“Fraudologia: teoria e tecniche della truffa” di Matteo Rampin, Ruben Caris (2010)

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Da questo studio – molto articolato e completo, questa è solo una sintesi: leggetelo! – apprendiamo che i truffatori sfruttano i vizi capitali: superbia (narcisismo), avarizia (possesso), lussuria (edonismo sessuale), ira (aggressività), gola (edonismo alimentare), invidia (competizione), accidia (passività). Ricorrono ai beni materiali come fonte illusoria di certezze (anche amuleti), a dipendenze da piaceri ed appetiti, al desiderio di essere amati ed apprezzati/valorizzati/riconosciuti nei nostri meriti, di essere al centro dell’attenzione, di vedere la propria visione del mondo confermata (stabilizzazione e coerenza interna: è sufficiente assecondare le credenze della vittima), di nutrire speranze, di ricevere consolazione, al rimorso, al senso di colpa, al timore della punizione o di un “imminente stravolgimento cosmico (sic!).

La gente ha paura di perdere quel che ha e di non ottenere quel che desidera. La gente ha anche paura delle complicazioni, della confusione, dell’imprevedibilità. Uno dei riduttori della complessità è la tendenza a pensare che il mondo sia complessivamente ordinato secondo giustizia e che i cattivi saranno puniti ed i buoni premiati (le disgrazie accadono a chi se le cerca). Ogni evidenza che indica il nostro errore viene squalificata o ignorata. Rifiutiamo ciò che non si adatta ai nostri sistemi di credenze e accettiamo le menzogne più incredibili, se ci piacciono. Decidiamo di credere ad una cosa e continuiamo a farlo anche di fronte all’evidenza del contrario.

A questo punto è sufficiente che i truffatori ci costringano a costringere la nostra convinzione da attacchi esterno per consolidarla e farla fruttare. La situazione ideale è quando uno crede di essersi persuaso da sé senza immaginare che non è così e poi desidera fortemente che la “sua” costruzione della realtà sia vera, il che accade specialmente se ci si sente minacciati.

Altri fattori che spianano la strada del truffatore sono la bellezze e la piacevolezza (una guerra umanitaria è bella e piacevole). La spettacolarizzazione  (un evento sorprendente) indirizza la mente, supera le difese che allarmerebbero la vittima (sensazionalismo mediatico). Le persone tendono ad evitare il dolore e cercare il piacere. Per questo i governi truffaldini evitano di rispondere ad un’obiezione, cosicché alcuni scettici meno determinati e sicuri reagiscono sentendosi in colpa per aver sollevato una questione indegna di essere presa in considerazione.

Una strategia semplice ed efficacissima è quella del poliziotto buono (una figura genitoriale rassicurante come la mamma) che collabora con il poliziotto cattivo (castrante ed aggressivo come papà).

La gente si fa fregare anche perché sente il bisogno di appartenere ad un gruppo e teme di esserne escluso. L’autostima, l’orgoglio la vanità impediscono di mettersi in gioco, di gridare che il re è nudo.

Un’altra brillante metodica è quella di creare il problema e poi fornire la soluzione desiderata (dal truffatore). Ad esempio si genera una crisi per trarre vantaggio dal bisogno di senso di fronte all’assurdo.

I governi truffaldini, per rinforzare gli effetti di una crisi, sfruttano la suggestionabilità dei cittadini ed i momenti in cui sono più vulnerabili, il senso di solitudine, la fame, la sonnolenza, la spossatezza fisica e psicologica. Un truffatore infonderà sempre un senso di urgenza e agirà in situazioni che producono confusione: incoerenza, sorpresa, incomprensibilità, sovraccarico sensoriale, inclassificabilità dell’evento nel repertorio delle conoscenze della persona, sovraccarico emotivo. Tutti questi frangenti spengono le facoltà di comprensione della realtà delle persone e spingono ad aggrapparsi ad un’ancora di salvezza, che invece è la tana del lupo.

Lupo che non è avvertito come tale perché si traveste da agnello e/o da pastore e per via della propensione ad accettare un ordine imposto dall’alto, dell’istinto gregario-gregge, della acquiescenza nei confronti di persone percepite come autorevoli, formidabili o autoritarie.

Il depistaggio dell’attenzione della vittima si realizza anche con false esche: costruendo ricordi fittizi (ricostruendo la storia), scenari futuri fittizi, eventi apparentemente casuali; rendendo apparentemente essenziali cose che non lo sono, creando problemi inesistenti e poi proponendosi di risolverli, prospettando due sole alternative (libertà di scelta ristretta, una sola opzione attraente), ben sapendo che una sarà rifiutata, oppure prospettando tante scelte ma poco diverse tra loro.

L’obiettivo del lupo è quello di mettere la vittima con le spalle al muro; deve fuggire solo nella direzione prestabilita: firma qui! Dai pure a me! Vedrai che se fai così tutto si risolverà! È tempo di agire! Questi sacrifici non saranno inutili!

I governanti truffaldini usano frasi fatte e luoghi comuni che fanno appello alla pigrizia cognitiva semplificatoria, oltre alle manipolazioni semantiche del tipo costoso = esclusivo, aborto = interruzione di gravidanza, guerra = conflitto. “missione di pacificazione” e “missione di pace” (invasione e guerra), “supporto aereo” (bombardamento), “proteggere la nostra libertà” (guerra preventiva), “l’amore vince sull’odio” (conversione), “il prezzo della libertà” (sacrificio dei diritti), “guerra al terrore” (terrorismo psicologico), “danni collaterali” (strage di civili, per fare una frittata bisogna rompere le uova), “trasferimento di profughi” (deportazione), “difesa aggressiva” (attacco), “cambio di regime” (colpo di stato), “omicidio extra-giudiziario” (esecuzione, omicidio eccellente), “metodi d’interrogatorio più aggressivi” e “tecniche avanzate di interrogatorio” (tortura), consegne straordinarie” (extraordinary renditions, deportazioni illegali), “intelligence” (servizi segreti deviati), “combattenti nemici illegali” (inapplicabilità della convenzione di Ginevra), “flessibilità d’impiego” (affari tuoi), “non è questo il problema e non è questo il momento” (la tua opinione è irrilevante), “stati canaglia” (nemici), “ateo devoto” (leccapiedi), “bombe intelligenti” (bombe), “sovranità popolare” (demagogia), “Federal Riserve” (non è federale, ma privata e non possiede alcuna riserva), ecc. IDF israeliana: esercito coloniale ed aggressivo si chiama “forze di difesa”. Il Giappone abbandona il suo impegno scritto nella costituzione a non sviluppare un esercito offensivo. Con l’ennesimo espediente retorico: “capacità difensiva dinamica” (= “da ora in poi possiamo attaccare preventivamente…per difenderci”).

Infine, come nel caso della Siria e dell’Iran, entra in gioco anche la tendenza al completamento, ossia il bisogno di finire una cosa iniziata (primavera araba).

La Primavera Araba, la Siria e l’Industria del Bene (R. Fisk, the Independent, 24.12.12)

The Arab Spring - Hitchhiker's Guide to The Near and Middle East

Medio Oriente – di luogo comune in luogo comune abbiamo raggiunto il “punto di svolta”

Ricordate i giorni in cui abbiamo pensato che il cammino dell’Egitto verso la democrazia fosse ormai un dato acquisito? Mohamed Morsi, educato in Occidente, aveva invitato la gente a venire a incontrarlo nel palazzo presidenziale che apparteneva a Hosni Mubarak, la vecchia aristocrazia militare del “Consiglio Supremo delle Forze Armate” era stata mandata in pensione ed il Fondo Monetario Internazionale era in attesa di poter distribuire un po’ di crudeli privazioni in Egitto, pronto a sua volta a ricevere la nostra benevolenza finanziaria.

Com’erano beati gli ottimisti sul Medio Oriente verso la metà del 2012.

Nella  vicina Libia si era affermato il filo-occidentale laicista Mahmoud Jibril, che prometteva libertà, stabilità, una nuova casa per l’Occidente in uno dei più fecondi produttori di petrolio del mondo arabo. Era un luogo dove persino i diplomatici degli Stati Uniti potevano circolare praticamente non protetti.

La Tunisia poteva anche avere un partito islamico al governo, ma era una gestione “moderata” – in altre parole, abbiamo pensato che avrebbe fatto quello che volevamo – mentre i sauditi e gli autocrati del Bahrain, con la muta disapprovazione di Obama e Cameron, sopprimevano silenziosamente ciò che era rimasto della rivolta sciita che minacciava di ricordare a tutti noi che la democrazia non era davvero benvenuta tra gli stati arabi più ricchi. La democrazia era per i poveri.

Nella primavera dello scorso anno, i commentatori occidentali davano per spacciato Bashar al-Assad. Non meritava “di vivere su questa terra”, secondo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Doveva “dimettersi”, “farsi da parte”. Il suo regime aveva solo poche settimane di vita, forse solo qualche giorno. Era il “punto di svolta”.

Poi, entro l’estate, quando il “punto di non ritorno” si era dileguato, ci hanno detto che Assad stava per usare il gas “contro il suo popolo”, o che le sue forniture di armi chimiche potevano “cadere nelle mani sbagliate” (le “mani giuste” erano ancora presumibilmente quelle di Assad).

I ribelli siriani erano sempre sul punto di farcela – a Homs, poi a Damasco, poi ad Aleppo, poi di nuovo a Damasco. L’Occidente sosteneva i ribelli: un profluvio di armi e denaro provenienti da Qatar e Arabia Saudita ed il sostegno morale di Obama, Clinton, del patetico Hague, di Hollande, di tutta l’industria del bene – fino a quando, inevitabilmente, si è scoperto che i ribelli avevano tra le loro file un bel po’ di salafiti, carnefici, settari assassini e, in un caso, un decapitatore di adolescenti che si comportava un po’ come il regime spietato che stavano combattendo. L’industria del bene ha dovuto fare retromarcia. Gli Stati Uniti hanno continuato a sostenere i buoni, i ribelli laici, ma ora consideravano gli orribili ribelli salafiti come un’”organizzazione terroristica”.

E il povero vecchio Libano, manco a dirlo, era sul punto di esplodere in una guerra civile per la seconda volta in meno di 40 anni, questa volta perché la violenza della Siria si “riversava” nel territorio dei suoi vicini.

Il Libano non era forse settario come la stessa Siria? Gli Hezbollah libanesi non erano forse alleati di Assad? I sunniti del Libano non sostenevano i ribelli siriani? Tutto vero. Ma i libanesi … erano troppo intelligenti ed istruiti per ripiombare nel caos del 1975-1990.

L’Iran, naturalmente, stava per essere bombardato perché stava – o stava per – fabbricare armi nucleari, o poteva – o avrebbe potuto – fabbricare armi nucleari entro un mese, o un anno, o una decina d’anni.

Obama potrebbe non bombardare l’Iran, non ne ha davvero voglia, ma “tutte le opzioni” erano “sul tavolo”. Lo stesso per Israele, che voleva bombardare l’Iran, perché poteva o potrebbe fabbricare armi nucleari o era in procinto di farlo, o potrebbe averle in sei mesi, o un anno, o in alcuni anni ma – ancora una volta – “tutte le opzioni” erano “sul tavolo”. La “finestra di opportunità” di Netanyahu si sarebbe chiusa, ci dicevano, con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. E così queste sciocchezze sono continuate…ebbene, fino alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, al termine delle quali ci avevano avvertito ancora una volta che l’Iran stava producendo, o poteva produrre, o potrebbe produrre un’arma nucleare.

Israele ha anche minacciato il Libano, perché Hezbollah aveva migliaia di missili, e ha minacciato i palestinesi di Gaza, perché avevano migliaia di missili. E molti sono stati i giornalisti israeliani – con i loro cloni americani – che hanno preparato il terreno con i loro lettori per queste due guerre al “terrore”.

In questo caso il Libano è rimasto esente da bombardamenti mentre un conflitto molto insoddisfacente (dal punto di vista di Israele) scoppiato tra Israele e Hamas si è concluso quando Morsi ha convinto i palestinesi a rispettare un cessate il fuoco, che Netanyahu ha poi tristemente accettato.

Ha così rafforzato il suo prestigio Khaled Meshal, che ha successivamente annunciato che la Palestina dovrebbe estendersi dal fiume Giordano al mare. In altre parole: basta Israele.

Proprio come il ministro degli Esteri di Israele, Avigdor Lieberman, che si sarebbe presto dovuto dimettere, e i suoi sodali, che per lungo tempo avevano ripetuto che Israele doveva estendersi dal mare al fiume Giordano. In altre parole: niente più Palestina.

Al coraggioso e molto invecchiato israeliano Uri Avnery non è restato altro da fare che sottolineare che, se entrambi avevano questo stesso desiderio, poteva esistere solo una fosse comune tra il fiume e il mare.

Verso la fine dell’anno, l’amichevole, affettuoso Mohamed Morsi stava recitando la parte del Mubarak e stava facendo il pieno di tutti i vecchi poteri dittatoriali a sua disposizione, mentre una costituzione molto dubbia era imposta alla popolazione laica di quella terra, musulmana e cristiana, che Morsi aveva promesso di servire. In Libia, come s’è visto, gli Stati Uniti hanno scoperto di avere  più nemici di quel che si pensava, l’ambasciatore è stato ucciso da – e l’attribuzione deve restare in sospeso, nonostante i tentativi della Clinton di confondere le acque – una sorta di banda di miliziani di al-Qaeda.

In effetti, al-Qaeda – politicamente fallita dal momento dell’omicidio di Osama Bin Laden da parte di una squadra di sicari statunitensi in uniforme militare nel 2011 – era stata praticamente cancellata dal vocabolario della Casa Bianca prima della rielezione di Obama. Ma gli evanescenti disperati del wahabismo hanno acquisito l’abitudine tanto amata dai mostri del cinema di rigenerarsi in forma diversa, in paesi diversi.

Il Mali ha sostituito l’Afghanistan, così come la Libia ha sostituito lo Yemen e la Siria ha preso il posto dell’Iraq.

[…].

Eppure, ci potete scommettere, l’industria del bene ci farà piovere addosso un altro carico di luoghi comuni in sostituzione di quelli che sono già serviti al loro scopo.

http://www.independent.co.uk/voices/comment/a-word-of-advice-about-the-middle-east–weve-reached-the-tipping-point-with-cliches-8430495.html

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Cosa ne pensano i civili yemeniti dei droni che li uccidono? Cosa ne pensano i civili del Bahrein che vorrebbero ribellarsi alla dittatura ma non possono farlo perché sauditi e statunitensi inviano armi al regime? Cosa ne pensano i giornalisti di Al-Jazeera che si dimettono uno dopo l’altro per la faziosità del network sui conflitti in Libia e Siria? Cosa ne pensano gli indignati americani nello scoprire che sono state usate leggi anti-terrorismo per sorvegliarli minuziosamente?

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/26/drones-yemen-fbi-occupy-terrorism#start-of-comments

Il precedente progetto angloamericano di destabilizzazione della Siria, risalente agli anni Cinquanta:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/31/loccidente-e-la-destabilizzazione-della-siria-1957-2011-articolo-del-guardian/

Maiali, zingari, cicale e formiche nella fattoria degli animali europea

Se riprendiamo in mano i giornali tedeschi o olandesi della seconda metà degli anni Novanta, quando si dibatteva del diritto di questo o quello Stato di entrare nell’euro, vi troviamo gli stessi stereotipi che corrono di nuovo oggi, sull’onda della crisi partita dalla Grecia: PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna = maiali), Club Med e altre simpatiche definizioni di stampo antropologico. Categorie irrazionali ma potentemente radicate nelle opinioni pubbliche e nelle élite, che illustrano il presunto carattere dei vari popoli, echeggiando le teorie di Schumpeter sulla cultura monetaria come espressione della cultura nazionale. Quindici anni dopo, senza dracma né peseta né lira ma con l’euro in mano, siamo ancora a questo genere di polemica etnomonetaria. Un razzismo soft. Alla faccia dell’ affratellamento europeo che l’euro avrebbe inevitabilmente generato.

Lucio Caracciolo, “L’Europa è finita?”, 2010

Nessuno ha raccontato ai tedeschi che molte delle misure adottate sinora non servivano per salvare i “fannulloni” greci o spagnoli ma per salvare i sistemi bancari tedesco e francese (che detenevano molti titoli di questi paesi, ndr). Molti dei finanziamenti alla Grecia non sono mai arrivati ad Atene, hanno semplicemente fatto un giro da Francoforte a Francoforte.

Giovanni Dosi, economista della Scuola Superiore Sant’Anna e collaboratore del premio Nobel Joseph Stiglitz alla Columbia University, 28 luglio 2012

I sondaggi dell’eurobarometro indicano che tra l’autunno del 2009 e la primavera del 2012 la fiducia nelle istituzioni europee è crollata dal 48% al 31%; quella nei governi e parlamenti nazionali è al 28%. È utile rilevare che il presidente meno amato della storia americana, George W. Bush, non è mai sceso sotto il 33% nel livello di fiducia tra i cittadini statunitensi. Nell’Europa del dopoguerra non si è mai registrata una crisi di legittimità così imponente. Solo il 52% dei cittadini europei difende l’euro e il 51% sente che la distanza dai cittadini degli altri paesi dell’Unione Europea sta continuando a crescere, invece di diminuire. È assai probabile che questa crescente distanza sia dovuta ad una serie di errate percezioni delle cause e della natura della crisi dell’eurozona.

Lo scrittore e giornalista austriaco Robert Misik, in un articolo pubblicato dalla Tageszeitung il 12 luglio del 2012 (“A ranghi serrati dietro la cancelliera”) denunciava la litania di stereotipi, luoghi comuni, frasi fatte e scorciatoie logiche che imperversavano sui media di lingua tedesca influenzando pesantemente la comprensione della crisi tra i cittadini di lingua tedesca ed alimentando sfiducia, paura, rancore, risentimento e sentimenti razzisti.

È opportuno fare chiarezza in merito e ristabilire la verità perché non è sulle interpretazioni di comodo che tirano acqua al proprio mulino che si fa buona politica.

Anche gli economisti Massimo D’Angelillo e Leonardo Paggi (cf. “Deutschland, Deutschland …Über Alles”, in “Oltre l’austerità”, 2012) si sono domandati come sia possibile che sui media tedeschi la pretesa lassitudine degli Europei meridionali abbia finito per eclissare le responsabilità dei mercati finanziari nella creazione della bolla e nel convogliamento delle risorse pubbliche degli stati europei verso il salvataggio di banche improvvide? E, non secondariamente, come sia possibile che il tracollo verticale dell’economia greca, la disoccupazione di massa, l’aumento dei suicidi, l’implosione del sistema sanitario nazionale, le centinaia di migliaia di bambini denutriti in un paese con meno di 11 milioni di abitanti, la forte crescita dei neonazisti greci, la redistribuzione concentrativa delle ricchezze greche nelle mani di pochi capitali privati greci e stranieri che hanno lucrato sulle privatizzazioni siano considerati effetti indesiderati ma necessari di misure peraltro giudicate ancora insufficienti?

Uno dei massimi esperti di geopolitica in Italia, Lucio Caracciolo (“La guerra virtuale dell’Eurozona”, Limes 6/11) ha puntato il dito contro gli architetti dell’eurozona, che hanno più o meno consapevolmente indebolito le fondamenta dell’Unione Europea, imponendo una camicia di forza monetaria a nazioni sensibilmente diverse per cultura e storia fiscale, vocazioni e strutture economiche, dinamiche sociali e demografiche, in omaggio ad una peculiare concezione della valuta, cara a Joseph Schumpeter, secondo il quale la moneta esprime quel che un popolo vuole, compie, soffre, è; “la spiritualità della moneta: per noi latini, un concetto avvolto nelle nebbie nibelungiche”, è il commento sardonico di Caracciolo.

Se le cose stessero così, non si capirebbero come mai nel 2000 l’economia tedesca sia stata salvata da un gigantesco bail-out da parte della Banca Centrale Europea, in seguito all’esplosione della bolla speculativa precedente, quella della cosiddetta “New Economy” (cf. Richard Koo, capo-economista dell’Istituto di Ricerca Nomura, la più grande agenzia di consulenza giapponese nel settore IT, intervistato da Joe Weisenthal, Business Insider, 19 giugno 2012).

Inoltre, la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) ha certificato che la Germania e la Grecia hanno ricevuto lo stesso sostegno finanziario nel corso della crisi, almeno fino al 2012:

Nei milioni di parole scritte sulla crisi del debito in Europa, la Germania è in genere presentata come l’adulto responsabile e la Grecia come il figliol prodigo. La prudente Germania, dice la storia, è riluttante a salvare la Grecia scroccona, che ha preso in prestito più di quanto poteva permettersi e ora deve subire le conseguenze. Vi sorprenderebbe sapere che in Europa i contribuenti hanno fornito alla Germania lo stesso sostegno finanziario offerto alla Grecia? Lo suggerisce un esame dei flussi monetari Europei e dei bilanci delle banche centrali (Bloomberg, “Hey, Germany: You Got a Bailout, Too”, 24 maggio 2012).

Nonostante questo, l’ideologia che domina la percezione di questa crisi è che ci sono nazioni spericolate e dissolute e nazioni prudenti ed efficienti, popolate da cittadini rigorosi, puntuali e precisi. La ripetizione di questo mantra è quasi nauseante nella sua monotonia e sorvola sul fatto che le nazioni prudenti sono anche quelle che hanno continuato a prestare soldi alle nazioni imprudenti e che alcune delle loro maggiori banche si sono comportate a dir poco temerariamente e continuano a farlo, come se nulla fosse. Ma ai mercati conviene che faccia presa una nozione di colpa storica, di stampo razziale, un revival della dottrina del Volksgeist e di quella dei malati contagiosi che vanno messi in quarantena. È nella natura del capitalismo creare polarizzazioni che consentano di massimizzare i profitti di una parte a spese delle altre. Diversamente, non potrebbe auto-perpetuarsi e crescere.

Poco importa se questa propaganda, che sarebbe stata inconcepibile fino al 2008, renda impossibile un’ulteriore integrazione europea e metta i popoli gli uni contro gli altri. I media ed i politici euro-americani non si sono lasciati frenare dalle inibizioni del politicamente corretto ed hanno dato fondo alla retorica nordista di una presunta superiorità culturale rispetto al sud, esaltando l’azione salvifica di Germania, Olanda, Danimarca e Finlandia ed invocando la rieducazione dei popoli del sud alla scuola stoica, puritana ed innovatrice del nord (neoliberista, con un deciso voltafaccia rispetto alla tradizione socialdemocratica). Contemporaneamente politici e media del Sud, invece di descrivere la realtà in maniera più obiettiva, non hanno mancato di invitare all’emulazione, anche quando questa sfociava in un discutibile servilismo. Così 130 milioni di sudisti si sono sentiti etichettare come pigri, scialacquatori, corrotti, inefficienti, improduttivi, non sufficientemente ambiziosi ed industriosi, maiali (PIGS, oppure GIPSI, cioè a dire “zingari”) che si affollano intorno alla mangiatoia europea. Il Nord è ragionevole, ligio alle regole, rispettoso della legge, obiettivo, neutrale, disciplinato, attento. Il Sud è irrequieto, insofferente a regole e disciplina, soggettivo, parziale, emotivo, impetuoso. Questo ha creato una massiccia frattura psicologica tra nord e sud, con i sudisti costretti a riesaminare il loro ruolo e status in seno alla famiglia europea.

L’eurozona non è divisa tra formiche nordiche e cicale meridionali. Cicale e formiche si trovano a nord, come a sud. Le formiche hanno lavorato duramente senza sapere che su di loro incombeva una crisi che avrebbe permesso alle cicale di privatizzare i profitti e socializzare le perdite, mettendo alcune formiche contro le altre ed accumulando ricchezze nei paradisi fiscali. Non è difficile immaginare come mai milioni di Greci onesti, sentendosi accusare dai Tedeschi di essere disonesti, corrotti, dissipatori, imprevidenti, ecc. abbiano finito per riesumare i terribili ricordi dell’occupazione nazista, cadendo nell’altrettanto infelice trappola del più vieto stereotipo anti-tedesco. Invece la fiaba di Esopo aveva il fine di mettere in guardia dai rispettivi eccessi – e relativi risentimenti – sia le formiche sia le cicale. La formica, nella sua inestinguibile smania di accumulazione, non si faceva scrupoli di sottrarre alle altre formiche le loro scorte.

Frédéric Lordon, sociologo ed economista francese, ravvisando la stessa deriva razzista a livello mediatico, ricorda ai lettori di Le Monde Diplomatique (“Au-delà de la Grèce : déficits, dettes et monnaie”, 17 febbraio 2010; “Euro, terminus?”, 24 maggio 2012) che la natura umana è una sola e che il razzismo delle élite non ha nulla da invidiare a quello del “popolino”, stigmatizzato da quegli stessi media che indulgono nelle più funeste e squallide generalizzazioni. Con buona pace delle promesse di abolizione della guerra in Europa e di eterna amicizia tra i popoli europei, sta prendendo piede un “clima ideale per i nemici dell’Europa e per chi alla democrazia liberale e alla società aperta antepone il richiamo delle piccole patrie, delle tecnocrazie autoritarie e dei razzismi” (Lucio Caracciolo, “Euro: una moneta senza Stato”, la Repubblica, 7 maggio 2010).

Il razzismo di sinistra che fa il gioco della destra neoliberista (divide et impera)

Non esiste la guerra del bene contro il male. Esiste la guerra del bene assoluto e del male minore. Cioè, ormai dovrebbe essere chiaro, del male assoluto e del male minore. Non bisogna lottare per la verità, ma per l’incertezza. Per il tentativo. Per l’esperimento. Per l’avventura. Per la fallibilità. Dunque per la libertà, purché sia una libertà che non si realizza mai, e dunque che non è duratura in nessuna della sue singole forme. Non bisogna lottare per nulla che sia infinito ed eterno: queste armi lasciamole all’avversario. Non bisogna lottare per essere perfettamente buoni, ma per essere moderatamente, tollerabilmente, umanamente cattivi. Non c’è diritto più grande ed irrinunciabile di quello all’imperfezione: perché è il diritto alla perfettibilità.
Luigi Alfieri

Una giornalista dell’Espresso scrive: “Lega e nazisti, una faccia una razza”.

La suddetto giornalista dell’Espresso usa slogan razzisti per denunciare il razzismo, usa logiche razziste (qualche leghista ragiona come un nazista, ergo la Lega è un movimento neonazi) per evidenziare le logiche razziste, contribuisce a svuotare di ogni significato agli epiteti fascista e nazista, ormai inflazionati ed usati quasi immancabilmente a sproposito.

Esiste dunque un razzismo di sinistra?

L’intolleranza di tanti cittadini di sinistra verso i concittadini leghisti assume spesso tinte razziste ma, a sinistra, è più difficile accorgersene, perché inveire con stereotipi ed insulti contro i leghisti è politicamente corretto. È come se questi ultimi fossero collocati un gradino sotto gli esseri umani normali, assieme ai Neanderthal (e sotto gli immigrati). Il che fa tra l’altro il gioco del governo e dell’élite che lo appoggia, ben felice di vedere che l’indignazione si scarica contro l’opposizione (leghisti, grillini, no-Tav, anarchici, camionisti, ecc.).

Il razzismo di sinistra si scaglia contro chi critica gli immigrati e le politiche dell’immigrazione. Come tutti i fanatismi, osserva selettivamente la realtà, rimuovendo gli aspetti spiacevoli della medesima. Così i clandestini non sono un così grosso problema, le carceri ricolme di extracomunitari non sono un così grosso problema, le strade invase dalle prostitute non sono un così grosso problema, l’insicurezza non è un così grosso problema, la mentalità medievale di una parte degli immigrati non è un così grosso parte. Non è un così grosso problema che certe realtà siano state letteralmente invase dagli extracomunitari nel giro di pochissimi anni per fare un favore alle imprese e perché ci va bene di continuare a distruggere le economie del Terzo Mondo per poter esportare le nostre merci:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/23/lunione-europea-prima-distrugge-le-economie-del-terzo-mondo-poi-condanna-il-razzismo/

I leghisti hanno comunque torto, i critici dei leghisti hanno comunque ragione. I parlamentari leghisti sono comunque incompatibili con la democrazia. “Se i leghisti prendessero il potere in Italia chissà cosa succederebbe!”

Il razzismo di sinistra è persino più irritante di quello leghista perché è moralista. Molti leghisti, in fondo, sanno che essere razzisti è brutto e sbagliato (infatti lo nascondono finché non sono con altri razzisti). Invece temo non siano molti i legofobi che si interrogano sulla moralità del loro atteggiamento nei confronti di milioni di loro concittadini (di serie B). Infatti “razzismo di sinistra” è un ossimoro. Non si può essere razzisti/xenofobi e di sinistra. O sei l’uno o sei l’altro. Chi è razzista/xenofobo non è davvero di sinistra. A sinistra, va da sé, ci stanno “li mejo”. Si comincia così e si arriva ai centri di rieducazione ed ai gulag [“se la sinistra prendesse il potere in Italia chissà cosa succederebbe!”] – specialmente in seno ad un certo ambientalismo messianico .

A questo proposito, un’osservazione di Jacques Attali mi pare quanto mai azzeccata (Attali, “Domani chi governerà il mondo?” 2012, p. 289): “In risposta ai rischi sistemici mondiali, si vedrà in particolare crescere un’ideologia ecologica planetaria che raccomanda la riduzione della produzione per diminuire il consumo di energia ed attenuare i rischi d’inquinamento, imponendo restrizioni in tutti i settori in nome della frugalità e dei vantaggi a lungo termine. Dall’altra parte, un’ideologia religiosa – o più d’una – tenterà anch’essa di imporre regole conformi alle esigenze di un aldilà dove risiederà, secondo quanto sostiene, l’unica speranza di salvezza. Queste due ideologia fondamentaliste, ecologica e religiosa, convergeranno: l’una e l’altra affermeranno che il destino degli uomini è già scritto e che il vero padrone del mondo – la Natura o Dio – è altrove. L’una e l’altra, alla ricerca della purezza, denunceranno l’Occidente. L’una e l’altra sosterranno di pensare alla felicità degli uomini in termini di prospettiva. Potrebbe anche emergere un giorno un’ideologia che metta insieme le due dottrine: un fondamentalismo allo stesso tempo religioso ed ecologico. Un ossimoro, come lo fu il nazionalsocialismo. Già ha fatto la sua comparsa in Brasile, dove si sta sviluppando un fondamentalismo evangelico eminentemente interessato alla tutela dell’ambiente. Inoltre, nel 2002, Osama Bin Laden, nella sua “Lettera all’America”, accusò gli Stati Uniti di distruggere la natura più di qualsiasi altra nazione, con l’emissione di gas a effetto serra e la produzione di rifiuti industriali. Nel gennaio del 2010, sosteneva che “tutte le nazioni occidentali” sono colpevoli del cambiamento climatico. Nell’ottobre dello stesso anno, ribadiva che le vittime del cambiamento climatico sono più numerose di quelle delle guerre”.

Ho sempre detto che la prossima tirannia sarebbe stata umanitaria ed ecologista, ma non avevo pensato al tipo di connubio preconizzato da Attali. Vedremo chi ci andrà più vicino.

Tornando alla questione del razzismo di sinistra, mi pare che il film “Cose dell’altro mondo”, quello con Abatantuono imprenditore veneto razzista (a proposito: un attore credibilmente veneto non lo si poteva trovare?) lo esemplifichi mirabilmente.

Il messaggio centrale è che senza la forza lavoro immigrata l’Italia sarebbe finita (il neoliberismo ce la sta comunque mettendo tutta – a proposito: chi può essere così genio da chiedere ad un neoliberista sfegatato di risolvere problemi causati dal neoliberismo?).

Un messaggio così banale che persino quei subumani dei leghisti l’hanno capito.

Dunque un film inutile? No. Molto utile per capire i pregiudizi della sinistra.

Il film in questione è una predica rivolta ai credenti, fatta di caricature di leghisti ignoranti, italiani mammoni, immigrati per bene che devono restare qui perché sono bravi amanti e lavoratori instancabili.

Un film che fa star bene i benpensanti perché sorvola sul problema della criminalità, della clandestinità, del lavoro nero, della virtuale abolizione dei diritti dei lavoratori, della sostituzione della forza lavoro italiana con quella immigrata, delle politiche commerciali europee ed italiane che sbattono fuori dal mercato gli imprenditori dei paesi in via di sviluppo (dumping), della filantropia e dell’umanitarismo che mantengono miliardi di persone in una condizione di dipendenza, minorità e squallore, ecc.

È un film ipocrita e classista. Infatti fa svanire gli immigrati. Poteva farli mobilitare, organizzare in un movimento di protesta appoggiato dagli italiani, invece sceglie di perpetrare la dicotomia tra veneto razzista benestante (leghista cripto-nazi o proto-nazi) ed immigrato umile e passivo servo della gleba.

È un film che crede di essere pedagogico ma è paternalista e reazionario, manicheo e stracolmo di cliché, incluso l’uomo bianco con ansie di inadeguatezza sessuale e l’ultrarazzista ipocrita che assume quasi solo extracomunitari, va con le prostitute nere e perciò si merita il nipotino meticcio.

La questione sociale, la lotta di classe, viene esclusa in favore dell’ennesima riproposizione del volemosebbène e del rassicurante ordine che vede i bianchi benevoli e magnanimi in alto e i rispettosi, disciplinati colorati in basso.

Nel film non c’è nessun protagonista immigrato che non sia un amante (alla fine la protagonista si consola molto presto tornando con l’ex italiano: alla faccia del grande amore!) o un lavoratore (amici? Parenti? Dirigenti? Negozianti? Liberi professionisti? Amministratori comunali? Docenti? Delinquenti professionisti?). Non si pone un’alternativa tra immigrato al suo posto ed immigrato assente (desaparecido).

Cosa sarebbe cambiato se alla fine del film gli immigrati fossero ricomparsi magicamente come magicamente erano svaniti?

Ci sarebbe stato meno razzismo esplicito in una società ugualmente iniqua, ugualmente ipocrita, ugualmente disumana. Si sarebbe radunato qualche milione di indigeni pronti a sostituire gli immigrati scomparsi – umilmente, docilmente, disciplinatamente (perché nel capitalismo, come nel socialismo, ogni essere umano è un’unità rimpiazzabile).

Il film assegna agli Italiani la parte dell’ebete superficiale incapace di adattarsi alla nuova situazione, troppo viziato e bamboccione per darsi da fare, a dispetto degli allarmanti tassi di disoccupazione giovanile.

È una forma di disumanizzazione – verso immigrati ed autoctoni – paragonabile a quella leghista, ma va bene perché è politicamente corretta. Non può essere razzismo, anche se è tanto deplorevole quanto quello leghista, anzi più viscido e manipolativo, perché moralista, perché offre una corsia preferenziale agli immigrati, trattandoli come minori o minorati, dispensati da alcuni degli obblighi spettanti a tutti gli altri in quanto sfortunati o comunque non ancora pienamente integrati, non ancora pienamente maturi, non ancora pienamente adulti.

Il razzismo anti-leghista, non solo disumanizza i leghisti ma non fa nulla per aiutare gli italiani a sentire, a capire che gli immigrati sono esseri umani esattamente come loro.

Se una maggioranza di persone comincia, per esempio, a pensare, come fece Jean-Paul Sartre, che “l’antisemita è l’uomo che vuole essere roccia spietata, un torrente furioso, fulmine devastatore: tutto fuorché un uomo” (“Réflexions sur la question juive”), non c’è limite a cosa sarà possibile fare a chi non pensa in modo conforme alla norma. E’ necessario ripeterci continuamente che chi non la pensa come noi ha pari dignità rispetto a noi, è un essere umano come noi, anche se la cosa ci dispiace.

In conclusione, un film troppo compiaciuto dei suoi cliché per poter confessare il proprio razzismo. Un film manipolativo, diseducativo e squallido. Consigliatissimo per chi vuole capire la mentalità di certa sinistra.

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