Cosa spinge Netanyahu verso il baratro? (il rapporto con un padre molto particolare)

Israele NON è la Germania nazista – come qualunque persona assennata può capire da sé -, ma certe logiche che guidano le sue azioni non se ne discostano abbastanza e il rischio è che il circolo vizioso in cui si è cacciato lo porti a diventare quel che non avrebbe mai desiderato essere: un paria internazionale abbandonato da tutti ed assediato da una coalizione di interventisti umanitari (come la Germania nazista, appunto).

Intanto i sionisti continuano a scavarsi una gigantesca fossa comune e a porre le premesse per dei pogrom:

http://www.ilgiornale.it/news/figlio-sharon-bisogna-radere-suolo-gaza-857323.html

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/11/18/video-choc-dopo-scontri-di-roma-aggrediti-attivisti-del-teatro-valle-nel-ghetto/211409/

Ahmed Al-Jabari è stato assassinato dagli attacchi Israeliani a Gaza. Uno dei leader di Hamas, Al-Jabari era responsabile del rapimento del soldato israeliano Shalit, ma ha avuto il merito di tenerlo in vita (altri lo volevano morto) e di restituirlo in buone condizioni. Inoltre era uno dei massimi promotori di un accordo che potesse portare alla cessazione del lancio di razzi da Gaza su Israele. Era diventato un uomo di pace ed è stato ucciso.

http://www.nytimes.com/2012/11/17/opinion/israels-shortsighted-assassination.html?smid=re-share&_r=1&

Una per me convincente analisi del suo ruolo e delle negoziazioni che erano (sono?) in corso (dietro le quinte) per arrivare ad una pace mediorientale:
http://www.laboratoriolapsus.it/contributi/gaza-trattativa/

Tutto indica che Netanyahu non sia minimamente interessato alla pace ma solo a procedere con la soluzione finale del problema palestinese: la pulizia etnica. L’attacco a Gaza è servito ad Israele per testare il suo sistema di difesa antimissile e misurare le reazioni occidentali, arabe ed israeliane, credo in vista di operazioni su più vasta scala, in Libano/Siria e contro l’Iran.

In questa partita a scacchi con l’Egitto, Netanyahu ha dimostrato che, se mai lo è stato, non è più un leader in grado di prendere decisioni razionali e sensate. La sua strategia non tiene conto del fatto che:

* i carri armati e gli aeroporti militari israeliani sono estremamente vulnerabili alle armi in dotazione ad Hamas ed Hezbollah (vedi sconfitta in Libano): http://www.paginedidifesa.it/2006/baschiera_060823.html

* c’è stata la primavera araba e il mondo arabo non assisterà passivamente a carneficine di civili arabi: l’escalation è certa;

Cosa farà Netanyahu quando si accorgerà che i suoi sforzi producono una miriade di effetti boomerang? Userà ordigni nucleari che contamineranno gran parte di Israele?

Chi fermerà questo folle? Solo la caduta del suo governo o la minaccia di Obama di tagliare gli aiuti economici americani ad Israele. Il cessate il fuoco è una vittoria per Morsi (che, in breve tempo, grazie al completo sostegno di Obama, si è affermato ormai come un leader mondiale e uomo di pace e stabilizzazione del Medio Oriente) e per Hamas, ma non è una sconfitta sufficiente a far cadere Netanyahu. In cambio, l’avvicinamento tra Stati Uniti ed Egitto e le aperture di Obama all’Iran aumenteranno il risentimento del governo israeliano e potrebbero spingerlo a commettere altri errori ancora più gravi.

Ma, più di tutto, perché Netanyahu si comporta così?

Karl Vick, “Received Wisdom? How the Ideology of Netanyahu’s Late Father Influenced the Son”, Time, 2 maggio 2012

D. quanto pensa di aver influenzato il suo punto di vista?

R. [Benzion Netanyahu] mi sono fatto l’idea che Bibi possa avere i miei stessi obiettivi ma che tenga per sé le modalità con cui intende raggiungerli, perché se li rendesse pubblici, espliciterebbe anche gli obiettivi.

D. è quel che lei vuole credere?

R. No, penso solo che le cose possano stare così, perché è uno sveglio, perché è molto accorto, perché ha un suo modo di porsi. Sto parlando di tattiche riguardanti teorie che la gente che segue ideologie differenti potrebbe non accettare. È per quello che non le divulga: per via delle reazioni dei suoi nemici e di quelle persone di cui cerca l’appoggio. È una congettura, ma potrebbe essere vero.

Benzion Netanyahu, nel prosieguo dell’intervista dichiara:

* “nella Bibbia non si trova una figura peggiore del beduino. E perché? Perché non ha alcun rispetto per la legge. Perché nel deserto può fare quel che gli pare”;

* “la tendenza al conflitto è intrinseca all’arabo. È un nemico nella sua essenza. La sua personalità non gli permetterà mai di raggiungere un compromesso o un accordo. Poco importa che genere di resistenza incontrerà, che prezzo dovrà pagare. La sua esistenza sarà quella di una guerra perpetua”;

* “la soluzione dei due stati non esiste. Non ci sono due popoli. C’è un popolo ebraico ed una popolazione araba…non c’è alcun popolo palestinese, perciò uno non crea uno stato per una nazione immaginaria…si definiscono popolo solo per poter combattere gli ebrei”;

* “l’unica soluzione è la forza. Una forte autorità militare. Ogni sommossa arrecherà agli arabi enormi patimenti. Non si deve aspettare che cominci un grande ammutinamento, bisogna invece agire immediatamente, con grande forza, per impedire che continuino”;

* “penso che dovremmo parlare agli arabi israeliani nell’unica lingua che capiscono ed ammirano, quella della forza. Se agiamo con forza contro ogni crimine che commettono, capiranno che non mostriamo alcuna clemenza. Se avessimo usato questa lingua fin dall’inizio sarebbero stati più attenti”;

* [sull’uso ottomano delle forche] Gli arabi furono così maltrattati da non rivoltarsi. Naturalmente non è che sto raccomandando impiccagioni dimostrative come facevano i turchi, voglio solo mostrare che l’unica cosa che possa smuovere gli arabi dalla loro posizione di rigetto è la forza”;

http://world.time.com/2012/05/02/received-wisdom-how-the-ideology-of-netanyahus-late-father-influenced-the-son/

Romano Màdera (Milano Bicocca) sul Mondo Nuovo

PREMESSA MIA

Il fatto è che il montismo non è nulla più che una forma collettiva della Sindrome di Stoccolma.

Gli ostaggi fraternizzano con il rapitore (che diventa il salvatore) per non dover affrontare psicologicamente l’orrore della propria situazione.

In questa versione, come suggerisce Debora Billi, molti lo vedono come l’aguzzino buono che li protegge da aguzzini peggiori.

S’incrociano dunque due dinamiche psicologiche che inducono alla sottomissione: la sindrome di Stoccolma e la tecnica del poliziotto buono e di quello cattivo, che però, come spiega la voce di wikipedia, pur essendo utile con soggetti “giovani, impauriti o sprovveduti”
comporta un certo grado di rischio, se infatti è riconosciuta dal soggetto esso può considerarsi offeso ed insultato e rendere meno probabile una sua collaborazione“.

È “facile” guarire: basta guardare in faccia la realtà e sfuggire a chi ci tiene in ostaggio, verso un Mondo Nuovo.

Romano Màdera (che confesso di non aver mai sentito nominare prima, purtroppo), mi pare una buona guida.

Questa è una sua intervista.

INTERVISTA SUA

…Nell’epoca del pensiero unico neoliberista intravede ancora degli spiragli per immaginare altrimenti il futuro dell’umanità?

Credo che sia un’esagerazione pensare che il pensiero neoliberista sia davvero unico. E’ il pensiero egemone, solo questo. E un’egemonia sgangherata, perché l’egemonia americana, oggi, è ormai da tempo in declino. Non sappiamo se ci sarà, o quale sarà, la forza egemonica nel futuro prossimo, o se, invece, entreremo in un’epoca di confusa competizione fra diverse aree geopolitiche che incorporano grandi gruppi capitalistici. Una delle possibili prospettive, relativamente nuova, è quella di una sovrapposizione di diverse sfere di giurisdizioni e d’influenza non più riconducibili a sfere istituzionali esclusive, come sono state quelle degli stati nazionali o dei blocchi internazionali.

Ma nella pancia del mondo ci sono anche milioni di piccoli esperimenti, come ben sapete, che moltiplicano le sfaccettature di un altro mondo possibile. Non cambieranno la sorte complessiva, a breve, ma sono laboratori di alternative di ogni genere, pronte a tornare utili nella lunga fase di transizione della crisi generale del nostro modello di vita. Una crisi che riguarda, come si sa, fonti di energia, materie prime e risorse alimentari, distribuzione mondiale del lavoro e della popolazione per classi di età, divaricazione fra istruzione e mercato del lavoro, servizi alla persona, assenza di istituzioni sovranazionali forti e credibili.

 

[…].

 

Nel suo Il nudo piacere di vivere (2006) lei sottolinea la necessità di recuperare il senso del limite e della misura per scardinare la logica dell’accumulazione infinita e i suoi effetti patologici sulla vita delle persone. Qual è la sua opinione sul tema della «Decrescita»? In che modo pensa che possa diffondersi una nuova cultura del limite capace di incidere sia sul versante degli stili di vita individuali che su quello della macroeconomia?

Milioni di microesperimenti in questa direzione, semplicemente perché in modo più o meno confuso l’assenza di limite è radicalmente insoddisfacente, radicalmente angosciante. E la sempre più acuta percezione che stiamo arrivando al capolinea dello sviluppo, uno sviluppo che, ormai è sempre più chiaro, non è conquista di maturazione umana. Il disgusto crescerà insieme alla crisi. Il disagio psichico delle popolazioni sopra il livello di sussistenza si specchierà nel rovescio della disperazione dei poveri del mondo, scatenando ancora più depressione e rabbia espulsiva, ma anche preoccupazione e stimolo a convertire le nostre abitudini di vita. Certo non basterà. Noi umani siamo testoni, ancora impariamo solo dalle catastrofi. Penso che ci saranno passaggi molto duri, tremendi, le convulsioni del vecchio mondo possono durare secoli, e non è detto che sorga poi il sole dell’avvenire. Ma avere in mente una meta di patto di equilibrio e di pace può orientare le azioni e iscrivere la propria vita nella sensatezza. Serve la crescita consapevole di una nuova avanguardia.

Non di un nuovo partito, ma di una avanguardia spirituale, capace di sperimentare su di sé una disciplina spirituale (con spirituale intendo l’unità dello psichico, del corporeo e della cultura sociale di un dato tempo), una cultura della cooperazione e della competizione non distruttiva e non espulsiva.

La cellula virale capace di iniettare la possibilità di un esito positivo alla grande crisi di civiltà che stiamo attraversando. Sperimentare su di sé e con gli altri forme di comunicazione e di cooperazione solidale, esercitarsi quotidianamente per rendersi capaci e degni di questo compito, utilizzando in modo eclettico, sincretico ed ecumenico – sulla base della propria esperienza biografica di vita – lo sconfinato patrimonio di saggezza che ci è stato consegnato da filosofie, religioni, spiritualità e arti di tutte le culture.

Confesso però che il termine di Decrescita – non l’idea che condivido nella sua ispirazione di fondo – mi suona, comunicativamente, troppo legata a una negazione, ancora troppo polemica. Preferisco parlare di patto dell’equilibrio e della pace. Equilibrio e pace nel rapporto con la casa comune che è costituita dagli altri, dal lavoro di tutti e dalla natura. Voglio dire, ovviamente, che il punto non è in sé crescere o decrescere, ma come, rispetto a che cosa. So che questo è ben presente nella teoria, ma lo slogan che la traduce non mi convince e rischia di dare un’immagine falsata di quello che si propone. Bisogna dire che vogliamo che crescano, crescano immensamente, attività sensate, consumi attenti, tempi di riflessione, di contemplazione, di gioco, di cura…

Infine, chi volesse superare la dicotomia fra destra e sinistra per produrre un’alternativa credibile all’attuale totalitarismo capitalistico, quali forze simboliche dovrebbe mettere in campo per riconquistare i cuori dei delusi dalla politica?

Le forze simboliche non si inventano, si raccolgono e si re-inventano sulla base di una memoria capace di creazione, come sempre è in realtà la memoria. Abbiamo possibilità meravigliose: possiamo mettere in sintonia e in sincronia (cf. sincronicità, Jung) la concordia di tutto ciò che di saggio, di buono e di bello hanno creato le culture della storia del mondo. Il criterio può appunto essere ciò che contribuisce a costruire un patto di equilibrio e di pace fra i popoli e nell’interiorità di ciascuno.

Ma non serve neppure basarsi soltanto su ciò che forma la grande concordia della saggezza universale, sui punti di coincidenza che pure sarebbero più che sufficienti e di stupefacente capacità trasformativa.

Con un metodo adeguato di comunicazione che rispetti la singolarità biografica e la faccia vivere nella fecondità dello scambio comunitario, possiamo, senza urtarci, far tesoro delle più fini diversità, senza pretendere di imporle. Uno dei milioni di microesperimenti è anche quello che conduciamo in piccoli gruppi di pratiche filosofiche da quindici anni, pratiche fra le quali, appunto, c’è anche la sperimentazione di regole di comunicazione biografico-solidali.

Questo per dire cosa tento di fare personalmente. Facciamo invece un esempio in grande: prendiamo uno dei temi più scottanti di scontro e di incomprensione di universi simbolici, usati spesso a rinforzo di politiche fondamentaliste, contrappositive, sostanzialmente succubi, peraltro, agli interessi della civiltà dell’accumulazione. Quali tesori simbolici sono da snidare nelle convergenze fra le religioni del Libro – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – quali forze simboliche possono essere evocate a vantaggio della fratellanza e della cooperazione, della trasformazione interiore e della condivisione sociale e materiale, quali spinte generose verso la comunità universale dell’umano !

Certo, bisogna impegnarsi in un processo di purificazione, di vera e propria catarsi, liberando le religioni – queste e tutte le altre – dalle loro incrostazioni complici di mentalità oggi inaccettabili: bisogna liberarle dall’etnicismo, dal classismo, dal sessismo, dall’autoritarismo, farle passare da questo setaccio, trattenendo solo le perle che vincono il tempo.

Romano Màdera è filosofo, psicoanalista di formazione junghiana e professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dopo aver insegnato all’Università della Calabria e all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra i suoi libri più significativi: L’alchimia ribelle (Palomar, 1997), L’animale visionario (Il Saggiatore, 1999), La filosofia come stile di vita (con L.V. Tarca, Mondadori, 2003) e Il nudo piacere di vivere (Mondadori, 2006).

http://www.megachip.info/component/content/article/32-pensieri-lunghi/5782-lanimale-visionario-intervista-al-filosofo-romano-madera.html

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