La Primavera Araba, la Siria e l’Industria del Bene (R. Fisk, the Independent, 24.12.12)

The Arab Spring - Hitchhiker's Guide to The Near and Middle East

Medio Oriente – di luogo comune in luogo comune abbiamo raggiunto il “punto di svolta”

Ricordate i giorni in cui abbiamo pensato che il cammino dell’Egitto verso la democrazia fosse ormai un dato acquisito? Mohamed Morsi, educato in Occidente, aveva invitato la gente a venire a incontrarlo nel palazzo presidenziale che apparteneva a Hosni Mubarak, la vecchia aristocrazia militare del “Consiglio Supremo delle Forze Armate” era stata mandata in pensione ed il Fondo Monetario Internazionale era in attesa di poter distribuire un po’ di crudeli privazioni in Egitto, pronto a sua volta a ricevere la nostra benevolenza finanziaria.

Com’erano beati gli ottimisti sul Medio Oriente verso la metà del 2012.

Nella  vicina Libia si era affermato il filo-occidentale laicista Mahmoud Jibril, che prometteva libertà, stabilità, una nuova casa per l’Occidente in uno dei più fecondi produttori di petrolio del mondo arabo. Era un luogo dove persino i diplomatici degli Stati Uniti potevano circolare praticamente non protetti.

La Tunisia poteva anche avere un partito islamico al governo, ma era una gestione “moderata” – in altre parole, abbiamo pensato che avrebbe fatto quello che volevamo – mentre i sauditi e gli autocrati del Bahrain, con la muta disapprovazione di Obama e Cameron, sopprimevano silenziosamente ciò che era rimasto della rivolta sciita che minacciava di ricordare a tutti noi che la democrazia non era davvero benvenuta tra gli stati arabi più ricchi. La democrazia era per i poveri.

Nella primavera dello scorso anno, i commentatori occidentali davano per spacciato Bashar al-Assad. Non meritava “di vivere su questa terra”, secondo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Doveva “dimettersi”, “farsi da parte”. Il suo regime aveva solo poche settimane di vita, forse solo qualche giorno. Era il “punto di svolta”.

Poi, entro l’estate, quando il “punto di non ritorno” si era dileguato, ci hanno detto che Assad stava per usare il gas “contro il suo popolo”, o che le sue forniture di armi chimiche potevano “cadere nelle mani sbagliate” (le “mani giuste” erano ancora presumibilmente quelle di Assad).

I ribelli siriani erano sempre sul punto di farcela – a Homs, poi a Damasco, poi ad Aleppo, poi di nuovo a Damasco. L’Occidente sosteneva i ribelli: un profluvio di armi e denaro provenienti da Qatar e Arabia Saudita ed il sostegno morale di Obama, Clinton, del patetico Hague, di Hollande, di tutta l’industria del bene – fino a quando, inevitabilmente, si è scoperto che i ribelli avevano tra le loro file un bel po’ di salafiti, carnefici, settari assassini e, in un caso, un decapitatore di adolescenti che si comportava un po’ come il regime spietato che stavano combattendo. L’industria del bene ha dovuto fare retromarcia. Gli Stati Uniti hanno continuato a sostenere i buoni, i ribelli laici, ma ora consideravano gli orribili ribelli salafiti come un’”organizzazione terroristica”.

E il povero vecchio Libano, manco a dirlo, era sul punto di esplodere in una guerra civile per la seconda volta in meno di 40 anni, questa volta perché la violenza della Siria si “riversava” nel territorio dei suoi vicini.

Il Libano non era forse settario come la stessa Siria? Gli Hezbollah libanesi non erano forse alleati di Assad? I sunniti del Libano non sostenevano i ribelli siriani? Tutto vero. Ma i libanesi … erano troppo intelligenti ed istruiti per ripiombare nel caos del 1975-1990.

L’Iran, naturalmente, stava per essere bombardato perché stava – o stava per – fabbricare armi nucleari, o poteva – o avrebbe potuto – fabbricare armi nucleari entro un mese, o un anno, o una decina d’anni.

Obama potrebbe non bombardare l’Iran, non ne ha davvero voglia, ma “tutte le opzioni” erano “sul tavolo”. Lo stesso per Israele, che voleva bombardare l’Iran, perché poteva o potrebbe fabbricare armi nucleari o era in procinto di farlo, o potrebbe averle in sei mesi, o un anno, o in alcuni anni ma – ancora una volta – “tutte le opzioni” erano “sul tavolo”. La “finestra di opportunità” di Netanyahu si sarebbe chiusa, ci dicevano, con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. E così queste sciocchezze sono continuate…ebbene, fino alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, al termine delle quali ci avevano avvertito ancora una volta che l’Iran stava producendo, o poteva produrre, o potrebbe produrre un’arma nucleare.

Israele ha anche minacciato il Libano, perché Hezbollah aveva migliaia di missili, e ha minacciato i palestinesi di Gaza, perché avevano migliaia di missili. E molti sono stati i giornalisti israeliani – con i loro cloni americani – che hanno preparato il terreno con i loro lettori per queste due guerre al “terrore”.

In questo caso il Libano è rimasto esente da bombardamenti mentre un conflitto molto insoddisfacente (dal punto di vista di Israele) scoppiato tra Israele e Hamas si è concluso quando Morsi ha convinto i palestinesi a rispettare un cessate il fuoco, che Netanyahu ha poi tristemente accettato.

Ha così rafforzato il suo prestigio Khaled Meshal, che ha successivamente annunciato che la Palestina dovrebbe estendersi dal fiume Giordano al mare. In altre parole: basta Israele.

Proprio come il ministro degli Esteri di Israele, Avigdor Lieberman, che si sarebbe presto dovuto dimettere, e i suoi sodali, che per lungo tempo avevano ripetuto che Israele doveva estendersi dal mare al fiume Giordano. In altre parole: niente più Palestina.

Al coraggioso e molto invecchiato israeliano Uri Avnery non è restato altro da fare che sottolineare che, se entrambi avevano questo stesso desiderio, poteva esistere solo una fosse comune tra il fiume e il mare.

Verso la fine dell’anno, l’amichevole, affettuoso Mohamed Morsi stava recitando la parte del Mubarak e stava facendo il pieno di tutti i vecchi poteri dittatoriali a sua disposizione, mentre una costituzione molto dubbia era imposta alla popolazione laica di quella terra, musulmana e cristiana, che Morsi aveva promesso di servire. In Libia, come s’è visto, gli Stati Uniti hanno scoperto di avere  più nemici di quel che si pensava, l’ambasciatore è stato ucciso da – e l’attribuzione deve restare in sospeso, nonostante i tentativi della Clinton di confondere le acque – una sorta di banda di miliziani di al-Qaeda.

In effetti, al-Qaeda – politicamente fallita dal momento dell’omicidio di Osama Bin Laden da parte di una squadra di sicari statunitensi in uniforme militare nel 2011 – era stata praticamente cancellata dal vocabolario della Casa Bianca prima della rielezione di Obama. Ma gli evanescenti disperati del wahabismo hanno acquisito l’abitudine tanto amata dai mostri del cinema di rigenerarsi in forma diversa, in paesi diversi.

Il Mali ha sostituito l’Afghanistan, così come la Libia ha sostituito lo Yemen e la Siria ha preso il posto dell’Iraq.

[…].

Eppure, ci potete scommettere, l’industria del bene ci farà piovere addosso un altro carico di luoghi comuni in sostituzione di quelli che sono già serviti al loro scopo.

http://www.independent.co.uk/voices/comment/a-word-of-advice-about-the-middle-east–weve-reached-the-tipping-point-with-cliches-8430495.html

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Cosa ne pensano i civili yemeniti dei droni che li uccidono? Cosa ne pensano i civili del Bahrein che vorrebbero ribellarsi alla dittatura ma non possono farlo perché sauditi e statunitensi inviano armi al regime? Cosa ne pensano i giornalisti di Al-Jazeera che si dimettono uno dopo l’altro per la faziosità del network sui conflitti in Libia e Siria? Cosa ne pensano gli indignati americani nello scoprire che sono state usate leggi anti-terrorismo per sorvegliarli minuziosamente?

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/26/drones-yemen-fbi-occupy-terrorism#start-of-comments

Il precedente progetto angloamericano di destabilizzazione della Siria, risalente agli anni Cinquanta:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/31/loccidente-e-la-destabilizzazione-della-siria-1957-2011-articolo-del-guardian/

L’opinione pubblica occidentale rifiuta il coinvolgimento nella questione siriana

Siamo al capolinea, direi. Chi si batte per la pace contro la guerra suscita scandalo, chi invoca la guerra in Siria e Iran viene considerato democratico, moderato e amante della pace.
Anonimo

Secondo questo sondaggio francese, il 57% degli Italiani è contrario all’intervento in Siria, solo il 18% è completamente a favore.

Il servizio della FAZ sulle menzogne degli insorti ha sicuramente aperto gli occhi a molti, in Germania (55% contrario – sondaggio francese).

Massicce maggioranze contrarie ad un coinvolgimento nelle vicende siriane si registrano anche in Turchia (57%) e negli Stati Uniti  (66%).

Un sondaggio Cambridge-Essex nel Regno Unito (e USA) rileva che oltre l’80% dei cittadini non vuole truppe britanniche in Siria per proteggere i civili ed il 90% non vuole usarle per abbattere il regime (com’è invece successo in Libia); solo il 12% approva la fornitura di armi ai ribelli siriani. Però un 40% è d’accordo con l’imposizione di una no-fly-zone ONU sulla Siria (il 20% è categoricamente contrario ed un altro 25% è ambivalente)

“La nostra indagine suggerisce che l’opposizione all’impiego dell’esercito sul terreno rimarrà alta sia in Gran Bretagna sia negli Stati Uniti”.

Tzvetan Todorov, uno dei più importanti studiosi internazionali di genocidi, pulizie etniche, totalitarismi e colonialismo (invitato ad insegnare in una mezza dozzina tra le più prestigiose università del mondo), ricapitola sulla Repubblica (26 giugno 2012) le ragioni del no.

“Il vertice della Nato, nel maggio di quest’anno, ha annunciato il «ritiro irrevocabile » delle truppe straniere che si trovano in Afghanistan entro la fine del 2014.

Se così fosse, sarebbe la fine di una delle guerre più lunghe di questo secolo e del precedente: tredici anni, dal 2001 al 2014, superata in durata solo dall’intervento americano in Vietnam (1959-1975); è stata anche una delle più costose: si stima che siano già stati spesi 530 miliardi di dollari. Le vittime si contano a migliaia fra i soldati della coalizione e a decine di migliaia fra la popolazione afgana.

Le grandi potenze non amano ammettere che gli capita di sbagliarsi nelle avventure che intraprendono, perciò questo ritiro ci verrà sicuramente presentato come un successo politico. Preferiscono non rendersi conto che le guerre asimmetriche moderne sono impossibili da vincere, che i popoli rigettano l’occupazione straniera anche se viene spiegato che è per il loro bene. È abbastanza probabile che il ritiro, come successe dopo la fine della guerra in Vietnam, sarà seguito dal tracollo del governo messo al potere. Gli anni di sforzi, le vittime, le spese non saranno serviti a niente, nemmeno come insegnamento per gli anni a venire.

Succede già con l’intervento in Libia del 2011. Il cambiamento di maggioranza in Francia, nel 2012, non ha dato luogo ad alcuna critica sulla partecipazione del Paese alla guerra. Il suo principale promotore all’interno del governo, Alain Juppé, prima ministro della Difesa e poi degli Affari esteri, ha dichiarato al momento di lasciare il potere: «Sono fiero di quello che abbiamo fatto in Libia», ricevendo l’approvazione sia dei deputati socialisti che degli editorialisti dei giornali di sinistra. Ma è una scelta contestabile tanto a priori quanto a posteriori. Non è vero che il bagno di sangue annunciato da Gheddafi non poteva essere evitato con altri mezzi: d’altronde, non è stato evitato perché oggi sappiamo che la guerra ha fatto almeno 30.000 morti, contro le 300 vittime della repressione iniziale. E quando si ammetterà che la guerra non è uno strumento appropriato per imporre la democrazia, perché la sua lezione immediata consiste nell’affermare la superiorità della forza militare bruta e dunque la negoziazione, come la ricerca del compromesso, sono percepite come segnali di debolezza? Di per sé il risultato dell’intervento è tutt’altro che trionfale: la Libia è in preda a conflitti tribali, le milizie locali rifiutano di sottomettersi al potere centrale, l’islamismo salafita avanza sempre più, la repressione e le vendette contro i fedeli del vecchio regime proseguono, con atti di tortura che si aggiungono alle esecuzioni sommarie.

I dirigenti delle potenze occidentali, che amano credere di esprimere l’opinione della «comunità internazionale », non sembrano essere consapevoli del presupposto principale della loro politica, vale a dire che spetta a loro, come ai bei vecchi tempi degli imperi coloniali, decidere del destino di quei popoli privi di protettori potenti, in particolare in Africa e in Asia. Questi popoli, sembrano dirsi, sono condannati a restare eternamente minorenni e noi abbiamo la pesante responsabilità di decidere per loro. Come spiegarsi, altrimenti, il fatto che trovano legittimo destituire sulla punta del fucile i governi di così tanti Paesi, dalla Costa d’Avorio all’Afghanistan, perfino quando questi gesti spesso e volentieri hanno effetti controproducenti? Una simile mentalità del resto è condivisa da alcuni cittadini delle vecchie colonie residenti all’estero, che si indignano: ma che aspetta l’Occidente per venirci a liberare dal nostro tiranno?

Questi interventi sono tanto più problematici in quanto il contrario di un male non è necessariamente un bene.

Un potere tirannico può essere sostituito da un altro che lo è altrettanto. Oggi vediamo la complessità della situazione in Siria, per la quale si moltiplicano gli appelli all’aiuto. Il governo di Damasco reprime i suoi avversari nel sangue, ma si tratta di semplici manifestanti pacifici o di combattenti armati che cercano di impadronirsi del potere? Il governo orchestra la sua propaganda, ma c’è da credere a tutte le notizie diffuse dalla televisione al-Jazeera o dall’autoproclamato Osservatorio siriano dei diritti umani? Dobbiamo interpretare il conflitto come un confronto fra amici e nemici della democrazia o come un confronto fra maggioranza sunnita e minoranze di altre confessioni, o ancora come una lotta per il potere fra l’Arabia Saudita e l’Iran?

Certe situazioni politiche, come del resto certe configurazioni personali, non sono migliorabili attraverso interventi radicali, di alcun genere. È questo che le rende, propriamente parlando, tragiche”.

(Traduzione di Fabio Galimberti)

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43572

Leader della rivolta anti-Assad condivide le mie preoccupazioni sulla Siria

Haytham Manna, scrittore siriano e portavoce della Commissione araba per i diritti umani, è presidente dell’Associazione siriana di coordinamento per il cambiamento democratico all’estero. Pur rappresentando una parte dell’opposizione ad Assad, dimostra di avere una comprensione più obiettiva della tragedia siriana rispetto al senatore con cui ho polemizzato:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/18/il-senatore-della-repubblica-e-la-questione-siriana/

“Il 18 marzo 2011, il più importante movimento civile nella storia moderna della Siria è stato lanciato per le strade di Dara’a. Ispirato dallo spirito rivoluzionario della primavera araba, era inizialmente tranquillo [ammirevole illusione: uno dei pochi punti su cui dissento, si vedano oltre i commenti dei lettori, NdR]. Anti-corruzione e anti-autoritarismo, ha unificato le richieste locali e nazionali per il cambiamento democratico.

Nella seconda settimana di questa mobilitazione, ho lanciato quelli che sono diventato famosi come i “tre no”: no alla violenza, no al settarismo, no all’intervento estero. Una strategia che avrebbe garantito l’integrità territoriale e l’unità del popolo siriano. La nostra sfida era quella di uscire dalla provincia di Dara’a in tutta la Siria ed avevamo bisogno di garantire che la rivolta si guadagnasse il sostegno della maggioranza.

Ma questo allargamento della lotta si è svolto in assenza di unità all’interno delle forze di opposizione. Altre forze in gioco hanno cercato di reclutare le decine di migliaia di giovani che erano scesi nella strade per la prima volta, coinvolgendoli nelle loro cause regionali o internazionali. Entro i primi tre mesi molte di queste forze erano già intervenute nel conflitto, che è stato visto da molti, dentro e fuori la Siria, come un’opportunità per alterare alcuni elementi di fondo della geopolitica del Medio Oriente.

Gli obiettivi di coloro che intervengono dall’esterno erano e sono in contrasto con le canzoni rivoluzionarie all’insegna della dignità e libertà. C’era una mancata corrispondenza tra il bisogno interno di rovesciare la classe dirigente del paese, descritta come alawita, e il desiderio di alcuni dal di fuori del paese di frantumare la mezzaluna sciita – che si estende da Beirut a Teheran passando per Damasco –e di liberare il Mediterraneo della presenza militare della Russia. Qualcuno ha cercato di dare l’impressione che rivolta la Siria fosse un conflitto settario o compiuto sforzi per islamizzarlo o salafizzarlo. Russia e Cina, nel frattempo, ci hanno visto l’opportunità di passare da un mondo dominato dagli USA ad un mondo multipolare. Uno dei paradossi della rivolta siriana per la libertà è che ha creato l’occasione per rilanciare la politica estera dell’Arabia Saudita rafforzandone l’influenza.

Le autorità della Siria, nel frattempo, hanno trattato la rivolta come una questione di sicurezza, rifiutando l’idea che fosse un movimento spontaneo ed abbracciando le tesi cospirative. Tre decisioni del regime hanno determinato la natura, la forma e il contenuto del movimento popolare: la decisione di inviare truppe nella città di Dara’a nel mese di aprile 2011; l’attacco a tre città (Abu Kamal, Deir al-Zour e Hama) il primo giorno del Ramadan e le atrocità commesse nella seconda metà del Ramadan sulla costa a Homs, nelle campagne di Damasco e ad Idlib. Questa violenza eccessiva e sproporzionata ha spinto alcuni ribelli ad accettare l’idea di prendere le armi per legittima difesa [eccessiva e sproporzionata perché si è abbattuta ingiustamente su tutti gli oppositori, non solo sui mercenari affluiti dall’estero, che sapevano bene a cosa andavano incontro e se lo meritano, NdR]. In ambienti religiosi l’idea è stata rafforzata dall’invocazione alla jihad, e pubblicizzata dalle emittenti televisive del Golfo, come Wisal e Safa. La più importante e meglio organizzata rete di finanziamenti non siriani [di sostegno a questa strategia] ha sede nel Golfo salafita, in particolare in Arabia Saudita, Kuwait e Qatar.

L’opposizione democratica ha resistito a questo cambiamento di strategia, in un primo momento, ma la diffusione della violenza in tutto il paese ha impedito manifestazioni pacifiche e ha creato un clima di accettazione di questa strategia. A misura che l’esercito è ricorso alla tortura, un numero sempre maggiore di persone ha abbracciato la causa della violenza [indiscutibile ma, ancora una volta, è che quel che ci si deve attendere da un regime autoritario sotto attacco da parte di altri regimi autoritari: l’esercito italiano non si comporterebbe molto diversamente, perché i soldati non sono addestrati ad operare da forze di polizia]. Altri, invece, hanno preso una posizione netta contro l’idea di prendere le armi, ritenendo che ciò avrebbe rafforzato la dittatura, il cui potere era più minacciato da un movimento pacifico che da uno armato [totalmente d’accordo].

Il primo risultato negativo dell’uso delle armi è stato quello di minare l’ampio sostegno popolare necessario per trasformare la rivolta in una rivoluzione democratica. Ha reso molto più difficoltosa l’integrazione di richieste divergenti, come quelle urbane e quelle rurali, quelle laiche e quelle islamiche, , quella della vecchia opposizione e quella della gioventù rivoluzionaria. Il ricorso alle armi ha dato vita a gruppi frammentati che non hanno un programma politico. Un gruppo di disertori dell’esercito addestrati in Turchia ha annunciato la nascita dell’Esercito siriano libero sotto la supervisione dell’intelligence militare turca [cf. aereo turco recentemente abbattuto dalle forze siriane]. La maggior parte dei militanti dentro la Siria ora va in giro con il logo dell’“Esercito Libero” ma, al di là del nome, non vi è coordinamento ed armonizzazione politica.

Il denaro è stato dato a scapito del sostegno ad interventi di soccorso e per una pacifica attività politica.

L’afflusso di armi verso la Siria, sostenuto da Arabia Saudita e Qatar, il fenomeno del libero esercito siriano e l’ingresso di oltre 200 [numero grandemente sottostimato, NdR] stranieri jihadisti in Siria negli ultimi sei mesi hanno portato ad un calo nella mobilitazione di ampie fasce della popolazione, specialmente tra le minoranze e quelli che vivono nelle grandi città, e nel movimento di attivisti nonviolenti. Il discorso politico è diventato settario, c’è stata una salafitizzazione dei settori religiosamente conservatori.

Il piano di pace di Kofi Annan è stata l’occasione che poteva servire agli insorti armati di fare un’uscita di scena onorevole. Annan ha chiesto un cessate il fuoco e il ritiro dell’esercito e militanti dalle città, così come gli aiuti per più di un milione di persone colpite direttamente da 15 mesi di scontri continui, e il rilascio degli attivisti civili. Tuttavia, l’opposizione armata ha visto nel cessate il fuoco solo un’opportunità di guadagnare tempo per il regime, in modo da non affrontare il problema seriamente, mentre le autorità siriane hanno utilizzato qualsiasi violazione del cessate il fuoco per lanciare altre azioni militari nelle aree dove erano presenti gli insorti, con vari massacri a Soran, Khan Sheikhoun, Hula e Homs [a Hula le cose non sono andate come sostiene Manna ed in ogni caso i mercenari non sono certamente lì per raggiungere la pace, ma per destabilizzare il paese, quindi sono i peggiori nemici del piano Annan, NdR].

Nelle sue prime quattro settimane il piano di Annan aveva bisogno di una spinta per avere qualche possibilità di successo. Aveva bisogno di essere ampliato, con più osservatori e attrezzature, ed aveva bisogno di chiarire i suoi piani per il periodo di transizione. L’iniziativa russa per una conferenza internazionale sulla Siria potrebbe forse aprire la strada ad una soluzione politica [ne consegue che la richiesta del senatore di un’offensiva diplomatica sulla Russia è un terribile errore, per non dire di peggio NdR]. Tuttavia, questo solleva due questioni: è ancora possibile che i gruppi armati raggiungano e rispettino le decisioni politiche? Gli armamenti forniti agli insorti hanno già seriamente indebolito ogni possibilità di una soluzione politica e di una transizione democratica in Siria?

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/jun/22/syria-opposition-led-astray-by-violence#start-of-comments

I COMMENTI DEI LETTORI DEL GUARDIAN CHE HANNO RICEVUTO PIÙ APPROVAZIONI MOSTRANO IL BARATRO DI CONSAPEVOLEZZA CHE SEPARA L’OPINIONE PUBBLICA ITALIANA (E CERTI I SUOI SENATORI) DA QUELLA DI ALTRI PAESI.

NOTA BENE: a dispetto delle apparenze, non ho scelto quelli più conformi alla mia analisi. Sono proprio quelli che hanno ricevuto più “mi piace”. Evidentemente la possibilità di avere accesso ad un’informazione più pluralista e completa, opportunità preclusa agli Italiani, sta facendo un’enorme differenza. Il giornalismo italiano è terribilmente carente e senza buon giornalismo non ci può essere alcuna democrazia sostanziale.

1. “Devo dire che qualsiasi desiderio che posso aver avuto di veder trionfare questa rivoluzione si è da tempo placato, dato che il probabile risultato del suo successo sarebbero, nel migliore dei casi, rappresaglie incredibilmente sanguinose e, nel peggiore, un genocidio”.

2. “L’Arabia Saudita sta cercando di imporre la propria perversa ideologia wahabita su un paese laico come la Siria. Quello che sta accadendo in Siria non è una rivoluzione, è un complotto per cambiare il governo:

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2011/nov/04/syria-iran-great-game
La cosa “divertente” è che Regno Unito, USA e molti paesi occidentali stanno sostenendo gruppi armati terroristici in territorio siriano legati ad Al-Qaeda. Purtroppo il lettore medio non si rende conto di questo fatto” [figuriamoci in Italia, NdR].

3. “Non ho soluzioni per la Siria. L’unica preoccupazione che ho è di assicurare che nessun militare e denaro britannico o denaro sia sacrificato in questa guerra civile / settaria. Dobbiamo restarcene fuori, per consentire loro di risolvere la faccenda per conto proprio”.

4. “La primavera araba ha da tempo deluso le aspettative iniziali. La Libia post-Gheddafi è ancora un po’ un pasticcio, anche se i media hanno perso interesse, e in Egitto sembra di assistere all’incubazione di una contro-rivoluzione delle classi militari e del governo. La Siria si trova in un pasticcio terribile e nemmeno un cieco si sentirebbe ottimista circa il risultato per un paese che viene devastato dal governo e dalle forze dell’opposizione. Le forze di opposizione sono state “rambizzate” [cf. Rambo, NdR] dall’Occidente e dall’Arabia Saudita e Qatar, paesi questi ultimi che sono piuttosto maturi per una loro sanguinosa rivoluzione.

La Siria non può permettersi i combattimenti e la distruzione che sta subendo”.

5. “I rapporti delle agenzie di stampa cattoliche riferiscono che, finora, più di 50.000 cristiani sono stati cacciati dalle loro case dai “ribelli”, circa 300 sono stati uccisi, da jihadisti che vanno di casa in casa. Deve essere di nuovo quella “piccola minoranza” di estremisti. Forse un giorno potremmo avere un articolo anche su questo”.

6. “Il solo sapere che una teocrazia medioevale come l’Arabia Saudita sta sostenendo i ribelli dovrebbe dirci molto sulla mentalità e valori dei ribelli”.

7. “L’opposizione della Siria non ha nulla a che vedere con le sollevazioni popolari in stile Piazza Tahrir. Ciò che era iniziato come la primavera araba in Egitto e Tunisia è stato subito cooptato dalla NATO come strumento per combattere le loro guerre neo-imperialiste per procura in Africa (AFRICOM) ed in Medio Oriente (CENTCOM). L’opposizione siriana non è stata “traviata”, è stata spietatamente violenta fin dall’inizio. Oltre agli autentici disertori dell’esercito dello Stato siriano, l’esercito ribelle siriano è costituito per una parte sostanziale da mercenari wahabiti / salafiti organizzati in squadroni della morte, addestrati ed equipaggiati dagli Stati Uniti e Regno Unito (e probabilmente dalla Francia), allo stesso modo in cui squadroni della morte venivano assemblati dalla CIA in America Latina (Operazione Condor).

Vengono ospitati dalla Turchia, obbediente partner della NATO e finanziati dalle monarchie del Golfo, in particolare l’Arabia Saudita (cf. Bandar Bush) e Qatar, che cercano una maggiore influenza nella regione, fomentando la violenza settaria fra musulmani e cristiani ortodossi siriani e tra Sciiti e sunniti.

La balcanizzazione della Siria lungo linee religiose è un prodotto di iniziative esterne, in quanto la Siria è uno stato laico e i membri delle diverse fedi religiose hanno più o meno pacificamente convissuto per oltre mille anni.

Questi mercenari stranieri si sono fatti le ossa operando come squadroni della morte nell’Iraq devastato dalla guerra, dove erano conosciuti come “Al-Qaeda in Iraq“. Successivamente sono stati ri-etichettati come “coraggiosi combattenti per la libertà libici”, posando in abbigliamento trendy per i media occidentali.

I massacri che si stanno commettendo in Siria (come quello degli alawiti pro-Assad alawiti ad Houla) sono falsamente attribuiti alle truppe regolari, quando Assad non ha nulla da guadagnare dall’instabilità politica in Siria derivante dal massacro di civili. La tattica di propaganda della NATO nei vari conflitti che compongono questa “lunga guerra” è stata quella di deviare la colpa sulle vittime.

Ciò a cui stiamo assistendo è la fase preparatoria della terza guerra mondiale (se non è già iniziato) e questa volta l’Occidente è inequivocabilmente dalla parte sbagliata”.

Il commento numero 7 rispecchia precisamente il mio punto di vista. Credo di poter dire che sia la più accurata ricostruzione di quel che sta succedendo che abbia mai letto su un quotidiano.

La verità sulla nostra conquista di Caprica

Dedicato a tutti gli amanti di CapricaBSG, V-Visitors e V e a chi contrasta l’imperialismo umanitario in ogni sua forma.

“Non fare al tuo vicino quello che ti offenderebbe se fatto da lui” (Pittaco);

“Evita di fare quello che rimprovereresti agli altri di fare” (Talete);

“Quello che vorresti i tuoi vicini facessero a te, ciò sia anche per loro” (Sesto Pitagorico);

“Non fare agli altri ciò che ti riempirebbe di ira se fatto a te dagli altri” (Isocrate);

“Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo agli altri” (Epitteto);

“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12; Lc 6,31);

“Quel che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini” (Confucio, Dialoghi);

“Non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te” (rabbi Hillel, Sabbat);

“Nessuno di voi è un credente, fintanto che non desidera per il proprio fratello quel che desidera per sé” (al-Nawawi, Hadith);

“L’uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza verso le cose mondane e trattare tutte le creature del mondo così come vorrebbe essere trattato” (gianismo, Sutrakritanga);

“Una condizione, che non è gradita o piacevole per me, non lo deve essere nemmeno per lui; e una condizione che non è gradita o piacevole per me, come posso imporla ad un altro?” (buddismo, Sanyutta Nikaya);

“Non bisognerebbe comportarsi verso altri in un modo che non è gradito a se stessi: questa è l’essenza della morale” (induismo, Mahabharata).

La popolazione terrestre non sa la verità su come abbiamo conquistato Caprica, ed è tempo che lo scopra.

Abbiamo sempre creduto che ciò che facevamo era il meglio per noi e per loro, che stavamo facendo un favore ai Capricani, che la nostra conquista non era distruttiva, ma soft, l’unica opzione giusta, logica, necessaria. Per questo ci siamo convinti che la loro sottomissione sia stata volontaria ed entusiasta.

Ma li abbiamo ingannati, manipolando la loro percezione della realtà, spacciando per canali diplomatici e donazioni tecnologiche (come segni della nostra buona volontà) delle strategie di disorientamento, distrazione, inganno e progressiva occupazione. Abbiamo insegnato loro che il loro vittimismo era una prospettiva sbagliata e che non eravamo oppressori ma fratelli e che la nostra missione doveva essere onorata, non contrastata. Volevamo sorrisi, non lacrime e alla fine ce l’abbiamo fatta. Abbiamo offerto loro conoscenza tecnica, ma non avevamo saggezza da condividere e forse abbiamo sradicato quella che ci avrebbero potuto donare loro. Se non lo abbiamo capito è perché siamo troppo antropocentrici, troppo sicuri di noi, sicuri della giustezza della nostra causa, della validità della logica dell’utile. In realtà siamo dei conquistadores, per nulla migliori di quelli che spazzarono via le civiltà indigene delle Americhe circa 700 anni fa.

Dovete capire come abbiamo agito e riflettere, perché siamo affetti da una sindrome a ripetere gli stessi errori, scambiandoli per virtù.

Abbiamo incoraggiato la soppressione del loro discernimento critico ed abbiamo detto loro che non potevano malgiudicarci, vista la condizione miserevole della loro civiltà. Il loro era ipocrita moralismo, puntare il dito contro dei soccorritori era poco saggio. Abbiamo spiegato che la loro percezione di noi era sviata da pregiudizi e preconcetti, come quella di un animale ferito che si ritrae di fronte al veterinario che lo vuole curare: “Siamo venuti ad istruirvi su ciò che è meglio per voi, sono le vostre paure irrazionali a confondervi!”. Li abbiamo convinti che erano più primitivi di quel che erano realmente e che noi avevamo completato il loro percorso da molto tempo, conoscevamo le loro difficoltà avendone fatta esperienza diretta e proprio per questo eravamo i più indicati ad assisterli nella loro evoluzione.

“Non c’è giusto o sbagliato, bene e male: quelle sono etichette apposte da mentalità arretrate. Facciamo tutti parte della grande famiglia delle specie viventi dell’universo, non possono esistere invasori ed invasi. Siamo come voi, non solo anatomicamente. Siamo come dei fratelli maggiori. Se ci temete è solo perché temete quella parte di voi che vi manca; è solo un senso di inadeguatezza a cui possiamo porre rimedio”. Così siamo riusciti a farci delegare le loro coscienze ed abbiamo deciso per loro cosa era “meglio” per loro, ossia per noi. Li abbiamo persuasi che quanto maggiore fosse stata la libertà d’azione che ci concedevano, tanto minori sarebbero stati i patimenti causati ad una resistenza futile e controproducente e tanto maggiore sarebbe stata la gioia, il godimento della scoperta, delle sperimentazione di un mondo nuovo, una Nuova Caprica (cf. Terra Nova).

Naturalmente non tutti i terrestri hanno osservato il protocollo, ma abbiamo sfruttato quei pochi devianti per dimostrare che si trattava di una piccolissima minoranza e che anche loro un giorno avrebbero potuto tollerare benevolmente uno sparuto gruppo di intrattabili.

Quanto ai rapimenti, alla sorveglianza, alle missioni di perlustrazione, a certi “incidenti” abbiamo rassicurato i Capricani: dovevamo capire con chi avevamo a che fare per poter massimizzare la qualità del nostro intervento. Siamo stati riluttanti a contattarli apertamente dal momento che ci sono apparsi subito come una razza inutilmente violenta, aggressiva, autodistruttiva. Inoltre certi imprevisti sono sempre in agguato, nessuno è perfetto e non c’è ragione di sentirsi meno sicuri solo per qualche spiacevole evento episodico.

Il tocco di classe è stato ammonirli che se avessero rifiutato il nostro aiuto rischiavano prima o poi di essere colonizzati da civiltà spietate interessate unicamente alle risorse di Caprica. Noi li avremo difesi, eravamo la migliore garanzia per la loro sopravvivenza. E questo valeva anche per i loro problemi interni. I Capricani, come noi Terrestri di qualche generazione fa, erano afflitti da carestie, miseria, alti costi dell’energia, epidemie, devastanti impatti del cambiamento climatico, guerre, insurrezioni, ecc. Abbiamo spiegato loro che il nostro know-how poteva risolvere ogni loro problema e che senza le nostre competenze e i nostri miracoli tecnologici e scientifici non sarebbero riusciti a sopravvivere. Abbiamo promesso loro l’attuazione di un vasto programma eugenetico che avrebbe drasticamente migliorato i loro corpi e le loro menti, abolendo certe emozioni ed atteggiamenti problematici. Nuova Caprica sarebbe stata un mondo di amore, pace e prosperità. Non serve dire che l’obiettivo di ogni tirannia è proprio quello di imporre la pace e l’ordine attraverso l’annientamento di ogni opposizione e di indipendenza di pensiero. In uno stato totalitario ideali come la pace, la fratellanza, la generosità e l’unità sono incoraggiati a condizione che possano servire i fini di chi detiene il potere. Ci siamo comportati come tiranni perché lo siamo, anche se ci piace credere che le cose stiano diversamente.

Ci serviva un capro espiatorio per poter completare l’opera e la scelta è stata ovvia. La classe dirigente del pianeta Caprica era semplicemente impresentabile, dedita a trame e complotti unicamente finalizzati all’espansione del loro potere e ricchezza. I Capricani erano già in rivolta e noi abbiamo corrotto alcuni di loro per usarli e poi disfarcene. Erano così accecati dal loro narcisismo da credere che non sarebbero mai stati tra gli scarti. Abbiamo spiegato ai Capricani che i loro capi erano responsabili della coltre di disinformazione e censura intorno alla nostra esistenza e presenza, che rappresentavano una casta che non voleva consegnare l’autorità al popolo sovrano e che il loro voto diretto avrebbe autorizzato un nostro intervento salvifico. In realtà avevamo già fornito a certi potentati le tecnologie necessarie a controllare i dissidenti anti-terrestri.

Il bene dei Capricani non è mai stato in cima alla scala delle nostre priorità. Abbiamo usato le loro religioni per farci obbedire, per farci passare come angeli, come dèi e portare a termine il nostro programma di pacificazione ed uniformazione. Molti Capricani erano così sfiduciati ed afflitti da scarsissima autostima e ancor minore stima nei confronti della loro specie e civiltà, che tutto è filato liscio come l’olio. Ci hanno visti come liberatori e salvatori, l’unica speranza per un mondo migliore, in cui l’egoismo e la psicopatia dell’élite non avrebbero più costituito una minaccia. Così i Capricani più disperati sono diventati i nostri migliori alleati, dei fanatici pronti a sopprimere ogni voce dissenziente, per quanto ragionevole, accusandola di sabotaggio, alto tradimento, terrorismo, ecc.

È questo che abbiamo fatto a Caprica.

So che molti di voi approveranno il nostro operato, ma non nutro alcun dubbio che ciascuno raccoglierà ciò che ha seminato: non sono questi i semi che voglio veder germogliare.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/17/teologi-in-favore-della-violazione-della-prima-direttiva-di-star-trek/
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/nessuno-ha-il-diritto-di-comportarsi-come-se-fosse-dio/

La guerra “umanitaria” in Libia e la manipolazione dei diritti umani e della giustizia internazionale

[by Anthony Freda]

“La guerre humanitaire è un documentario del 2011 sulla recente guerra in Libia che, dopo aver avuto successo anche nell’edizione inglese (The Humanitarian War) grazie all’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) arriva finalmente in Italia. La versione con sottotitoli in italiano (a cura di Giuliano Luongo e Daniele Scalea) è disponibile sul canale YouTube di Geopolitica [[clicca]].

Il documentario, della durata di poco meno di 20 minuti, è stato realizzato da Julien Teil, associato al Centre for the Study of Interventionism. Esso tratta di come le accuse, rivolte alle autorità libiche, di violazione dei diritti umani all’interno del paese abbiano portato ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e a un successivo intervento armato contro Tripoli. L’indagine si concentra in particolare sul ruolo della Lybian League for Human Rights (LLHR), che ha denunciato all’ONU i presunti crimini di Tripoli, ma che risulta fortemente collusa, in varie personalità e per le fonti delle sue accuse, col CNT che ha rovesciato il regime. Si mostra dunque con quanta facilità la giustizia internazionale sia stata manipolata per un interesse di fazione interno alla Libia”.
http://www.geopolitica-rivista.org/17721/la-guerra-umanitaria-ora-in-italiano-il-documentario-di-julien-teil/

Oskar Peterlini, il Roosevelt de’ noantri (potrà scongiurare la rivoluzione?)

Legislatura 16ª – Disegno di legge N. 3112

Onorevoli Senatori. –  La crisi economica globale scoppiata nel 2007-2008 continua a mietere vittime. Proprio in questi mesi l’Italia e l’Europa intera stanno vivendo una nuova fase del dissesto del sistema finanziario mondiale, originata da molti anni di politiche che hanno penalizzato le attività produttive a favore invece di un’espansione senza precedenti della bisca sui mercati finanziari internazionali. Ora sono le famiglie e le imprese a pagare per le scelte sbagliate a livello macroeconomico, che rischiano di minare il tessuto stesso della nostra società.

    È doveroso constatare, purtroppo, che già dai primi mesi più drammatici della crisi, nei numerosi vertici internazionali a partire dal 2009 si è persa l’occasione per adottare misure forti che avrebbero potuto rappresentare una rottura netta ed efficace con le politiche passate: tra queste certamente vi è il ritorno alla separazione delle attività bancarie, tipificata dalla famosa Glass-Steagall Act varata sotto la presidenza Usa di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 che pose fine agli eccessi finanziari all’origine della Grande depressione. Il principio della Glass-Steagall rimase in vigore nei Paesi occidentali, ed anche nel nostro Paese, fino agli anni Novanta. Si tratta della netta separazione delle banche commerciali, che raccolgono i depositi dei cittadini ed erogano il credito agli individui e alle imprese, dalle banche d’affari, gli istituti che operano nei mercati finanziari, attraverso l’emissione e la compravendita di titoli azionari, obbligazionari e di strumenti speculativi in genere. A partire dagli anni Novanta tutte queste funzioni bancarie sono state riunite sotto lo stesso tetto: esistono dei colossi che di fatto finiscono per rendere anche l’economia locale dipendente dai circuiti mondiali altamente speculativi e rischiosi. La conseguenza dell’abrogazione del principio di Glass-Steagall è che si è segnata la strada che porta dritti alla catastrofe e se non si interviene con decisione il rischio di aggravare la situazione economico-sociale è molto alto. Da quando è esplosa la bolla dei derivati – gli strumenti iper-speculativi che ormai sono completamente slegati dagli investimenti produttivi, dirottando risorse dall’economia reale ad un vero proprio casinò mondiale – il rischio del fallimento delle grandi banche ha portato i governi e le banche centrali ad una serie di salvataggi emergenziali.
Ci ripetono continuamente che gli interventi sono necessari per evitare un crac totale, ma la situazione non fa che peggiorare, poiché mentre vengono immesse cifre stratosferiche per la finanza (che si contano nelle migliaia di miliardi di dollari e di euro) le risorse non arrivano alla gente, alle famiglie, alle piccole e medie imprese.

    Tutto ciò accade perché i salvataggi sono stati concessi senza condizioni, non si è chiesto un cambiamento del comportamento delle grandi banche, non si sono adottate riforme incisive del sistema finanziario.

    Fino a pochi mesi fa l’Italia poteva pensare di evitare di subire gli effetti della crisi internazionale, o per lo meno di esserne toccata solo di striscio, per via di un sistema meno finanziarizzato (nei fatti e anche in termini giuridici), ma oggi non si può più aspettare: il sistema va cambiato appena possibile.

    L’Italia può fare da apripista per gli altri Paesi: torniamo ad una divisione delle banche per garantire che la gente comune non debba più pagare per le bolle speculative mondiali. Stabiliamo delle regole chiare di separazione tra le banche ordinarie (commerciali) da quelle che operano nei mercati speculativi (banche d’affari), così da farne un modello a livello internazionale. Se ne discute già in Germania, in Francia, in Svizzera, nel Regno Unito e anche negli Stati Uniti. L’Italia ha la duplice opportunità di aiutare i propri cittadini nell’immediato e di contribuire al progresso delle altre nazioni, con l’affermazione di un principio di grande importanza nel contesto internazionale. Occorre salvare l’economia reale dalla finanza speculativa con la separazione delle banche commerciali e le banche d’affari. Sarà un primo passo essenziale per riprendere il controllo dell’economia e costruire le basi per un futuro di stabilità e di progresso.

Art. 1.
(Delega al Governo)
1. La presente legge è finalizzata a stabilire la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, proteggendo le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l’economia reale, da quelle legate all’investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali.
2. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e secondo i princıpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o più decreti legislativi recanti norme per la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, prevedendo il divieto per le banche che effettuano la raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione di svolgere qualsivoglia attività legata alla negoziazione di valori mobiliari in genere.

Art. 2.
(Princıpi e criteri direttivi)
1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1 si informano ai seguenti princıpi e criteri direttivi:

a) prevedere il divieto per le banche commerciali, ovvero le banche che effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico, di effettuare qualsiasi attività legata alla negoziazione e all’intermediazione dei valori mobiliari, sancendo così la separazione tra le funzioni delle banche commerciali da quelle delle banche d’affari;
b) prevedere il divieto per le banche commerciali di detenere partecipazioni o di stabilire accordi di collaborazione commerciale di qualsiasi natura con i seguenti soggetti:
le banche d’affari, le banche d’investimento, le società di intermediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico;
c) prevedere il divieto per i rappresentanti, i direttori, i soci di riferimento e gli impiegati delle banche d’affari, le banche
d’investimento, le società di intermediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico di ricoprire cariche direttive e detenere posizioni di controllo nelle banche commerciali.

Art. 3.
(Pareri delle Commissioni parlamentari)
1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 2, sono trasmessi alle Camere entro il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega di cui al medesimo articolo 1, comma 2, per il parere delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro quaranta giorni dalla data dell’assegnazione.

Art. 4.
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00627218.pdf

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=00627218&part=doc_dc-relpres_r&parse=no&stampa=si&toc=no

*****

“Signora Presidente, signor Sottosegretario, intervengo in dissenso dal mio Gruppo per profondo convincimento morale, religioso e culturale, seguendo, tra l’altro, una linea politica espressa fin dall’inizio della mia attività parlamentare, che risale al 2001.
Vorrei dare espressione anche alle tante cittadine e ai cittadini che ritengono che la guerra non sia un mezzo adatto a risolvere i conflitti internazionali.
Sono – e lo sottolineo – a favore dell’impegno dell’Italia in una vera missione di pace, un impegno civile, di aiuto, di supporto sanitario, umano, senza escludere, in certe situazioni, interventi di polizia. Solleciterei anzi ad aumentare questo vero impegno di pace in Paesi poveri, come in Africa, dove l’attenzione è molto ridotta.
Lamento, però, che purtroppo sotto una maschera eufemistica di pace si nascondono attacchi bellici, vere e proprie guerre, come era quella all’Iraq, appoggiata dall’Italia nonostante che addirittura le Nazioni Unite si fossero espresse contro. Tanto sangue e tanti morti. Migliaia, incontabili. Diecimila solo americani, centinaia europei, incontabili le migliaia di vittime nei Paesi colpiti. Ho votato anche contro l’attacco all’Afghanistan, richiedendo più impegno diplomatico che bellico.
Ricordo con forza l’articolo 11 della nostra Costituzione, così maltrattato dal nostro Parlamento.
E si aggiunge in questo momento anche la grande crisi che ha colpito il nostro Paese, che richiede grandi sacrifici a tutti i cittadini, i quali richiedono con forza anche un’incisiva riduzione delle spese militari. Al contrario, l’Italia ha ordinato 90 F-35, sui 131 inizialmente previsti. Ma un solo F-35 costa 80 milioni che, moltiplicati per 90, danno 7,2 miliardi di euro spesi. Il presidente Monti ha recentemente detto no alle Olimpiadi, che ci sarebbero costate circa la metà della somma (4,7 miliardi di euro).
Perciò, con grande convinzione, anche se mi dispiace votare in dissenso dal mio Gruppo, dico un convinto no a queste misure. Direi sì a quelle pacifiche, vere, ma dico no a quelle belliche.”

La dichiarazione di voto del senatore Oskar Peterlini al termine della discussione per la conversione in legge del D.L. 29 dicembre 2011, n. 215 recante proroga delle “missioni di pace” (seduta n. 677 del 22 Febbraio 2012).
http://byebyeunclesam.wordpress.com/2012/02/23/dico-un-convinto-no/

Siamo quelli col cappello nero, quelli che alla fine del film schiattano (Kosovo nella NATO e nell’UE!)

a cura di Stefano Fait

La NATO ha usato la forza per obbligare il regime semi-autoritario di Milosevic a cessare la sanguinosa persecuzione degli albanesi del Kosovo. Ma la Guerra ha prodotto più danni di quelli preesistenti e ha generato le condizioni di un nuovo turno di persecuzione, meno violenta di quella precedente, e a parti invertite: è la maggioranza albanese che adesso discrimina la minoranza serba. […]. La guerra del Kosovo è stata, infatti, un facile successo militare e un completo fallimento politico. […]. I leader politici occidentali che l’hanno iniziata hanno dichiarato di combatterla per il bene delle popolazioni locali. Ma queste sono uscite dal conflitto in condizioni certamente peggiori di prima.
[…]. Prima del 24 marzo 1999, le vittime della guerra civile tra il Fronte di Liberazione del Kosovo (Kla) e le forze ufficiali e paramilitari serbe erano state circa 3mila, e non c’era evidenza di un piano di sterminio di massa da parte del governo di Belgrado. Durante le 11 settimane di bombardamenti sono state
uccise nella provincia oltre 10mila persone. […]. Il tentativo di pulizia etnica, quindi, se c’è stato, è stato un effetto perverso della guerra e non una sua causa
.

Pino Arlacchi, prefazione ad Antonio Evangelista, “La torre dei crani. Kosovo 2000-2004”, Roma: Editori Riuniti, 2007.

Il testo di Rambouillet, che chiedeva alla Serbia di ammettere truppe NATO in tutta la Jugoslavia era una provocazione, una scusa per iniziare il bombardamento

Henry Kissinger, Daily Telegraph, 28 June 1999.

Penso che i termini imposti a Milošević a Rambouillet fossero assolutamente intollerabili; come avrebbe mai potuto accettarli? Fu una scelta deliberata

John William Gilbert, ministro della difesa inglese, 20 giugno 2000

Molte grandi opere pertanto della città vostra (Atene) si ammirano, ma a tutte una ne va di sopra per grandezza e per valore; perocché dice lo scritto di una immensa potenza [Atlantide] cui la vostra città pose termine, la quale violentemente aveva invaso insieme l’Europa tutta e l’Asia, venendo fuori dal mare Atlantico.

Platone, “Timeo”.

Inizialmente chi, come me, era contrario all’intervento in Libia, è stato oggetto di feroci critiche. Poi alcuni di quei critici hanno ammesso che avevo ragione, altri forse lo hanno ammesso solo con se stessi ed altri ancora hanno chiuso il capitolo libico ed ora si dedicano alla Siria, dimostrando che della sorte dei Libici e della verità non gliene poteva fregar di meno. La cosa non mi disturba più di tanto: chi è senza peccato scagli la prima pietra.

Spero comunque che, come nel caso libico, nei prossimi anni risulterà più chiaro a molti che NATO+Israele sono stati (finché hanno potuto, poiché verranno sconfitti: è quel che succede sempre ai bulli impenitenti) la vera minaccia per la pace e la prosperità del mondo e che la Russia (sì, la Russia di Putin!) era di gran lunga il male minore (pur essendo un male, appunto: ci mancherebbe!).
In uno scontro NATO-Russia non ho alcun problema a dire che tiferò, provvisoriamente, per la Russia e contro di “noi”, quali che siano le conseguenze per la mia persona (l’integrità della coscienza viene prima di tutto il resto).

Chi sta con la NATO non ha ancora capito molto di quel che sta succedendo e pensa davvero che in Libia e Siria i “nostri” interventi siano stati umanitari e che non abbiamo gettato noi nel caos quei paesi, offrendoci poi come soluzione (un classico, e funziona sempre, forse anche su altri pianeti!).
Eppure la vicenda del Kosovo (per non parlare di Afghanistan e Iraq) è lì a testimoniare la letale malafede occidentale.
Mi rendo conto che sia difficile andare oltre la propaganda dei nostri media, come lo è sempre stato per ogni popolo, eternamente convinto di essere dalla parte del bene o comunque del male minore, fino alla sconfitta ed all’emersione di tutto il marcio che era stato celato dai rispettivi governanti. Molti sono convinti che Bush fosse una parentesi e che l’Europa è un’altra cosa rispetto agli Americani. Queste sono convinzioni frutto di ignoranza, ingenuità, pregiudizio e carenza di quell’umiltà necessaria a confrontarsi con i fatti. Fatti che parlano chiaro:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/un-po-di-chiarezza-sullintervento-in.html

“E così oggi sappiamo che abbiamo fatto la guerra del Kosovo per far vincere i peggiori criminali. Lo dicevamo già da tempo, ma a darcene conferma oggi è il Consiglio d’Europa: “I leader di etnia albanese dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) erano responsabili dei traffici di organi umani alla fine degli anni novanta. Lo afferma nel suo ultimo rapporto Dick Marty, che indaga su tali crimini per conto del Consiglio d’Europa“.

E questa non è una notizia “tendenziosa” lanciata da un giornale pacifista. La troviamo oggi sul sito web del quotidiano La Stampa di oggi.

Che cosa è accaduto? “I membri indipendentisti dell’Uck rapivano serbi e altri civili per condurli in Albania, dove venivano loro espiantati gli organi che venivano poi venduti al mercato nero”. Ci hanno raccontato nel 1999 che andavamo a fare una guerra umanitaria per liberare il Kosovo dalla “pulizia etnica”. Ma ci siamo alleati con i trafficanti di droga dell’Uck, l’esercito indipedentista kosovaro che chiedeva a gran voce la “guerra umanitaria”.

I boss della droga hanno partecipato alle trattative prima della guerra.

Ai negoziati francesi che portarono alla guerra c’era proprio Hashim Thaci, accusato si essere coinvolto anche in un traffico di armi e di droga.  E’ oggi ritenuto un boss mafiososecondo l’inchiesta del Consiglio d’Europa sul crimine organizzato che oggi campeggia su tutte le informazioni.

Tachi dette un contributo determinante alla “guerra umanitaria” e in questo momento governa il Kosovo.

Che nell’Uck ci fossero dei trafficanti di droga lo si sapeva ma lo si è taciuto perché mica potevamo dire che si faceva una guerra umanitaria con dei delinquenti incalliti. Racconta Ennio Remondino, giornalista RAI autore del libro “La televisione va alla guerra” (ed. RAI-ERI), che fu trovata una notevole quantità di “polvere bianca” nel bagaglio di uno dei delegati kosovari dell’Uck a Rambouillet, durante le trattative svolte in Francia che decretarono il via libera alla guerra. “Non era farina o borotalco”, annota Remondino nel capitolo “Borotalco” che nel libro è dedicato a questa paradossale vicenda.

Ma era bene tacere e non indagare oltre.

Si andava verso una guerra “giusta” e nessun dubbio doveva tormentare la coscienza degli italiani.

D’Alema difese la l’intervento armato perfino in un libro titotalo “Gli italiani e la guerra”.

Ancora oggi sul sito web di D’Alema si legge che con quella guerra l’Italia veniva “restituita al ruolo e al prestigio internazionali che merita; i cittadini italiani che hanno dimostrato, ancora una volta, quanto profonda e radicata sia in loro la vocazione alla solidarietà“.

E così con quella guerra si è affermato Hashim Thaci, ora capo di governo.

“Il capo del governo del Kosovo – anticipano il Guardian e la Bbc – viene indicato come il boss di un racket che ha iniziato le sue attività criminali nel corso della guerra del Kosovo proseguendole nel decennio successivo. Il rapporto, che conclude due anni di indagini e cita fra le sue fonti l’Fbi e altri servizi di intelligence, scrive che Thaci ha esercitato un “controllo violento” nell’ultimo decennio sul commercio di eroina

Secondo le testimonianze raccolte dal rapporto del Consiglio d’Europa (Ce), venivano uccisi con un colpo di arma da fuoco alla testa i prigionieri di guerra serbi e altri civili vittime del traffico di organi di cui sarebbero responsabili i leader di etnia albanese dell’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck).

Forse sarebbe utile una nuova edizione aggiornata del libro di D’Alema su Kosovo”.

http://www.peacelink.it/conflitti/a/32941.html

Non contenti, ora siamo pronti ad accogliere nell’Unione Europea e nella NATO proprio il Kosovo, un narcofeudo mafioso che è stato riconosciuto come paese indipendente solo da 89 delle 193 nazioni aderenti all’ONU (51 sono contrari) e che ha un tasso di disoccupazione che fa impallidire quello dei giovani spagnoli, naturalmente con la sponsorizzazione statunitense:

http://www.eubusiness.com/news-eu/us-kosovo-diplomacy.fz2/

Perché USA, NATO e UE sono così eccitati all’idea di ufficializzare la sovranità kosovara, facendosi carico di un paese che corrompe tutto ciò con cui entra in contatto?

http://eastjournal.net/2012/04/10/kosovo-arrestato-per-corruzione-il-capo-dellanti-corruzione-chi-controlla-i-controllori/

Un po’ perché il Kosovo stesso è diventato una base americana, una vera e propria Guantánamo europea (tra l’indifferenza generale):

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Kosovo/Una-Guantanamo-nei-Balcani

Un po’ per questioni sconvenienti che è opportuno sottacere:

http://eastjournal.net/2011/10/28/mafija-la-via-dei-balcani-tra-la-mafia-e-la-guerra/

Un po’ perché, a dispetto della caduta del Muro di Berlino, la Russia è rimasta l’obiettivo principale delle strategie americane.

I Russi volevano controllare l’Afghanistan? Si invade l’Afghanistan.

I Russi vogliono una base navale a Bengasi ed ottengono il benestare di Gheddafi?

http://www.france24.com/en/20081031-gaddafi-offers-host-russian-naval-base-libya

Rivolta in Libia.

I Russi si accontenterebbero di una base navale a Tartus in Siria?

http://www.wallstreetitalia.com/article/1300412/siria-flotta-russa-attraccata-in-base-navale-tartus.aspx.

Rivolta in Siria.

I Russi stringono accordi con l’Iran e collaborano al suo programma nucleare?…

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/24/e-se-liran-avesse-gia-latomica-osservazioni-sconvenienti-sullarmageddon-che-verra/

Siamo i cattivi, credetemi.
Siamo quelli col cappello nero e gli altri hanno un cappello grigio scuro.
Quelli col cappello nero alla fine ci lasciano le penne.

Menzogne sulla Libia, preludio alle menzogne sulla Siria

 

 

Marinella Correggia, “Cronologia minima delle menzogne inutili”, Il Manifesto, 20.03.2012
[N.B. ho aggiunto altri link e sostituito quelli “morti”]

“Carrellata delle notizie sballate e pompate durante i bombardamenti contro Gheddafi. Con i link di riferimento e i video a testimonianza del corto circuito fra media, Onu, ong, governi coinvolti, tutti ad amplificare la propaganda dei «ribelli».

Per non dimenticare l’anniversario della «guerra umanitaria» Onu-Nato sulla Libia, il 19 marzo 2011.

Sull’onda delle notizie sulla repressione delle proteste del 17 febbraio a Bengasi (sanguinose e brutali ma assurte presto a livello di «genocidio»), nel febbraio-marzo 2011 furono varate due risoluzioni Onu: sanzioni, no-fly zone, Libia espulsa dal Consiglio dei diritti umani Onu, Gheddafi deferito al Tribunale penale internazionale. E una guerra durata 8 mesi.

Ecco una cronologia minima delle menzogne più utili.

Il 21 febbraio la tv qatariota Al Jazeera denuncia: «Aerei da guerra ed elicotteri bombardano manifestanti in alcuni quartieri di Tripoli». Il mondo insorge. Ban Ki Moon si dice «oltraggiato». I satelliti militari russi – e di certo anche quelli occidentali – non hanno rilevato nulla:

http://rt.com/news/airstrikes-libya-russian-military/

riprese video e visite di testimoni nei quartieri interessati non mostrano distruzioni

http://www.medarabnews.com/2012/02/03/il-controverso-ruolo-dei-media-nella-crisi-libica/

Ma che importa?

Il 23 febbraio tocca a Al Arabiya, altra tv petro-monarchica

http://www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=150371

«La repressione in Libia ha già fatto 10 mila morti e 55mila feriti». Le prove? Nessuna. La fonte? Un «membro libico della Corte penale internazionale, Sayed al Shanuka», da Parigi . Ma il 24 febbraio arriva la smentita: «La Corte desidera chiarire che questa persona non è membro dello staff né può parlare a nome della Corte»

www.icc-cpi.int/NR/exeres/8974AA77-8CFD-4148-8FFC-FF3742BB6ECB.htm

Negli stessi giorni, un «filmato del 22 febbraio» di One World mostra le «fosse comuni»: morti fatti dai governativi inumati su una spiaggia dopo i massacri ordinati da Gheddafi. Il Telegraph rilancia la notizia. Tutti la riprendono. In Italia soprattutto:

http://video.repubblica.it/dossier/libia-rivolta-gheddafi/fosse-comuni-a-tripoli-per-i-manifestanti-morti/62716/61416

Però, già il 24 si dimostra che il video era stato girato nell’agosto 2010 nel cimitero Ashat ed era una normale operazione di rinnovamento del suolo e spostamento dei resti, abituale ogni 10-20 anni:

http://www.mentecritica.net/fosse-comuni-in-libia-un-falso-costruito-ad-arte-google-maps-lo-dimostra/mente-critica/no-one/latest/kurt/19782/

http://tg24.sky.it/tg24/mondo/2011/02/27/paolo_rumiz_intervista_morti_libia_romania_1989_ceausescu.html

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=9051

Non importa. Sollevazione generale di pacifisti e umanitari. Il 24 febbraio 70 «ong» indirizzano a Ban Ki Moon, a Obama e alla ministra Ue degli esteri Ashton una petizione

http://www.unwatch.org/site/apps/nlnet/content2.aspx?c=bdKKISNqEmG&b=1330815&ct=9135143

Promossa da Suleiman Bouchuiguir della Lega libica per i diritti umani, dall’organizzazione Usa UN Watch e dal National Endowment for Democracy (Ned) che non è una ong bensì il potente organismo statunitense che con la scusa di democrazia e diritti umani destabilizza i regimi scomodi (un ruolo lo ebbe anche nel golpe anti-Chávez del 2002 in Venezuela). La petizione sostiene che il governo libico stia commettendo «crimini contro la vita» e «crimini contro l’umanità»; chiede un’azione internazionale contro la Libia, «usando tutte le misure possibili». La lettera è commovente. In luglio Bouchuiguir, intervistato a Ginevra, ammette di non avere prove, la sua fonte era il Cnt, di cui fa parte:

http://www.youtube.com/watch?v=cTmiWNS1u0M

In marzo si susseguono denunce di stupri di massa su ordine del regime da parte dei «mercenari di Gheddafi muniti di Viagra». Denunce smentite dallo stesso inviato dell’Onu Cherif Bassiouni in giugno. Smentite confermate ex-post sia da Amnesty sia dal recente rapporto della Commissione di investigazione Onu (febbraio 2012).

Il 26 febbraio Il Consiglio di sicurezza vara la risoluzione 1970. Il 3 marzo, tal Ali Zeidan, portavoce della Lega libica per i diritti umani, lancia da Parigi un nuovo allarme: in due settimane 6000 le vittime di Gheddafi e un «genocidio annunciato» se i suoi «mercenari» arrivassero a Bengasi. Un falso pure questo:

http://www.peacelink.it/conflitti/a/34673.html

[cf. anche la famigerata dichiarazione di Ahmadinejad sulla distruzione di Israele è falsa. Ha detto: «Imam ghoft een rezhim-e ishghalgar-e qods bayad az safheh-ye ruzgar mahv shavad», ossia:
Imam (Khomeini) ghoft (diceva) een (questo = il) rezhim-e (regime) ishghalgar-e (occupante = che occupa) qods
(Gerusalemme) bayad (deve) az safheh-ye ruzgar (dalla pagina del tempo) mahv shavad (sparire).

Che è cosa ben diversa dalla traduzione ufficiale: «Israele deve essere cancellato dalla carta geografica»
http://www.ildialogo.org/notiziario/approfondimenti/cosahadettoahmadinejad.pdf

Il 17 marzo la risoluzione 1973 del Cds: no-fly zone e «ogni azione» per «la protezione dei civili».

Il 19 marzo i caccia francesi iniziano i bombardamenti. «Umanitari», ovvio.

Mentre la Turchia si prepara all’intervento in Siria…alcune immagini istruttive

Sono immagini di Siriani pro-Assad che hanno manifestato negli ultimi giorni.

Qui una manifestazione di massa del 2011 (che il Post aveva vergognosamente spacciato per anti-Assad):
http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/siete-disposti-uccidere-questi-esseri.html

“Chi parte all’attacco della Siria?

Cerchiamo di dare un’occhiata nel prossimo futuro. Usando i sintomi che possiamo leggere. L’Italia ha chiuso la sua ambasciata a Damasco. Gli altri paesi Nato stanno facendo altrettanto. Non è solo un gesto politico (grave e stupido): è una misura definita prudenziale. Si pensa a un attacco. Da dove verrà?

I generali del Pentagono si sono affannati, nei giorni scorsi, a spiegare ai candidati repubblicani per la Casa Bianca, che attaccare dall’alto la Siria significherebbe fare più morti tra la popolazione civile di quelli che facemmo nella guerra di Libia. Aggiungono che un attacco aereo non sarebbe comunque sufficiente, perché poi bisognerebbe mettere piede sul territorio. E questo non si può fare senza mettere in conto dei morti di carnagione bianca e con passaporto euro-americano.

Ma ci sarebbe una soluzione: un bell’attacco in partenza dal territorio turco. L’esercito c’è ed è quello di un paese islamico, ma anche Nato, molto ambizioso, di circa 80 milioni di abitanti. I soldi ci sono e sono quelli dell’Arabia Saudita. L’informazione c’è, ed è quella di Al Jazeera.

E poi c’è Avaaz, Facebook. Che si vuole di più?

Ankara recalcitra, ma è una ritrosia da finta verginella. La tentazione è forte. E poi questa sarebbe la soluzione migliore per il premio Nobel per la pace. Potrebbe restare in secondo piano, come fece in Libia. E dire ai suoi supporters democratici di avere acconsentito per difendere i diritti umani.  Perfetto. Tutti gli altri già pensano al prossimo colpo contro l’Iran. Meglio se la situazione dell’area sarà già in piena destabilizzazione. Così i bombardamenti su Teheran si noteranno meno.

Tre piccioni con una sola fava turca: un colpo a Hamas, uno a Hezbollah, il terzo, finale, a Teheran. Come sicuramente dirà, ridendo, la signora Hillary Clinton, “veni, vidi, morì”. Il riferimento fu a Gheddafi. Questa volta sarà sul cadavere di Bashar, che parla inglese. Siamo a una svolta: i diavoli precedenti (quelli che abbiamo giustiziato) erano tutti non anglofoni: Milosevic, Saddam, bin Laden, Gheddafi. Si allarga l’area linguistica. E la nostra globalizzazione, bellezza!

Noi ci saremo, statene certi. Cioè ci sarà l’Italia, per confermare che siamo forti contro i deboli, e che siamo servi nei riguardi dei potenti”.

Giulietto Chiesa, 16 marzo 2012
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/03/16/parte-allattacco-della-siria/197781/

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