L’indipendenza non è un diritto, è un capriccio (il nazionalismo scozzese e sudtirolese)

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L’indipendenza scozzese: panem et circenses

Le promesse dei nazionalisti scozzesi diventano ogni giorno più fantastiche. La cosa non deve sorprendere: i sondaggi li danno in ripiegamento.

Brian Wilson, Guardian, 7 febbraio 2013

“Si tende ad essere benevoli verso i nazionalismi altrui, quando li si guarda da una certa distanza. Diversa è la cosa se si vive in una realtà nazionalista.  Quando però si recuperano le proprie facoltà critiche, è chiaro che tutti i nazionalismi hanno una cosa in comune: dividono le persone per categorie identitarie e creano confini laddove non ne esistevano.

Questo è lo scenario che la Scozia deve ora affrontare. Non vi è alcun marcato aumento di richiesta di indipendenza, e ancor meno giustificazioni. Tranne che nella testa di qualche paranoico, non siamo perseguitati, derubati, discriminati o esclusi. Dal punto di vista sociale ed economico abbiamo le stesse ragioni di lamentarci di molte altre parti del Regno Unito.

Lo zoccolo duro dell’indipendentismo scozzese si attesta a circa il 20%, ma vi è anche una significativa domanda di poteri più decentrati. Se si sottopone all’attenzione degli scozzesi un elenco di problemi che li riguardano, questi danno le stesse risposte degli inglesi, con le modifiche costituzionali che arrancano molto dietro ai soliti apripista – posti di lavoro, la salute, l’istruzione e una dozzina di altre questioni.

La differenza è che la Scozia ora deve rispondere a una domanda che solo una minoranza vorrebbe fosse posta: “La Scozia dovrebbe diventare una nazione indipendente?” E questo perché, due anni fa, il 21% degli scozzesi ha votato per i nazionalisti, dando loro la maggioranza assoluta. Il SNP (partito nazionalista scozzese) ha in mano le leve del potere e ha il diritto di usarle. Di qui il referendum.

Questa settimana sono andati un po’ oltre. Pur non avendo ancora fissato una data per il referendum, hanno annunciato che l’”Independence Day” [giorno della proclamazione dell’a sovranità] si terrà nel marzo del 2016. Il circo è già organizzato, mentre altri dovranno preoccuparsi del pane. L’intenzione è quella di creare un’aria di inevitabilità alla marcia per l’indipendenza, e in questo sono assistiti dalla disposizione delle notevoli risorse del governo devoluto.

I sondaggi indicano che la campagna separatista è in stallo.

Quando le opzioni sono ridotte a due, il sostegno per l’indipendenza sale al 25-30%. Ma sarebbe sciocco supporre che rimarrà lì. Giocando sul lungo periodo, lo SNP conta sul fatto che entro la fine del 2014 la scelta sarà tra l’indipendenza e la probabilità di un altro governo conservatore, il che potrebbe alterare significativamente lo stato d’animo prevalente.

Quelli di noi che non vogliono frantumare la Gran Bretagna non sono del tipo che si commuove nel veder garrire la bandiera dell’unione. Noi crediamo che staremo meglio insieme che divisi, e che non c’è alcuna ragione credibile per dissolvere 300 anni di storia comune. Sappiamo che ogni cambiamento progressivo che ha beneficiato la gente comune in tutto il Regno Unito è stato conquistato e votato da persone a Newcastle e Liverpool tanto quanto a Glasgow e Edimburgo.

E sappiamo che se lo SNP ce la farà, non sarà solo la Scozia a pagarne il prezzo, a prescindere dagli ipotetici benefici che sono stati promessi. Saranno anche i nostri amici, familiari e compagni ad essere abbandonati alla loro sorte in un “resto del Regno Unito” politicamente sbilanciato, in un paesaggio molto più ostile [la Scozia è una regione “rossa”, NdT]. Non c’è nulla di lontanamente progressista, per nessuno di noi, in questo.

Questa settimana il governo scozzese ha allegramente promesso che, se la gente voterà per l’indipendenza della Scozia, il tutto si risolverà nel giro di 18 mesi [tra il 2014 ed il 2016, appunto, NdT]. Non possono dirci che valuta sarà impiegata o che tassi di interesse saranno fissati, però possono dirci quanto dureranno i negoziati.

La loro intera argomentazione economica si basa sulla richiesta della maggior parte dei ricavi delle risorse energetiche del Mare del Nord, ma presuppongono che un benevolo governo Tory [conservatori] sia disposto a sottoscrivere tranquillamente ogni aspetto della separazione dei beni che sarà loro proposta, al fine di agevolare il grande party al castello di Edimburgo. Basano la loro politica energetica sull’assunto che i consumatori inglesi sovvenzioneranno le energie rinnovabili scozzesi mentre la Scozia si appropria dei proventi del petrolio [NB cosa succederebbe se le isole Shetland votassero per l’indipendenza dalla Scozia e poi reclamassero una parte di quegli stessi proventi, in quanto ricavati dalle proprie acque territoriali? NdT]. Sono stati presi in castagna quando mentivano spudoratamente in merito all’automatica adesione all’UE che, è ormai chiaro, non sarebbe tale.

A sostegno della loro tesi che il processo richiederebbe solo 18 mesi, – e ricordate che questo è un documento ufficiale del governo, non una nota di partito – hanno fatto riferimento a quei 30 paesi che hanno ottenuto un divorzio all’acqua di rose dai vicini o dai loro signori coloniali: dal Mali al Montenegro, alle isole Kiribati nel mare del sud.

L’idea che esista un paragone pertinente con la dissoluzione di 300 anni di relazioni, istituzioni condivise ed interdipendenza economica nel Regno Unito può essere assurda, ma è indicativo dell’approccio nazionalista. Sanno che dovranno limitarsi ad ingannare la maggior parte delle persone per un singolo giorno, nell’autunno del 2014, e il futuro apparterrà a loro. Si tratta di un grande trofeo, e il fine sarà utilizzato senza pietà per giustificare i mezzi”.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2013/feb/07/scottish-nationalists-bread-and-circuses

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Non esiste una nazione in cui gli elettori ottengono ciò che vogliono, anche solo occasionalmente. Anche se vincono i “nostri”, l’azione di governo dovrà comunque tener conto delle esigenze di tutti. L’infantilizzazione della società contemporanea ha però indotto molti a credere che se i propri desideri non vengono esauditi, allora è giusto che ciascuno se ne vada per la sua strada. Ci si divide in gruppi sempre più piccoli, alla ricerca di una crescente conformità di vedute che è tossica per la mente, per la coscienza, per la società e per la civiltà umana. I miti della cultura, della patria, della lingua, della fede, ecc. sono solo espressione di coscienze immature che antepongono al benessere collettivo il benessere della propria parrocchia e campanile, o l’interesse personale. L’egoismo è all’origine dell’attuale Depressione (la chiama Depressione anche Paul Krugman, Nobel per l’Economia, ne “Il ritorno dell’economia della depressione”, 2013), l’egoismo degli speculatori, delle caste, delle categorie, delle nazioni, delle classi, e così via.

Con la risoluzione 1832 (2011) concernente “la sovranità nazionale e lo stato di diritto nel diritto internazionale contemporaneo: necessità di un chiarimento”, il Consiglio d’Europa – che non è un’istituzione dell’Unione Europea, ma include la Corte Europea per i Diritti Umani ed è la fonte della “Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” – ha dato priorità all’integrità degli stati stabilendo che questa può cessare solo in caso di oppressione e violenze che impediscano una riconciliazione pacifica tra le parti. Il diritto all’ autodeterminazione non dà luogo a un diritto automatico alla secessione. Il rapporto che accompagna la risoluzione afferma quanto segue:

all’infuori del processo di decolonizzazione, l’opinione prevalente non vede nel diritto all’autodeterminazione un fatto costitutivo del diritto per ogni gruppo minoritario regionale di addivenire alla secessione da uno stato esistente. L’autodeterminazione delle minoranze dovrebbe essere piuttosto realizzata per mezzo della partecipazione al governo dello Stato nel suo complesso, e attraverso la devoluzione del potere con lo sviluppo dell’autonomia regionale, vale a dire l’auto-governo in questioni come l’istruzione, la cultura, ecc., ad esclusione dell’indipendenza”.

http://www.mfa.gov.cy/mfa/mfa2006.nsf/All/F1D37E25613644E1C22579210036662B/$file/Report%20on%20national%20sovereignty%20%20statehood%2012%207%202011.pdf?OpenElement

Il governo britannico non era tenuto a concedere la possibilità di votare per l’indipendenza, ma l’ha fatto. Difficile considerarlo un governo oppressivo e violento.

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http://www.raetia.com/it/shop/item/1567-contro-i-miti-etnici.html

Scozzesi, baschi, catalani e sudtirolesi alle prese con il Nuovo Ordine Europeo

a cura di Stefano Fait

 

 

La seconda grande lezione della guerra del Kosovo è che non ci sono più scontri ineluttabili di culture, etnie e civiltà, se non nelle interpretazioni dei loro fautori. Le motivazioni e i comportamenti reali dei protagonisti di questi scontri sono molto distanti da quelli attribuiti loro dalla politica, dalla diplomazia e dal circuito dell’informazione internazionali. Il Kosovo non è una provincia di odi etnici secolari e di fanatismo religioso. E il resto dei Balcani non è diverso.

Pino Arlacchi, prefazione a “La Torre dei Crani. Kosovo 2000-2004”, di Antonio Evangelista

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5597

Anche se la maggior parte delle persone continua a credere che la facciata della realtà sia tutta la realtà, le cose stanno diversamente:

http://fanuessays.blogspot.com/2012/01/ferruccio-pinotti-sui-poteri-occulti.html

Pensiamo solo alla candidatura della Clinton alla direzione della Banca Mondiale:

http://www.reuters.com/article/2011/06/09/us-obama-clinton-worldbank-idUSTRE7586P720110609

Cosa ci dice sull’equanimità, indipendenza e democraticità delle istituzioni globali, quelle che decidono delle sorti di popoli e nazioni?  Cos’è la Banca Mondiale, un istituto finanziario o un’appendice politica globale dell’impero anglo-americano?

E cosa ci dice la spietatezza con la quale sono stati trattati milioni di Greci, come se fossero collettivamente colpevoli, o la virulenza della germanofobia che si diffonde attraverso il continente?

Il bullismo delle istituzioni europee è ormai sfrenato. Ora se la prendono con la Spagna perché il nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy ha ritardato l’implementazione delle misure di austerità a dopo le imminenti elezioni regionali perché, comprensibilmente, non è entusiasta all’idea di danneggiare i candidati del suo partito. Le sanzioni contro la Spagna sono assai probabili e potranno ammontare ad una quota pari a fino allo 0,1% del suo PIL:

http://www.euronews.net/business-newswires/1386450-eu-to-punish-spain-for-deficits-inaction/

Non è ancora chiaro se l’obiettivo sia quello di far vedere chi comanda o, il che è più probabile nel caso della Grecia, arrivare alla sua espulsione facendo ricadere la colpa interamente su di essa – strategia dell’agnello sacrificale. In Giappone i media spiegano ai cittadini giapponesi che se non accetteranno l’austerità finiranno come gli Italiani, in Italia ci spiegano che se non accetteremo l’austerità faremo la figura dei Greci. Ai Greci hanno spiegato che se non avessero accettato un severissimo regime di austerità sarebbero finiti male. Onestamente non vedo come possano finire peggio di così, salvo un’eventuale occupazione da parte di un esercito invasore o l’instaurazione di una dittatura militare.

Difficile che l’Unione Europea voglia fare a meno della Spagna, che è un boccone molto grosso. Dunque l’intento degli eurocrati potrebbe essere quello di intimidire gli Spagnoli. È l’ultima fase della strategia iniziata con un flusso di capitali in eccedenza (nazionali e bancari) diretto verso i PI(I)GS che garantisse il loro ingresso in Europa per poi poterli spennare, con la complicità dei politici locali, e simultaneamente spennare i contribuenti delle nazioni ricche:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

Ora, scatenata la crisi, banche ed istituzioni europee sono legittimate a maramaldeggiare ed interferire con gli affari interni dei vari paesi nel mirino, facendosi passare per le vittime che pretendono a buon diritto dei risarcimenti, quando invece sono degli usurai/pusher che sapevano molto bene fin dall’inizio che stavano facendo cadere in trappola le loro prede. Questa conclusione non ha un puro valore teorico: la correttezza di questo ragionamento comporta che siamo di fronte a persone (sociopatici? psicopatici? schizoidi? narcisisti?) che si sono macchiate di vari crimini contro l’umanità per via della loro sconfinata avidità e carenza di coscienza/empatia. Ci sono dunque evidenti implicazioni giuridiche e morali di cui i futuri partigiani/resistenti/rivoluzionari e storiografi dovranno tener in conto. A ciò si dovrebbero aggiungere i capi di imputazione che si sono guadagnati nei rapporti con i paesi in via di sviluppo e che i cittadini delle nazioni “evolute” hanno convenientemente trascurato (qualche miliardo di umani in surplus).

Ad ogni buon conto, sebbene l’attuale configurazione istituzionale dell’Unione Europea sia ben lontana da quella statunitense, Bruxelles si comporta già come Washington, un atteggiamento che fino a pochi anni fa sarebbe stato giudicato intollerabile. La paura della crisi ha ammansito gli Europei. Per ora, solo i Greci hanno cominciato a dire no. È auspicabile che non siano gli unici, che non siano lasciati da soli. Se ho imparato a conoscerli bene, non penso che gli Spagnoli si asterranno dalla lotta. Così, mentre la sfera egemonica anglo-americana (e non solo) spinge centripetamente nella direzione di un governo mondiale, parallelamente prendono forma forze centrifughe che sono istantaneamente demonizzate, bollate come “etnopopulismi reazionari” anche quando hanno un carattere autenticamente progressista, democratico ed umanista/umanitario nel senso più vero del termine.

Come non tutto il separatismo sudtirolese è xenofobico e regressivo, così i movimenti catalani, baschi, galiziani, scozzesi, corsi e sudtirolesi/altoatesini per l’autodeterminazione non possono essere tutti, o nella loro interezza, designati come anti-moderni ed anti-europeisti. Quel che è certo è che non si lasceranno sottomettere facilmente. Non ho idea di quali potranno essere le conseguenze, ad esempio in Alto Adige, ma ho l’impressione che le perduranti conflittualità tra maggioranze e minoranze saranno sfruttate nel nome del divide et impera ed occorrerà fare di tutto per evitarlo, apprendendo le lezioni della storia:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/si-puo-evitare-una-terza-guerra-civile.html

Sia come sia, la Scozia ambisce a tentare la strada della devoluzione integrale, se possibile tra il 2014 ed il 2016:

http://www.guardian.co.uk/uk/scotland

I politici inglese sono estremamente preoccupati riguardo a questo sviluppo non perché temano la secessione (non ci sarà, gli Scozzesi preferiscono una piena devoluzione alla problematica creazione di uno stato nazionale) ma perché sanno che il partito nazionalista scozzese (Scottish National Party) è progressista ed anti-neoliberista, ossia è la bestia nera delle politiche in voga nell’eurozona e che sono invece guardate come il fumo negli occhi nei paesi nordici, dall’Islanda alla Finlandia. Addirittura il leader dei nazionalisti scozzesi, Alex Salmond, ha dichiarato di voler servire da esempio per tutte le forze progressiste del Regno Unito e oltre. Insomma, Salmond vuole portare all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale ed internazionale tutti quegli argomenti che le oligarchie autoritarie dell’eurozona e della City di Londra cercano di mantenere lontano dai riflettori. Odiano il pluralismo, specialmente nei media. Odiano l’idea che qualcuno possa decidere di proporre sul serio – e non nella certezza che non si farà mai (cf. Merkel e Sarkozy) – l’introduzione di forme di tassazione delle transazioni finanziarie, o di contrastare l’evasione fiscale delle élite e le iniziative militari del Regno Unito e della NATO in giro per il mondo. Un esempio del genere sarebbe devastante per il loro monopolio della percezione pubblica della realtà. Nascerebbe un’autentica alternativa, non si potrebbe più dire che esiste un unico modo di affrontare la crisi e lasciarsela alle spalle. Il neoliberismo troverebbe un avversario in grado di sconfiggerlo, in Scozia, in Galles, nell’Irlanda del Nord, nella stessa Inghilterra e in Irlanda, qualcuno che sventoli la bandiera della giustizia sociale e dell’autodeterminazioni degli individui.

La Scozia potrebbe ambire anche all’indipendenza visto che produce più ricchezza della media britannica e invia a Londra più imposte dei trasferimenti statali che riceve in cambio, si emanciperebbe da politiche che favoriscono invariabilmente Londra ed il Sud-Est e che aggravano le disparità sociali, privatizzando le risose e servizi pubblici, non dovrebbe partecipare a guerre alle quali si oppone, si denuclearizzerebbe, si potrebbe opporre al continuo afflusso di scorie nucleari sul suo territorio, potrebbe diventare energeticamente autonoma, grazie allo sfruttamento delle rinnovabili, del petrolio e del carbone, avrebbe un seggio all’ONU e nell’Unione Europea. Le esportazioni di whisky scozzese rappresentano il 25% delle esportazioni alimentari britanniche. La Scozia potrebbe aspirare a raggiungere i paesi nordici in termini di sviluppo umano e qualità della vita.

La Catalogna vorrebbe l’autodeterminazione per il 2014, a trecento anni dalla perdita della sua indipendenza. Ci sono ostacoli ma si insiste, prendendo a modello la Scozia:

http://www.europapress.es/catalunya/noticia-carod-defiende-referendum-independencia-2014-si-era-viable-20120112111211.html

I separatisti sudtirolesi si ispirano ai separatisti catalani:

http://www.gruene.bz.it/index.php?option=com_content&view=article&id=287:lautodeterminazione-lalto-adige-non-e-la-catalogna-selbstbestimmungsuedtirol-ist-nicht-katalonien-&catid=35:landtag-consiglio-provinciale&Itemid=64&lang=it

http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2011/04/12/news/klotz-l-esempio-della-catalogna-3930391

Qui un sommario confronto tra le due esperienze:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/separatismo-sudtirolese-separatismo.html

La situazione altoatesina è particolarmente delicata:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/quel-che-i-politici-altoatesini-non.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/auspici-per-il-2012ed-il-2013ed-il-2014.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/giustizia-e-riconciliazione-in-alto.html

http://fanuessays.blogspot.com/2011/10/alex-langer-twin-peaks.html

In inglese:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/12/gemutlich-segregation-multiculturalism.html

L’inevitabile, grave recessione infiammerà gli animi. Lo si intuisce esaminando le tendenze di voto per il partito nazionalista scozzese:

1929 3,000
1931 21,000
1935 30,000
1945 27,000
1951 7,000
1955 12,000
1959 21,000
1964 64,000 – 1963: scoperti giacimenti petroliferi nel Mare del Nord
1966 128,000
1970 307,000 – 1969-1970: scoperta di due enormi giacimenti petroliferi al largo della costa scozzese

1974 633.000 – [la prima di due elezioni]
1974 839,000 – 1973-1974: crisi petrolifera, crisi economica, austerità

1979 504,000
1983 497,000
1987 416,000
1992 629,000 – sfarinamento dell’Unione Sovietica in varie repubbliche indipendenti e Guerra del Golfo

1997 621,000 – Hong Kong torna alla Cina
2001 464,000
2005 412,000
2010 491,000 – crisi economica

Così proprio l’arma che doveva servire a sottomettere i popoli potrebbe ritorcersi contro gli aguzzini. Tutto dipende da come la gente impiegherà Internet, se per informarsi e poi rifiutarsi di cooperare, o per prendere per buone le versioni ufficiali delle autorità e servirle. Per il momento non sembra probabile che l’Internet possa essere soppressa a breve e in misura significativa. Dunque c’è la speranza che sempre più gente si renda conto, tra le altre cose, che altri paesi, prima della Grecia, hanno fatto default senza finire all’inferno, anzi – es. Russia, Brasile, Argentina, Ecuador, Messico – e si renda conto che non c’è alcuna ragione di credere che solo i Greci siano stati condotti al massacro dai propri politici.

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