Hans Karl Peterlini, “Capire l’altro. Piccoli racconti per fare memoria sociale” (2012)

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“Capire l’altro. Piccoli racconti per fare memoria sociale”, di Hans Karl Peterlini (2012), è un testo magnifico ed evocativo. L’Alto Adige diverso che auspicavamo io e Mauro Fattor (2010) traspare con forza nella sua analisi e nelle interviste mirate, ripetute ad una decina di anni di distanza per esplorare il cambiamento dell’orizzonte psicologico e morale (della coscienza) di alcuni giovani sudtirolesi che avevano scelto di diventare Schützen.

Oggi quelle stesse persone che, in precedenza, “guardavano il mondo da un oblò (etnonazionalista)” dimostrano di riuscire ad amare con autentico e commovente trasporto la propria terra senza essere patrioti, senza chiusure etnocentriche, aggressive e regressive. Riescono ad amare il prossimo, l’umanità ed il pianeta nelle sue espressioni locali e nei luoghi del mondo in cui hanno posato il loro cuore, senza scadere nel sentimentalismo umanitario globalista e dozzinale tipico dello stile pubblicitario della Benetton, Coca Cola, dei gestori della telefonia mobile, delle campagne virali sui social networks, spesso viziate da secondi fini.

Questi giovani stanno parlando di persone in carne ed ossa, di cose concrete, palpabili, di buon senso, non di astrazioni vuote, fredde o senza spessore, non di mondi fittizi da usare come ripari emotivi o come compensazioni narcisistiche. Il loro è un cosmopolitismo ancorato alla realtà vissuta (il Lebenswelt), non agli slogan edificanti, edonistici o consumistici.

La vista delle montagne è quello che dà loro i brividi, ma è una cosa che succede anche a mia moglie, extracomunitaria e non certo amante dell’escursionismo, quando rientra dalla Pianura Padana, pur vivendo a Trento solo da pochi anni.

Peterlini constata una vera e propria rivoluzione nella consapevolezza di Sigmar Decarli, rispetto a 10 anni prima (1997/1998). Ha esplorato altri paesi, ha fatto amicizia con degli italiani ed extracomunitari e si è anche trovato una ragazza di lingua italiana. Così si è allontanato dalla posizioni oltranziste del padre e del fratello minore. È diventato interculturale e si sente soffocare in un ambito orgogliosamente monoculturale.

Ingo Hört ha capito che, per continuare ad esplorare il Tirolo e la “tirolesità”, “non serve nessuna divisa e non serve nemmeno difendere in continuazione il proprio onore…Per me la questione se un confine passa da lì o da là non ha nessuna importanza. Mai potrei dire che il Sudtirolo è la mia Heimat, perché per esempio della Val Pusteria conosco forse un due per cento, ci sarò stato lì da bambino…ma intanto conosco certe parti tra il confine italiano e Vienna meglio che non la Val d’Ultimo. Perché me ne dovrei preoccupare della mia carta d’identità? Se non dovessi averla per legge, potrei anche buttarla via….l’identità è una cosa totalmente individuale…potresti scrivere che sono io stesso la mia Heimat” (p. 92)

Dagmar Lafogler era una sfegatata ammiratrice di Andreas Hofer con fortissimi pregiudizi contro gli extracomunitari. Oggi resta la diffidenza verso gli extracomunitari, ma si è trasferita a Lana e ha delle amiche extracomunitarie (una musulmana): “E sai perché? Perché la gente di Lana, quelli che sono nati qui…quelli trattano me, sì me, come se fossi un’extracomunitaria. Capisci?” (p. 106). Suo figlio l’ha chiamato André. Un po’ in onore di Andreas Hofer, ma con la pronuncia francese, perché ha scoperto che il suo cognome risale ad un tale Laffolier, un soldato napoleonico – un nemico di Hofer, uno di quelli che era tenuto ad ucciderlo, se ne avesse avuto la possibilità – rimasto in Alto Adige dopo la sconfitta dell’eroe tirolese.

Kriemhild Astfäller era vigorosamente pantirolista. Oggi Innsbruck rimane la sua città del cuore, ma spiega che “servire la Heimat può essere anche dare la vita a dei figli ed educarli bene, può essere la tutela dell’ambiente, della tradizione…E può anche significare: andare via e tornare con nuove idee ed un sapere arricchito” (p. 120).

Johann “Johnny” Ebner non ha più una Heimat ubicata in un luogo preciso: “Per me non ha alcuna importanza a che Stato appartiene il Sudtirolo. Nel mio passaporto c’è scritto Italia, ma anche se ci fosse scritto Uruguay, per me non farebbe differenza….Alla Heimat non appartiene tutta quella roba radicale, quelle cose, diciamo, esagerate, no, non hanno niente a che fare con la Heimat….è sempre un danno quando si esagera” (p. 133). “Qui è la Heimat” ed indica il tavolo, la casa, la ragazza e la vita che stanno cercando di costruire assieme. Questa sua ragazza, Priska, comincia a sentirsi a casa quando supera il Brennero entrando in Sudtirolo e avverte certe sensazioni piacevoli anche quando arriva da sud: “ma in quel caso ero sempre in Italia, allora non lo sento così forte” (p. 139). Si stupisce che il suo amato Johnny non senta alcun legame con la Heimat. Gli chiede: “Ma per te essere ad Amburgo o qui è la stessa cosa?”. E lui ribatte: “Perché no? Se è bello perché non dovrei sentirmi a casa…non mento. Basta che sia bello, che stia insieme a gente simpatica, allora può essere bello ovunque”.

In “Contro i miti etnici” ho condannato senza appello ogni genere di patriottismo, dedicandovi lunghe riflessioni che, da allora, hanno trovato molte più conferme che smentite e che sono diventate ancora più attuali alla luce del dibattito sui separatismi negli stati dell’eurozona più duramente colpiti dai diktat della troika. Ma nel frattempo ho imparato anch’io una cosa: il patriottismo contiene in sé un sentimento comunitario che può essere messo a frutto (non si butta il bambino con l’acqua del bagnetto). Un corso d’acqua può spazzare via tutto sulla sua strada quando esonda ma, se viene curato, disseta i campi ed illumina le città. Allo stesso modo, i tribalismi, se convogliati nella giusta direzione e senza eccessive impetuosità dalla politica, dai media, dall’associazionismo e dall’intellettualità, può aiutare chi non sa o non si sente o non vuole essere cosmopolita ad integrarsi in un mondo inevitabilmente cosmopolita senza sviluppare risentimento, voglia di rivalsa, rancore ed alienazione.

Non è facile, ma va fatto. Purtroppo la società civile non sempre aiuta; anzi, spesso ostacola questo processo di integrazione (Peterlini, op. cit. 144):

“Sarebbe troppo bello se da questa ricerca risultasse che la vita pone riparo a tutto. La vita aggiusta sicuramente tanto, ma gli eventi, le esperienze condotte nel mondo della vita non portano automaticamente a miglioramenti di sistema; anzi, certe ombre contenute nel sistema, certe immagini del nemico, certi stereotipi, certe minacce più psicotiche che reali sopravvivono anche quando sono fortemente contraddette nel mondo della vita. Lo dimostra in modo eclatante lo studio del caso di Dagmar, che nonostante le sue amiche musulmane e dell’Europa dell’Est, in linea di principio rimane ferma sulle sue posizioni contro gli immigrati”.

“Contro i miti etnici” – un libro “preveggente” ed in offerta speciale (-20%) per i lettori del blog

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Preveggente e lucido – (modestia a parte ;o)

Nelle annotazioni precisate che siete lettori del blog di Stefano Fait ed otterrete lo sconto (offerta valida fino al 31 agosto):
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Stefano Fait/Mauro Fattor
CONTRO I MITI ETNICI
Alla ricerca di un Alto Adige diverso

Osservandolo dall’esterno, l’Alto Adige appare una realtà molto particolare. Nel mezzo dello spettacolare scenario delle Dolomiti, due, anzi tre culture condividono un piccolo fazzoletto di terra, parlano tre lingue diverse e costituiscono un ponte tra nord e sud. Un’immagine che purtroppo, per ragioni storiche, non rispecchia la realtà. Stefano Fait e Mauro Fattor ritraggono l’Alto Adige da una prospettiva esterna e, (pur essendo) consapevoli del contesto storico mostrano che la “Matrix sudtirolese” si basa su principi troppo chiusi e rigidi, spesso interpretati erroneamente. Volk/popolo, Heimat/patria, Kultur/cultura sono concetti da ridefinire per il futuro di questa regione. Secondo gli autori, il presupposto per una pacifica convivenza è andare oltre il culturalismo.

Un’analisi corrosiva e spietata degli idoli e dei miti etnici che frenano la società sudtirolese e non solo. Dall’ideologia del Bergbauer/contadino al dispotismo degli idoli identitari, il libro è il tentativo di mettere a nudo la retorica della patria e del “tempo degli eroi” attraverso il filtro di un’analisi rigorosa che tocca sociologia, antropologia, politica, storia, filosofia.

Premio Itas 2011

del Libro di Montagna

 

SEGNALATO

dalla Giuria

 

59° Trentofilmfestival Montagna Esplorazione Avventura

 

 

 

 

Voci correlate al libro

“Se Fattor e Fait sono due utopisti, sono anche sufficientemente realisti da sapere che la distruzione del paradigma etnico è solo un lato della medaglia. Per questo non si limitano alla demolizione del mito etnico, ma anche a smontare la falsa consapevolezza che deriva dal rendere reale una costruzione sociale.”
Günther Pallaver

 

“È a questa Europa di minoranze in cammino e di identità mutabili che dovremmo affidare il futuro della nostra bella terra. Orgogliosi dell’autogoverno ma al tempo stesso responsabili nel costruire.”
Michele Nardelli

 

Eco della stampa

In Sudtirolo si scrive molto di Sudtirolo. Monografie e saggi di carattere politico e storico, talvolta assai ben documentati, non mancano. Con un piccolo, significativo, difetto. Una riflessione su questa terra pensata e redatta in lingua italiana stenta a decollare, oppure è consegnata alla fugacità di interventi giornalistici che non consentono il necessario approfondimento. Contrastando in modo programmatico questa tendenza, il volume “Contro i miti etnici”, uscito per l’attivissima casa editrice “Raetia” di Bolzano, colma questa lacuna e propone un punto di vista critico sul “modello Südtirol” con il quale è senz’altro utile confrontarsi. Il saggio, utilizzando un linguaggio accessibile a tutti e risultando con ciò comprensibile anche a chi non sia particolarmente esperto di problematiche locali, lancia la sua provocazione e vuol far discutere: decostruire le mitologie che innervano e condizionano un discorso pubblico tuttora impostato sulla prevalenza dei gruppi, proponendo – in opposizione – il senso di una progettualità più vicina alle esigenze degli individui.
Corriere dell’Alto Adige

Il volume di Fait e Fattor è un atto di accusa contro il “doping identitario” della politica locale. (…) Il libro è tanto un saggio quanto un pamphlet.
Alto Adige

Il libro è molto interessante e merita di essere letto con attenzione.
Corriere dell’Alto Adige, Gabriele di Luca

Stefano Fait und Mauro Fattor analysieren die ethnischen Mythen und versuchen die Mechanismen und Beweggründe hinter der patriotischen Rhetorik freizulegen.
Der Brixner

Quello di Fait e Fattor è un coraggioso tentativo di rendere fruibile ad un pubblico di non addetti ai lavori, quello che nasce come uno studio di natura sociale ed antropologica della società altoatesina.
dislivelli, Daniela Zecca

Un libro fondamentale, assolutamente da leggere, forse il testo più “vero” e doloroso mai scritto sull’Alto Adige.
Reinhard Christanell, franzmagazine

INTRODUZIONE

“Vi hanno detto che senza le radici non si costruisce il futuro, che senza un’identità collettiva la vita non ha senso, che l’atto di togliere il crocifisso dai luoghi pubblici è un’offesa a ciascuno di voi, prima ancora che a Dio, che ognuno dovrebbe essere orgoglioso della propria patria/Heimat ed è tenuto ad amare la propria lingua. Tutto questo lo si deve fare a prescindere. Un po’ come le Tavole della Legge donate da Geova a Mosè sul Sinai: “Io sono il Signore, tuo Dio… Non avere altri dèi di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine… Non ti prostrerai davanti a quelle cose…ecc.” I Comandamenti sono stati debitamente aggiornati e la loro osservanza è dovuta. È curioso che l’unico animale terrestre nato per essere libero abbia trascorso la sua storia escogitando ogni possibile mezzo e metodo per ingabbiarsi. Eppure, per noi umani, non esiste a questo mondo nulla di inevitabile, tranne la morte. Geni, ambienti familiari, culture, lingue, estrazione sociale, ecc. non programmano la nostra esistenza. È estremamente facile provarlo…”
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