sono nati qui. Io vorrei anche che ognuno si prendesse cura di questa Heimat, anche delle sue tradizioni. Quando ad esempio si preparano i fuochi per il “Sacro Cuore di Gesù”, è bello perché vecchi e giovani si incontrano, salgono insieme sulla montagna e condividono il piacere di queste tradizioni. Si ascoltano storie di tempi passati, e quando poi bruciano i falò, si sente dentro di sé una gioia e un senso di comunione così unico e profondo. Tutti aiutano, tutto il paese si dà da fare affinché queste feste riescano bene. È anche un modo per incontrare persone che altrimenti non si incontrerebbero. È un’alternativa al solito bar, e magari pure alla discoteca in cui i più vecchi in ogni caso non vanno. Anche questi incontri sono Heimat”. O forse no. Forse l’idea di Heimat è una sovrastruttura del tutto superflua. Tant’è che in italiano basta dire – “sentirsi a casa” – senza tanti fronzoli mistici politicamente manipolabili. Heimat non è l’unica risposta, o la migliore, allo spaesamento da globalizzazione. Il paesaggio emotivo tedesco non è poi così diverso da quello latino o slavo. Così in Trentino si possono fare le stesse cose e provare le stesse sensazioni senza che la mente chiami in causa come un automatismo del tipo “stimolo-risposta” la nozione di patria/Heimat. C’è chi si è chiesto come mai una parte del mondo germanico sia così fermamente aggrappata a questa idea di Heimat. Ad esempio Peter Blickle, docente di germanistica presso l’Università del Michigan, ritiene (Blickle 2002) che essa nasca dalla fusione di Romanticismo ed anti-Illuminismo e che il bisogno psicologico derivi in primo luogo dal desiderio di ricavarsi uno spazio idealizzato e protettivo, un’appartenenza di tipo neo-tribale percepita come naturale nella quale perdersi. È una provincia dello spirito che è emanazione di una spiritualità provinciale, locale e che impregna una “individualità collettiva” che “rassicura i germanofoni circa il loro valore, identità e unicità” (Blickle, op. cit., 50). Il sé, come detto, si perde nell’Heimat e diviene un sé diverso da quello descritto da Freud, un sé “preconscio, dipendente dal gruppo e sociale…bisognoso di radici. Un sé sradicato è percepito come sminuito o guastato” (ibidem, 69) che confonde persone e cose, l’errore ontologico del pensiero magico-superstizioso che un tempo si chiamava idolatria pagana.In passato quest’invenzione del pensiero umano è servita a tenere in piedi un sistema di valori, poteri e rapporti umani fortemente lesivo della dignità delle donne e discriminatorio nei confronti dei bambini e delle minoranze.

Inoltre l’aura di innocenza che spira attorno all’Heimat è saldamente legata alla semplice e perniciosa equazione di bello e buono. Se l’Heimat è un idillio di bellezza, innocenza e purezza, allora chi la ama è buono ed irreprensibile per definizione. Anzi, è un eletto. Non è quindi per nulla sorprendente che l’Heimat sudtirolese attiri le personalità narcisistiche. Tutti, anche se in misura diversa, siamo affetti da narcisismo. Il militante etnicista o patriottico va oltre, dando libero sfogo alla sua immaginazione ipertrofica. In talune circostanze la discrepanza tra realtà e immaginazione è tale che questo tipo di narcisista inveterato trova arduo non provare disgusto per ciò che stona, fosse pure una certa classe di esseri umani. Dimostra povertà di spirito e scarsa empatia, tratta gli altri come oggetti utili ad alimentare il proprio bisogno narcisistico, si chiude autisticamente nel suo bozzolo di certezze, nel suo personale universo di riduzionismi che lo deresponsabilizzano e spostano la colpa sui difetti congeniti degli altri. Necessita di ordine e chiarezza e li può trovare nella superstizione del gene onnipotente, della tradizione ordinatrice, dell’identità totalizzante e neo-tribale, cioè nell’idea in quanto tale, immacolata ed omogenea. Il Südtirol o l’Italia come filo a piombo dell’anima (Stecher 2008). Un’idolatria che è anche un terribile auto-inganno e che bolla come minaccia tutto ciò che contamina la purezza dell’idea, arrivando a negare la realtà, come nel risibile “no a un’Italia multi-etnicadi Berlusconi. Se questa minaccia non è opportunamente neutralizzata la condanna è all’alienazione. Un inconscio processo di alienazione è già comunque in atto, perché il narcisista immaginifico è già schiavo delle sue idee fisse. I totalitarismi altro non sono che manifestazioni su vasta scala del medesimo fenomeno, vere e proprie epidemie di narcisismo. Ciò potrà sembrare strano per chi è abituato, erroneamente, a pensare al narcisismo in termini di egocentrismo ed eccessivo amor proprio. In realtà il narcisista, se privato della sua sorgente di conferme e rassicurazioni, si sente vuoto e depresso, inutile, senza scopo, amorfo, ansioso ed insicuro. Soffre di considerevoli oscillazioni nell’autostima e può arrivare a credere che la vita non sia degna di essere vissuta. Per evitare questo tragico epilogo sente l’impulso di aggrapparsi ad una qualche figura o idea dominante che fornisca un sostegno solido. Anela la fama e l’ammirazione, perché queste portano con loro l’universale approvazione. Se non può conseguirla si attacca al culto della celebrità. Molti binomi padrone-servo potrebbero essere tranquillamente invertiti, perché entrambi sono narcisi ed hanno bisogno di quel tipo di rapporto patologico più di quanto necessitino di un certo status. È il vuoto interiore, l’inautenticità, la perdita di senso, l’incertezza del futuro che paventano più di ogni altra cosa. La superficialità non è un problema, il narcisista è in ogni caso antropologicamente pessimista, il suo pensiero non è mai profondo – è arendtianamente banale –, né lo è la sua stima nei confronti degli altri esseri umani, che non sono mai davvero suoi simili e per questo possono essere ordinatamente incasellati in categorie arbitrarie. Il feticismo, l’illusionismo nella sua accezione più ampia è il vizio caratteristico del narcisista. Non potendo contare su una vita ultraterrena, esorcizza lo spettro della morte concentrandosi sull’immagine e sull’idea – la Patria, l’Etnia –, rendendole immortali, e si autoipnotizza, dissipando il suo potenziale. Il suo amor proprio è dunque fragilissimo e la concentrazione su di sé in realtà è molto precaria e può mutarsi molto facilmente in attaccamento fanatico ad un movimento e ad un leader che incarnino le idee fisse che danno senso alla sua esistenza, almeno provvisoriamente. Insomma il narcisista non è autonomo ed indipendente, non ha alcun serio controllo sulla sua esistenza. Al contrario è eterodiretto, e si lascia facilmente assimilare da fazioni, sette, tribù, razze, campanilismi, integralismi e militanze varie, riflessi distorti della realtà. Si intossica di lusinghe, vezzeggiamenti, adulazioni, apprezzamenti di un sé illusorio, falso e privo di valore, che ha bisogno di ripetute conferme e le trova nella grandezza del Gruppo. È una comparsa nella sua vita, non il protagonista, anche se non se ne rende conto e profonde impegno e risorse per rinsaldare ancora di più questo stato di cose.

Oggi, in Alto Adige come in gran parte dell’Europa, la logica etnarchica, – essenzialmente narcisistica – che antepone il particolare all’universale sacrificando il motto Liberté, Égalité, Fraternité sull’altare della Cultura e dell’Identità, è sopravvissuta alla sconfitta del nazismo e del comunismo. Si è tornati a parlare di identità naturali, anche se nessuno ha saputo ancora spiegare cosa ci sia di naturale e di univoco in queste identità. D’altronde quello identitario non è un appello alla ragione, ma alle emozioni, ai sensi di colpa ed alla paura di chi, sentendosi in dovere di appartenere “anima e core” ad un insieme più ampio, non si sente di poter affrontare il giudizio altrui e l’ostracismo degli altri membri del gruppo. La moda etnarchica non va però affrontata in modo sbrigativo. Non è un atavismo incontrollabile ma piuttosto un nobile stimolo umano primordiale (quello al raggruppamento ed alla condivisione di sforzi ed aneliti) che può essere male indirizzato, nel qual caso trova pretesti e razionalizzazioni eminentemente moderne quando il modello universalista segna il passo, cioè ad ogni seria crisi internazionale o sotto la spinta dell’immigrazione di massa.

Essa rimane una strategia fallimentare sotto ogni punto di vista. A livello etico perché non rispetta la dignità intrinseca e l’autonomia delle persone e dissimula la loro unica, comprovabile appartenenza, quella alla specie umana. A livello pratico perché non esiste alcun modo per tenere sotto controllo le forze centrifughe ed atomizzanti messe in moto da una politica della differenziazione identitaria. Ci sarà sempre una minoranza che pretenderà il pieno autogoverno se non riceverà un’adeguata compensazione. Pensiamo a quel che sta avvenendo in Bosnia, dove la Republika Srpska a forte maggioranza serba sta già meditando di seguire l’esempio del Montenegro e Kosovo, distruggendo quindi ogni sforzo pacificatore ed unitario della comunità internazionale in Bosnia. Oppure pensiamo alla contrapposizione tra Scozia ed Inghilterra, tra Catalogna ed Andalusia, tra Fiandre e Vallonia, tra Padania e Meridione. In caso di separazione, il paradigma etnico che la giustifica sarebbe nel contempo il maggiore ostacolo alla realizzazione di una società equa, giusta, e solidale. La maggioranza etnica sarebbe autorizzata a decidere in funzione dell’interesse primario della conservazione della sua egemonia. E non è precisamente quel che avviene in Alto Adige – e in Italia –, con la ben remunerata connivenza di quasi tutti i partiti? Cosa succederebbe in Alto Adige se si arrivasse al distacco dall’Italia? Cosa farebbe la maggioranza italofona di Bolzano e dell’Oltradige-Bassa Atesina? E come si può evitare che degli standard etici locali logorino la coesione dell’Unione Europea attorno ai principi universalistici ereditati dall’ecumenismo cristiano, dall’Umanesimo e dall’Illuminismo? Il separatismo localistico ed il differenzialismo identitario non sono né assennati né moralmente giustificabili. Non possono costituire una risposta ai problemi dell’autogestione territoriale né possono mitigare l’impatto della globalizzazione a livello socio-economico, se non altro perché i movimenti etnopopulistici europei sono sempre ed invariabilmente libertari (di destra), in quanto il loro bacino elettorale si concentra soprattutto nella piccola e media impresa, cioè tra elettori che troppo spesso sono più propensi a pretendere tutele per sé stessi, anche se a discapito del resto della popolazione e degli immigrati che pure loro stessi assumono in gran numero (Tamás 2000). Quel che è scandaloso è che una parte della sinistra, in nome dell’anti-imperialismo, si sia sentita in dovere di combattere la destra su un campo come quello delle identità collettive, che è il terreno naturale della destra stessa.

La “mia” università scozzese scopre un pezzo di “Atlantide”

“I sommozzatori dell’università di St. Andrews avrebbero scoperto alcuni degli eccezionali resti della terra perduta di Doggerland, o anche Atlantide britannica. Una porzione di territorio che secondo il Daily Mail, sarebbe stata distrutta quasi 8300 anni fa da uno tsunami devastante, parte di un processo più ampio che arrivò a sommergere completamente una striscia di terra che, secondo le più recenti ricerche, collegava la Scozia alla Danimarca e definita anche come “il vero cuore” di quella che ora è  l’Europa così come la conosciamo. Doggerland sarebbe stata abitata da decine di migliaia di individui. Un’intera civiltà annientata dall’innalzarsi del livello del mare che coprì le terre costiere di minor altitudine, attraverso un lento processo durato oltre 13.000 anni, culminato, secondo alcuni studiosi, nello tsunami di Storegga.

Secondo il geofisico Richard Bates, del dipartimento di Scienze della Terra dell’università di St. Andrews, “è solo dopo aver lavorato fianco a fianco con le compagnie petrolifere negli ultimi anni che siamo stati in grado di ricreare una sorta di mappa di come poteva essere realmente Doggerland”, grazie anche a diversi modelli geoficisi forniti dalle stesse compagnie, combinati con dati ottenuti da evidenze dirette. I sommozzatori della St. Andrews infatti hanno fatto l’eccezionale scoperta durante una collaborazione scientifica con alcune aziende petrolifere  operanti nel Mare del Nord. Più in generale al progetto collaborano anche altre università: quella di Birmingham (Inghilterra), di Dundee e Aberdeen (Scozia) e di Trinity St. David (Galles). I ricercatori ora si sono detti in grado di inferire ipotesi plausibili su come fossero la flora e la fauna, oltre che la vita umana,  su una terra che era molto più vasta di molte nazioni europee contemporanee“.

http://www.newnotizie.it/2012/07/doggerland-trovata-sottacqua-latlantide-britannica/

Scozzesi, baschi, catalani e sudtirolesi alle prese con il Nuovo Ordine Europeo

a cura di Stefano Fait

 

 

La seconda grande lezione della guerra del Kosovo è che non ci sono più scontri ineluttabili di culture, etnie e civiltà, se non nelle interpretazioni dei loro fautori. Le motivazioni e i comportamenti reali dei protagonisti di questi scontri sono molto distanti da quelli attribuiti loro dalla politica, dalla diplomazia e dal circuito dell’informazione internazionali. Il Kosovo non è una provincia di odi etnici secolari e di fanatismo religioso. E il resto dei Balcani non è diverso.

Pino Arlacchi, prefazione a “La Torre dei Crani. Kosovo 2000-2004”, di Antonio Evangelista

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5597

Anche se la maggior parte delle persone continua a credere che la facciata della realtà sia tutta la realtà, le cose stanno diversamente:

http://fanuessays.blogspot.com/2012/01/ferruccio-pinotti-sui-poteri-occulti.html

Pensiamo solo alla candidatura della Clinton alla direzione della Banca Mondiale:

http://www.reuters.com/article/2011/06/09/us-obama-clinton-worldbank-idUSTRE7586P720110609

Cosa ci dice sull’equanimità, indipendenza e democraticità delle istituzioni globali, quelle che decidono delle sorti di popoli e nazioni?  Cos’è la Banca Mondiale, un istituto finanziario o un’appendice politica globale dell’impero anglo-americano?

E cosa ci dice la spietatezza con la quale sono stati trattati milioni di Greci, come se fossero collettivamente colpevoli, o la virulenza della germanofobia che si diffonde attraverso il continente?

Il bullismo delle istituzioni europee è ormai sfrenato. Ora se la prendono con la Spagna perché il nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy ha ritardato l’implementazione delle misure di austerità a dopo le imminenti elezioni regionali perché, comprensibilmente, non è entusiasta all’idea di danneggiare i candidati del suo partito. Le sanzioni contro la Spagna sono assai probabili e potranno ammontare ad una quota pari a fino allo 0,1% del suo PIL:

http://www.euronews.net/business-newswires/1386450-eu-to-punish-spain-for-deficits-inaction/

Non è ancora chiaro se l’obiettivo sia quello di far vedere chi comanda o, il che è più probabile nel caso della Grecia, arrivare alla sua espulsione facendo ricadere la colpa interamente su di essa – strategia dell’agnello sacrificale. In Giappone i media spiegano ai cittadini giapponesi che se non accetteranno l’austerità finiranno come gli Italiani, in Italia ci spiegano che se non accetteremo l’austerità faremo la figura dei Greci. Ai Greci hanno spiegato che se non avessero accettato un severissimo regime di austerità sarebbero finiti male. Onestamente non vedo come possano finire peggio di così, salvo un’eventuale occupazione da parte di un esercito invasore o l’instaurazione di una dittatura militare.

Difficile che l’Unione Europea voglia fare a meno della Spagna, che è un boccone molto grosso. Dunque l’intento degli eurocrati potrebbe essere quello di intimidire gli Spagnoli. È l’ultima fase della strategia iniziata con un flusso di capitali in eccedenza (nazionali e bancari) diretto verso i PI(I)GS che garantisse il loro ingresso in Europa per poi poterli spennare, con la complicità dei politici locali, e simultaneamente spennare i contribuenti delle nazioni ricche:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

Ora, scatenata la crisi, banche ed istituzioni europee sono legittimate a maramaldeggiare ed interferire con gli affari interni dei vari paesi nel mirino, facendosi passare per le vittime che pretendono a buon diritto dei risarcimenti, quando invece sono degli usurai/pusher che sapevano molto bene fin dall’inizio che stavano facendo cadere in trappola le loro prede. Questa conclusione non ha un puro valore teorico: la correttezza di questo ragionamento comporta che siamo di fronte a persone (sociopatici? psicopatici? schizoidi? narcisisti?) che si sono macchiate di vari crimini contro l’umanità per via della loro sconfinata avidità e carenza di coscienza/empatia. Ci sono dunque evidenti implicazioni giuridiche e morali di cui i futuri partigiani/resistenti/rivoluzionari e storiografi dovranno tener in conto. A ciò si dovrebbero aggiungere i capi di imputazione che si sono guadagnati nei rapporti con i paesi in via di sviluppo e che i cittadini delle nazioni “evolute” hanno convenientemente trascurato (qualche miliardo di umani in surplus).

Ad ogni buon conto, sebbene l’attuale configurazione istituzionale dell’Unione Europea sia ben lontana da quella statunitense, Bruxelles si comporta già come Washington, un atteggiamento che fino a pochi anni fa sarebbe stato giudicato intollerabile. La paura della crisi ha ammansito gli Europei. Per ora, solo i Greci hanno cominciato a dire no. È auspicabile che non siano gli unici, che non siano lasciati da soli. Se ho imparato a conoscerli bene, non penso che gli Spagnoli si asterranno dalla lotta. Così, mentre la sfera egemonica anglo-americana (e non solo) spinge centripetamente nella direzione di un governo mondiale, parallelamente prendono forma forze centrifughe che sono istantaneamente demonizzate, bollate come “etnopopulismi reazionari” anche quando hanno un carattere autenticamente progressista, democratico ed umanista/umanitario nel senso più vero del termine.

Come non tutto il separatismo sudtirolese è xenofobico e regressivo, così i movimenti catalani, baschi, galiziani, scozzesi, corsi e sudtirolesi/altoatesini per l’autodeterminazione non possono essere tutti, o nella loro interezza, designati come anti-moderni ed anti-europeisti. Quel che è certo è che non si lasceranno sottomettere facilmente. Non ho idea di quali potranno essere le conseguenze, ad esempio in Alto Adige, ma ho l’impressione che le perduranti conflittualità tra maggioranze e minoranze saranno sfruttate nel nome del divide et impera ed occorrerà fare di tutto per evitarlo, apprendendo le lezioni della storia:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/si-puo-evitare-una-terza-guerra-civile.html

Sia come sia, la Scozia ambisce a tentare la strada della devoluzione integrale, se possibile tra il 2014 ed il 2016:

http://www.guardian.co.uk/uk/scotland

I politici inglese sono estremamente preoccupati riguardo a questo sviluppo non perché temano la secessione (non ci sarà, gli Scozzesi preferiscono una piena devoluzione alla problematica creazione di uno stato nazionale) ma perché sanno che il partito nazionalista scozzese (Scottish National Party) è progressista ed anti-neoliberista, ossia è la bestia nera delle politiche in voga nell’eurozona e che sono invece guardate come il fumo negli occhi nei paesi nordici, dall’Islanda alla Finlandia. Addirittura il leader dei nazionalisti scozzesi, Alex Salmond, ha dichiarato di voler servire da esempio per tutte le forze progressiste del Regno Unito e oltre. Insomma, Salmond vuole portare all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale tutti quegli argomenti che le oligarchie autoritarie dell’eurozona e della City di Londra cercano di mantenere lontano dai riflettori. Odiano il pluralismo, specialmente nei media. Odiano l’idea che qualcuno possa decidere di proporre sul serio – e non nella certezza che non si farà mai (cf. Merkel e Sarkozy) – l’introduzione di forme di tassazione delle transazioni finanziarie, o di contrastare l’evasione fiscale delle élite e le iniziative militari del Regno Unito e della NATO in giro per il mondo. Un esempio del genere sarebbe devastante per il loro monopolio della percezione pubblica della realtà. Nascerebbe un’autentica alternativa, non si potrebbe più dire che esiste un unico modo di affrontare la crisi e lasciarsela alle spalle. Il neoliberismo troverebbe un avversario in grado di sconfiggerlo, in Scozia, in Galles, nell’Irlanda del Nord, nella stessa Inghilterra e in Irlanda, qualcuno che sventoli la bandiera della giustizia sociale e dell’autodeterminazioni degli individui.

La Scozia potrebbe ambire anche all’indipendenza visto che produce più ricchezza della media britannica e invia a Londra più imposte dei trasferimenti statali che riceve in cambio, si emanciperebbe da politiche che favoriscono invariabilmente Londra ed il Sud-Est e che aggravano le disparità sociali, privatizzando le risose e servizi pubblici, non dovrebbe partecipare a guerre alle quali si oppone, si denuclearizzerebbe, si potrebbe opporre al continuo afflusso di scorie nucleari sul suo territorio, potrebbe diventare energeticamente autonoma, grazie allo sfruttamento delle rinnovabili, del petrolio e del carbone, avrebbe un seggio all’ONU e nell’Unione Europea. Le esportazioni di whisky scozzese rappresentano il 25% delle esportazioni alimentari britanniche. La Scozia potrebbe aspirare a raggiungere i paesi nordici in termini di sviluppo umano e qualità della vita.

La Catalogna vorrebbe l’autodeterminazione per il 2014, a trecento anni dalla perdita della sua indipendenza. Ci sono ostacoli ma si insiste, prendendo a modello la Scozia:

http://www.europapress.es/catalunya/noticia-carod-defiende-referendum-independencia-2014-si-era-viable-20120112111211.html

I separatisti sudtirolesi si ispirano ai separatisti catalani:

http://www.gruene.bz.it/index.php?option=com_content&view=article&id=287:lautodeterminazione-lalto-adige-non-e-la-catalogna-selbstbestimmungsuedtirol-ist-nicht-katalonien-&catid=35:landtag-consiglio-provinciale&Itemid=64&lang=it

http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2011/04/12/news/klotz-l-esempio-della-catalogna-3930391

Qui un sommario confronto tra le due esperienze:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/separatismo-sudtirolese-separatismo.html

La situazione altoatesina è particolarmente delicata:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/quel-che-i-politici-altoatesini-non.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/auspici-per-il-2012ed-il-2013ed-il-2014.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/giustizia-e-riconciliazione-in-alto.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/10/alex-langer-twin-peaks.html

In inglese:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/gemutlich-segregation-multiculturalism.html

L’inevitabile, grave recessione infiammerà gli animi. Lo si intuisce esaminando le tendenze di voto per il partito nazionalista scozzese:

1929 3,000
1931 21,000
1935 30,000
1945 27,000
1951 7,000
1955 12,000
1959 21,000
1964 64,000 – 1963: scoperti giacimenti petroliferi nel Mare del Nord
1966 128,000
1970 307,000 – 1969-1970: scoperta di due enormi giacimenti petroliferi al largo della costa scozzese

1974 633.000 – [la prima di due elezioni]
1974 839,000 – 1973-1974: crisi petrolifera, crisi economica, austerità

1979 504,000
1983 497,000
1987 416,000
1992 629,000 – sfarinamento dell’Unione Sovietica in varie repubbliche indipendenti e Guerra del Golfo

1997 621,000 – Hong Kong torna alla Cina
2001 464,000
2005 412,000
2010 491,000 – crisi economica

Così proprio l’arma che doveva servire a sottomettere i popoli potrebbe ritorcersi contro gli aguzzini. Tutto dipende da come la gente impiegherà Internet, se per informarsi e poi rifiutarsi di cooperare, o per prendere per buone le versioni ufficiali delle autorità e servirle. Per il momento non sembra probabile che l’Internet possa essere soppressa a breve e in misura significativa. Dunque c’è la speranza che sempre più gente si renda conto, tra le altre cose, che altri paesi, prima della Grecia, hanno fatto default senza finire all’inferno, anzi – es. Russia, Brasile, Argentina, Ecuador, Messico – e si renda conto che non c’è alcuna ragione di credere che solo i Greci siano stati condotti al massacro dai propri politici.

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