Daniza e il mondo di Jonas

Antropocentrismo animalista

Antropocentrismo animalista

In una società futuristica in cui l’umanità ha scelto di annullare tutte le differenze tra le persone al fine di evitare conflitti dilanianti, la vita scorre tranquilla e asettica. L’ordine regna sovrano e l’unico legame con un passato “contaminato” dalle passioni è la “Cerimonia dei 12”, durante la quale un individuo viene scelto come Custode delle Memorie dell’Umanità. Quando il compito toccherà all’adolescente Jonas, la conoscenza di ciò che è stato lo porterà a voler scardinare per sempre l’ordine precostituito. Il Premio Oscar Meryl Streep e il Premio Oscar Jeff Bridges ci trasportano in un mondo che non vorremo mai visitare…

The Giver – il mondo di Jonas

Con Daniza è successa una cosa che non era capitata con Bruno o con la povera orsa annegata a Molveno, credo per il semplice motivo che sono passati pochi anni, ma anche per le circostanze davvero eccezionali della vicenda. Con Daniza l’orso è tornato a pieno titolo animale totemico incarnando la nostalgia di sacro di una folta tribù pagana dei nostri tempi. L’animale temuto e venerato, ucciso e (proprio per questo) divinizzato, capro espiatorio collocato sul suo totem al di sopra degli umani e degli altri animali e assurto a simbolo di maternità universale non è più un orso come tanti inserito in un normale benché complesso rapporto ecologico. E’ vittima sacrale dopo essere stato simbolo di violenza e di potenza e di fertilità. Gli innumerevoli animali domestici da lui sbranati non contano, sono vittime dovute al totem; l’innocente (un tempo) passeggiata nel bosco alla ricerca di funghi diventa superamento del confine del sacro, dove il totem regna con i suoi cuccioli; l’uccisione per mano di un potere costituito chiama in correità un intero popolo (i “trentini”), secondo schemi ahinoi ben noti, che per fortuna, ripetendosi in farsa, prevedono l’espiazione attraverso una pioggia di disdette di settimane bianche. E così via…Non giudico, constato. E confesso a mia volta un sottile, irrazionale turbamento per l’accaduto.
Marcello Bonazza

Se è vero che i cuccioli hanno buone possibilità di cavarsela, è vero anche che corrono il rischio, grosso, di diventare dei futuri orsi problematici. Sull’esempio di quanto insegnato loro dalla madre potrebbero avvicinarsi all’uomo e agli animali domestici in cerca di cibo facile; in particolare dalla prossima primavera quando, diventati più grandi e forti, potrebbero sentirsi attratti da rifiuti, pollai, pecore. Quale sarebbe, da parte nostra, l’errore più grande a questo punto? Ritenere che abbiano bisogno di aiuto, e sentirsi tentati di lasciare del cibo “ai poveri orfani indifesi”.
Fare questo sarebbe stupido e criminale, significherebbe spianare la strada al futuro triste che attende gli orsi confidenti e/o troppo dannosi: catture o abbattimenti gestionali, atti di bracconaggio. Quindi il nostro appello è questo: NON LASCIARE CIBO AI CUCCIOLI; segnalare la loro presenza a chi di dovere, senza pubblicizzarla con foto ai media o sui social network, che richiamerebbero curiosi; stigmatizzare e denunciare comportamenti scorretti da parte di altri nei loro confronti. EVITARE DI TENTARE DI AVVICINARSI O ATTIRARLI e, qualora nelle prossime settimane si avvicinassero a masi, centri abitati, persone, SPAVENTARLI.
Solo insegnando loro che avvicinare l’uomo è pericoloso, possiamo aiutarli a diventare grandi; solo così possiamo tentare di evitare loro di seguire le orme della madre. Vogliamo dare una possibilità ai cuccioli di Daniza?

Convivere con l’orso sulle Alpi (Facebook)

 

Non mi piace questa disputa intorno alla morte di Daniza.

Sta mettendo a nudo la tendenza umana a fantasticare oltre ogni misura che sarebbe ragionevole:

– immaginare realtà diverse e migliori di quella presente è fondamentale (cf. Adam Ewing “Ma cosa è l’oceano, se non una moltitudine di gocce?” – Cloud Atlas);

– perdere di vista la realtà così com’è – e non come vorremmo che fosse – è invece deleterio e genera la violenza di chi odia il presente perchè non è più com’era e di chi lo odia perché non è ancora come dovrà essere.

Aggredito da orso: Galletti, non sto con Daniza nè contro

Fin dall’inizio il progetto di rewilding del Trentino è stato impestato da un processo di estetizzazione che ha interessato entrambe le parti: l’estetizzazione della scienza di Life Ursus, l’estetizzazione dell’orso, l’estetizzazione dei valligiani, l’estetizzazione del Trentino e della sua natura “selvaggia”, l’estetizzazione di una natura che è chiamata ad essere selvaggia per soddisfare i nostri bisogni psicologici, ma nel contempo deve stare alle nostre regole…un mucchio di miti e di scariche emotive, di granitiche certezze, di scarsa disponibilità all’ascolto, alla riflessione, all’analisi dei fatti, anche quelli che non ci piacciono…

Ora occorre trovare un giusto compromesso, un equilibrio tra selvatico e domestico, tra grandi predatori e persone, tra città e mondo rurale, senza snaturare, addomesticare ed estetizzare l’orso (lupo), chi vive in montagna e l’umanità nel suo complesso.

Dobbiamo ascoltarci, capire le ragioni altrui, accettare che ci può essere del vero da una parte e dall’altra, oltre a grossi fardelli passionali che tirano fuori il meglio e il peggio di noi, a seconda che ci assistano, oppure ci dominino.

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Questo, secondo me, vale anche per gli esperti, che oggi si trovano sotto accusa (e non poteva essere diversamente, perché fin dall’inizio hanno preferito non rispondere alla domanda più scomoda: e se la natura non collabora?).

La questione della reintroduzione dei grandi predatori non passa solo per l’educazione del “volgo”. Non è che tutto si sarebbe già risolto se la gente fosse stata informata adeguatamente. Questo è un pregiudizio positivista che non ha più ragion d’essere: la conoscenza non scende solo dall’alto, può anche salire dal basso. Anche gli esperti possono e debbono imparare dal patrimonio di conoscenze acquisite e tramandate nei secoli da una comunità su cui intervengono.

Parliamoci, ascoltiamoci, capiamoci e risolviamo assieme i nostri problemi.

Oppure un giorno arriverà qualcuno che ci spiegherà che, per il nostro bene, sarebbe opportuno castrare la nostra irruenza e la nostra immaginazione (cf. Equilibrium).

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Quando l’umanità odia se stessa – la misantropia serrista

https://twitter.com/stefanofait

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Il disagio nei confronti della modernità, della tecnologia e del loro potenziale trasformativo ed emancipatore, unito alla nostalgia per un idilliaco passato rurale – inesistente se non per pochi privilegiati – ha impresso al movimento ambientalista delle origini un caratteristico conservatore. Molti tra i primi ambientalisti erano di estrazione nobiliare ed è stato questo sostrato culturale a generare l’ecologismo völkish mitteleuropeo – nazionalista, ruralista, etnocentrico – che poi confluì nel nazional-socialismo. Nel Nord America i maggiori magnati erano impegnati a finanziare generosamente tre cause principali: la conservazione ambientale, il controllo delle nascite e l’eugenetica. Erano convinti di essere gli unici a possedere quell’intelletto e sensibilità necessari a rispettare la natura e quindi tendevano a favorire ogni misura che ostacolasse la crescita demografica e la massificazione della natura. Quindi programmi di aborto e sterilizzazione di massa involontari, come quelli proposti dal biologo statunitense Paul Ehrlich (1968) e dall’esperto di ecologia e politiche energetiche John Holdren, ora consulente di Obama per le scienze e la tecnologia (Ehrlich & Holdren 1973). Dal canto loro i britannici James Goldsmith, John Aspinall (proprietario dello zoo di Londra) e Lord Lucan erano di simpatie franchiste e non nascondevano di parteggiare per chi avesse eseguito un colpo di stato autoritario nel Regno Unito e fosse stato in grado di ridurre la popolazione mondiale rimuovendo almeno tre miliardi di persone (Monbiot, 2002; Bright 2005).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/19/prossima-mossa-neoliberista-chi-non-paga-abbastanza-tasse-perde-il-diritto-di-voto-george-monbiot-sul-guardian/

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Il nemico comune dell’umanità è l’uomo. Alla ricerca di un nuovo nemico che ci unisse, ci è venuta l’idea che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la fame ed altre cose del genere sarebbero adatti…Tutti questi pericoli sono causati dall’intervento umano ed è solo attraverso il cambiamento degli atteggiamenti e dei comportamenti che essi possono essere superati. Il vero nemico, dunque è l’umanità stessa” [Alexander King, co-fondatore del Club di Roma (1991)]

Originale: “The common enemy of humanity is man. In searching for a new enemy to unite us, we came up with the idea that pollution, the threat of global warming, water shortages, famine and the like would fit the bill…All these dangers are caused by human intervention, and it is only through changed attitudes and behavior that they can be overcome. The real enemy then, is humanity itself.”

FONTE: “The First Global Revolution: A Report by the Council of the Club of Rome, di Alexander King & Bertrand Schneider” (p. 75)

http://books.google.com/books?id=8RNKHGbzUuAC&pg=PA75&dq=%22The+common+enemy+of+humanity+is+man%22&hl=it&%20ei=EvTQTYubENCUswbS28yoCw&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=2&ved=0CDQQ6AEwAQ#v=onepage&q=%22The%20common%20enemy%20of%20humanity%20is%20man%22&f=false

Dobbiamo garantirci un vasto supporto di base e catturare l’immaginazione del pubblico, il che implica un’amplissima copertura mediatica. Quindi dobbiamo presentare scenari spaventosi, fare dichiarazioni semplicistiche ma drammatiche tralasciando di citare i dubbi che potremmo avere…ciascuno deve decidere quale sia il giusto equilibrio tra efficacia e onestà”.

[Stephen Schneider, biologo a Stanford e paladino dell’AGW/serrismo, Discover, Ottobre 1989]

Originale: “We need to get some broad based support, to capture the public’s imagination… So we have to offer up scary scenarios, make simplified, dramatic statements and make little mention of any doubts… Each of us has to decide what the right balance is between being effective and being honest.”

http://fanuessays.blogspot.it/2011/12/10-miti-da-sfatare-sul-riscaldamento.html

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Essendo patologicamente narcisista e quindi antropocentrico, l’ecologista misantropico non può che distorcere la realtà pur di poter dare la colpa all’umanità di ogni misfatto.

Infatti, “non guidato da un super-io realistico e da un corrispondente adattamento ai limiti della realtà, privo in altre parole della guida di quel “genitore interno” che educa e protegge con retto rigore, il mondo del narcisista è fondamentalmente egoista, infantile e abitato dalla pretesa eccessiva verso gli altri e verso se stesso, dalla cui frustrazione originano i sentimenti di rabbia e odio a cui il narcisista oppone difese diverse, che lo portano ad esistere in una dimensione sempre più alienata e compensatoria di soddisfazioni mancate.

Centrata su aspettative che non possono trovare conferma e su una visione falsa e idealizzata della realtà, l’immagine che il narcisista ha di se stesso è deludente, così come lo è il mondo che lo circonda. È naturale che la vergogna di se stesso, la paura del mondo e la rabbia verso di esso siano le emozioni che fanno da corollario alla patologia narcisistica“.

http://www.aipt.it/Italiano/Pubblicazioni/LBG_ApprIntNarcisismo.htm

Traduzione di scambi di email tra serristi (Climategate II)

“Le osservazioni non mostrano alcun aumento delle temperature in tutta la troposfera tropicale a meno che non si accetti un singolo studio e si ignorino tutti gli altri. Questo è davvero pericoloso”

“Penso anch’io che la scienza sia manipolata a fini politici, il che potrebbe rivelarsi non particolarmente astuto nel lungo termine”

“sembra che poche persone impongano il loro punto di vista e, indipendentemente dai risultati del dibattito, prendano le grandi decisioni, all’ultimo momento, a nome di tutti”.

“Ci sono state diverse presentazioni ingannevoli dei risultati dei modelli da parte di certi autori e dell’IPCC”

“Il trucco potrebbe essere quello di stabilire quale sia il messaggio centrale e poi usarlo per decidere cosa includere e cosa escludere”

“Bisogna convincere i lettori che c’è stato un effettivo incremento della conoscenza, maggiore evidenza empirica. Qual è?”

“È vitale che nell’IPCC si introducano solo persone che conosciamo e di cui ci fidiamo”

“Ho notato che la questione del raffreddamento globale è diventata un problema di relazioni pubbliche con i media”

“Sono d’accordo che sia meglio usare l’espressione cambiamento climatico rispetto a riscaldamento globale”

“E se vien fuori che il cambiamento climatico è principalmente una fluttuazione naturale su base multi-decennale? Probabilmente ci uccideranno”

“Mi pare che se diamo maggior peso all’irradiazione solare nei modelli, allora gran parte del riscaldamento del diciannovesimo e ventesimo secolo sarebbe spiegato unicamente dal sole”.

“C’è un piccolo problema con il regresso dei ghiacciai tropicali. Sono diminuiti di molti negli ultimi 20 anni, eppure i dati indicano che le temperature non sono cresciute a questi livelli”.

“All’Università dell’East Anglia [importante centro di ricerca climatica legato all’IPCC] non ci dovrebbe essere qualcuno con un diverso punto di vista [sul tema: “le recenti estreme condizioni meteo sono dovute al riscaldamento globale”] – o per lo meno non un climatologo”.

“Non sono persuaso che valga la pena di cercare la verità se ciò danneggia le relazioni personali”.

“Phil, grazie per il tuo contributo – ti garantisco che non laveremo i panni sporchi in pubblico”.

“penso che il riscaldamento dovuto all’urbanizzazione dovrebbe essere più ridotto, ma non riesco a trovare un modo convincente di dirlo”.

“Abbiamo scoperto che l’effetto dell’urbanizzazione è piuttosto considerevole nelle aree che abbiamo analizzato…sfortunatamente i nostri commenti in materia sono stati rifiutati dall’IPCC”.

“Ci sono dei coglioni puntigliosi che hanno criticato i dati di Jones et al.: non li vogliamo qui in giro”.

“Il coglione a cui ti riferisci si chiama Gooderich e ha scoperto il riscaldamento urbano in tutte le aree californiane”.

“Abbiamo fatto ogni possibile sforzo statistico per usare dati che non tengano conto dell’effetto di urbanizzazione”

“Quel che Zwiers ha fatto porta ad una conclusione diversa rispetto a Caspar e Gene! Possiamo salvarci stando attenti alle parole che usiamo”

“Sono sicuro che anche tu sei d’accordo che l’articolo Mann/Jones era veramente patetico e non sarebbe mai dovuto essere pubblicato. Non voglio essere associato con quella “ricostruzione” di 2000 anni”

“Perché come si può criticare Crowley per aver espunto 40 anni di dati nel mezzo della sua calibrazione, quando noi stessi abbiamo tolto tutti i dati post-1960…”

“Non prendiamo abbastanza seriamente la responsabilità divina di prenderci cura della Terra…Si stima che 500 milioni di persone vedranno “L’Alba del giorno dopo”. Dobbiamo pregare che colgano il messaggio”.

“Il mio lavoro di direttore del centro nazionale di ricerca sul cambiamento climatico, un lavoro che mi richiede di tradurre in termini di ricerca ed azione la mia fede cristiana a proposito della cura (stewardship) del pianeta di Dio”.

“È inconcepibile che i politici siano disposti a prendere decisioni che costeranno miliardi e miliardi per potersi adattare ai cambiamenti climatici regionali sulla base di modelli che non sanno neppure descrivere e simulare i processi che strutturano la variabilità climatica”.

“Ho gettato la spugna con Judith Curry già da un po’. Non so cosa stia pensando di fare, ma non sta aiutando la causa”.

“Una maniera per tutelarvi potrebbe essere quella di cancellare tutte le email ala fine del processo”.

“Ogni lavoro che abbiamo fatto nel passato grazie alle borse di ricerca che otteniamo dev’essere tenuto nascosto. Ne ho discusso in passato con il principale finanziatore (il dipartimento per l’energia degli Stati Uniti) e sono ben lieti di non pubblicare i dati originali della stazione di rilevamento”.

http://tallbloke.wordpress.com/2011/11/22/breaking-news-foia-2011-has-arrived/#more-3471
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Altre traduzioni:

<1939> Thorne/MetO: Le osservazioni non mostrano alcun aumento delle temperature lungo la troposfera tropicale [il problema dell’hot spot troposferico], a meno che non si prendano in considerazione un singolo studio e un singolo approccio, trascurandone un mucchio di altri. Questo è davvero pericoloso. Dobbiamo comunicare l’incertezza ed essere onesti. Phil [Jones?], magari potremmo trovare il tempo di discuterne ulteriormente se necessario […]

<3066> Thorne: Penso anche che la scienza sia stata manipolata a fini politici, cosa che potrebbe rivelarsi non troppo intelligente a lungo andare.

Wils: Che si fa se il climate change si rivela essere essenzialmente una oscillazione multidecadale? Probabilmente ci uccideranno […]

<1485> Mann: La cosa importante è essere sicuri che stiano perdendo la battaglia delle pubbliche relazioni. Questo è lo scopo del sito [Real Climate].

<5111> Pollack: Ma sarà molto difficile far scomparire il Periodo Caldo Medioevale dalla Groenlandia.

<1790> Lorenzoni: Concordo con l’importanza degli eventi estremi come focus per l’opinione pubblica e governativa […] ‘il climate change’ deve essere presente nella vita di tutti i giorni della gente. Deve essere loro ricordato che è un fenomeno che accade e si evolve in continuazione.

<2428> Ashton/co2.org: Avendone stabilito l’urgenza, la sfida politica è ora di trasfromarla da un argomento che riguarda i costi dei tagli alle emissioni – cattiva politica – a uno concernente il valore di un clima stabile – politica molto migliore […] la cosa migliore da fare è raccontare la storia delle brusche variazioni in modo più vivido possibile.

<2267> Wilson: Sebbene sia d’accordo che i gas serra siano stati importanti nel 19° e 20° secolo (specialmente dal 1970), se ilpeso del forcing solare fosse stato maggiore nei modelli, certamente avrebbe diminuito la significatività dei gas serra. […] Mi sembra che assegnando un peso maggiore alla radiazione solare nei modelli, la maggior parte del riscaldamento del 19° e 20° secolo può essere spiegato dal Sole.

http://daltonsminima.altervista.org/?p=17487

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L’ecologista misantropico vede le evidenti e terribili offese perpetrate dagli umani all’ecosistema e conclude che il pianeta starebbe messo meglio se non ci fossero gli umani. Io la penso diversamente:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/26/il-mondo-non-starebbe-meglio-senza-gli-umani/

«Non dimenticherò tanto facilmente la mostra “ambientalista” organizzata negli anni ’70 dal Museo di Storia Naturale di quella città [New York], con una lunga serie di scenografie che mostravano al pubblico esempi di inquinamento e distruzione ecologica. L’ultima di esse, quella che concludeva la mostra, portava l’incredibile titolo “L’animale più pericoloso della Terra”, e consisteva unicamente di un grande specchio che rifletteva l’immagine del visitatore che si fosse trovato a sostare di fronte ad esso.

Murray Bookchin (1921 –  2006), ecologista non misantropico

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/11/contro-lecologismo-misantropico-che-occulta-cause-e-responsabili/

Pinguini assassini, stupratori e necrofili (questo pianeta è malsano: rassegnatevi animalisti)

 

Un giorno gli esseri umani impareranno ad osservare la realtà senza pregiudizi, senza reinterpretarla arbitrariamente per farcela stare nelle loro categorie mentali antropomorfiche ed antropocentriche.
Il mondo naturale è spietato ed è amorale. Scoiattoli, anatre, iene, pinguini, gatti e topi e persino i tanto idolatrati bonobo non sono morali: non c’è bontà nel mondo animale. Questo è un pianeta che dal punto di vista umano è terribilmente crudele, in cui si vive sempre e comunque a spese degli altri e in cui la violenza è indiscriminata. Quel che ci contraddistingue è la coscienza, la facoltà di stabilire che certe cose sono aberranti, di “sentire” che qualcosa non è giusto, dia vere scrupoli, esitazioni, ripensamenti e rimorsi. Per gli animali lo stupro di gruppo con annegamento finale (anatre), l’assassinio del proprio gemello al momento della nascita (iene), lo sterminio dei piccoli delle madri altrui (scoiattoli), la necrofilia ed il bullismo di branco (pinguini), non sono aberrazioni: sono comportamenti naturali.

“Innamorati, disposti al sacrificio e fedeli. Nell’immaginario collettivo – anche grazie a film che ne hanno descritto le lunghe marce tra la neve per tornare a casa – i pinguini sono l’emblema della monogamia. Ma una scioccante verità, rimasta segreta per un secolo, emerge ora da uno studio scientifico. «I pinguini di Adelie fanno sesso fra maschi, a volte violentano le femmine, uccidono i pulcini, talvolta i maschi si accoppiano perfino con femmine morte, anche da tempo…». Così scriveva circa un secolo fa il naturalista inglese, George Murray Levick, in un rapporto rimasto chiuso in un cassetto per non scandalizzare la Gran Bretagna dei primi del 900.

ANNOTAZIONI IN GRECO – L’esploratore Levick era uno scienziato al seguito della spedizione (finita poi male) di Robert Scott al Polo Sud, che trascorse in Antartide lunghi periodi fra il 1911 e il 1913. Levick passò l’estate del 1911-12 a osservare le colonie di pinguini di Adelie nella zona di Cape Adare. E gli appunti sul comportamento sessuale dei non accoppiati – scritte in greco antico affinché solo pochi potessero leggerle e secretate perché il mondo non inorridisse – sono emerse dall’oblio 100 anni dopo, in un mondo pronto ad accogliere quelle «terribili verità» che un uomo di epoca eduardiana non poteva divulgare.

CARTE SEGRETE – Le «carte segrete» sulle «depravazioni» sessuali furono stralciate dal trattato che Levick scrisse, una volta tornato a Londra, sulla base delle sue osservazioni, intitolato «Natural History of the Adelie Penguin» (Storia naturale del pinguino di Adelie). Delle carte segrete, intitolate «Sexual Life of the Adelie Penguin» (La vita sessuale dei pinguini di Adelie) e circolate solo in un ambiente ristretto, si è salvata almeno una copia, ritrovata dal curatore della sezione sugli uccelli del Museo di Storia Naturale di Londra, Douglas Russell, fra le carte originali della Spedizione Scott.

OSSERVAZIONI CREDIBILI – Russell le ha fatte pubblicare sulla rivista specializzata Polar Record, in un’edizione critica dei lavori di Levick. «Il pamphlet – spiega Russell alla Bbc – osserva e commenta la frequenza dell’attività sessuale, il comportamento auto-erotico e il comportamento apparentemente aberrante di giovani pinguini non accoppiati, maschi e femmine, che comprende la necrofilia, la coercizione sessuale, l’abuso sessuale sui pulcini e attitudine omosessuale». Le sue osservazioni, dice l’esperto, sono «accurate e credibili».

BABY GANG DI STUPRATORI – Fra i momenti più drammatici del comportamento dei pennuti antartici descritti da Levick, c’è quello in cui «i piccoli balordi in bande di sei-sette individui si aggirano attorno alle collinette, molestando i loro simili che vi abitano con azioni violente». E così descrive femmine ferite stuprate da membri di queste «gang», che spesso abusano dei piccoli davanti ai genitori, poi calpestandoli, alcuni a morte.

NECROFILIA – Ma la cosa che provoca il maggiore disgusto nello scienziato inglese è osservare una femmina morta, distesa con gli occhi socchiusi, che appare simile a una femmina sessualmente compiacente, con la quale si accoppia un maschio (forse inconsapevole) necrofilo.

Carlotta De Leo

http://www.corriere.it/animali/12_giugno_10/pinguini-perversioni-sessuali-depravazioni-necrofili-stupratori_e7fca83e-b30c-11e1-8b75-00f6d7ee22cc.shtml

La verità sulla nostra conquista di Caprica

Dedicato a tutti gli amanti di CapricaBSG, V-Visitors e V e a chi contrasta l’imperialismo umanitario in ogni sua forma.

“Non fare al tuo vicino quello che ti offenderebbe se fatto da lui” (Pittaco);

“Evita di fare quello che rimprovereresti agli altri di fare” (Talete);

“Quello che vorresti i tuoi vicini facessero a te, ciò sia anche per loro” (Sesto Pitagorico);

“Non fare agli altri ciò che ti riempirebbe di ira se fatto a te dagli altri” (Isocrate);

“Ciò che tu eviteresti di sopportare per te, cerca di non imporlo agli altri” (Epitteto);

“Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12; Lc 6,31);

“Quel che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini” (Confucio, Dialoghi);

“Non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te” (rabbi Hillel, Sabbat);

“Nessuno di voi è un credente, fintanto che non desidera per il proprio fratello quel che desidera per sé” (al-Nawawi, Hadith);

“L’uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza verso le cose mondane e trattare tutte le creature del mondo così come vorrebbe essere trattato” (gianismo, Sutrakritanga);

“Una condizione, che non è gradita o piacevole per me, non lo deve essere nemmeno per lui; e una condizione che non è gradita o piacevole per me, come posso imporla ad un altro?” (buddismo, Sanyutta Nikaya);

“Non bisognerebbe comportarsi verso altri in un modo che non è gradito a se stessi: questa è l’essenza della morale” (induismo, Mahabharata).

La popolazione terrestre non sa la verità su come abbiamo conquistato Caprica, ed è tempo che lo scopra.

Abbiamo sempre creduto che ciò che facevamo era il meglio per noi e per loro, che stavamo facendo un favore ai Capricani, che la nostra conquista non era distruttiva, ma soft, l’unica opzione giusta, logica, necessaria. Per questo ci siamo convinti che la loro sottomissione sia stata volontaria ed entusiasta.

Ma li abbiamo ingannati, manipolando la loro percezione della realtà, spacciando per canali diplomatici e donazioni tecnologiche (come segni della nostra buona volontà) delle strategie di disorientamento, distrazione, inganno e progressiva occupazione. Abbiamo insegnato loro che il loro vittimismo era una prospettiva sbagliata e che non eravamo oppressori ma fratelli e che la nostra missione doveva essere onorata, non contrastata. Volevamo sorrisi, non lacrime e alla fine ce l’abbiamo fatta. Abbiamo offerto loro conoscenza tecnica, ma non avevamo saggezza da condividere e forse abbiamo sradicato quella che ci avrebbero potuto donare loro. Se non lo abbiamo capito è perché siamo troppo antropocentrici, troppo sicuri di noi, sicuri della giustezza della nostra causa, della validità della logica dell’utile. In realtà siamo dei conquistadores, per nulla migliori di quelli che spazzarono via le civiltà indigene delle Americhe circa 700 anni fa.

Dovete capire come abbiamo agito e riflettere, perché siamo affetti da una sindrome a ripetere gli stessi errori, scambiandoli per virtù.

Abbiamo incoraggiato la soppressione del loro discernimento critico ed abbiamo detto loro che non potevano malgiudicarci, vista la condizione miserevole della loro civiltà. Il loro era ipocrita moralismo, puntare il dito contro dei soccorritori era poco saggio. Abbiamo spiegato che la loro percezione di noi era sviata da pregiudizi e preconcetti, come quella di un animale ferito che si ritrae di fronte al veterinario che lo vuole curare: “Siamo venuti ad istruirvi su ciò che è meglio per voi, sono le vostre paure irrazionali a confondervi!”. Li abbiamo convinti che erano più primitivi di quel che erano realmente e che noi avevamo completato il loro percorso da molto tempo, conoscevamo le loro difficoltà avendone fatta esperienza diretta e proprio per questo eravamo i più indicati ad assisterli nella loro evoluzione.

“Non c’è giusto o sbagliato, bene e male: quelle sono etichette apposte da mentalità arretrate. Facciamo tutti parte della grande famiglia delle specie viventi dell’universo, non possono esistere invasori ed invasi. Siamo come voi, non solo anatomicamente. Siamo come dei fratelli maggiori. Se ci temete è solo perché temete quella parte di voi che vi manca; è solo un senso di inadeguatezza a cui possiamo porre rimedio”. Così siamo riusciti a farci delegare le loro coscienze ed abbiamo deciso per loro cosa era “meglio” per loro, ossia per noi. Li abbiamo persuasi che quanto maggiore fosse stata la libertà d’azione che ci concedevano, tanto minori sarebbero stati i patimenti causati ad una resistenza futile e controproducente e tanto maggiore sarebbe stata la gioia, il godimento della scoperta, delle sperimentazione di un mondo nuovo, una Nuova Caprica (cf. Terra Nova).

Naturalmente non tutti i terrestri hanno osservato il protocollo, ma abbiamo sfruttato quei pochi devianti per dimostrare che si trattava di una piccolissima minoranza e che anche loro un giorno avrebbero potuto tollerare benevolmente uno sparuto gruppo di intrattabili.

Quanto ai rapimenti, alla sorveglianza, alle missioni di perlustrazione, a certi “incidenti” abbiamo rassicurato i Capricani: dovevamo capire con chi avevamo a che fare per poter massimizzare la qualità del nostro intervento. Siamo stati riluttanti a contattarli apertamente dal momento che ci sono apparsi subito come una razza inutilmente violenta, aggressiva, autodistruttiva. Inoltre certi imprevisti sono sempre in agguato, nessuno è perfetto e non c’è ragione di sentirsi meno sicuri solo per qualche spiacevole evento episodico.

Il tocco di classe è stato ammonirli che se avessero rifiutato il nostro aiuto rischiavano prima o poi di essere colonizzati da civiltà spietate interessate unicamente alle risorse di Caprica. Noi li avremo difesi, eravamo la migliore garanzia per la loro sopravvivenza. E questo valeva anche per i loro problemi interni. I Capricani, come noi Terrestri di qualche generazione fa, erano afflitti da carestie, miseria, alti costi dell’energia, epidemie, devastanti impatti del cambiamento climatico, guerre, insurrezioni, ecc. Abbiamo spiegato loro che il nostro know-how poteva risolvere ogni loro problema e che senza le nostre competenze e i nostri miracoli tecnologici e scientifici non sarebbero riusciti a sopravvivere. Abbiamo promesso loro l’attuazione di un vasto programma eugenetico che avrebbe drasticamente migliorato i loro corpi e le loro menti, abolendo certe emozioni ed atteggiamenti problematici. Nuova Caprica sarebbe stata un mondo di amore, pace e prosperità. Non serve dire che l’obiettivo di ogni tirannia è proprio quello di imporre la pace e l’ordine attraverso l’annientamento di ogni opposizione e di indipendenza di pensiero. In uno stato totalitario ideali come la pace, la fratellanza, la generosità e l’unità sono incoraggiati a condizione che possano servire i fini di chi detiene il potere. Ci siamo comportati come tiranni perché lo siamo, anche se ci piace credere che le cose stiano diversamente.

Ci serviva un capro espiatorio per poter completare l’opera e la scelta è stata ovvia. La classe dirigente del pianeta Caprica era semplicemente impresentabile, dedita a trame e complotti unicamente finalizzati all’espansione del loro potere e ricchezza. I Capricani erano già in rivolta e noi abbiamo corrotto alcuni di loro per usarli e poi disfarcene. Erano così accecati dal loro narcisismo da credere che non sarebbero mai stati tra gli scarti. Abbiamo spiegato ai Capricani che i loro capi erano responsabili della coltre di disinformazione e censura intorno alla nostra esistenza e presenza, che rappresentavano una casta che non voleva consegnare l’autorità al popolo sovrano e che il loro voto diretto avrebbe autorizzato un nostro intervento salvifico. In realtà avevamo già fornito a certi potentati le tecnologie necessarie a controllare i dissidenti anti-terrestri.

Il bene dei Capricani non è mai stato in cima alla scala delle nostre priorità. Abbiamo usato le loro religioni per farci obbedire, per farci passare come angeli, come dèi e portare a termine il nostro programma di pacificazione ed uniformazione. Molti Capricani erano così sfiduciati ed afflitti da scarsissima autostima e ancor minore stima nei confronti della loro specie e civiltà, che tutto è filato liscio come l’olio. Ci hanno visti come liberatori e salvatori, l’unica speranza per un mondo migliore, in cui l’egoismo e la psicopatia dell’élite non avrebbero più costituito una minaccia. Così i Capricani più disperati sono diventati i nostri migliori alleati, dei fanatici pronti a sopprimere ogni voce dissenziente, per quanto ragionevole, accusandola di sabotaggio, alto tradimento, terrorismo, ecc.

È questo che abbiamo fatto a Caprica.

So che molti di voi approveranno il nostro operato, ma non nutro alcun dubbio che ciascuno raccoglierà ciò che ha seminato: non sono questi i semi che voglio veder germogliare.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/17/teologi-in-favore-della-violazione-della-prima-direttiva-di-star-trek/
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/05/nessuno-ha-il-diritto-di-comportarsi-come-se-fosse-dio/

Salvate le lumache! George Carlin mi mette in riga

Milioni di persone, migliaia di monumenti simbolo, uffici e abitazioni private rimangono al buio per 60 minuti per sensibilizzare contro il riscaldamento globale e a favore di uno stile di vita sostenibile.

La Repubblica, l’Ora della Terra, 31 marzo 2012

Non punisce, non premia, non giudica affatto.
George Carlin

Sono un ambientalista e devo ammettere che George Carlin mi ha beccato in castagna e gliene sono gratoServe più gente che ci dica quel che non vogliamo sentire, sentirci dire, confessare a noi stessi, che smascheri le nostre ipocrisie, che ci sbatta in faccia le nostre paurose contraddizioni. Carlin era una di quelle persone.

“Non abbiamo già fatto abbastanza? Siamo così presuntuosi, così presuntuosi. Ognuno si ripromette di salvare qualcosa, adesso. Salviamo gli alberi, salviamo le api, salviamo le balene, salviamo le lumache. E, colmo dell’arroganza: salviamo il pianeta. Cosa? Stiamo scherzando? Salviamo il pianeta? Noi non sappiamo ancora nemmeno come prenderci cura di noi stessi, non abbiamo imparato a prenderci cura gli uni degli altri, ma adesso ci mettiamo a salvare il pianeta. Mi sto stancando di questa merda. Sono stanco della Giornata della Terra. Sono stanco di questi ambientalisti ipocriti. Questi bianchi, borghesi, progressisti che pensano che l’unica cosa sbagliata di questo paese è che non ci sono abbastanza piste ciclabili. Persone che cercano di rendere il mondo sicuro per le loro Volvo. E comunque agli ambientalisti non gliene frega nulla del pianeta, non si preoccupano del pianeta al di là delle loro astrazioni. Sapete che cosa gli interessa? Un luogo pulito in cui vivere. Il loro habitat. Sono preoccupati che un giorno potrebbero perfino essere incomodati in prima persona.

Inoltre, non c’è niente di sbagliato in questo pianeta. Il pianeta sta bene. Siamo noi ad essere fottuti. Il pianeta sta bene, sta andando alla grande, in confronto alle persone. È stato qui da quattro miliardi e mezzo di anni. Avete fatto i calcoli? Il pianeta è stato qui quattro miliardi e mezzo di anni, mentre noi ci siamo stati per centomila, forse duecentomila anni. E ci siamo dati all’industria pesante per circa duecento anni. Duecento anni rispetto a quattro miliardi e mezzo, ed abbiamo la presunzione di pensare, in qualche modo, di essere una minaccia, che in qualche modo stiamo mettendo a repentaglio questa bella pallina verde-blu che fluttua intorno al sole. Il pianeta ne ha passate di molto peggio, rispetto a noi. Terremoti, vulcani, tettonica a zolle, deriva dei continenti, brillamenti solari, macchie solari, tempeste magnetiche, l’inversione magnetica dei poli, centinaia di migliaia di anni di bombardamenti da parte di asteroidi e comete e meteore, le inondazioni e gli incendi in tutto il mondo, maremoti, erosione, raggi cosmici, glaciazioni ricorrenti, e pensiamo che alcuni sacchetti di plastica e alcune lattine di alluminio possano fare la differenza. Il pianeta non sta andando da nessuna parte. Siamo noi che ce ne stiamo andando via. Fate i bagagli. Ce ne stiamo andando e non resterà traccia di noi, grazie a Dio. Forse un po’ di polistirolo. Forse. Il pianeta sarà ancora qui e noi saremo ormai lontani. Solo un’altra mutazione che non è andata a buon fine, un errore biologico. Un vicolo cieco evolutivo. Il pianeta si scrollerà di dosso tutti noi, come delle pulci pestifere. Un fastidio superficiale.

Volete sapere come se la cava il pianeta? Chiedete a quelle persone a Pompei trasformati in statue dalle ceneri vulcaniche. Se volete sapere se il pianeta se la passa bene, basta chiedere a quelle persone a Città del Messico, o in Armenia o in cento altri luoghi sepolti sotto migliaia di tonnellate di macerie dai terremoti. Domandate a loro se questa settimana si sentono una minaccia per il pianeta”.

Qui c’è l’intero segmento e merita:

AGGIORNAMENTO:

“Questo non è il primo investimento di un orso in Trentino Alto Adige. Nel 2008 un cucciolo di orso bruno era stato trovato morto ai bordi della strada provinciale tra Preore e Villa Rendena, probabilmente travolto di notte da un veicolo in transito. Nella stessa zona nel 2005 era stato investito un altro orso, che però non aveva subito traumi importanti. Nel 2001 l’orsetta “Vida” era stata invece urtata da una macchina sull’autostrada del Brennero fra Trento e Bolzano e nel 2009 una guardacaccia aveva investito un esemplare nella zona di Passo Palade. In entrambi i casi l’animale era però sopravvissuto”.
http://www3.lastampa.it/cronache/sezioni/articolo/lstp/451282/

è quel che succede quando l’uomo gioca a fare il dio e decide chi deve stare dove sul “nostro” pianeta.

History Channel, gli alieni, l’archeologia misteriosa e l’attenzione dei media intorno ad un argomento scomodo

http://it.wikipedia.org/wiki/History_%28Italia%29

http://it.wikipedia.org/wiki/Yonaguni

http://it.wikipedia.org/wiki/Macchina_di_Anticitera

“History” (History Channel) intervista un gran numero di specialisti (più o meno “autorevoli”) che spiegano perché le tecnologie dei nostri antenati non potevano consentire loro di realizzare certe opere magnifiche. O violavano impunemente le leggi della fisica o disponevano di strumenti non documentati dalla ricerca archeologica. L’ipotesi è che qualcuno, da fuori, li abbia aiutati.

Magari sono vere entrambe le cose. Magari in alcuni casi non è così e non c’è nulla di misterioso, in altri invece resta qualche dubbio.
Ne approfitto per dire la mia, usando History Channel come mero spunto.

Chi mi segue da tempo sa che sono giunto alla conclusione che l’umanità non sia in cima alla catena alimentare ed alla piramide sociale di questo pianeta:
http://www.informarexresistere.fr/2011/12/24/alienologia-corso-avanzato-parte-prima-rudimenti-di-fisica-del-superspettro/#axzz1nNrT1Utx
http://www.informarexresistere.fr/2011/12/24/alienologia-corso-avanzato-parte-seconda-la-storiografia/#axzz1nNrT1Utx

Se si rigetta questa possibilità è spesso a causa di un nostro tratto caratteristico: siamo una specie cronicamente antropocentrica e megalomane che crede di rappresentare il pinnacolo dell’evoluzione nell’universo visibile. Come possiamo credere seriamente di essere soli nell’universo e che nessuno sia mai giunto in questi paraggi? Mi sembra un po’ infantile e anche un po’ deprimente: mi auguro che ci sia di meglio là fuori (temo ci sia anche di peggio).

Ma è anche per paura di quelle che sarebbero le implicazioni: chi si sentirebbe tranquillo se sospettasse che non abbiamo il pieno controllo di noi stessi e che altri esseri viventi ci trattano come bestiame ed hanno organizzato la nostra civiltà in modo tale da impedirci di formarci un’idea chiara della realtà fisica, del nostro potenziale e degli ostacoli che sono stati scaltramente posti sul nostro cammino per mantenere le cose come stanno?

Mi rendo conto che non sia facile e per nulla piacevole.

Dunque neghiamo una possibile spiegazione della realtà perché qualcuno ci spinge a farlo e per dei meccanismi psicologici.

Una volta qualcuno mi ha chiesto: ma come fai a vivere questa cosa così serenamente, se ne sei davvero convinto?

Per diverse ragioni:

1. non credo che il corpo sia l’elemento centrale del nostro essere:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/11/la-paura-della-morte-non-ha-molto-senso/#axzz1nNrT1Utx

anche se a qualcuno fa comodo che continuiamo a crederlo:

http://www.informarexresistere.fr/2012/02/23/la-morte-ti-fa-bella-%E2%80%93-il-lusso-il-teschio-e-le-astuzie-del-potere/#axzz1nNrT1Utx

2. non credo che il nostro destino di esseri umani sia quello di essere bestiame. Qualcosa è successo in passato, qualcuno ha fatto delle scelte stolte e siamo caduti in questa condizione, ma nulla è perduto, ci sarà sempre la possibilità di un riscatto, se ci rendiamo conto della nostra reale situazione. Potremmo tornare ad essere quel che eravamo;

3. ho l’impressione che le mille trasformazioni del nostro tempo segnalino l’imminenza di una via di fuga di qualche genere. È possibile che l’iperattività dei potenti, a tratti confusa, a tratti disperata, sia dovuta al fatto che temono di perdere il controllo della MegaMacchina. Forse non sono solo loro a temerlo;

4. vedo che tante altre persone come me, che hanno fatto le medesime considerazioni, ma sono più lucide e sagge di me, vivono la cosa come una grande esperienza di vita e non sembrano particolarmente scosse, intimidite, intimorite o ansiose;

5. non ci sto a pensare tutto il tempo e comunque non ho la certezza assoluta che le cose stiano così;

6. Là fuori c’è un po’ di tutto, quindi ci saranno anche civiltà benevole o neutre, non solo lupi travestiti da agnelli:
http://www.informarexresistere.fr/2012/01/18/la-sindrome-del-feto-egoista-come-vivono-e-cosa-pensano-gli-angeli-caduti/#axzz1nNrT1Utx

7. Non ci posso fare nulla;

Ad ogni modo, perché History Channel dovrebbe mandare in onda un documentario così controverso?

Qualcuno dirà che History Channel è una produzione poco seria e cerca solo di fare audience. Il che è certamente vero.

Qualcun altro sostiene che c’è l’intento di preparare il terreno per quella che in inglese viene chiamata “disclosure”, la rivelazione di qualcosa che era stato occultato. Osservo che ultimamente anche Telegraph, Guardian, Le Monde, Corriere della Sera, NYT, ecc. riportano notizie sugli UFO.  Il Corriere, per qualche ragione, ospita persino un blog a tema:
http://misterobufo.corriere.it/

Sia come sia, ritengo sia saggio tenere la mente aperta e gli occhi aperti, poiché è fuori di dubbio che:

“There are more things in heaven and earth, Horatio, than are dreamt of in your philosophy”

[“Ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia”]

William Shakespeare, Hamlet/Amleto

Non siamo scimmie nude – diritti umani, diritti degli animali, specismo e violenza

a cura di Stefano Fait


Si sono dette un mucchio di sciocchezze sugli esseri umani e sui primati. Qui cerco di usare il buon senso e dati empirici per fare chiarezza una volta per tutte.
Non è una questione marginale: i diritti umani, la prospettiva di un riscatto, la democrazia, la speranza, la fiducia, l’idea di progresso morale, di civilizzazione e maturazione…tutto questo e molto altro dipende da che concezione di natura umana prevale in un dato periodo.

L’idea che ogni essere umano, indipendentemente dalle sue virtù o manchevolezze, è prezioso ed insostituibile informa il nostro giudizio morale riguardo a come si trattano gli esseri umani. Ci comportiamo diversamente nei confronti degli animali perché in loro questa individualità è marcatamente attenuata. Gli insetti, in particolare, non ispirano particolare rimorso, in noi, se li uccidiamo accidentalmente.

Da bambino, il mio raccapriccio nel vedere altri bambini torturare degli insetti non derivava dalla mia empatia verso le vittime, ma dal senso di ripulsa che provavo, istintivamente (non v’era alcuna ponderazione, allora), nei confronti di esseri umani incapaci di trattenere la loro bestialità, ossia di porre un freno al loro potere, di disciplinare la tracotanza, di ascoltare la voce della coscienza.

Non siamo scimmie nude. Gli esseri umani apprendono e progrediscono perché sono in grado di capire che il cambiamento è preferibile ad uno stato di ignaro appagamento, che la vita reale non deve necessariamente seguire le istruzioni contenute nel copione della tradizione, perché una vita creativa, innovativa e vibrante, cioè una vita culturale, può essere immensamente più gratificante.

La lentissima evoluzione degli scimpanzé (se mai c’è stata), che pure sono geneticamente così prossimi agli esseri umani, è la prova più evidente di questa distinzione di fondo. Ciascun essere umano è votato al cambiamento ed è destinato a contribuire al cambiamento del pianeta; in questo, nessun animale si avvicina anche lontanamente alla condizione umana.

Eppure l’incrollabile persuasione che non vi sia mai stata una vera e propria fuga dalla natura e che il nostro temperamento e la nostra condotta di vita siano ancora fortemente determinati da una natura biologica ancestrale ha spinto alcuni ad ipotizzare che l’ipotetico Uomo Naturale non debba essere poi molto diverso dallo scimpanzé (Stanford, 2001).

Secondo questi evoluzionisti gli umani condividono in gran parte con i loro “cugini” primati una natura ominide universale, trasmessa geneticamente. Siccome la cultura, ai loro occhi, è il precipitato delle nostre esigenze evolutive, ne consegue che la cultura umana altro non è che una versione più sofisticata della cultura degli scimpanzé (Kuper, 1994). Tuttavia, come sottolinea Charles S. Peirce, è un grave errore logico quello di ritenere che sia assai probabile che due cose che si rassomigliano molto per certi aspetti siano molto simili anche per altri aspetti. La separazione dei percorsi evolutivi della specie umana e delle altre specie di primati è avvenuta quasi 7 milioni di anni fa. È difficile credere di poter chiudere un occhio su quel che può essere avvenuto in questi 14 milioni di anni (sette milioni di anni per ciascuna diramazione) di evoluzione divergente.

È possibile che l’evoluzione biologica degli scimpanzé non sia coincisa con delle modificazioni rilevanti nel loro comportamento e stile di vita (Tattersall, 1998). In ogni caso parlare di cultura nel caso degli altri primati è drammaticamente riduttivo. La presunta evoluzione culturale degli scimpanzé è così fiacca che non hanno ancora raggiunto neppure l’età della pietra e le dimensioni del loro cranio sono rimaste pressoché immutate per milioni di anni, sempre stando a quanto ci è dato di capire al momento attuale.

Al contrario i cani, che sono geneticamente più distanti da noi rispetto agli scimpanzé, ma hanno condiviso il nostro ambiente domestico per almeno 10 mila anni e forse molto di più, sono in grado di comunicare con gli esseri umani in modi più complessi cioè, in un certo senso, sono più partecipi della cultura e dell’intelligenza umana.

Sembra che alcuni primatologi, invece di concentrarsi su che cosa renda unici gli scimpanzé, e quindi degni di considerazione in quanto tali, siano ossessionati dall’idea di dimostrare quanto siano simili agli esseri umani, come se questo li rendesse più speciali e più meritevoli di tutela. In altre parole proprio chi denuncia teologi ed antropologi di antropocentrismo (come se questa fosse una colpa) non ne è affatto esente, anzi.

Il problema è che difendere i diritti degli animali è “politicamente corretto” e moralmente lodevole, ma non è per questo scientificamente rigoroso. Ancor meno se lo si fa minimizzando le oggettive e straordinarie differenze che separano gli esseri umani dal resto del regno animale. Non c’è nulla di antropocentrico nel sottolineare quel che ci rende unici, cioè un dato di fatto incontrovertibile, così come non sarebbe corretto accusare di bonobocentrismo chi rileva l’unicità degli scimpanzé bonobo.

Ogni essere vivente è unico e prezioso ma, come osservava il genetista e biologo evolutivo Theodosius Dobzhansky, con un riuscito gioco di parole, “ogni specie vivente è unica, ma la specie umana è la più unica”.

Uno scimpanzé è uno scimpanzé, parte di un ramo dell’albero della vita che non rinascerà mai identico a se stesso, e non un tentativo prematuramente fallito di generare un essere umano. Costringere gli scimpanzé in cattività a comportarsi come esseri umani, per poter provare che possiedono innate capacità di risoluzione di problemi, di uso di forme rudimentali di linguaggio e di formazione di un’autocoscienza sembra testimoniare, nella migliore delle ipotesi, la difficoltà per alcuni esperti di accettare il fatto che un membro di una specie non si troverà mai a suo agio comportandosi come un membro di un’altra specie. Nella peggiore delle ipotesi si tratterebbe invece dell’ostinazione antropomorfizzante di chi vede negli scimpanzé un essere umano incompiuto, il cui sviluppo si è interrotto per cause a noi ignote, piuttosto che uno scimpanzé completo. Non potendo parlare di razzismo, in questo caso si dovrebbe parlare di “specismo”.

Non è forse lo stesso atteggiamento coloniale ed imperialista usato dall’Occidente nei confronti dei “primitivi”?

Il fatto è che parlare del comportamento animale in termini umani significa calarli metaforicamente nella matrice delle istituzioni e delle pratiche umane, umanizzandoli, per poi dedurre dalle somiglianze necessariamente riscontrate che il comportamento umano in effetti non può che affondare le sue radici in quello animale. Insomma con un procedimento logico circolare si inseriscono nella premessa le conclusioni che si dovrebbero invece dimostrare.

Tuttavia, anche se certi animali si comportano in modo apparentemente simile agli esseri umani, non è detto che lo facciano per le stesse ragioni che guidano il nostro comportamento. Dopo tutto gli esseri umani sono animali, ma non è vero il contrario. Questa conclusione dovrebbe essere evidente a chiunque non si lasci incantare dalla vezzosa immagine di una Disneyland naturale. L’umanizzazione degli animali e l’animalizzazione degli umani sono di ostacolo alla scienza. Anche se permane una certa propensione a raffigurare l’uomo come “un carciofo da cui puoi togliere le foglie spinose della cultura lasciando solo il nudo cuore tenero dell’uomo naturale” (Marks, 2003: p. 163), va chiarito una volta per tutte che non v’è alcuna natura umana al di fuori della cultura. Natura e cultura non possono essere separate per poter confermare le ipotesi che più ci aggradano.

Neppure l’intento, pur nobile, di rendere gli esseri umani meno arroganti nei confronti degli altri animali può giustificare l’inclinazione a minimizzare quelle caratteristiche che ci distinguono dagli altri primati, che non sono certo il pelo e la promiscuità, ma le facoltà intellettive. Rifiutare l’antropocentrismo per scalzare l’uomo dal suo piedistallo e per promuovere una maggior sensibilità verso gli animali è una scelta di natura morale, non scientifica. Gli esseri umani sono animali culturali e le nostre capacità sono aggiuntive e non alternative a quelle degli altri animali. È proprio questo che ci rende animali differenti da tutti gli altri. La differenza quantitativa tra lo sviluppo umano e quello degli altri animali è tale che può legittimamente essere descritta come una divergenza di ordine qualitativo.

Dopo tutto gli altri primati hanno avuto lo stesso tempo per sviluppare una loro cultura, eppure finora non abbiamo trovato indizi inequivocabili di progresso culturale – se per “cultura” intendiamo creatività, originalità, innovazione e l’abilità di trasmettere certe nozioni alle generazioni successive. Sono le invenzioni il carburante dell’evoluzione culturale e gli animali, fino a prova contraria, non inventano nulla, si limitano ad imitare. Sanno usare semplici utensili, ma non li sanno fabbricare, né pare che sappiano trasmettere alle successive generazioni il modo d’uso appropriato. È come se ad ogni generazione, morti gli esemplari che avevano appreso per esperienza, bisognasse ricominciare tutto da capo.

L’uomo non è una scimmia nuda per la stessa ragione per cui il Barolo non è succo d’uva, anche se entrambi derivano dall’uva. La cultura fa la differenza: senza la cultura le società umane non si differenzierebbero molto da quelle delle scimmie, né il Barolo dal succo d’uva. L’antropologia e l’etnologia hanno il compito di definire in che cosa consista questa differenza. L’etologia, lo studio del comportamento animale, può dirci ben poco in proposito.

La questione centrale di questo dibattito è perciò chiaramente il ruolo da assegnare alla cultura nello sviluppo umano. La cultura è il frutto delle nostre elaborazioni mentali, cioè della nostra mente, che è una proprietà emergente del cervello che ancora facciamo fatica a comprendere e non può certo essere ridotta alle nostre funzioni biologiche, ad una faccenda di biologia molecolare, anche se questo è ciò che certi scienziati e commentatori tendono a fare. Affermare che la cultura sia un fenomeno biologico è un’enorme scempiaggine (Jones, 1993).

Nel corso del progresso umano la nostra specie ha completato una transizione essenziale, dal corpo alla mente, e le prodezze della nostra mente trascendono largamente il nostro DNA e, in parte, la nostra corporeità. Esistono certamente numerosi istinti innati, ma la nostra specie, unica fra tutte, non deve per forza sottostarvi. La selezione naturale è stata rimpiazzata da quella artificiale, in un ambiente artificiale che, per definizione, non produce evoluzione nel senso naturalistico del termine.

Quanto alla capacità di acquisire e manipolare un corredo simbolico, essa non è latente negli altri primati, cioè non si sviluppa normalmente quando si verificano le condizioni più idonee. Il linguaggio, forse la più importante componente della cultura, ma non certo l’unica, costituisce una tale agevolazione evolutiva che è altamente improbabile che una specie dotata dell’abilità di usarlo non se ne sia avvalsa. In natura non esistono animali che insegnano ad altri animali, se non per emulazione passiva. In cattività gli animali apprendono non per imitazione, ma solo grazie all’intervento di istruttori umani. Il linguaggio ha permesso alla specie umana di inventare un uso specifico per degli oggetti, trasformandoli in utensili, e di far capire ai membri di un gruppo la natura e funzione di quegli oggetti. Cioè ha consentito la trasformazione dell’ambiente di vita e quindi della specie, un atto che segna l’inizio della storia. Questo distingue la cultura, che include la tecnologia, i comportamenti, le idee ed il linguaggio, dalla natura, l’utensile dalla cosa, l’informazione dalla conoscenza, l’invenzione dall’atto casuale e l’essere umano da ogni altro animale.

In altre parole, l’etica e la cultura sono un prodotto della mente umana in un ambiente antropizzato. Non possiamo ricavare alcuna prescrizione morale dalla natura perché essa è del tutto amorale. La nostra esistenza o l’esistenza di qualunque altra specie vivente le è del tutto indifferente. È questo che ha reso necessaria la nostra fuga dalla natura nella cultura: la natura ci stava ormai stretta.

La cultura è dunque a buon diritto quel piedistallo che gli esseri umani si sono costruiti nel corso della loro storia evolutiva e sul quale sono poi saliti: nessuno ci ha messi lì, se non noi stessi e peraltro non senza buone ragioni. A livello cognitivo, non siamo neanche una mera estrapolazione o raffinamento di tendenze precedenti (Tattersall & Schwartz, 2000).

È concettualmente e metodologicamente corretto considerarci speciali e unici, senza per questo sentirci autorizzati a dar mostra di un altezzoso autocompiacimento. Preferire il Barolo non significa disprezzare il succo d’uva, e l’Umanesimo e l’Illuminismo sono la miglior testimonianza del fatto che sentirsi speciali può incoraggiare lo sviluppo di un sincero senso di responsabilità universale, anche e soprattutto verso gli animali. Al contrario una delle lezioni della storia è che proprio la naturalizzazione radicale degli esseri umani è quasi sempre sfociata nel genocidio o nella pulizia etnica. Questo lo aveva ben capito lo stesso Charles Darwin, nel suo “L’origine dell’uomo”, in cui denunciava senza mezzi termini il riduzionismo zoologico degli esseri umani, che imputava il male alla Bestia Interiore (Mayr, 2000).

D’altronde il dogma centrale del nazional-socialismo era che la lotta per la sopravvivenza è una legge iscritta nella natura che per ciò stesso dev’essere applicata alle società umane. Ciò sancì l’emergere della nozione di comunità biotica (biocrazia), in cui la separazione tra animali ed esseri umani era annullata (riduzionismo zoologico) mentre la linea divisoria tra malati e sani finì per coincidere con quella tra morte e vita (Sax 2000). Solo chi era costituzionalmente sano e razzialmente eletto era degno di prevalere nella lotta per la vita. Il resto della specie umana poteva solo servire o estinguersi. Non si possono più ignorare le tragiche conseguenze dell’idolatria di una natura antropomorfizzata e della naturalizzazione degli esseri umani tipiche del nazismo. Come detto, la natura ci stava e ci sta sempre più stretta e così siamo stati costretti a fuggire dalla natura nella cultura. Non c’è nulla di moralmente abominevole in questo, con buona pace dei militanti dell’Avatarismo:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/04/avatar-nuove-frontiere-del-grottesco-e-del-totalitario/#axzz1mLNsw14z

*****

Anche i genetisti stanno gradualmente rendendosi conto di aver arbitrariamente e frettolosamente semplificato ciò che andava esaminato con cautela. Per oltre trent’anni ci hanno detto che biologicamente e poi geneticamente la distanza tra scimpanzé ed esseri umani era molto ridotta, circa l’un 1 per cento e ciò doveva bastare a chi si ostinava a sottolineare le peculiarità umane. Ma negli ultimi tempi questa ortodossia è stata messa in discussione e ci si è chiesti se quel valore statistico non costituisse più un ostacolo che uno strumento euristico, specialmente se spingeva gli scienziati a costruire mappe concettuali palesemente errate. Hanno cominciato a fare la loro comparsa studi che riducevano la convergenza tra noi e gli scimpanzé. Per molti genetisti la distanza si aggira ora tra il 5 ed il 17,4 per cento ed imputano la selezione del valore inesatto ad un errore di semplificazione eccessiva. Qualche zoologo ha commentato che l’1 per cento andava bene finché era utile far risaltare le somiglianze, che fino ad allora erano state sottovalutate. Ma poi la realtà dei fatti si è fatta sentire. Steve Jones, professore di genetica allo University College di Londra, ha correttamente osservato che “il DNA c’entra poco…gli scimpanzé possono anche assomigliarci in un senso letterale e stucchevole, ma in tutto ciò che ci rende quello che siamo, l’homo sapiens è realmente unico” (Cohen, 2007). Gli stessi autori del primo articolo responsabile della diffusione del “mito dell’1 per cento”, Mary-Claire King e Allan Wilson (King & Wilson, 1975), misero in guardia i lettori dal giungere a conclusioni affrettate (p. 113): “Sembra di poter dire che i metodi di valutazione della differenza tra umani e scimpanzé producano conclusioni alquanto discordanti”, sottolineavano già a quel tempo. A dire il vero, questo scrupoloso impegno di quantificazione delle differenze, che in precedenza era stato impiegato per sceverare ciò che distingueva i membri delle varie razze umane, appare come sempre più stravagante ed ingiustificato: “Non penso ci sia alcun modo di ottenere un numero qualunque”, afferma il genetista Svante Pääbo dell’Istituto Max Planck di antropologia evolutiva di Lipsia, “Alla fine il modo in cui vediamo le nostre differenze è solo un fatto politico, sociale e culturale” (Cohen, 2007). Il che comprova ancora una volta che il pregio della scienza risiede proprio nella sua capacità auto-correttiva.

Detto questo, imputare il male nel mondo all’antropocentrismo, e quindi ridurre la distanza tra uomini e scimmie antropomorfe come se questo potesse prevenire futuri genocidi, non ha molto più senso che affidarsi alla clemenza di Dio per conseguire il medesimo risultato. Entrambi gli approcci compromettono l’obiettività dell’osservazione e l’interpretazione dei dati.

C’è una sottile ironia nel parallelo che si può stabilire tra la genetica dell’1 per cento e l’antropologia illuminista. Quando gli scimpanzé furono scoperti dai primi esploratori, nel XVII e XVIII secolo, si notarono le ovvie somiglianze ma, invece di dedurne una profonda affinità e fratellanza, ciò servì invece a rafforzare vieppiù l’idea che l’uomo fosse un essere speciale. Quale prova più schiacciante dell’unicità dell’uomo dell’esistenza di essere antropoidi così rassomiglianti all’uomo, anche e soprattutto a livello fisiologico, ma totalmente privi di carattere morale, che solo l’anima umana poteva ispirare? Così, quanto più chiare apparivano le analogie, più innegabile risultava la verità dell’unicità dell’essenza spirituale umana (Wokler, 1993).

Anche la favola bella della Buona Scimmia, il Bonobo “naturalmente” altruista e pacifico, è stata ormai ampiamente screditata. Solo chi, magari abbagliato da un pregiudizio naturalista o da sentimentalismi malriposti – magari il senso di un’ingiustizia che va sanata – volesse ignorare l’abisso di complessità socio-culturale che ci separa dai Bonobo potrebbe credere di ricavare dal loro comportamento indicazioni utili su come dovrebbero procedere gli affari umani (Goodman et al., 2003). Quarant’anni fa, in piena battaglia per i diritti civili, gli scimpanzé erano trattati dai primatologi alla stregua di “buoni selvaggi”. Divennero poi crudeli predatori dediti all’infanticidio ed al cannibalismo negli anni 80 degli yuppie rampanti à la Gordon Gekko, lo spietato Michael Douglas del celebre “Wall Street”; recentemente sono ridiventati fondamentalmente buoni ma in parte “corrotti” dal contatto con gli esseri umani, in natura come in cattività. La domanda che ci dobbiamo porre è se siano stati loro a cambiare in questi 40 anni oppure gli umori della nostra società. Insomma, sembra di poter dire che il nostro atteggiamento verso gli altri sia determinato in gran parte dalla nostra autopercezione.

Il problema sembra essere che quando si studiano specie molto simili alla nostra lo scienziato tende a vedere ciò che desidera vedere ed a rimuovere le discrepanze che in qualche misura macchiano l’immagine desiderata. Così la descrizione del comportamento sessuale e sociale dei primati sarà tanto più popolare quanto più corrisponderà alle attese del pubblico, cioè quanto più rifletterà l’auto-ritratto della nostra specie: se ci percepiamo come naturalmente violenti allora gli altri primati, e non per caso, confermeranno questa nostra percezione; se invece poniamo l’accento sulla nostra capacità di esercitare un’ampia misura di discernimento morale, allora appariranno studi scientifici che “dimostreranno” come le scimmie abbiano sviluppato rudimentali ma promettenti sistemi etici.

Forse la più convincente spiegazione delle variazioni comportamentali dei primati è alquanto semplice: ancora negli anni Venti l’anatomista Solly Zuckerman riferì che i babbuini dello zoo di Londra mostravano elevati livelli di gerarchizzazione ed aggressività. Ma nessuno dei suoi colleghi che lavoravano sul campo, nell’habitat stesso dei babbuini, riuscì a replicare queste osservazioni. Divenne quindi presto evidente che il comportamento dei babbuini di Zuckerman era stato drammaticamente alterato dalla riduzione dello spazio in cui i babbuini si trovavano a vivere (N.B. i Bonobo hanno invece a disposizione un’area vasta quanto l’Inghilterra e priva di rivali). Le restrizioni artificiali imposte da uno spazio chiuso come quello di uno zoo avevano generato dinamiche interne che non potevano esistere all’esterno e quindi le osservazioni di Zuckerman non erano generalizzabili (Rose, 1998).

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