Apprendisti stregoni macroregionalisti

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In generale sono favorevole alle macroregioni ma…
Nel caso del #Triveneto mi sfugge la logica.
Prima a Roma si lamentano che le autonomie speciali sono troppo centrifughe…
Poi propongono di creare una macroregione con un PIL ben superiore a quello catalano o scozzese (e laziale), composta da una regione leghista in cui si indicono referendum separatisti, una regione ad autonomia speciale, una provincia ad autonomia speciale e una provincia prevalentemente di lingua tedesca sotto tutela austriaca.
mmmmh…cosa potrà mai andare storto?

Per non parlare delle dinamiche interne a un ipotetico Triveneto, che non sarebbero improntate alla concordia e univocità di intenti e metodiche.
Es.

Se l’A31 è la risposta, qual era la domanda?

La Valdastico Nord NON si farà

Come valuta la riforma costituzionale in discussione in questi giorni in parlamento?
Credo che, al di là di ogni possibile perplessità di tipo tecnico, sia prima di tutto anti storica. Nel momento in cui in tutto il mondo si sta procedendo nella direzione di concedere sempre più autonomia e spazio di manovra ai territori, questa riforma va esattamente dall’altra parte. E poi è una riforma che prende il via dagli scandali, ma non si è mai visto nel pensiero politico moderno che scandali come quelli che hanno coinvolto le regioni in Italia abbiano comportato una revisione costituzionale. Le riforme si fanno perché si devono fare, non perché c’è qualche cialtrone che ha rubato.
Perché in Italia non ha mai funzionato il regionalismo?
Perché i processi di decentramento che sono avvenuti nel corso degli anni sono stati innestati su un impianto, quello della Costituzione, che è fortemente centralista. Sono stati decentrati dei poteri ma non si è regionalizzato lo Stato. E, contemporaneamente, non si sono regionalizzati i partiti, che sono i veri detentori del potere politico e che sono rimasti sempre i partiti di Roma — e non per usare un vocabolario veteroleghista — difatti le sedi romane, dal Nazareno a Botteghe Oscure, sono sempre state l’epicentro del potere politico. Non sono mai state create delle classi politiche di autentica espressione regionale, perché la regione è sempre stata considerata la penultima tappa prima di arrivare a Roma, si partiva dal consiglio comunale, si passava da quello provinciale, poi da quello regionale e poi in Parlamento a Roma. Per questo fallisce il regionalismo in Italia, non per colpa di quattro mascalzoni, che fanno solo parte della varietà umana.

Stefano Bruno Galli, professore della facoltà di Scienze politiche dell’Università degli Studi di Milano, esperto di federalismo e consigliere regionale della Lombardia per la lista Maroni Presidente

http://www.linkiesta.it/it/article/2015/09/20/leuropa-degli-stati-e-nata-morta-il-futuro-e-delle-macroregioni/27472/

Le 3+1 cause della nuova crisi irachena

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

 

Mosul

La premiata ditta Isis, che ufficialmente si compone di militanti islamisti, si occupa di:
narcotraffico;
traffico d’armi;
schiavismo (!);
contrabbando;
rapimenti;
riscossione del pizzo;
distruzione di moschee;
uccisione in massa di musulmani;
stupri di massa di musulmane;

Il Profeta ha detto:
“Dio non ha pietà per coloro che non hanno pietà per gli altri”.
“Nessuno di voi è un vero credente finché non desideri per i suoi fratelli ciò che desidera per sé”.
“Colui che mangia a sazietà mentre il suo vicino è senza cibo non è un credente”.
“L’uomo di affari onesto e affidabile è paragonabile ai profeti, ai santi, ai martiri”.
“Potente non è colui che getta a terra l’avversario, bensì è potente colui che controlla se stesso in un attacco di ira”.
“Dio non giudica basandosi sulle vostre apparenze o sul vostro fisico, ma scandaglia il vostro cuore e osserva il vostro operato”.
“Un uomo che percorreva un sentiero fu assalito dalla sete. Raggiunto un pozzo vi si calò dentro, bevve a sazietà e ne uscì. Poi vide un cane con la lingua penzolante, che cercava nel fango qualche goccia per placare la sua sete. L’uomo, accortosi che il cane era assetato come lo era stato lui poco prima, discese di nuovo nel pozzo, riempì la sua scarpa d’acqua e fece bere il cane. Dio perdonò i suoi peccati per questa azione”.
Fu chiesto al Profeta: “Messaggero di Dio, siamo ricompensati per la gentilezza verso gli animali?” Egli disse: “C’è una ricompensa per la gentilezza verso ogni essere vivente.”

SONO PIU’ MUSULMANO IO DI LORO.
Chi li ha creati? Chi li finanzia? Chi li organizza? A quale scopo? Come può pensare di poterli controllare?

E’ l’ennesima operazione occidentale camuffata da “fondamentalismo islamico”

Sono poche migliaia di militanti circondati da 6 milioni di musulmani e cristiani che li considerano blasfemi o comunque nemici: quanto potrebbero resistere, senza assistenza?

Più importante ancora:

  • Chi li ha addestrati a usare e fare la manutenzione di armi sofisticate lasciate molto opportunamente dagli americani nei depositi che hanno assalito?
  • Chi ha preparato i loro espertissimi comandanti, che sembrano così versati nelle strategie e tecniche di combattimento di quarta generazione?
  • Quali sono le loro linee di rifornimento e perché dovrebbe essere così arduo reciderle?
  • Da dove partono?
  • Chi compra il petrolio da loro e perché lo fa?
  • Quali sono gli oleodotti che trasportano il petrolio venduto e perché non si possono sigillare?
  • Chi eroga servizi finanziari a questa gente e chi ha educato alcuni di loro a muoversi su un terreno così delicato e complicato come quello dei mercati internazionali? (la stessa domanda vale per i guerriglieri libici di Bengasi, diventati improvvisamente degli specialisti della finanza in grado di inaugurare dopo poche settimane dall’inizio della rivolta una loro propria banca centrale e una borsa del petrolio).

Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (SIIS – ISIS in inglese): Organizzazione islamista sunnita che al momento infesta un’area che si estende da Aleppo fino al Kurdistan iracheno.

Generosamente finanziata da sauditi e kuwaitiani

http://www.independent.co.uk/voices/iraq-crisis-sunni-caliphate-has-been-bankrolled-by-saudi-arabia-9533396.html

Non dai qatarioti, che sono in rotta con le altre petromonarchie del Golfo e rischiano di essere invasi dai sauditi

http://www.futurables.com/2014/03/17/mauro-ottobre-gli-imprenditori-trentini-e-lo-scontro-tra-le-petromonarchie-del-golfo/

In lotta contro governo siriano, governo iracheno e gli sciiti (Iran e Hezbollah).

CHI SPONSORIZZA QUESTA PARTICOLARE OFFENSIVA DI ISIS?

Si dà per scontato che i sauditi siano gli sponsor di questo attacco all’Iraq (che è un attacco all’Iran)

http://www.foreignpolicy.com/articles/2014/06/12/iraq_mosul_isis_sunni_shiite_divide_iran_saudi_arabia_syria

Anche se ISIS sembra operare anche contro il regime saudita

http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2014/05/isis-saudi-arabia-qaeda-terrorism-syria.html

L’Iran accusa invece Israele e Stati Uniti

http://www.jpost.com/Iranian-Threat/News/Iran-intelligence-minister-blames-Israel-US-for-Iraq-crisis-359296

In effetti sappiamo dalla documentazione ufficiale che la spartizione dell’Iraq (e la balcanizzazione del Medio Oriente in nazioni deboli e instabili) è un tassello fondamentale della politica estera israeliana:

“La dissoluzione della Siria e dell’Iraq in aree distinte su base etnica o religiosa, come già avviene in Libano, è l’obiettivo primario di Israele sul fronte orientale. L’Iraq, ricco di petrolio da una parte, e dall’altra lacerato internamente, è certamente  candidato ad essere preso di mira da Israele. La sua dissoluzione è per noi addirittura più importante di quella della Siria. L’Iraq è più forte della Siria. A breve termine, è proprio la potenza irachena che rappresenta la più grande minaccia per Israele. Una guerra tra Iran e Iraq frazionerà l’Iraq e causerà la caduta del suo regime interno. Addirittura prima che esso sia in grado di organizzare una lotta su un ampio fronte contro di noi. Ogni tipo di scontro inter-arabo sarà a nostro favore nel breve periodo e accelererà il nostro scopo più importante che è quello di frantumare l’Iraq in vari staterelli come in Siria e in Libano. In Iraq è possibile realizzare una divisione in province su base etnica o religiosa come avveniva in Siria durante l’impero ottomano. Così tre (o più stati) si formeranno intorno alle tre principali città: Bassora, Baghdad e Mosul, e così le regioni sciite del sud si staccheranno dal nord sunnita e curdo.”

Oded Yinon, funzionario del ministero israeliano degli Affari Esteri

http://www.tlaxcala.es/imp.asp?lg=it&reference=227

http://www.amazon.com/Zionist-Plan-Middle-Special-Document/product-reviews/0937694568/ref=dpx_acr_txt?showViewpoints=1

https://archive.org/details/TheZionistPlanForTheMiddleEast

In questo documento [“A clean break”] potremmo trovare le ragioni di fondo del singolare sviluppo della politica statunitense in Iraq, il cui fallimento nel pacificare il paese è parso a tutti incredibile: se la logica è quella di giocare le une contro le altre le fazioni islamiche (sunnisti e shiiti) e shiiti irakeni, legati alla monarchia Ashemita, con shiiti iraniani – allora l’incomprensibilità del quadro trova una spiegazione, così come la suddivisione di fatto dell’Irak in tre aree geografiche, di cui, non a caso dunque, gli Stati Uniti cercano di controllare quella centrale pro Israele….Solo comprendendo il profondo lavoro compiuto da questi gruppi dirigenti misti israelo-statunitensi, si comprende allora anche il fatto che gli USA abbiano assunto in Medio Oriente posizioni sempre meno comprensibili, rispetto ad una normale logica di puro interesse statunitense.

http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=173&tema=Divulgazione

http://en.wikipedia.org/wiki/A_Clean_Break:_A_New_Strategy_for_Securing_the_Realm

Neocon americani sulla stessa linea, dai tempi dell’invasione in poi:

http://www.nytimes.com/2003/11/25/opinion/the-three-state-solution.html

Al Maliki (Iraq) aveva chiesto agli USA di aiutarli contro ISIS, prima che la cosa degenerasse. Non è arrivato nessun soccorso

http://www.nytimes.com/2014/06/12/world/middleeast/iraq-asked-us-for-airstrikes-on-militants-officials-say.html?_r=1

In cambio ISIS ha razziato le armi americane in depositi dove giacevano inutilizzate (perché?)

http://www.ilgiornale.it/news/esteri/rapida-avanzata-delle-milizie-islamiche-costringe-casa-1027311.html

È falso che la Casa Bianca non sapesse che ISIS stava tornando ad est, dopo aver gettato nel caos il nord della Siria e, prima ancora, il nord dell’Iraq. Era una notizia già apparsa sulla stampa libanese

http://www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2014/Mar-14/250272-al-qaeda-splinter-group-in-syria-leaves-two-provinces-activists.ashx#axzz34Pm6wbRZ

In alternativa significa che Obama è stato tenuto all’oscuro di tutto dalla CIA e dal Pentagono e questa nuova invasione dell’Iraq è un’operazione targata neocon e destra sionista (altamente probabile).

McCain è già passato all’offensiva, accusando Obama di inettitudine

http://www.politico.com/story/2014/06/john-mccain-iraq-obama-us-heavy-price-107825.html

Obama è anche accusato di aver liberato il leader di ISIS

http://www.dailymail.co.uk/news/article-2657231/Revealed-Obama-RELEASED-warlord-head-ISIS-extremist-army-five-years-ago.html

La crisi irachena sta rinviando la morte del petrodollaro (la detronizzazione del dollaro)

http://uk.reuters.com/article/2014/06/13/uk-markets-global-idUKKBN0EO0S120140613

The Project for the New Middle East

IL FATTORE CURDO

I miliziani di ISIS hanno occupato l’Iraq del nord, lasciando in pace i kurdi che hanno anzi colto l’occasione per impadronirsi di una città irachena, Kirkuk, che considerano la futura capitale di uno stato indipendente curdo che ancora non esiste.

Uno stato curdo alimenterebbe il separatismo curdo in Iran, in Siria e in Turchia.

Israele è schierato coi curdi dal 1964

http://www.meforum.org/3838/israel-kurds

e, ancora più strettamente, dai tempi della guerra in Iraq

http://www.newyorker.com/archive/2004/06/28/040628fa_fact

http://www.timesofisrael.com/is-a-free-kurdistan-and-a-new-israeli-ally-upon-us/

Gli Stati Uniti (amministrazione Obama) sono l’unico ostacolo all’indipendenza del Kurdistan, auspicata invece da Israele, che la considera imminente, dopo il completamento di una conduttura petrolifera che consente al Kurdistan iracheno di esportare il suo greggio in maniera del tutto indipendente, aggirando Bagdad: Tel Aviv potrebbe essere la prima capitale a riconoscere l’indipendenza del Kurdistan, come già fece con il Sudan del Sud

http://www.jpost.com/Middle-East/Iraqi-Kurds-close-to-declaring-independence-355717

Ora i curdi si sono ripresi Kirkuk praticamente senza dover sparare un colpo, grazie al collasso dell’esercito iracheno (generali corrotti?): il loro sogno si è avverato con una facilità che ha dell’incredibile e hanno risolto in un colpo solo le dispute territoriali: ogni area “arabizzata” ora tornerà sotto la sovranità kurda

http://www.haaretz.com/news/middle-east/1.598650

Potrebbe essere una pericolosa illusione. Se la minoranza sunnita in un eventuale Kurdistan indipendente chiedesse aiuto a ISIS, quest’organizzazione non potrebbe rifiutarsi di combattere anche i kurdi, oltre agli sciiti.

Sarebbe il caos assicurato per tutte le nazioni con forti minoranze curde: Turchia, Iran, Siria, Iraq. Forse è proprio questo l’obiettivo.

Ci sono comunque forze e interessi curdi, visibili anche sui principali media mondiali, contrari alla balcanizzazione di quell’area del Medio Oriente, in quanto perfettamente consapevoli del fatto che i curdi sarebbero le principali vittime dell’anarchia

http://www.theguardian.com/commentisfree/2014/jun/13/iraq-separate-sunni-shia-regions-kurds-autonomy

Questi interessi preferirebbero sfruttare le proprie risorse petrolifere senza scatenare il caos separatista.

Uno scenario (sponsor saudita) non esclude l’altro (sponsor destra sionista), dato che sauditi e israeliani sono in buoni rapporti (per ora)

http://www.richardsilverstein.com/2014/03/08/saudi-arabia-finances-most-of-israels-weapons-build-up-against-iran/

IRAN

Le azioni di ISIS rendono più probabile la virtuale annessione dell’Iraq sciita all’Iran (già ora Baghdad è completamente allineata alla politica estera iraniana)

http://www.huffingtonpost.com/raghida-dergham/isis-achievements-in-iraq_b_5490381.html?utm_hp_ref=world&ir=WorldPost

Il collasso dell’esercito iracheno può essere spiegato con la corruzione dei generali e la salvezza dell’Iraq potrà venire solo dagli sciiti, dai pasdaran iraniani, dai miliziani di Hezbollah e dall’assistenza siriana, ora che Assad sta riprendendo il controllo della nazione.

BRICS

La Russia è stata premiata dal governo siriano per la sua lealtà: giga-contratto petrolifero

http://rt.com/op-edge/syria-russia-war-oil-528/

“Nonostante una serie di attacchi a grandi impianti e terminal petroliferi, a marzo la produzione di oro nero è arrivata a oltre 3 milioni e mezzo di barili al giorno (tornando ai livelli del 1989). A marzo, la russa Lukoil ha cominciato a pompare petrolio dal mega giacimento West Qurna-2 (uno dei più grandi del mondo, con riserve stimate in 14 miliardi di barili), nella zona di Bassora. Il governo di Baghdad spera che entro la fine dell’anno la produzione possa raggiungere i quattro milioni di barili al giorno.  “Sarebbe un traguardo straordinario, perché permetterebbe al governo di aumentare le entrate e attuare il suo programma di sviluppo”, ha detto il ministro del Petrolio, Abdul Kareem Luaybi. Nonostante queste buone notizie il nuovo Parlamento iracheno dovrà tentare di risolvere una delle questioni più importanti per il futuro del Paese: il rapporto con la regione del Kurdistan. I curdi hanno avviato lo sfruttamento e l’esportazione di petrolio verso la Turchia aggirando il controllo di Baghdad così da non versare denaro nella casse statali”.

http://www.formiche.net/2014/04/28/elezioni-iraq-il-futuro-passa-dal-petrolio/

L’Iraq guarda(va) a est (Iran, Russia, Cina, India)

http://www.al-monitor.com/pulse/originals/2014/02/baghdad-gradual-return-east-china-russia-iran.html

http://www.ndtv.com/article/india/iraq-s-prime-minister-nouri-al-maliki-to-begin-four-day-visit-to-india-today-408755

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POSTA IN GIOCO

A mio avviso ci sono 4 obiettivi principali.

1. Il petrolio curdo;

2. L’egemonia israeliana e saudita sul Medio Oriente (finché Israele non deciderà di averne abbastanza dei sauditi);

3. Il controllo iraniano del petrolio medio – orientale (Golfo Persico);

4. La difesa del dollaro e quindi dell’egemonia americana sul pianeta;

http://www.futurables.com/2014/06/22/the-isis-crisis-a-regime-change-too-far/

http://www.futurables.com/2014/05/29/festival-delleconomia-2014-elefanti-ignorati-scheletri-occultati-tabu-intatti/ 

Se ISIS dovesse essere sconfitta rapidamente, prima che gli indipendentisti curdi prendano il sopravvento sugli autonomisti, l’Iran si ritroverebbe con uno stato vassallo e i piani di balcanizzazione del Medio Oriente fallirebbero, con grave smacco per gli ultranazionalisti israeliani e neocon.

Un “omaggio” ai separatisti sudtirolesi (Freiheitlichen, BBD, Süd-Tiroler Freiheit, ecc.)

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Visto che molti lettori potrebbero non essere ben informati sulla reale situazione, preciso che la vignetta è divertente ma ingannevole, in quanto il Tirolo austriaco, per molti versi, ha rapporti migliori con il Trentino che con l’Alto Adige-Sudtirolo. Il movimento pantirolese è davvero debole, per il momento (la scissione dell’eurozona lo rinvigorirebbe certamente)

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L’insana idea dello Stato Libero del Sudtirolo e le mafie transnazionali

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Nel Terzo Millennio, il solito, volgare refrain; il solito manicheismo

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Volendo preservare l’unità spirituale e culturale del Tirolo ed il suo patrimonio storico…

Proposta di Costituzione per lo Stato Libero del Sudtirolo, a cura dei Freiheitlichen

Tra sfide e rancori in India nasce un nuovo stato, il Telangana…la scelta del Congresso sta già ottenendo un effetto boomerang negli altri territori dove ci si batte per l’indipendenza. A Kokrajhar gli animi sono surriscaldati…per una protesta dei separatisti del Bodoland, Karbi e Anglong che vogliono divorziare dall’Assam. Incidenti anche nel Darjeeling per i sostenitori del Gorkhaland, mentre in Uttar Pradesh la ex premier Mayawati Kumari ha rilanciato la sua idea di dividere in quattro il più popoloso stato indiano.
Raimondo Bultrini, il Venerdì, 16 agosto 2013

L’offensiva filo-separatista della stampa angloamericana ha raggiunto il suo culmine nella seconda metà del 2012. Il 12 luglio 2012 Marcia Christoff Kurapovna, neoliberista sloveno-americana residente a Vienna, pubblica sul Wall Street Journal un peana in favore della dissoluzione di Grecia e Italia in piccole città-stato. Ambrose Evans-Pritchard, figlio di un antropologo invischiato nella strategia del divide et impera dell’imperialismo britannico, preconizza la jugoslavizzazione della Spagna (Telegraph 25 settembre 2012). Il New York Times pubblica un articolo di due indipendentisti catalani dal titolo “prigionieri della Spagna” (2 ottobre 2012). Il blog Charlemagne dell’Economist prevede rivolte tra i giovani catalani se i loro sogni indipendentisti non saranno soddisfatti (26 novembre 2012). Quello stesso giorno, sulle colonne del Wall Street Journal, Raymond Zhong esorta i catalani a creare un loro stato più snello, più generoso verso le imprese, più pragmatico, più parsimonioso (leggi: meno welfare, più precariato, licenziamento dipendenti pubblici e congelamento dei salari).

François Thual, expert en géopolitique , qui présenté son dernier ouvrage “Géostratégie du crime” (éd. Odile Jacob), co-écrit avec Jean-François Gayraud, commissaire divisionnaire en poste au Conseil supérieur de la formation et de la recherche stratégique: « Nous ne sommes plus dans la série noire d’après-guerre ; désormais, sous l’action de puissances criminelles, les États eux-mêmes se trouvent contestés dans leur existence et doivent parfois battre en retraite. C’est la survie de nos démocraties qui est en jeu » : pour Jean-François Gayraud et François Thual, les phénomènes criminels sont bien loin d’échapper aux effets de la mondialisation, on le voit.
Pourquoi la grande criminalité internationale a augmenté de façon exponentielle ; comment la lutte contre le terrorisme et le recul de l’État un peu partout l’ont favorisée ; quelles sont les luttes de territoires entre organisations ; comment des empires criminels se constituent, menaçant l’équilibre des États ; comment l’argent sale pèse sur l’économie mondiale ; pourquoi les élites sont fragilisées : deux spécialistes croisent criminologie et géopolitique pour nous révéler les vrais dangers de demain et peut-être déjà d’aujourd’hui !
Conseiller du président du Sénat pour les affaires stratégiques, François Thual est professeur au Collège interarmées de défense (ex-Ecole de guerre). Il est l’auteur de nombreux ouvrages sur la géopolitique dont certains ont connu un succès mondial.

La sovranità è onerosa, per questo si cerca di condividerla. La fascinazione quasi maniacale e consumistica per la sovranità particolaristica sovraccarica i contribuenti; frammenta l’umanità depotenziandola e intensificando screzi, frizioni, timori, risentimenti; moltiplica la già abnorme pletora di staterelli a sovranità limitata; condanna le entità politiche minori a una pressoché istantanea ed irrevocabile subordinazione clientelare nei confronti degli stati maggiori: rafforza chi è già forte e indebolisce chi è già debole (divide et impera). In primo luogo le oligarchie mafiose transnazionali – ufficiali e non ufficiali – come spiega François Thual.

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federalismo sì

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separatismo no

La cultura è il grimaldello usato per abbattere lo stato di diritto (da parte di certi interessi criminali) e ogni progetto federalista (da parte di certi interessi geostrategici), facendo leva su sentimenti originariamente innocenti e positivi, ma che vengono pervertiti, esasperati.

Non esiste una cultura padana, trentina, italiana, o una cultura americana, cinese, ebrea, indiana, bantù. Gli esseri umani non sono automi che eseguono un programma culturale (software) caricato nel loro cervello (hardware) alla nascita. Non esistono due italiani che usano la lingua italiana allo stesso modo e non esistono due sudtirolesi che saprebbero mettersi d’accorso su cosa si debba intendere per cultura sudtirolese e Heimat. Ogni cultura è una narrazione e ogni individuo è un narratore che la interpreta, la racconta a modo suo, declinandola secondo le sue sensibilità, aggiungendo qualcosa qui e lì, e togliendo qualcos’altro altrove. La cultura è un prodotto dell’immaginazione umana ed ogni mente, essendo diversa, contribuisce a renderla porosa, flessibile, incessantemente mutevole, eterogenea. Ogni persona narra la “sua” cultura ponendosi in relazione con altre persone che narrano la loro e solo Dio potrebbe cogliere la narrazione complessiva nella sua interezza, senza sacrificarne la complessità. La cultura non è un’essenza o un oggetto, le culture non si scontrano tra loro, non si confrontano, non conversano, non agiscono: non sono degli esseri viventi che operano per nostro conto.

La cultura è una relazione dinamica tra soggetti che non hanno come priorità la conservazione della medesima, ma il vivere pienamente, al meglio delle proprie possibilità. Per farlo, tutti noi usiamo la cultura come uno strumento e apprendiamo ad adoperare altri strumenti, perché lo troviamo utile e piacevole, e talvolta ci inganniamo e trasformiamo la narrazione in una tavola delle leggi, in un fine e non un mezzo.

Ci inchiniamo alla lettera delle presunte “leggi culturali” anche quando esse sono interpretate in modo tale da tradirne lo spirito. Chiunque rilevi un’eventuale discrepanza è accusato di tradimento. È una degenerazione patologica dell’idolatria, una dipendenza che ci vincola a degli idoli al posto dei significati che sono chiamati a rappresentare. Si chiama razzismo culturalista e non è diverso o migliore del razzismo su basi biologiche. È una patologia della coscienza che sclerotizza e mortifica (rende morto) ciò che è vivo, imbalsama ciò che è mutevole e variabile, reifica un parto della fantasia umana. Una patologia che dissemina superstizione, paura e violenza ed ostacola la naturale disposizione dei singoli a fiorire, maturare, emergere, trascendere le proprie circostanze, eccellere, ciascuno secondo le proprie inclinazioni.

Come la lettera delle leggi subisce un processo di decadimento (entropia), mentre il suo spirito resta immortale, perché si basa su ciò che è giusto, così le culture possono decadere, se si allontanano dal loro spirito, che è quello di riflettere la comune, universale esperienza umana.

L’indipendenza non è un diritto, è un capriccio (il nazionalismo scozzese e sudtirolese)

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L’indipendenza scozzese: panem et circenses

Le promesse dei nazionalisti scozzesi diventano ogni giorno più fantastiche. La cosa non deve sorprendere: i sondaggi li danno in ripiegamento.

Brian Wilson, Guardian, 7 febbraio 2013

“Si tende ad essere benevoli verso i nazionalismi altrui, quando li si guarda da una certa distanza. Diversa è la cosa se si vive in una realtà nazionalista.  Quando però si recuperano le proprie facoltà critiche, è chiaro che tutti i nazionalismi hanno una cosa in comune: dividono le persone per categorie identitarie e creano confini laddove non ne esistevano.

Questo è lo scenario che la Scozia deve ora affrontare. Non vi è alcun marcato aumento di richiesta di indipendenza, e ancor meno giustificazioni. Tranne che nella testa di qualche paranoico, non siamo perseguitati, derubati, discriminati o esclusi. Dal punto di vista sociale ed economico abbiamo le stesse ragioni di lamentarci di molte altre parti del Regno Unito.

Lo zoccolo duro dell’indipendentismo scozzese si attesta a circa il 20%, ma vi è anche una significativa domanda di poteri più decentrati. Se si sottopone all’attenzione degli scozzesi un elenco di problemi che li riguardano, questi danno le stesse risposte degli inglesi, con le modifiche costituzionali che arrancano molto dietro ai soliti apripista – posti di lavoro, la salute, l’istruzione e una dozzina di altre questioni.

La differenza è che la Scozia ora deve rispondere a una domanda che solo una minoranza vorrebbe fosse posta: “La Scozia dovrebbe diventare una nazione indipendente?” E questo perché, due anni fa, il 21% degli scozzesi ha votato per i nazionalisti, dando loro la maggioranza assoluta. Il SNP (partito nazionalista scozzese) ha in mano le leve del potere e ha il diritto di usarle. Di qui il referendum.

Questa settimana sono andati un po’ oltre. Pur non avendo ancora fissato una data per il referendum, hanno annunciato che l’”Independence Day” [giorno della proclamazione dell’a sovranità] si terrà nel marzo del 2016. Il circo è già organizzato, mentre altri dovranno preoccuparsi del pane. L’intenzione è quella di creare un’aria di inevitabilità alla marcia per l’indipendenza, e in questo sono assistiti dalla disposizione delle notevoli risorse del governo devoluto.

I sondaggi indicano che la campagna separatista è in stallo.

Quando le opzioni sono ridotte a due, il sostegno per l’indipendenza sale al 25-30%. Ma sarebbe sciocco supporre che rimarrà lì. Giocando sul lungo periodo, lo SNP conta sul fatto che entro la fine del 2014 la scelta sarà tra l’indipendenza e la probabilità di un altro governo conservatore, il che potrebbe alterare significativamente lo stato d’animo prevalente.

Quelli di noi che non vogliono frantumare la Gran Bretagna non sono del tipo che si commuove nel veder garrire la bandiera dell’unione. Noi crediamo che staremo meglio insieme che divisi, e che non c’è alcuna ragione credibile per dissolvere 300 anni di storia comune. Sappiamo che ogni cambiamento progressivo che ha beneficiato la gente comune in tutto il Regno Unito è stato conquistato e votato da persone a Newcastle e Liverpool tanto quanto a Glasgow e Edimburgo.

E sappiamo che se lo SNP ce la farà, non sarà solo la Scozia a pagarne il prezzo, a prescindere dagli ipotetici benefici che sono stati promessi. Saranno anche i nostri amici, familiari e compagni ad essere abbandonati alla loro sorte in un “resto del Regno Unito” politicamente sbilanciato, in un paesaggio molto più ostile [la Scozia è una regione “rossa”, NdT]. Non c’è nulla di lontanamente progressista, per nessuno di noi, in questo.

Questa settimana il governo scozzese ha allegramente promesso che, se la gente voterà per l’indipendenza della Scozia, il tutto si risolverà nel giro di 18 mesi [tra il 2014 ed il 2016, appunto, NdT]. Non possono dirci che valuta sarà impiegata o che tassi di interesse saranno fissati, però possono dirci quanto dureranno i negoziati.

La loro intera argomentazione economica si basa sulla richiesta della maggior parte dei ricavi delle risorse energetiche del Mare del Nord, ma presuppongono che un benevolo governo Tory [conservatori] sia disposto a sottoscrivere tranquillamente ogni aspetto della separazione dei beni che sarà loro proposta, al fine di agevolare il grande party al castello di Edimburgo. Basano la loro politica energetica sull’assunto che i consumatori inglesi sovvenzioneranno le energie rinnovabili scozzesi mentre la Scozia si appropria dei proventi del petrolio [NB cosa succederebbe se le isole Shetland votassero per l’indipendenza dalla Scozia e poi reclamassero una parte di quegli stessi proventi, in quanto ricavati dalle proprie acque territoriali? NdT]. Sono stati presi in castagna quando mentivano spudoratamente in merito all’automatica adesione all’UE che, è ormai chiaro, non sarebbe tale.

A sostegno della loro tesi che il processo richiederebbe solo 18 mesi, – e ricordate che questo è un documento ufficiale del governo, non una nota di partito – hanno fatto riferimento a quei 30 paesi che hanno ottenuto un divorzio all’acqua di rose dai vicini o dai loro signori coloniali: dal Mali al Montenegro, alle isole Kiribati nel mare del sud.

L’idea che esista un paragone pertinente con la dissoluzione di 300 anni di relazioni, istituzioni condivise ed interdipendenza economica nel Regno Unito può essere assurda, ma è indicativo dell’approccio nazionalista. Sanno che dovranno limitarsi ad ingannare la maggior parte delle persone per un singolo giorno, nell’autunno del 2014, e il futuro apparterrà a loro. Si tratta di un grande trofeo, e il fine sarà utilizzato senza pietà per giustificare i mezzi”.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/feb/07/scottish-nationalists-bread-and-circuses

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Non esiste una nazione in cui gli elettori ottengono ciò che vogliono, anche solo occasionalmente. Anche se vincono i “nostri”, l’azione di governo dovrà comunque tener conto delle esigenze di tutti. L’infantilizzazione della società contemporanea ha però indotto molti a credere che se i propri desideri non vengono esauditi, allora è giusto che ciascuno se ne vada per la sua strada. Ci si divide in gruppi sempre più piccoli, alla ricerca di una crescente conformità di vedute che è tossica per la mente, per la coscienza, per la società e per la civiltà umana. I miti della cultura, della patria, della lingua, della fede, ecc. sono solo espressione di coscienze immature che antepongono al benessere collettivo il benessere della propria parrocchia e campanile, o l’interesse personale. L’egoismo è all’origine dell’attuale Depressione (la chiama Depressione anche Paul Krugman, Nobel per l’Economia, ne “Il ritorno dell’economia della depressione”, 2013), l’egoismo degli speculatori, delle caste, delle categorie, delle nazioni, delle classi, e così via.

Con la risoluzione 1832 (2011) concernente “la sovranità nazionale e lo stato di diritto nel diritto internazionale contemporaneo: necessità di un chiarimento”, il Consiglio d’Europa – che non è un’istituzione dell’Unione Europea, ma include la Corte Europea per i Diritti Umani ed è la fonte della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” – ha dato priorità all’integrità degli stati stabilendo che questa può cessare solo in caso di oppressione e violenze che impediscano una riconciliazione pacifica tra le parti. Il diritto all’ autodeterminazione non dà luogo a un diritto automatico alla secessione. Il rapporto che accompagna la risoluzione afferma quanto segue:

all’infuori del processo di decolonizzazione, l’opinione prevalente non vede nel diritto all’autodeterminazione un fatto costitutivo del diritto per ogni gruppo minoritario regionale di addivenire alla secessione da uno stato esistente. L’autodeterminazione delle minoranze dovrebbe essere piuttosto realizzata per mezzo della partecipazione al governo dello Stato nel suo complesso, e attraverso la devoluzione del potere con lo sviluppo dell’autonomia regionale, vale a dire l’auto-governo in questioni come l’istruzione, la cultura, ecc., ad esclusione dell’indipendenza”.

http://www.mfa.gov.cy/mfa/mfa2006.nsf/All/F1D37E25613644E1C22579210036662B/$file/Report%20on%20national%20sovereignty%20%20statehood%2012%207%202011.pdf?OpenElement

Il governo britannico non era tenuto a concedere la possibilità di votare per l’indipendenza, ma l’ha fatto. Difficile considerarlo un governo oppressivo e violento.

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http://www.raetia.com/it/shop/item/1567-contro-i-miti-etnici.html

Voci autorevoli che non la pensano come Bersani sulla guerra nel Mali

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8 indizi (per una volta debitamente riportati dalla stampa internazionale) che fanno supporre che la questione sia un po’ più complicata di come la descrive Pierluigi Bersani:
1. La base di droni americana che sarà costruita nel Niger, vicino al confine con il Mali;
2. I numerosi testimoni che hanno segnalato la presenza di un canadese e di due francesi alla testa della banda di jihadisti che ha sconfinato in Algeria per prendere degli ostaggi (Tigantourine);
3. La presenza sul terreno di forze speciali americane per operazioni clandestine qualche mese prima dell’intervento francese;
4. Il fatto che nell’area tra Mali e Niger vi siano alcune tra le più importanti riserve mondiali di uranio (terzo posto nel mondo), oltre a petrolio e gas;
5. I recenti accordi commerciali e di sfruttamento delle risorse siglati da Mali, Niger e Cina;
6. Il fatto che gli jihadisti siano finanziati quasi certamente dal Qatar e probabilmente anche dall’Arabia Saudita, entrambi alleati della NATO;
7. L’opposizione algerina alle politiche NATO nel Nord-Africa (ma potrebbero anche cambiare casacca);
8. Il coinvolgimento dei presunti fondamentalisti islamici nel narcotraffico e nel traffico d’armi e il loro precedente servizio reso alla coalizione anti-Gheddafi (= il fattore religioso è secondario ma ai governi occidentali fa comodo continuare a sfruttare l’infinita Guerra al Terrore);

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Senza alcun dibattito parlamentare, il governo inglese ha già deciso che invierà un corpo di spedizione nel Mali.
Solo due settimane fa Cameron l’aveva escluso categoricamente.
Giusto perché sia chiaro che la guerra è appena agli inizi.
Dovremo partecipare anche noi? Ce lo chiederà l’Europa? Qualche caduto italiano per poterci sedere al tavolo delle trattative e delle spartizioni?

Anche tralasciando la parte in cui Al-Qaeda viene creata a tavolino dagli americani (cf. Brzezinski) per combattere i russi in Afghanistan, la parte in cui l’amministrazione Bush ignora sistematicamente ogni avvertimento dell’intelligence statunitense pre-11 settembre 2001 e la parte in cui Al-Qaeda viene incolpata di tutto, dal riscaldamento globale, alle fantasmatiche armi di distruzione di massa irachene, al tasso di obesità americano, la Guerra al Terrore rimane una criminale bestialità.

Serve solo ad ingigantire lo status dei terroristi: “l’America contro i terroristi yemeniti”, “Israele contro Gaza”, “la Francia contro i terroristi maliani”, “gli Stati Uniti e la Francia contro i terroristi somali”: i terroristi si spostano, riaffiorano carsicamente in un altro paese, godono di un’aura di invincibilità e di persecuzione da parte dei poteri forti che li rende “cool” e l’immagine dell’occidente finisce per deteriorarsi fino a rassomigliare a quella del patetico Wile E. Coyote alle prese con l’imprendibile ed invincibile “struzzo” Beep Beep.

In questo modo gli jihadisti sono consacrati agli occhi di migliaia di giovani musulmani che vedono i droni e i missili occidentali che causano eccidi di civili e che decidono a loro discrezione quali siano i tiranni da abbattere e quali invece quelli da sostenere anche contro la volontà dei loro sudditi.

In particolare, nel Mali, l’intervento francese in appoggio al Sud del Mali servirà solo a rinsaldare un’alleanza tra tuareg e jihadisti che era in crisi e che ora troverà nuovo vigore, con migliaia di combattenti che conoscono molto bene la regione e le tecniche di guerriglia.

Invece di isolare i terroristi dalla popolazione, quest’ultima si rassegnerà all’idea che sono l’unica autorità che possa tenere insieme il nord del Mali e proteggerli dalla pulizia etnica dei maliani del sud.

Contemporaneamente, il Sud del Mali diventerà uno stato fantoccio della Francia, tenuto in vita a forza per evitare l’anarchia, non diversamente dal Vietnam del Sud degli anni Sessanta e Settanta. L’unico risultato sarà quello classico (es. Iraq, Libia, Siria, Somalia, Yemen, Afghanistan): frammentazione e partizione dello stato, islamizzazione e terrorismo.

Poiché queste cose ormai non possono non saperle, ne consegue che lo fanno apposta: ordo ab chao.

L’obiettivo primario è la destabilizzazione dell’Algeria

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/23/fallimento-in-siria-ci-si-gioca-lalgeria/

e il controllo del Niger

http://www.lettera43.it/cronaca/africa-occidentale-forse-una-base-per-droni-usa_4367581683.htm
il Mali consente di prendere due piccioni con una fava.

Non tengono però conto del fatto che il boccone è troppo grosso persino per la NATO – evidentemente danno per persa la Siria, ma poi dovranno spiegare la cosa a milioni di persone che per mesi hanno ascoltato una singola versione dei fatti (“mancano pochi giorni alla caduta di Assad”, “la popolazione siriana non lo tollera più”, ecc.). Hanno commesso un enorme errore strategico.

LE VOCI DEL DISSENSO

“Un intervento armato internazionale è destinato ad aumentare l’entità delle violazioni dei diritti umani a cui stiamo già assistendo in questo conflitto… All’inizio del conflitto, le forze di sicurezza del Mali hanno risposto alla rivolta bombardando civili tuareg, arrestando, torturando e uccidendo la gente tuareg apparentemente solo per motivi etnici. L’intervento militare rischia di innescare nuovi conflitti etnici in un paese già lacerato da attacchi contro i Tuareg e altre persone di pelle più chiara”.

http://www.amnesty.org/en/news/armed-intervention-mali-risks-worsening-crisis-2012-12-21

“Il Mali, un paese amico, crolla. Gli jihadisti avanzano verso sud, e c’è una certa urgenza.

Ma non facciamoci prendere dal riflesso condizionato della guerra per la guerra. Quest’unanimità per l’andare in guerra, questa evidente precipitazione, argomenti già sentiti sulla “guerra al terrore”, mi preoccupano. Questa non è la Francia. Dovremmo aver tratto delle lezioni dal decennio di guerre perse in Afghanistan, Iraq, Libia. Queste guerre non hanno mai costruito uno Stato forte e democratico. Al contrario, hanno rinfocolato il separatismo, il fallimento degli Stati, la ferrea legge delle milizie armate.

Non hanno permesso di sconfiggere i terroristi che sciamano nella regione. Al contrario, ne hanno legittimate di ancora più radicali.

Nessuna di queste guerre ha assicurato la pace in una data regione. Al contrario, l’intervento occidentale ha consentito a tutti di scaricare le proprie responsabilità.
Peggio ancora, queste guerre sono un ingranaggio. Ciascuna crea le precondizioni per la prossima. Sono le battaglie di una singola guerra che si sta espandendo dall’Iraq verso la Libia e la Siria, dalla Libia verso il Mali inondando il Sahara con il traffico di armi di contrabbando. Tutto questo deve finire.

Nel Mali, non esiste una sola premessa per un successo finale. Combatteremo al buio, privi di un obiettivo bellico. Arrestare la progressione jihadista verso sud, riconquistare il nord, sradicare le basi AQIM: ciascuna di queste è una guerra a parte.

Noi ci dovremo battere da soli, senza un solido partenariato maliano. La rimozione del presidente a marzo e del primo ministro a dicembre, il collasso di un esercito del Mali segnato dalle divisioni, il generale fallimento dello Stato, a cosa ci appoggeremo?

Combatteremo nel vuoto per mancanza di un forte sostegno regionale. La Comunità degli Stati dell’Africa Occidentale si muove al rallentatore e l’Algeria ha espresso la sua contrarietà.

Solo un processo politico è in grado di portare la pace nel Mali.

Ci vuole una dinamica nazionale per la ricostruzione dello stato del Mali. Puntiamo sull’unità nazionale, sulle pressioni sulla giunta militare, sul processo di garanzie democratiche e dello Stato di diritto attraverso politiche di cooperazione forti.

Occorre anche una dinamica regionale, coinvolgendo l’Algeria, che ha un ruolo centrale in quell’area, e la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, per promuovere un piano di stabilizzazione del Sahel.

Serve infine una dinamica politica per negoziare, isolando gli islamisti ed accordandosi con i tuareg su una soluzione ragionevole.

Come è possibile che il virus neoconservatore abbia potuto conquistare tutte le menti? No, la guerra non è la Francia. È tempo di porre fine ad un decennio di sconfitte. Dieci anni fa, in questi giorni, eravamo riuniti alle Nazioni Unite per intensificare la lotta contro il terrorismo. Due mesi dopo è iniziato l’intervento in Iraq. Da allora in poi non ho mai smesso di impegnarmi per risolvere le crisi politiche e per uscire dal circolo vizioso della forza. Oggi il nostro paese può fare da battistrada per abbandonare questo stallo bellico, se si inventa un nuovo modello di impegno, fondato sulle realtà della storia, sulle aspirazioni dei popoli e sul rispetto per la diversità. Questa è la responsabilità della Francia di fronte alla storia”.

Dominique de Villepin, ex primo ministro francese

http://www.lejdd.fr/International/Afrique/Actualite/Villepin-Non-la-guerre-ce-n-est-pas-la-France-585627

Autore del celebre ed “eroico” discorso contro la guerra in Iraq, che non gli è mai stato perdonato dai neocon

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/25/la-nostra-capacita-di-costruire-un-mondo-migliore-buon-natale/

“La questione della guerra è entrata prepotentemente dentro la campagna elettorale. Si è aperta un’interessante dialettica fra Sel e il Pd, quest’ultimo immediatamente pronto a sostenere Hollande e a rendersi disponibile per un’avventura italiana. In effetti che non si tratterà di una marcia trionfale se ne è accorto anche Il Sole 24 Ore che dedica al tema l’editoriale di oggi firmato da Vittorio Emanuele Parsi (docente alla Cattolica di Milano, se non ricordo male): “Le guerre inutili dell’Occidente“, un articolo e un titolo sorprendenti per il luogo dove sono collocati. Come giustamente scrive Parsi: “più diventavamo consapevoli della insufficiente efficacia dello strumento militare e più ci abbiamo fatto ricorso: in parte perchè le circostanze lo consentivano in virtù della nostra straordinaria superiorità logistica e tecnologica; in parte perchè non sapevamo che altro fare in assenza di un altrettanto rampante superiorità politica”. Eh già, proprio così: l’Europa come soggetto politico non esiste”.

Alfonso Gianni, 18 gennaio 2013

“Sono deluso dalle potenze occidentali. Adesso, ad esempio, c’è la Francia che si è impegnata in Mali. Vorrei chiedere: qual è lo scopo reale del coinvolgimento militare, adesso, della Francia? È ancora una ri-colonizzazione? … Quando vedo interventi di altri Paesi europei, quando si decide – ad esempio – che non si daranno più aiuti finanziari a questo Paese, non si concederà più questo o quell’intervento, io mi domando: è proprio per fare fronte a quella crisi, oppure per creare una situazione molto più difficile, di dipendenza sempre maggiore dall’Europa?”

Charles Palmer-Buckle, arcivescovo di Accra, capitale del Ghana

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/mali-mali-mali-21477/

“L’intervento francese sa molto di un’ennesima ingerenza di tipo neo-colonialista. Personalmente non lo vedo molto di buon occhio. E penso che non riusciranno a sconfiggere i terroristi.  Forse, però, anche noi, come Chiesa del Mali, avremmo dovuto fare molto di più in questi anni per mettere in guardia le autorità, far pressione sulle forze più moderate, denunciare le violazioni dei diritti umani e i molti traffici di cui tutti sapevano, ma pochi parlavano”.

padre Alberto Rovelli, per vent’anni missionario dei Padri Bianchi in Mali

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/mali-mali-mali-21477/

“Quando si entra in un conflitto, si accendono dei fuochi che poi non si possono spegnere. E se la cura fosse peggiore del male? Il Burkina Faso e l’Algeria sono particolarmente restii all’idea di un intervento militare e sono due paesi estremamente importanti in quell’area. Senza un loro coinvolgimento le difficoltà si moltiplicheranno. Non sarà un intervento militare a risolvere la questione dell’unità del Mali, soprattutto quando si vede che il Mali è uno stato al collasso. Prendere il controllo del Nord senza che vi sia alcun fattore di disciplinamento equivale a fondare l’intera impresa sul vuoto”.

Rony Brauman, già presidente di Medici Senza Frontiere – Francia, attuale direttore di ricerca presso la Fondazione Medici Senza Frontiere

http://www.journaldumali.com/article.php?aid=5513

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In Mali per ragioni umanitarie

“È la Françafrique, termine divenuto peggiorativo per la penna di François-Xavier Verschave, che la denunciò nel 1998 come organizzazione criminale segreta incistata nelle alte sfere della politica e dell’economia transalpina. Basata sulla corruzione, sui rapporti personali con questo o quel dittatore/padrone (franco)africano, sugli interessi dei “campioni nazionali” dell’industria transalpina, specie nel settore energetico e minerario. Una macchina da soldi, infatti ribattezzata France-à-fric da giornalisti malevoli.

Sarkozy prima e Hollande poi hanno preso le distanze dalla Françafrique, ma chiunque voglia vederle ne trova ancora forti tracce nei territori africani già inglobati nell’impero tricolore. Vi restano anzitutto i privilegi della grande industria, che incarna interessi strategici irrinunciabili (per esempio, lo sfruttamento dell’uranio nigerino da parte di Areva, vitale per la produzione energetica nazionale).

Parigi non rinuncia al ruolo di gendarme nella “sua” Africa – anche oltre, come dimostra il caso libico. Nel Continente nero restano schierati in permanenza circa 7.500 soldati francesi. Nel solo teatro maliano, il ministero della Difesa prevede di impegnarne a breve 2.500, e forse non basteranno per evitare l’insabbiamento della missione antiterrorismo. Certo, l’epoca dell’“unilateralismo” è passata, oggi Parigi cerca (e talvolta non trova) il sostegno degli alleati occidentali e dei paesi africani più vicini alle zone di crisi.

Più che una scelta, il “multilateralismo” – ossia l’impiego di risorse altrui per fini propri, o almeno il tentativo di farlo – è una necessità. Alla fine, quel che conta è proteggere il rango dell’Esagono nel mondo, la grandezza della Francia. Anche per questo, nelle carte mentali dei decisori francesi la memoria dell’ex (?) impero campeggia vivissima”.

Lucio Caracciolo

http://temi.repubblica.it/limes/quel-che-resta-del-colonialismo/41614

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“Mali, la guerra per l’uranio. Nell’area vi sono le più importanti riserve mondiali di uranio, oltre a petrolio e gas”.

http://www.peacelink.it/conflitti/a/37528.html

“I movimenti tuareg laici e progressisti sono stati marginalizzati, in particolare a causa dell’ascesa del gruppo salafita Ansar Dine. Potente e abbondantemente armato, quest’ultimo si è alleato con il gruppo islamico di Al Qaida nel Magreb (Aqmi), presentando un rischio sempre più evidente per le attività francesi di estrazione dell’uranio nel Nord del Niger. La Francia ha sostenuto con grande costanza i governi corrotti che si sono succeduti in Mali, portando a un indebolimento dello stato. È probabilmente questo crollo che ha condotto i gruppi islamisti a incalzare e ad avanzare verso Bamako.

Similmente, la Francia ha mantenuto da 40 anni il potere in Niger, in uno stato debole e dipendente dall’antica potenza coloniale e dalla sua compagnia di estrazione dell’uranio, la Cogéma, ora Areva. Mentre i dirigenti nigerini cercano di controllare in qualche modo ciò che Areva fa, la Francia riprende il controllo con il suo intervento militare.

I recenti movimenti di gruppi islamisti non hanno fatto altro che precipitare l’intervento militare francese che era in corso di preparazione. Si tratta indubbiamente di un colpo di forza neo-coloniale, anche se le forme sono state rispettate con un opportuno appello di aiuto del Presidente ad interim del Mali, la cui legittimità è nulla visto che lui è in funzione in seguito al colpo di stato che ha avuto luogo il 22 marzo 2012″.

http://www.peacelink.it/conflitti/a/37532.html

“Per il momento, non vogliono testimoni nè giornalisti pullulando nella zona del conflitto. Non vi chiedete per caso perchè non avete ancora visto nessuna immagine di quello che sta succedendo sul terreno? Dove sono le vittime? I feriti? Gli edifici bombardati? Le truppe in combattimento?

Le ragioni possono essere molteplici e sicuramente si può pensare che si stia cercando di evitare che si producano nuovi sequestri o di garantire la nostra sicurezza. Ma il risultato è solo uno: si sta occultando la possibilità di informare, e pertanto, si sta attaccando la libertà di stampa, e la verità. Ricordo una frase che ho imparato all’università (credo che non sia stato al bar, ma non ne sono sicuro), e diceva che “nelle guerre la prima vittima è la verità”. E in questa, come in altre, si corre lo stesso rischio se non arrivano presto i giornalisti al fronte.

E se il problema è la nostra sicurezza, solo aggiungo che ognuno dei giornalisti presenti in Mali è cosciente dei pericoli che può o che vuole assumere, e ognuno arriverà fino a dove gli sembri ragionevole nel suo desiderio di informare nella maniera più veridica e adeguata. Quello che voglio dire è che siamo persone adulte. Quello che voglio dire è che non mi piace che mi si limiti nel mio dovere di informare. E che i miei rischi sono miei, e solo miei. Non so come voi la vedete”.

http://www.peacelink.it/conflitti/a/37538.html

La secessione dal genere umano

Padania

La vita è essenzialmente appropriazione, offesa, sopraffazione di tutto quanto è estraneo e più debole, oppressione, durezza, imposizione di forme proprie, un incorporare o per lo meno, nel più temperato dei casi, uno sfruttare. […]. Lo “sfruttamento” non compete a una società guasta oppure imperfetta e primitiva: esso concerne l’essenza del vivente, in quanto fondamentale funzione organica, è una conseguenza di quella caratteristica volontà di potenza, che è appunto la volontà della vita

F. Nietzsche, “Al di là del bene e del male”

Non potete servire a Dio e a Mammona

Matteo 6, 24; Luca 16, 13

“Divided We Stand: Why Inequality Keeps Rising” (OECD, 2010) indica che le disuguaglianze stanno accrescendosi rapidamente e drammaticamente. Mentre nei paesi BRICS è stabile o diminuisce grazie all’impetuosa crescita economica, in Occidente la tendenza è inversa, con aumenti registrati in 17 paesi OECD su 22, per almeno un 4% nel giro di una generazione in Finlandia, Germania, Israele, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Svezia e Stati Uniti. Uno studio di ricercatori delle università di Warwick, Belfast ed Exeter (“British Economic Growth, 1270-1870”, 2010) ha mostrato che gli abitanti delle isole britanniche nell’epoca medievale se la passavano molto meglio dei cittadini dello Zaire, Burundi, Niger, Togo, Guinea e Guinea Bissau, Haiti, Sierra Leone, Ciad, Zimbabwe, Afghanistan. Un’altra ricerca (Santos et al. 2007) rivela che nell’Ungheria medievale c’erano minori disparità sociali che nel Regno Unito pre-crisi (figuriamoci ora!). Oggi i super-ricchi hanno a disposizione i paradisi fiscali per evitare di condividere la loro abbondanza e, stando alle statistiche fiscali statunitensi, meno del 4% dei super-ricchi americani è un imprenditore, ossia contribuisce in modo sostanziale all’economia reale. Quel che sta avvenendo è la progressiva secessione di una minuscola porzione del genere umano dal resto della specie: in luogo dei castelli di un tempo gli “eletti” risiedono in quartieri residenziali fortificati e video sorvegliati da vigilanti armati, oppure persino su isole di loro proprietà.

Con una fulminante intuizione, Gustavo Zagrebelsky (Zagrebelsky, Mauro 2011) domanda al direttore della Repubblica:

“Non ti pare che si stia creando una distanza persino nella conformazione fisica esteriore tra una super e una infra-umanità? Non è razzismo, perché attraversa tutte le popolazioni d’ogni colore. Ha invece qualcosa di nietzscheano. La ricchezza e la povertà, con l’accesso o l’esclusione a cure, trapianti, trattamenti d’ogni genere, mai forse come ora – o comunque mai visibilmente come ora – si trasformano in differenze di corpi e di prospettive di vita- […]. Possiamo parlare ancora di “umanità”, al singolare? Un orrore che non ha nemmeno lontanamente a che vedere con la differenza di vita esistente un tempo tra un proletario e un borghese nelle nostre società. La stirpe umana si sta dividendo tra un sopra e un sotto biologico, come conseguenza d’un sopra-sotto sociale, e questa divisione è a tutti evidente. […]. E vuoi che prima o poi questa tensione, una volta che l’ideologia si congiunga con la tecnologia della violenza in una dimensione mondiale, non possa raggiungere un punto di rottura in grado di provocare la catastrofe?” (p. 42)

Contemporaneamente i social network e i forum dei quotidiani cominciano ad essere frequentati da persone che invece di usare la lingua come un ponte verso il mondo, la usano come un muro, con un portoncino blindato che si apre solo per i loro “simili”. Così ci sono veneti che nei forum italiani scrivono esclusivamente in veneto quando si parla di questioni venete, specialmente se sono legate alle spinte separatiste. Certi sudtirolesi usano il loro dialetto anche se alla discussione partecipano persone che capiscono solo il tedesco. I separatisti catalani usano la loro lingua sui forum dei quotidiani inglesi (mentre i loro critici spagnoli si sforzano di scrivere in inglese). Trovo tutto questo desolante e la ritengo una condotta di una piccineria spaventosa. Pare che sia sommamente difficile per alcuni capire che bisogna stare uniti per resistere ad un sistema che sta usando l’indebitamento per privatizzare i beni comuni e minare alle fondamenta le tutele dei diritti civili e fondamentali, avvalendosi della classica strategia del divide et impera. Questa stolidità ed ignoranza rischia di portarci a fondo.

L’errore che si commette è quello di considerare l’autodeterminazione di un gruppo umano come un valore assoluto e positivo. Ma l’autodeterminazione delle oligarchie finanziarie (deregulation – la chiamano “semplificazione” ma tra i ricchi e i poveri, tra i forti e i deboli la legge dovrebbe proteggere i secondi, l’anarchia avvantaggia sempre i primi) non è certo un passo in avanti per la civiltà umana, l’autodeterminazione dei ricchi che optano per i paradisi fiscali e le cosiddette “gated communities” (quartieri fortificati) perché non vogliono contribuire ad una vita decorosa per i meno abbienti né vogliono subire le conseguenze del loro egoismo non è una cosa buona. L’autodeterminazione della Germania e del Nord Europa dal resto del continente, come se la distruzione del potere d’acquisto degli altri europei non comportasse devastanti conseguenze per le loro economie è suicida, come lo è l’autodeterminazione di una regione del nord dalle altre perché si ritiene depauperata, non rendendosi conto che il sistema economico vigente la trasformerà nel giro di una generazione nel sud sfruttato di qualcun altro. La chiamano autodeterminazione ma è egoismo individualista e collettivista. Non siamo monadi autarchiche, ma esseri viventi interdipendenti, interconnessi che viaggiano sulla stessa barca: gettare fuori bordo la “zavorra” rende la scialuppa stessa indegna di restare a galla.

L’autodeterminazione delle persone che si continuano a considerare interdipendenti (autonomia, individualità democratica) è invece un approccio più saggio. È l’individuazione come salutare processo di maturazione spirituale e civile.

Alto Adige, Baviera, Catalogna, Veneto, Parco della Vittoria, Viale dei Giardini – il Vaso di Pandora dei separatismi

Le qualifiche necessarie per sedere al tavolo globale e attrarre soluzioni globali finiranno progressivamente per coincidere non più con i confini politici che separano artificiosamente i Paesi, ma con unità geografiche più focalizzate […], in pratica le aree dove si svolge il vero lavoro e dove fioriscono i veri mercati. Ho chiamato queste unità “Stati-regione”…eccellenti porti d’entrata per l’economia globale, poiché tendono a formarsi proprio in base ai criteri dettati da quell’economia…debbono essere abbastanza piccoli da consentire ai loro abitanti di condividere gli stessi interessi in quanto consumatori e, nello stesso tempo, sufficientemente estesi da giustificare non tanto economie di scala (ottenibili a partire da una base di qualunque entità, tramite esportazioni verso il resto del mondo) quanto economie di servizio – ossia, le infrastrutture rappresentate dalle comunicazioni, dai trasporti e dai servizi professionali indispensabili per partecipare all’economia globale.

Kenichi Ohmae, economista neoliberista [“lasciate fare ai mercati e tutto si sistemerà”], “La fine dello Stato-nazione”, 1996

Ma come si è mai potuto pensare che l’ideale di una vita riuscita fosse l’indipendenza totale, ossia l’assenza di ogni obbligo e di ogni attaccamento, non soltanto verso Dio ma anche verso gli uomini? La libertà illimitata, infatti, non può essere un ideale dell’esistenza umana – del resto, non ne è nemmeno il punto di partenza.

Tzvetan Todorov, I nemici intimi della democrazia, 2012, pp. 132-133

L’indipendenza è una via percorribile e seria per un paese europeo nel XXI secolo? E poi con che fine e con che programma? Uscire dalla Spagna per rientrare come paese indipendente nell’UE migliorerebbe la situazione economica del popolo catalano? Il rebus, come si diceva all’inizio, non è di facile soluzione. E la classe politica catalana, al pari di quella spagnola, sta dimostrando di non averla trovata e nemmeno pensata questa soluzione, se non con le solite risposte unilaterali, semplicistiche e di corte vedute, fautrici, come la storia ci ha dimostrato, solo di più grandi sciagure. In una crisi senza precedenti come quella attuale, la soluzione si deve trovare insieme, non con la secessione, ma con la solidarietà reciproca

Steven Forti, Catalogna: nuovo Stato d’Europa?

http://www.politicaresponsabile.it/pensiero/853/catalogna-nuovo-stato-deuropa.html

Fino a qualche mese fa i sondaggi gli promettevano al leader di Convergenza e Unione (CiU) e presidente in carica, Artur Mas, almeno 68 seggi su 135, invece è sceso a 50 (contro i 62 conquistati nel 2010). Il presidente della regione catalana conferma che il referendum si farà “nei tempi previsti”, ma è difficile pensare che CiU riuscirà a governare in modo stabile con le formazioni indipendentiste di sinistra ed ecologiste che si sono opposte nel biennio precedente alle politiche economiche dell’attuale leadership.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/15910

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Il congresso della Südtiroler Freiheit, il movimento politico di Eva Klotz, ha votato ieri all’unanimità la proposta di referendum per separare la minoranza sudtirolese dall’Italia. L’intenzione emersa dall’assemblea del partito che si è tenuta ad Appiano è quella di votare due mesi prima delle prossime elezioni provinciali, nell’autunno del 2013. Tre i quesiti: rimanere in Italia, ritornare in Austria o autodeterminarsi come stato libero del Sudtirolo. Il referendum, è stato spiegato, sarà aperto «a tutti i cittadini con diritto al voto in Alto Adige». Circa trecento le persone presenti al congresso, tra cui anche esponenti di minoranze europee. La Südtiroler Freiheit aderisce infatti ad una raccolta di firme a livello europeo per ottenere il diritto all’autodeterminazione dei popoli. Intanto il portavoce della commissione del Parlamento austriaco per le questioni altoatesine, Hermann Gahr, ha respinto nel modo più assoluto l’istanza di uno Stato libero del Sudtirolo, come riportato dal giornale Tiroler Tageszeitung.

Via dall’Italia, sì al referendum, Alto Adige, 25 novembre 2012

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Convocato un consiglio straordinario il 28 novembre per votare sul referendum per l’indipendenza veneta. La mozione del consigliere di Unione Nordest, Mariangelo Foggiato verrà discussa e sta già raccogliendo consensi, anche tra “insospettabili”.

Oltre ai pareri favorevoli di Lega e Pdl, il consigliere vicentino, Stefano Fracasso, è l’unico del Pd ad aver sottoscritto la richiesta di convocazione. “E’ proprio nei momenti di crisi che lo sguardo va lanciato un po’ lontano” ha dichiarato a Il Gazzettino. Con lui il rappresentante di Rifondazione Comunista, Pietrangelo Pettenò: “Con le opportune modiche si può approvare, anche il referendum si può fare purché non sia demagogia: lasciare l’Italia è fuori discussione, insistere sull’autodeterminazione del popolo veneto è doveroso – ha dichiarato, aggiungendo una frecciata ai colleghi di Fracasso – Quelli del Pd sono i più statalisti. Devono occupare lo stato per governarlo anche a costo di restringere spazi di democrazia: il governo Monti è il governo di Napolitano e del Pd, mica di Berlusconi”.

Resta solo da vedere se l’iniziativa sarà dichiarata inammissibile per motivi di incostituzionalità. La parola al consiglio veneto.

http://www.vicenzatoday.it/politica/indipendenza-veneto-referendum-stefano-fracasso.html

Referendum sull’indipendenza veneta, Zaia: “Voterei sì”

Domani in Consiglio regionale si discute sul referendum per l’indipendenza veneta proposto da Unione Nord Est e sostenuto trasversalmente.

„Se il voto fosse legale, come auspico, sulla scheda io segnerei si”’ anticipa Luca Zaia, presidente della giunta regionale, a proposito della discussione, domani, in Consiglio regionale, sulla proposta di un referendum sull’autonomia veneta, proposto da Mariangelo Foggiato di Unione Nordest“

”Sono per l’indipendenza perché il Veneto – spiega Zaia – ha determinati valori da tutelare e da promuovere e si sente senza dubbio piu’ vicino alla Baviera che alla Calabria”. Oltre ai pareri favorevoli di Lega e Pdl, il consigliere vicentino, Stefano Fracasso, è l’unico del Pd ad aver sottoscritto la richiesta di convocazione, mentre è entusiasta il consigliere di Rifondazione comunista, Pietrangelo Pettenò.“

http://www.vicenzatoday.it/politica/indipendenza-veneto-referendum-luca-zaia.html

‘L’autodeterminazione è il passaggio fondamentale per arrivare alla richiesta legittima di referendum per l’indipendenza. Referendum che si deve tenere rispettando le regole. Oggi non ci sono”. Lo ha detto il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, intervenendo all’assemblea regionale dove si sta discutendo del possibile referendum per l’indipendenza del Veneto. Zaia ha proposto la costituzione di un tavolo di ”autorevoli giuristi” per definire ”in maniera chiara” il percorso referendario ”affinché’ sia inquadrabile giuridicamente”. Un tavolo, ha precisato Zaia, a costi zero. ”Dopodiché’ ognuno deciderà secondo la propria coscienza”.

http://www.asca.it/newsregioni-Veneto__Zaia__prima_autodeterminazione__poi_referendum_indipendenza-1223785-.html

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La Baviera può farcela da sola … Der Spiegel ironizza, la FAZ prende la cosa sul serio, per la Merkel è un’altra grana, che si aggiunge alle tante che affliggono la sua coalizione. La Baviera vuole andarsene, o, almeno, c’è qualcuno – sempre di più –  che in Baviera vuole andarsene dalla Repubblica Federale Tedesca. La Germania è uno stato federale e in questo sistema la Baviera gode di particolari autonomie: Freistaat Bayern, libero stato di Baviera. Ha una sua costituzione e una lunga tradizione di autonomismo.  Ha un suo partito – la CSU – che è nella coalizione di governo ed è il più importante in Baviera. Ma oggi ai Bavaresi non basta più. Dal basso fioriscono le iniziative in cui si chiede di farla finita coi “Prussiani” e con un governo federale che sta svendendo il benessere bavarese ai poteri finanziari eurocratici. Così, anche nella CSU, che non vuole perdere il suo ruolo di rappresentanza territoriale, crescono le voci che invocano maggiore incisività nei rapporti con Berlino. Anche perché, in Baviera, guadagna sempre più consensi la Bayernpartei, partito politico apertamente separatista. Questo spiega perché sta diventando un best seller il libro pubblicato nello scorso mese di agosto dal giornalista Wilfried Schnargl: Bayern kann es auch allein, «La Baviera può farcela da sola», in cui il tema dell’indipendenza e della secessione sono trattati con toni che suonano di sfida aperta al sistema federale e al socialismo di stato della Merkel. Scharnagl ha avuto ruoli importanti nella CSU, come amico e consigliere di Franz Josef Strauss e come caporedattore del Bayernkurier. Il suo libro inizia con un appello ai suoi compatrioti: «è tempo ormai che la Baviera si sollevi!».

http://giuseppereguzzoni.blogspot.it/2012/09/se-la-baviera-se-ne-va.html

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La mia previsione? Scozia, Baviera e Corsica resteranno dove sono. La Scozia è solo uno specchietto per le allodole: gli Scozzesi vogliono più autonomia, non l’indipendenza; per questo Cameron ha approvato il referendum separatista al posto di quello sulla devolution. Sa di avere la vittoria in tasca.

Inoltre Alex Salmond, il leader dei nazionalisti scozzesi, è un ex consulente della Royal Bank of Scotland (famiglia Rothschild) per il settore petrolifero.

Germania, Regno Unito e Francia resteranno integri. I PIGS, invece, potrebbero essere fatti a pezzettini, per poi essere “privatizzati”. Il Belgio si spezzerà in 3 tronconi, con la parte germanofona e quella francofona assorbite da Germania e Francia e le Fiandre federate ai Paesi Bassi.

Qualcuno ha fatto notare che i movimenti separatisti europei – inclusi quelli in Jugoslavia e Cecoslovacchia hanno fatto il “salto di qualità” dopo l’unificazione tedesca. Il Movimento Lega Nord è nato il 4 dicembre 1989, poche settimane dopo la caduta del Muro di Berlino (forse con capitali bavaresi, cf. Saverio Vertone, “Padania e altre padanie: L’oro dal Reno? Finanza tedesca e Lega Nord”, Limes, (4), 1997, pp. 221-224)

Per approfondire:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/27/lucio-caracciolo-leuropa-e-finita-considerazioni-di-immenso-buon-senso-sulleuropa-sullitalia-e-su-altro-ancora/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/20/bruno-luvera-tg1-rai-sulla-jugoslavizzazione-dellitalia-e-la-balcanizzazione-delleuropa/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/17/il-corriere-della-sera-pubblica-un-inno-alla-jugoslavizzazione-dellitalia-perche/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/23/la-geopolitica-dei-miti-etnici-la-morte-delleurozona-e-lavvento-dellimpero/

Uscita dall’eurozona = rivoluzione + guerra civile

Bruno Tabacci (economista ed esperto di politiche industriali, oltre che politico) ha ragione e mi spiace che l’abbiano tagliato per dare spazio solo a Bagnai.

Bagnai dovrebbe leggere quel che cita, cosa che io ho fatto e dovrebbe rendersi conto che gli hedge fund stanno attaccando l’eurozona per distruggere l’Unione Europea e l’élite europea li sta aiutando.

Il responsabile principale della crisi dell’eurozona non è l’euro ma sono il sistema finanziario globale e la classe dirigente europea. Tsipras ha ragione da vendere a voler restare nell’euro creando una coalizione di paesi PIIGS (e non solo) che spingano con determinazione per delle riforme strutturali radicali, salvando l’Unione Europea. Chi preme per la sua frantumazione sta facendo il gioco di oligarchie interessate unicamente ad addivenire ad una separazione tra Europa di serie A (teutonica) e quella di serie B (le merdacce private di pressoché ogni margine di sovranità), che per di più provocherebbe la disgregazione di Italia e Spagna (Padania e Alto Adige chiederebbero di andarsene al più presto, la cosa non avverrebbe pacificamente ed il Trentino, una provincia complessivamente lealista, si troverebbe presa in mezzo)

E’ scandaloso che Messora e Bagnai, pur di restare fedeli alle loro posizioni, siano disposti a non investigare su chi siano i loro compagni di viaggio.
Ecco chi sono.

A luglio del 2012 l’equipe di analisi diretta da Roger Bootle, economista neoliberista (ex HSBC), ha vinto le 250,000 sterline del Premio Wolfson per l’Economia con uno studio su come spezzare l’eurozona conservando un euronucleo forte e riesumando le vecchie valute di Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia.

Secondo l’analisi la riconfigurazione economicamente ottimale della zona euro vedrebbe il mantenimento di un nucleo nordico (neo-carolingio, NdR) che incorpori Germania, Austria, Paesi Bassi, Finlandia e Belgio, paesi che hanno strutture economiche compatibili e possono formare un’area valutaria ottimale. La Vallonia potrebbe però essere sacrificata e la Francia verrebbe accettata solo per ragioni di opportunità politica. Non ci sarebbe un’eurozona di serie B perché i paesi esclusi non avrebbero interesse a coordinarsi e non hanno rapporti economici tali da giustificare una qualche sorta di unione. In alternativa, il nucleo neocarolingio potrebbe abbandonare l’attuale eurozona, dotandosi di un proprio euromarco.

Sempre secondo il parere di questi analisti finanziari neoliberisti, i divari sono tali che è altamente improbabile che il nuovo assetto possa essere provvisorio. Nessun escluso potrà rientrare dal retro, neppure dopo le più drastiche “terapie” di austerità.

L’evento, che viene definito paragonabile al collasso dell’Impero Austro-Ungarico o dell’Unione Sovietica, avverrebbe all’insaputa dei cittadini dei suddetti paesi (!!!) per “evitare il caos” (fuga di capitali, corse agli sportelli bancari) e non è prevista la consultazione referendaria dei cittadini. Cittadini che non sarebbero troppo felici di vedere un crollo del PIL del 10-20%, un analogo balzo dell’inflazione (con il costo dell’energia alle stelle), la massiccia riduzione dei salari e del potere d’acquisto, l’evaporazione dei propri risparmi (con il blocco dei bancomat per evitare che possano tirar fuori quanti più euro sia possibile finché sono in tempo) e l’umiliazione di essere trattati come dei paria dalle altre nazioni europee.

Questi sono piani che sembrano ideati da “intelligenze artificiali” prive di compassione, umanità e radicalmente utilitaristiche.
In questo scenario, entro non più di un anno, io e milioni di altri cittadini dei paesi PIIGS saremmo costretti a rubare per vivere o a sfasciare tutto (= rivoluzione).

http://www.policyexchange.org.uk/images/WolfsonPrize/wep%20shortlist%20essay%20-%20roger%20bootle.pdf

Questo è lo studio che, criminalmente, Bagnai cita a sostegno della sua tesi che i PIIGS dovrebbero abbandonare l’euro! Bagnai ha riserve d’argento e oro nascoste da qualche parte? Lo sa che sono metalli non  commestibili?

Il premio Wolfson, dell’ammontare di 250mila euro, assegnato a chi avesse trovato il modo di smantellare l’eurozona nel modo meno doloroso possibile, è stato indetto da un barone e finanziere inglese neoliberista che l’ha intitolato a se stesso, per il tramite del più influente think tank di destra in Gran Bretagna (Policy Exchange)! Tra i 5 valutatori: FRANCESCO GIAVAZZI (iperliberista consulente del FMI), un ex consulente della Banca d’Inghilterra, un ex consulente della Bundesbank e del governo tedesco, un ex consigliere di Tony Blair, il criminale di guerra.

A Bagnai va bene tutto questo? E’ in sintonia con GIAVAZZI e la Bundesbank? Ha letto quello studio prima di citarlo favorevolmente? Con che coscienza propone agli Italiani di prendere decisioni drammatiche, potenzialmente catastrofiche, contestando i suoi critici con questo tipo di supporti teorici, non a caso divulgati ampiamente dal Financial Times e dall’Economist, che fin dall’inizio si sono schierati dalla parte degli avvoltoi degli hedge fund? Non gli è squillato un campanello d’allarme in testa?

Il premio Wolfson è assegnato dall’élite a chiunque compiaccia le aspettative dell’élite. Era davvero così difficile dedicare 5 minuti del proprio tempo sulla rete per capire chi lo assegna e a chi è stato assegnato? Perché proprio i politici bavaresi e Wolfgang Schäuble, che sono i più accesi fautori dell’euromarco, non hanno fatto altro che perorare la causa dell’espulsione della Grecia? Vogliono il bene dei Greci?

Oppure poteva informarsi sulle ragioni per cui Tsipras, invece di guadagnare migliaia di voti facili, ha insistentemente rifiutato di inserire nel suo programma l’uscita della Grecia dall’eurozona. Gli economisti greci che hanno formulato il programma economico di Syriza sono dei fessi o dei mostri che se ne infischiano delle sofferenze dei loro concittadini e delle loro famiglie? Come mai Syriza e Tsipras sono detestati da tutti i maggiori quotidiani finanziari internazionali e demonizzati dalla troika se in effetti sono i massimi responsabili della continua presenza della Grecia nell’eurozona, che in teoria dovrebbe incontrare i loro favori?

Bagnai (e Messora e gli altri) avrebbe anche potuto chiedersi come mai oltre tre quarti dei Greci, nonostante tutto quel che stanno patendo da anni, siano ancora intenzionati a restare nell’eurozona. Tutti fessi? E perché allora sostenere che hanno impedito ai Greci di votare per l’uscita dall’eurozona? Il referendum avrebbe visto il trionfo del no all’uscita. Perché queste cose Bagnai non le dice? Dov’è l’onestà intellettuale? A che gioco sta giocando il Fatto Quotidiano?

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Ettore Livini, “Grecia, il ritorno della dracma costerebbe 11mila euro all’anno per ogni europeo”

Il ritorno della dracma, se mai succederà, “non sarà indolore né per la Grecia né per la Ue”, ha garantito Per Jansson, numero due della Banca di Svezia (che non è parte in causa, NdR).

IL PRIMO ATTO

Il primo atto del possibile Calvario è già scritto: un fine settimana, a mercati chiusi, Atene formalizzerà a Bruxelles la sua uscita dalla moneta unica. Poi sarà il caos. La Banca di Grecia convertirà dalla sera alla mattina depositi, crediti e debiti in dracme, agganciandoli al vecchio tasso di cambio con cui il Paese è entrato nell’euro nel 2002: 340,75 dracme per un euro. Si tratta di un valore virtuale: alla riapertura dei listini, prevedono gli analisti, la nuova moneta ellenica si svaluterà del 40-70 per cento. Per evitare corse agli sportelli (i conti correnti domestici sono già calati da 240 a 165 miliardi in due anni), Atene sarà costretta a sigillare i bancomat, limitare i prelievi fisici allo sportello e imporre rigidi controlli ai movimenti di capitali oltrefrontiera.

IL PIL GIU’ DEL 20%

L’addio all’euro costerà carissimo ai greci: il Prodotto interno lordo, calcolano alcune proiezioni informali del Tesoro, potrebbe crollare del 20 per cento in un anno. I redditi andrebbero a picco, l’inflazione rischia di balzare del 20 per cento. Il vantaggio di competitività garantito dal “tombolone” della dracma sarà bruciato subito. La Grecia – che a quel punto non avrebbe più accesso ai mercati – sarà costretta a finanziare le sue uscite (stipendi e pensioni) solo con le entrate (tasse) senza potersi indebitare. E non potrà più contare né sui 130 miliardi di aiuti promessi dalla Trojka, nei sui 20,4 miliardi di fondi per lo sviluppo stanziati da Bruxelles. Di più: i costi delle importazioni (43 miliardi tra petrolio e altri beni di prima necessità nel 2011) schizzerebbero alle stelle mettendo altra pressione sui conti pubblici. Un Armageddon che rischia di far passare il memorandum della Trojka per una passeggiata. Il colpo di grazia per una nazione in ginocchio, reduce da cinque anni di recessione che hanno bruciato un quinto della sua ricchezza nazionale e con la disoccupazione al 21,7 per cento.

TORNANO I DAZI

In questa tragedia greca, l’Europa non avrà solo il ruolo di spettatore. Il pedaggio a carico del Vecchio continente – che un minuto dopo il ritorno della dracma potrebbe imporre dazi alle merci elleniche – è salatissimo. L’effetto contagio, tanto per cominciare, si tradurrà in una Caporetto per i mercati e una via crucis per Italia e Spagna. Gli spread, calcolano gli algoritmi di Sungard, potrebbero salire del 20 per cento, le borse scendere del 15 per cento. Ma è solo l’antipasto. La Grecia – dove le banche saranno nazionalizzate – smetterà di pagare i debiti anche ai privati e così lo tsunami della dracma travolgerà diversi istituti di credito e molte imprese continentali. Una matassa inestricabile (anche legalmente), molto peggio di quella della Lehman che nel 2008 ha mandato in tilt il mondo.

I CALCOLI DI UBS

Italiani e spagnoli, ha calcolato Ubs un anno fa, pagherebbero tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa all’anno per l’addio all’euro di Atene. I tedeschi poco meno. Le cifre vanno aggiornate al rialzo: il debito di Atene a fine 2009 (301 miliardi) era tutto controllato da privati. Ora, grazie alla ristrutturazione, è sceso a 266 miliardi. E ben 194 sono in mano a paesi Ue, Bce e al Fondo Monetario. Se la Grecia non onorerà i suoi impegni come ha fatto l’Argentina, l’Apocalisse europea è belle e servita.

http://www.repubblica.it/economia/2012/05/15/news/grecia_il_ritorno_della_dracma_costerebbe_11mila_euro_all_anno_per_ogni_europeo-35060321/

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PREVISIONI DI NOMURA

http://www.forexinfo.it/Grecia-fuori-dall-euro-Nomura-fa

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“La mancanza di un processo costituzionale (o permesso da un trattato) per uscire dalla zona euro ha una solida logica solida alle spalle. Il punto di creare la moneta comune era quello di convincere i mercati che si trattava di un’unione permanente che avrebbe assicurato perdite enormi per chiunque avesse osato scommettere contro la sua solidità. Una singola uscita basta ad abbattere questa solidità percepita. Come una piccola crepa in una possente diga, un’uscita greca porterà inevitabilmente al collasso l’edificio…Nel momento in cui la Grecia viene spinta fuori accadranno due cose: una massiccia fuga di capitali da Dublino, Lisbona, Madrid, ecc, seguita dalla riluttanza della BCE e di Berlino ad autorizzare liquidità illimitata alle banche e stati. Questo comporta il fallimento immediato di interi sistemi bancari, nonché dell’Italia e della Spagna. A quel punto, la Germania dovrà affrontare una terribile dilemma: mettere a repentaglio la solvibilità dello stato tedesco (devolvendo alcune migliaia di miliardi di euro per salvare ciò che resta della zona euro) o salvare se stessa, abbandonando la zona euro. Non ho alcun dubbio che sceglierà la seconda. E poiché questo significa strappare una serie di trattati e carte dell’UE e della BCE, l’Unione Europea, di fatto, cesserà di esistere”.

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/31/interviewed-by-fxstreet-com-on-grexit/

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L’uscita dall’eurozona sarebbe una catastrofe pazzesca e, soprattutto, è esattamente quel che vogliono gli hedge fund, che puntano proprio a quell’esito per spolpare le carcasse degli stati lasciati dietro. Non per altro hanno cominciato attaccando proprio quelli. È quel che fanno i predatori: separano le prede più deboli dal branco e poi le aggrediscono assieme.

Bagnai & co sbagliano e se la gente li prenderà sul serio ci porteranno alla catastrofe.

La troika va combattuta dall’interno dell’eurozona e le riforme strutturali si dovranno fare assieme, con i PIIGS che finalmente fanno fronte comune, dopo essersi liberati delle attuali classi dirigenti corrotte ed incompetenti, e pretendono i cambiamenti necessari.

Yanis Varoufakis: “Questo significa che la Grecia dovrebbe sorridere e sopportare la misantropa idiozia del pacchetto di salvataggio-austerità imposto dalla troika (UE-BCE-FMI)? Certo che no. Dovremmo certamente fare il default. Ma all’interno della zona euro. (Vedi qui  per questo argomento.) E utilizzare la nostra disponibilità al default come una strategia di contrattazione con la quale realizzare un New Deal per l’Europa (nel modo che ho descritto qui )”.

http://vocidallestero.blogspot.it/2012/05/per-varoufakis-la-grecia-non-puo.html

Qui la sua proposta di soluzione (eminentemente ragionevole)

IN ITALIANO (ACCENNI): https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/04/la-modesta-proposta-per-superare-la-crisi-delleuro-di-yanis-varoufakis/

IN INGLESE (TESTO COMPLETO):

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/15/the-modest-proposal-for-overcoming-the-eurozone-crisis-version-3-0/

Se seguiremo i consigli di Bagnai ci sarà una rivoluzione (con relativa contro-rivoluzione) entro pochi anni e tutte le peggiori tipologie umane si sfideranno per arrivare al potere.
http://fanuessays.blogspot.it/2012/01/se-incontrate-questo-tipo-di.html

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UNA POSTILLA

Qualcuno che conosce Alberto Bagnai (goofynomics) può spiegargli che trattare come sterco tutto quello che non è in linea con il suo pensiero e come degli imbecilli quelli che non la pensano come lui diminuisce il potere persuasivo dei suoi articoli?

Mi rendo conto che, in una certa misura, sia un rischio che corriamo (e una trappola in cui caschiamo) tutti noi che ci troviamo a combattere contro un paradigma dominante palesemente errato e criminale ma tenuto in vita dai media; tuttavia su goofynomics si esagera e c’è davvero pochissimissimo spazio e rispetto per visioni alternative.

Quando gli amici FB mi chiedono di leggerlo mi domandano un vero e proprio sacrificio, perché davvero faccio fatica ad esaminarlo obiettivamente, mi mette subito a disagio e mi irrita. Sono sicuro di non essere il solo. Non saprei dire se Bagnai sia peggiorato o sia io ad essere diventato sempre più sensibile, ma sta diventando un problema.

Questo sfogo nasce dalla lettura del seguente articolo:

http://goofynomics.blogspot.ch/2012/11/piccoli-prodi-friniscono.html

Anch’io, come lui, ho poca pazienza per diversi aspetti del grillismo, però qui mi pare ci sia cattiveria gratuita (anche nel dibattito che segue), un livore che eccede i limiti della disputa e che comincia davvero a mostrare dinamiche da cultismo, da inquisizione puritana. La cosa non mi piace per niente perché lo vedo succedere sempre più spesso in diverse sedi e mi spaventa l’idea di finire così.

 

Se Romney vince siamo tutti nel guano

Anche se arriveranno con carta e penna [uno strano esercito, che non ha armi, ma solo carta e penna!] e avranno l’aspetto serio e pulito dei chierici, da questo segno li riconoscerete, dalla rovina e dal buio che portano; da masse di uomini devoti al Nulla, diventati schiavi senza un padrone.

“La ballata del cavallo bianco” di G.K. Chesterton (1911)

La Siria è strategica perché consente all’Iran l’accesso al mare

Mitt Romney, ottobre 2012

 Arriverà un momento in cui le banche falliranno e il destino della nazione e della Costituzione sarà appeso a un filo, allora un Cavallo Bianco – un mormone – apparirà per guidare l’America verso la grandezza.

Profezia di Joseph Smith, fondatore del Mormonismo (1843)

Sono convinto che arriverà una fase in cui ci dovremo interrogare sul nostro agire in base alla Costituzione e credo che saranno i seguaci dei Santi degli ultimi giorni ad offrire una risposta.

George Wilcken Romney, imprenditore e politico repubblicano, padre di Mitt Romney

Lo Utah è noto per essere la sede dei Mormoni e dell’Archivio dei Mormoni, una biblioteca genealogica situata in un deposito blindatissimo all’interno di una montagna a qualche decina di miglia a sud di Salt Lake City. Dovrebbe idealmente contenere gli alberi genealogici e i dati anagrafici (inclusa razza e censo) di tutti gli esseri umani. Nel 2007 Marco D’Eramo scriveva sul Manifesto (“Mormoni. Una caccia fino all’ultimo antenato”): “Nel 1959 l’immagazzinamento cominciò a diventare un problema. Si iniziarono a scavare 6 enormi gallerie nel granito delle montagne del Little Cottonwood Canyon, a 40 km da Salt Lake City, e nel 1963 furono inaugurati i Granite Mountain Record Vaults, abbastanza spaziosi da poter contenere l’equivalente di 25 milioni di volumi. Secondo il sito della Family History Library, la biblioteca include 2,4 milioni di registrazioni genealogiche, 742.000 microfiches, 310.000 libri, 4.500 periodici. Il database Ancestral File contiene più di 36 milioni di nomi collegati in famiglie. L’Indice genealogico internazionale registra 725 milioni di nomi. Complessivamente il database contiene più di 2 miliardi di nomi, la maggior parte vissuta prima del 1930. In questo momento 200 macchine fotografiche in 45 paesi stanno microfilmando archivi”

http://www.feltrinellieditore.it/FattiLibriInterna?id_fatto=9176

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/21/utah-2013-dal-grande-fratello-allimmenso-fratello/

C’è un 47 per cento di persone che voteranno per il presidente in qualsiasi caso. C’è un 47 per cento di persone che stanno dalla sua parte perché dipendono dal governo, perché si ritengono delle vittime, perché credono che il governo abbia la responsabilità di occuparsi di loro, che credono di avere il diritto a copertura sanitaria, cibo, casa, qualsiasi cosa. Che sia un diritto e che il governo dovrebbe fornirgli tutto. E loro voteranno questo presidente in qualsiasi caso… questa è gente che non paga le imposte sul reddito da lavoro. […] Quello che io devo fare è non preoccuparmi di queste persone. Non le convincerò mai che dovrebbero prendersi la responsabilità di pensare alle proprie vite.

Mitt Romney

http://www.ilpost.it/2012/09/18/video-segreti-romney/

Se avessi genitori messicani, avrei più possibilità di vincere. […]. Stiamo avendo problemi con il sostegno degli elettori ispanici, e se gli ispanici votano in blocco i democratici come avviene già con gli afroamericani, siamo nei guai come partito e come nazione.

http://www.ilpost.it/2012/09/18/video-segreti-romney/

Qualche anno fa con l’auto carica di bagagli e pargoli ha legato il cane Seamus sul tetto della macchina e ha guidato da Boston al Canada senza battere ciglio, neppure quando il povero Seamus non si è sentito bene [dissenteria da trauma, NdR]. Si è semplicemente fermato a una stazione di servizio, lo ha aiutato [lo ha sciacquato con una pompa] e dopo averlo risistemato sul portapacchi è tornato al volante, come hanno raccontato i giornalisti Michael Kranish e Scott Helman nel loro recente libro: “The Real Mitt”.

http://www.linkiesta.it/romney-primarie-michigan#ixzz2B4ZZwuRK

Il tema dei redditi e delle finanze di Romney è delicato: Obama gli ha chiesto di fare chiarezza sul suo ruolo nel fondo Bain Capital, dopo un’inchiesta pubblicata dal Boston Globe. Secondo il quotidiano americano ci sarebbero dei documenti della Commissione Titoli e Scambi (SEC) conservati dalla Bain Capital e una dichiarazione dei redditi (la FDS, una dichiarazione dei redditi obbligatoria per chi ricopre incarichi pubblici) firmati da Mitt Romney nel 2002. Questo confermerebbe che «all’epoca risultava ancora azionista unico, presidente e CEO della Bain Capital». Se Romney dopo il 1999 era ancora proprietario del 100% di Bain Capital (lui sostiene che ne sia uscito allora), Obama ipotizza che sia stato quindi lui a ordinare l’acquisto di una serie di aziende americane in difficoltà e averle portate in bancarotta e vendendone dei pezzi per fare profitti, licenziando tantissime persone.

http://www.ilpost.it/2012/07/18/le-tasse-di-romney/

 

In Michigan, uno Stato in cui nonostante la ripresa dell’industria automobilistica il 9.3% della popolazione è ancora disoccupata, una casa su 354 è pignorata e il 14.4% della gente sopravvive sotto il livello di povertà, venerdì scorso Romney in un comizio ha dichiarato: «Mi fa piacere constatare che la maggior parte della macchine che vedo i giro sono prodotte a Detroit. Io ho una Mustang e un Chevrolet pick-up. Mia moglie Ann guida un paio di Cadillac». Poi in un successivo intervento sulla Cnn a chi gli chiedeva se non si era pentito di quel commento a fronte di una situazione economica difficile per molti americani, Romney ha chiarito: «Certo, non sono perfetto, sono quello che sono, e riguardo alle macchine (le Cadillac), di cui si è già discusso lo scorso settembre, beh ne abbiamo una in California e una a Boston. Chi pensa sia sbagliato avere successo, voti qualcun altro, io sono uno che ha fatto fortuna».

http://www.linkiesta.it/romney-primarie-michigan#ixzz2B4ZE9C00

I Repubblicani negli Stati Uniti sono un partito che, in Italia, sarebbe alla destra della Lega Nord e in Grecia appena più a sinistra di Alba Dorata.

Mitt Romney è poco meno incompetente di Sarah Palin, disprezza gli animali, le donne

http://www.gqitalia.it/viral-news/articles/2012/ottobre/le-gaffe-di-romney-e-dei-repubblicani-contro-donne-fascicoli-sesso-e-stupro

http://video.corriere.it/gaffe-romney-donne-/af6e2132-1847-11e2-a20d-0e1ab53dafde

i poveri, i non-bianchi.

Ha dichiarato che considera la Russia il nemico principale (da bravo Mormone: si veda sotto al profezia del Cavallo Bianco) e che contro questo avversario dimostrerà di avere più spina dorsale di Obama:

http://www.washingtonpost.com/world/europe/romney-at-least-hes-direct-says-putin/2012/09/17/99435c2c-0188-11e2-9367-4e1bafb958db_story.html

È amico personale di Netanyahu, col quale è stato collega di lavoro (consulenti finanziari) alla Boston Consulting Group negli anni Settanta

http://www.nytimes.com/2012/04/08/us/politics/mitt-romney-and-benjamin-netanyahu-are-old-friends.html?pagewanted=all

È nemico di tutto ciò per cui ci siamo battuti nei secoli: costituzionalismo e diritti universali, laicità, stato sociale, pace, giustizia sociale, diritto internazionale, ecc.

Paul Ryan è il beniamino dei fondamentalisti cristiani ma anche di molti militanti del Tea Party, in quanto grande ammiratore di Ayn Rand

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/10/tea-party-il-totalitarismo-anarchico-alla-conquista-degli-stati-uniti/

I Mormoni sono in degna compagnia.

Senatore Pryor: “Gesù non è venuto per prendere le parti di qualcuno, ma per prendersi tutto”.
Consiglio di Doug Coe (leader): “più invisibile è l’organizzazione, più influenza eserciterà”.

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/fascismo-cristianista-il-quarto-reich.html

The Family è lo sponsor di Kony 2012

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/12/kony-2012-la-stucchevole-pornografia-umanitaria-i-bambini-pensate-ai-bambini/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/25/la-tirannia-umanitaria-e-i-falsi-profeti-cosa-ci-ha-insegnato-kony-2012/

E poi, naturalmente ci sono i Dominionisti, con le loro migliaia di mercenari

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/dominio-mercenario.html

I MORMONI E I NERI, LE DONNE, LA PRIVACY

Molte sue teorie, nonostante fossero state presentate come cardini del credo mormone, furono soggette a variazioni dai successori del profeta.

Nel 1843, infatti, Joseph Smith aveva dichiarato che la poligamia era “nuova ed eterna alleanza”, vincolante per tutti coloro che desideravano una benedizione da parte di Dio. Del resto Orson Pratt proclamò che Gesù Cristo stesso era poligamo, che si era sposato a Cana di Galilea, che Maria e Marta erano sue mogli, e che da questi rapporti egli aveva avuto anche dei bambini. Nonostante questo avvertimento, il quarto presidente mormone Wilford Woodruff abolì questo comandamento.

Un cambiamento si verificò anche per quanto riguarda il problema razziale. I Mormoni infatti asserendo che l’oscuramento del colore della pelle sarebbe il risultato di una condanna divina, hanno permesso solo dal 1978 agli uomini di colore di accedere ai gradi del sacerdozio.

Intanto quella dei mormoni è una delle religioni che si espande più velocemente sul pianeta. Sono in possesso dei più sofisticati computer con i quali registrano tutti i morti della Terra che un giorno, dopo la resurrezione, dovranno evangelizzare e mentre continuano la diffusione del loro singolare messaggio, attendono il ritorno del Cristo in una particolare zona del Sinai che dicono hanno addirittura acquistato in occasione di un tale storico evento.

https://sites.google.com/site/illinguaggiodeglidei/religioni-nel-mondo/mormoni/i-mormoni

L’ORIGINE DELL’UMANITÀ SECONDO I MORMONI (SPIRITUALISMO MATERIALISTA)

Uno degli insegnamenti illuminanti, caratteristici del credo mormone, è quello dell’universalità della materia: tutto ciò che esiste è materia, anche se questa si presenta in diversi stadi che vanno dai più solidi ai più sottili.

Per cui, ogni volta che essi parlano di “spiriti”, non si riferiscono ad esseri assolutamente privi di materia, ma ad entità costituite di una materia più sottile che sfugge ai nostri sensi terrestri. Gli spiriti, infatti, secondo i Mormoni, abitano su dei pianeti con caratteristiche simili a quelle terrestri, lo stesso è per Dio.

In un testo canonico è detto, in maniera molto esplicita: “Il Padre ha un corpo in carne e ossa, altrettanto tangibile quanto quello dell’uomo“. Nel “Libro di Abrahamo” scritto dal “Profeta” troviamo addirittura delle indicazioni relative al pianeta sul quale Dio sembra risiedere. Esso si troverebbe nelle vicinanze di una stella chiamata Kolob.

Il Signore avrebbe spiegato ad Abrahamo che sul “pianeta” Kolob, il più grande dopo la “Creazione Celeste”, dimora di Dio, il tempo non scorrerebbe come sulla Terra, (esso sarebbe, infatti, relativo alla massa dei pianeti) e che un giorno, sul pianeta Kolob, equivarrebbe invece a mille anni terrestri.

Secondo la dottrina mormone la nostra esistenza prevede vari periodi che non iniziano con la vita sulla Terra. Infatti essi credono che tutte le cose, compresi gli uomini, siano state create prima in forma spirituale e poi trasformate in materia. È importante anche sottolineare che la parola “creazione” ha per i mormoni un significato ben diverso da quello che noi comunemente conosciamo. Infatti insegnano che tale termine indichi un atto di trasformazione, di organizzazione di una materia preesistente e non un “produrre dal nulla”.

Per quanto riguarda gli uomini, essi sarebbero stati generati da un rapporto avvenuto tra una coppia divina composta da Dio Padre e Sua moglie. Essi insegnano che tale credenza sarebbe il risultato di una deduzione logica, in quanto Dio non potrebbe essere definito vero Padre se non esistesse anche una Madre, e visto che le Scritture ci parlano di un Dio Padre, si può avere il diritto di sostenere che questo Padre abbia una moglie con la quale ha procreato gli uomini in forma spirituale.

https://sites.google.com/site/illinguaggiodeglidei/religioni-nel-mondo/mormoni/i-mormoni

LA PROFEZIA DEL CAVALLO BIANCO (maggio 1843)

[N.B. certe profezie sono importanti proprio perché certi uomini le vogliono far avverare]

SINTESI: Verrà il tempo in cui le banche di ogni nazione falliranno e solo due luoghi saranno sicuri per chi vorrà depositare il suo oro e tesori: il Cavallo Bianco e i forzieri inglesi. In America scoppierà una terribile rivoluzione, come non si è mai vista prima, il paese resterà senza governo ed accadrà ogni genere di atrocità. L’unico luogo che resterà pacifico saranno le Montagne Rocciose. È lì che si recheranno migliaia di persone in cerca di rifugio, da voi Mormoni. Sarete ammirati per la vostra organizzazione, ordine, unità.

L’Impero Turco sarà una delle prime nazioni a disgregarsi perché solo così il Verbo penetrerà nella Terra Santa.

Dio ha concentrato il sangue migliore in Gran Bretagna ed è lì che continuerà a risiedere il potere globale, perché solo così si impedirà alla Russia di usurparlo. L’Inghilterra e la Francia saranno unite contro la Russia.

Nel corso della rivoluzione l’Inghilterra resterà neutrale, finché questa non degenererà a tal punto che si sentirà in dovere di intervenire per porre fine al bagno di sangue. Assieme alla Francia, cercherà di assoggettare le altre nazioni, che saranno già frazionate (broken up) e gettate nel caos, prive di un governo responsabile.

I neri saranno alleati dell’Inghilterra, perché fu tra le prime nazioni ad abolire la schiavitù: equipaggiati con armi inglesi, le azioni del Cavallo Nero saranno terribili.

Nel frattempo il Cavallo Bianco avrà raccolto le sue forze e si ergerà a difesa della Costituzione, che è un dono di Dio. In quei giorni Dio instaurerà un regno che non sarà mai abbattuto e gli altri regni che non accettano il Vangelo saranno umiliati finché non lo faranno.

Inghilterra, Germania, Norvegia, Danimarca, Svezia, Paesi Bassi e Belgio possiedono una considerevole proporzione del sangue di Israele (= degli eletti, di Sion), sangue che dovrà essere riunito in sottomissione al regno di Dio. L’Inghilterra sarà l’ultimo dei regni a volersi arrendere, ma alla fine lo farà senza tentennamenti. I potenti si inchineranno a loro volta quando vedranno che potere esercita il Vangelo. Il Messia ritornerà tra il suo popolo e porterà le leggi di Sion, governando il suo popolo.

Le terre ad ovest delle Montagne Rocciose saranno invase dai Cinesi pagani se non si avrà l’accortezza di difenderle.

Ma la battaglia finale di Sion si avrà quando le Americhe riunite si scontreranno con i loro nemici, che saranno chiamati Gog e Magog e saranno guidati dallo zar della Russia. Il potere degli avversari sarà grande ma alla fine Sion trionferà.

http://beforeitsnews.com/prophecy/2012/07/mitt-romney-and-the-white-horse-prophecy-bank-failure-and-revolution-foreseen-2337835.html

 

IL DESTINO DELL’UMANITÀ SECONDO I MORMONI (GESÙ COME LEADER POLITICO)

I Mormoni attendono in questo periodo della storia dell’umanità il ritorno di Gesù Cristo sulla Terra. Oltre a diversi segni catastrofici ce ne saranno anche di quelli che invece porteranno gioia nel mondo. Uno di essi è la restaurazione del Vangelo avvenuta attraverso l’angelo Moroni quando diede le tavole a Joseph Smith. Interpretando un passo biblico (Ezechiele 37: 16-20) in maniera molto arbitraria, essi indicano la venuta alla luce del Libro di Mormon come un ulteriore segno del tempo che si è avvicinato.

La venuta del Cristo introdurrà un periodo di mille anni durante il quale egli regnerà sulla Terra. All’inizio di questo periodo di tempo, i giusti saranno portati ad incontrare Gesù alla Sua venuta che darà inizio al Regno millenario. Soltanto loro continueranno a vivere sulla Terra durante questo periodo. Durante il millennio i membri della Chiesa saranno incaricati di compiere due grandi opere: il lavoro di tempio e il lavoro missionario. Durante tale periodo la Terra tornerà come al tempo di Adamo ed Eva, Satana sarà legato e quindi regnerà la pace ovunque. Gesù Cristo si preoccuperà di guidare il governo politico del nostro pianeta utilizzando la collaborazione dei membri della Chiesa.

Sorgeranno quindi due capitali, una a Gerusalemme e l’altra in America (i Mormoni sostengono che l’Eden, il paradiso terrestre, in realtà si trovava nel Nord America). Le malattie e la morte spariranno, nuove rivelazioni saranno svelate e gli animali cominceranno a vivere in armonia con la natura e con gli uomini.

Con lo scadere del millennio e con il giudizio finale, avrà anche termine definitivamente la condizione di separazione dl corpo che gli spiriti hanno dovuto subire con la morte. Infatti alla fine del millennio sarà terminata la prima resurrezione, quella dei giusti, e avrà luogo anche la seconda resurrezione e così tutti i figli di Dio avranno di nuovo un corpo in carne e ossa.

NOTA BENE: lo spirititualismo materialista è antitetico al messaggio di Gesù il Cristo.

Gesù disse, “I cieli e la terra si apriranno al vostro cospetto, e chiunque è vivo per colui che vive non vedrà la morte.” Non dice Gesù, “Di quelli che hanno trovato se stessi, il mondo non è degno?” [Tommaso, 111 – nel vangelo c’è spesso l’espressione “colui che vive”]. “Stretta invece è la porta ed angusta la via che mena alla vita, e pochi son quelli che la trovano” [Matteo 7:14] / “Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà” [Matteo 16: 25] / “E se la tua mano ti fa intoppare, mozzala; meglio è per te entrar monco nella vita, che aver due mani e andartene nella geenna, nel fuoco inestinguibile” [Marco 9:43] / “In lei (la Parola, il Logos) era la vita; e la vita era la luce degli uomini” [Giovanni 1:4] / “In verità, in verità io vi dico: Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” [Giovanni 5:24] / eppure non volete venire a me per aver la vita! [Giovanni 5:40] / “E’ lo spirito quel che vivifica; la carne non giova nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita” [Giovanni 6, 63] / Il ladro non viene se non per rubare e ammazzare e distruggere; io son venuto perché abbian la vita e l’abbiano in abbondanza” [Giovanni 10, 10]/ Gesù le disse: Io son la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muoia, vivrà [Giovanni 11: 25] / “Chi ama la sua vita, la perde; e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà in vita eterna” [Giovanni 12: 25]/ “Perché ciò a cui la carne ha l’animo è morte, ma ciò a cui lo spirito ha l’animo, è vita e pace” [Romani 8:6].

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/idee-e-virtu-di-gesu-il-cristo-un.html

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