Gesù, il Grande Inquisitore e l’economia esoterica

Spread. Default. Fiscal compact. Spending review.

L’importante è che la gente non capisca nulla e continui a restare al suo posto.

Come proclamava il Grande Inquisitore di Dostoevskij (“I Fratelli Karamazov”): “Abbiamo corretto l’opera Tua [di Gesù] e l’abbiamo fondata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati di essere nuovamente condotti come un gregge e di vedersi infine tolto dal cuore un dono cosí terribile [la libertà], che aveva loro procurato tanti tormenti”.

Il Grande Inquisitore è il dominatore del nostro tempo, in ogni sfera della vita umana, e ci vuole sempre più simili a lui.

Gustavo Zagrebelsky, “Simboli al potere” (2012, pp. 29-30):

“Nei primi tempi, i tempi della clandestinità, non esisteva un simbolo dei cristiani, per così dire, ufficiale. Il più diffuso era il pesce, ma ci si riconosceva anche in altri segni, come l’ancora, la palma, la corona, l’albero (della vita), il vitigno, la nave, l’aratro, il pane, la fonte d’acqua viva, l’araba fenice. La croce era assente o, forse, dissimulata con ritegno. Come simbolo cosmogonico di religioni pagane e come strumento di tortura e di esecuzione capitale riservato agli schiavi ribelli e fuggitivi, proveniva da mondi non solo distanti, ma ostili alla nuova religione e testimoniava dell’inimicizia romana nei confronti del fondatore e dei suoi seguaci. Solo con l’avvicinamento e poi l’alleanza tra la nuova religione e l’impero nel IV secolo (il sogno di Costantino e la croce sulle armi dei suoi soldati; l’abolizione di quel tipo di patibolo da parte di Teodosio), il simbolo cristiano per eccellenza fa la sua comparsa nell’iconografia e, da simbolo di persecuzioni e umiliazioni subite, diventa simbolo di vittoria sul mondo. La croce, all’inizio, è nuda; il Cristo crocefisso non compare. Quando inizia a essere rappresentato, a partire dal V secolo, è raffigurato come il vivente per eccellenza, nella veste di Christus triumphans, con gli occhi aperti, lo sguardo diritto sul mondo e il volto glorioso nell’adempimento delle profezie. Era il simbolo di vittoria sulla sua morte e sui suoi persecutori e quindi, anche, di potenza mondana. A partire dal XII secolo, in concomitanza con l’assunzione di politiche aggressive di potenza da parte del mondo cristiano nei confronti degli “infedeli”, gli ebrei “deicidi” e i “mori” che dominavano in Terrasanta, l’aspetto del Cristo in croce cambia radicalmente e diventa il Christus patiens, col corpo ripiegato, il corpo contratto dalle sofferenze o irrigidito nella morte, un corpo che è in se stesso un’accusa e che sembra chiedere giustizia, cioè, in breve, vendetta. È questo il volto del Cristo sotto il quale saranno arruolati i crociati…Ancora questo era il Cristo in nome del quale i re cristiano conducevano guerre tra di loro e convertivano o sterminavano le popolazioni indigene al seguito dei colonizzatori europei. Espressione di aggressività popolana era il crocifisso che il prete fanatico portava in processione alla testa delle spedizioni punitive – i pogrom contro gli ebrei – negli shtetls dell’Europa centrale, come sono rappresentati nella Crocifissione bianca di Marc Chagall, dove all’ombra della croce bruciano villaggi. […]. Da simbolo di trionfo a simbolo di vendetta…a simbolo passivo, perché chiunque può fargli dire quello che vuole, come se fosse una marionetta…Dopo essere stato così secolarizzato, laicizzato, sociologicizzato, per poterlo comunque appendere nelle aule delle scuole e dei tribunali, lo si è addirittura zittito: simbolo muto che non simbolizza nulla, e quindi “inoffensivo” perché morto. Così ha stabilito la più alta giurisdizione europea dei diritti, precisando che non può perciò “indottrinare” nessuno. È stupefacente che il mondo cattolico, nelle sue istanze gerarchiche superiori, abbia gioito di questa sentenza, invece di considerarla oltraggiosa nei confronti del proprio segno più caro, nel quale è concentrata l’essenza della propria fede e del proprio messaggio…Il Cristo in croce resta dov’è, testimone esanime d’una controversia che ormai non lo riguarda, o meglio lo riguarda strumentalmente, come blasfema posta in gioco in una contesa apparentemente di simbologia religiosa, in realtà di puro potere”.

BlackRock: i suoi tentacoli sulla Grecia e sui fondi-pensione del Trentino-Alto Adige

Cos’è BlackRock?
http://www.clarissa.it/editoriale_int.php?id=301

Leggiamo i cinque punti del programma di SYRIZA, il partito greco di sinistra guidato dal giovane Alexis Tsipras, un politico che spero venga clonato ed importato in Italia:
1. immediata cancellazione delle incombenti misure che impoveriranno ulteriormente i greci, come i tagli alle pensioni ed ai salari;
2. cancellazione immediata delle misure tese a indebolire i diritti fondamentali dei lavoratori, come l’abolizione di CCN;
3. abolizione dell’immunità parlamentare; riforma elettorale e generale ristrutturazione del sistema politico;
4. indagine sulle banche greche, e pubblicazione immediata dei risultati dell’audit eseguito da BlackRock sul settore bancario greco;
5. istituzione di un comitato internazionale di revisione dei conti, che indaghi sulle cause del deficit pubblico greco, in aggiunta ad una moratoria sulla riparazione del debito fino a che i risultati dell’indagine non siano resi pubblici.

BlackRock ha in mano i fondi-pensione della regione Trentino-Alto Adige (i politici tagliano le pensioni, gli squali della finanza si pappano i fondi integrazione):
“I gestori finanziari vengono ridotti da 6 a2. Ci sarà un gestore passivo e un gestore attivo. Il gestore passivo Eurizon Capital (gruppo Intesa) amministrerà il 60% del capitale e avrà lo scopo di replicare il benchmark. Vale a dire dovrà impegnarsi a conseguire i rendimenti medi di mercato. Il gestore attivo-tattico, BlackRock, amministrerà invece il 40% del patrimonio da investire e il suo obiettivo sarà addirittura di battere i rendimenti del benchmark nella linea bilanciata e dinamica, la quale ultima gli sarà consegnata in esclusiva. Altro scopo di BlackRock, in netto contrasto con il primo, sarà di proteggere il patrimonio nei momenti difficili. Insomma alla multinazionale americana si chiede nello stesso tempo di rischiare e proteggere il capitale. Non occorre essere esperti finanziari per capire che questo modello innovativo non sta in piedi. Da una parte la drastica diminuzione dei gestori, se porterà ad un risparmio minimo delle commissioni, sarà controbilanciata da un aumento del rischio di gestione per il principio della diversificazione e dalla mancanza di concorrenzialità fra gestori.
Ma soprattutto la scelta del gestore aggressivo americano è altamente rischiosa e poco affidabile per un’analista non legato agli interessi di mercato come Mauro Bottarelli, scrittore e giornalista (Il Riformista) che nel suo Blog (ilsussidiario.net) scrive: “Lo stato dell’arte, al netto dell’ottimismo per il piano Geithner e i rimbalzi da gatto morto delle Borse, è il seguente: l’amministrazione Obama sta arricchendo a dismisura banche e fondi a spese dei contribuenti senza intervenire realmente verso quegli istituti i cui default potrebbero pregiudicare pesantemente l’intera economia mondiale. Un esempio è quello di BlackRock, uno dei primi due enti privati che hanno aderito al piano di riacquisto degli assets tossici. Sapete qual è il motto di Blackrock? Aderire al piano Geithner per il bene dell’America e contemporaneamente scommettere contro la sua ripresa. Certo non lo troverete stampato sulla brochure informativa, ma è proprio questa la filosofia, tipica del fondo hedge, con cui Blackrock ha approcciato all’ultima mossa del Tesoro Usa per cercare di eliminare dai bilanci di banche e assicurazione gli assets (titoli) tossici che continuano a regalare perdite e svalutazioni a ogni trimestre, con conseguente necessità di intervento della Fed.

Il pericolo del gestore unico l’ho constatato di persona come consulente di parte davanti al tribunale di Milano, dove rappresentavo un consumatore truffato da una SIM. Il gestore finanziario giornalmente esegue un grande numero di operazioni speculative in tutte le direzioni, cercando di sfruttare le tendenze del momento, in continua competizione con gli altri operatori. Alla fine della giornata fa il bilancio delle perdite e degli utili. Se il bilancio è positivo passa alla ripartizione, trattenendo la “parte del leone” come meritato compenso per sé e la società finanziaria dalla quale dipende. La fetta più grande dunque viene fatta vincere al fondo favorito (l’Alpha Fund per BlackRock – hedge fund che nel2008 ha guadagnato il 41%). Il resto va nei fondi dei clienti in ordine d’importanza. le perdite vengono ripartite fra i clienti in ordine inverso.

Laborfonds per BlackRock è un piccolo cliente e niente più. Gli toccheranno le briciole degli utili. E per le perdite? Se si dovranno socializzare perdite speculative per salvare l’economia americana e rieleggere Obama, la cosa più logica è che finiscano a carico dei piccoli fondi. Come Laborfonds.

Queste sono le dure leggi della finanza. E l’esperienza ci dice che alla lunga distanza i fondi tendono a perdere non solo l’inflazione, ma anche parte del capitale. È la storia dei primi fondi lussemburghesi e quella recente dei fondi pensione americani finiti a zero. Basta un evento o un gestore truffaldino (sul mercato ce ne sono parecchi). BlackRock, a parer mio, è uno dei più pericolosi e rischiosi”.

http://www.questotrentino.it/qt/?aid=12208

http://www.beppegrillo.it/listeciviche/liste/bolzano/2011/10/fondi-pensione-e-speculazione-finanziaria-lesempio-laborfonds-2.html

Black Rock è anche il nome del brigantino schiavista di Lost

Oskar Peterlini, il Roosevelt de’ noantri (potrà scongiurare la rivoluzione?)

Legislatura 16ª – Disegno di legge N. 3112

Onorevoli Senatori. –  La crisi economica globale scoppiata nel 2007-2008 continua a mietere vittime. Proprio in questi mesi l’Italia e l’Europa intera stanno vivendo una nuova fase del dissesto del sistema finanziario mondiale, originata da molti anni di politiche che hanno penalizzato le attività produttive a favore invece di un’espansione senza precedenti della bisca sui mercati finanziari internazionali. Ora sono le famiglie e le imprese a pagare per le scelte sbagliate a livello macroeconomico, che rischiano di minare il tessuto stesso della nostra società.

    È doveroso constatare, purtroppo, che già dai primi mesi più drammatici della crisi, nei numerosi vertici internazionali a partire dal 2009 si è persa l’occasione per adottare misure forti che avrebbero potuto rappresentare una rottura netta ed efficace con le politiche passate: tra queste certamente vi è il ritorno alla separazione delle attività bancarie, tipificata dalla famosa Glass-Steagall Act varata sotto la presidenza Usa di Franklin Delano Roosevelt nel 1933 che pose fine agli eccessi finanziari all’origine della Grande depressione. Il principio della Glass-Steagall rimase in vigore nei Paesi occidentali, ed anche nel nostro Paese, fino agli anni Novanta. Si tratta della netta separazione delle banche commerciali, che raccolgono i depositi dei cittadini ed erogano il credito agli individui e alle imprese, dalle banche d’affari, gli istituti che operano nei mercati finanziari, attraverso l’emissione e la compravendita di titoli azionari, obbligazionari e di strumenti speculativi in genere. A partire dagli anni Novanta tutte queste funzioni bancarie sono state riunite sotto lo stesso tetto: esistono dei colossi che di fatto finiscono per rendere anche l’economia locale dipendente dai circuiti mondiali altamente speculativi e rischiosi. La conseguenza dell’abrogazione del principio di Glass-Steagall è che si è segnata la strada che porta dritti alla catastrofe e se non si interviene con decisione il rischio di aggravare la situazione economico-sociale è molto alto. Da quando è esplosa la bolla dei derivati – gli strumenti iper-speculativi che ormai sono completamente slegati dagli investimenti produttivi, dirottando risorse dall’economia reale ad un vero proprio casinò mondiale – il rischio del fallimento delle grandi banche ha portato i governi e le banche centrali ad una serie di salvataggi emergenziali.
Ci ripetono continuamente che gli interventi sono necessari per evitare un crac totale, ma la situazione non fa che peggiorare, poiché mentre vengono immesse cifre stratosferiche per la finanza (che si contano nelle migliaia di miliardi di dollari e di euro) le risorse non arrivano alla gente, alle famiglie, alle piccole e medie imprese.

    Tutto ciò accade perché i salvataggi sono stati concessi senza condizioni, non si è chiesto un cambiamento del comportamento delle grandi banche, non si sono adottate riforme incisive del sistema finanziario.

    Fino a pochi mesi fa l’Italia poteva pensare di evitare di subire gli effetti della crisi internazionale, o per lo meno di esserne toccata solo di striscio, per via di un sistema meno finanziarizzato (nei fatti e anche in termini giuridici), ma oggi non si può più aspettare: il sistema va cambiato appena possibile.

    L’Italia può fare da apripista per gli altri Paesi: torniamo ad una divisione delle banche per garantire che la gente comune non debba più pagare per le bolle speculative mondiali. Stabiliamo delle regole chiare di separazione tra le banche ordinarie (commerciali) da quelle che operano nei mercati speculativi (banche d’affari), così da farne un modello a livello internazionale. Se ne discute già in Germania, in Francia, in Svizzera, nel Regno Unito e anche negli Stati Uniti. L’Italia ha la duplice opportunità di aiutare i propri cittadini nell’immediato e di contribuire al progresso delle altre nazioni, con l’affermazione di un principio di grande importanza nel contesto internazionale. Occorre salvare l’economia reale dalla finanza speculativa con la separazione delle banche commerciali e le banche d’affari. Sarà un primo passo essenziale per riprendere il controllo dell’economia e costruire le basi per un futuro di stabilità e di progresso.

Art. 1.
(Delega al Governo)
1. La presente legge è finalizzata a stabilire la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, proteggendo le attività finanziarie di deposito e di credito inerenti l’economia reale, da quelle legate all’investimento e alla speculazione sui mercati finanziari nazionali e internazionali.
2. Il Governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge e secondo i princıpi e i criteri direttivi di cui all’articolo 2, uno o più decreti legislativi recanti norme per la separazione tra le banche commerciali e le banche d’affari, prevedendo il divieto per le banche che effettuano la raccolta di depositi o di altri fondi con obbligo di restituzione di svolgere qualsivoglia attività legata alla negoziazione di valori mobiliari in genere.

Art. 2.
(Princıpi e criteri direttivi)
1. I decreti legislativi di cui all’articolo 1 si informano ai seguenti princıpi e criteri direttivi:

a) prevedere il divieto per le banche commerciali, ovvero le banche che effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico, di effettuare qualsiasi attività legata alla negoziazione e all’intermediazione dei valori mobiliari, sancendo così la separazione tra le funzioni delle banche commerciali da quelle delle banche d’affari;
b) prevedere il divieto per le banche commerciali di detenere partecipazioni o di stabilire accordi di collaborazione commerciale di qualsiasi natura con i seguenti soggetti:
le banche d’affari, le banche d’investimento, le società di intermediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico;
c) prevedere il divieto per i rappresentanti, i direttori, i soci di riferimento e gli impiegati delle banche d’affari, le banche
d’investimento, le società di intermediazione mobiliare e in generale tutte le società finanziarie che non effettuano la raccolta di depositi tra il pubblico di ricoprire cariche direttive e detenere posizioni di controllo nelle banche commerciali.

Art. 3.
(Pareri delle Commissioni parlamentari)
1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui all’articolo 1, comma 2, sono trasmessi alle Camere entro il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine previsto per l’esercizio della delega di cui al medesimo articolo 1, comma 2, per il parere delle Commissioni parlamentari competenti, da esprimere entro quaranta giorni dalla data dell’assegnazione.

Art. 4.
(Entrata in vigore)
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/00627218.pdf

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Ddlpres&leg=16&id=00627218&part=doc_dc-relpres_r&parse=no&stampa=si&toc=no

*****

“Signora Presidente, signor Sottosegretario, intervengo in dissenso dal mio Gruppo per profondo convincimento morale, religioso e culturale, seguendo, tra l’altro, una linea politica espressa fin dall’inizio della mia attività parlamentare, che risale al 2001.
Vorrei dare espressione anche alle tante cittadine e ai cittadini che ritengono che la guerra non sia un mezzo adatto a risolvere i conflitti internazionali.
Sono – e lo sottolineo – a favore dell’impegno dell’Italia in una vera missione di pace, un impegno civile, di aiuto, di supporto sanitario, umano, senza escludere, in certe situazioni, interventi di polizia. Solleciterei anzi ad aumentare questo vero impegno di pace in Paesi poveri, come in Africa, dove l’attenzione è molto ridotta.
Lamento, però, che purtroppo sotto una maschera eufemistica di pace si nascondono attacchi bellici, vere e proprie guerre, come era quella all’Iraq, appoggiata dall’Italia nonostante che addirittura le Nazioni Unite si fossero espresse contro. Tanto sangue e tanti morti. Migliaia, incontabili. Diecimila solo americani, centinaia europei, incontabili le migliaia di vittime nei Paesi colpiti. Ho votato anche contro l’attacco all’Afghanistan, richiedendo più impegno diplomatico che bellico.
Ricordo con forza l’articolo 11 della nostra Costituzione, così maltrattato dal nostro Parlamento.
E si aggiunge in questo momento anche la grande crisi che ha colpito il nostro Paese, che richiede grandi sacrifici a tutti i cittadini, i quali richiedono con forza anche un’incisiva riduzione delle spese militari. Al contrario, l’Italia ha ordinato 90 F-35, sui 131 inizialmente previsti. Ma un solo F-35 costa 80 milioni che, moltiplicati per 90, danno 7,2 miliardi di euro spesi. Il presidente Monti ha recentemente detto no alle Olimpiadi, che ci sarebbero costate circa la metà della somma (4,7 miliardi di euro).
Perciò, con grande convinzione, anche se mi dispiace votare in dissenso dal mio Gruppo, dico un convinto no a queste misure. Direi sì a quelle pacifiche, vere, ma dico no a quelle belliche.”

La dichiarazione di voto del senatore Oskar Peterlini al termine della discussione per la conversione in legge del D.L. 29 dicembre 2011, n. 215 recante proroga delle “missioni di pace” (seduta n. 677 del 22 Febbraio 2012).
http://byebyeunclesam.wordpress.com/2012/02/23/dico-un-convinto-no/

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