La Primavera Araba, la Siria e l’Industria del Bene (R. Fisk, the Independent, 24.12.12)

The Arab Spring - Hitchhiker's Guide to The Near and Middle East

Medio Oriente – di luogo comune in luogo comune abbiamo raggiunto il “punto di svolta”

Ricordate i giorni in cui abbiamo pensato che il cammino dell’Egitto verso la democrazia fosse ormai un dato acquisito? Mohamed Morsi, educato in Occidente, aveva invitato la gente a venire a incontrarlo nel palazzo presidenziale che apparteneva a Hosni Mubarak, la vecchia aristocrazia militare del “Consiglio Supremo delle Forze Armate” era stata mandata in pensione ed il Fondo Monetario Internazionale era in attesa di poter distribuire un po’ di crudeli privazioni in Egitto, pronto a sua volta a ricevere la nostra benevolenza finanziaria.

Com’erano beati gli ottimisti sul Medio Oriente verso la metà del 2012.

Nella  vicina Libia si era affermato il filo-occidentale laicista Mahmoud Jibril, che prometteva libertà, stabilità, una nuova casa per l’Occidente in uno dei più fecondi produttori di petrolio del mondo arabo. Era un luogo dove persino i diplomatici degli Stati Uniti potevano circolare praticamente non protetti.

La Tunisia poteva anche avere un partito islamico al governo, ma era una gestione “moderata” – in altre parole, abbiamo pensato che avrebbe fatto quello che volevamo – mentre i sauditi e gli autocrati del Bahrain, con la muta disapprovazione di Obama e Cameron, sopprimevano silenziosamente ciò che era rimasto della rivolta sciita che minacciava di ricordare a tutti noi che la democrazia non era davvero benvenuta tra gli stati arabi più ricchi. La democrazia era per i poveri.

Nella primavera dello scorso anno, i commentatori occidentali davano per spacciato Bashar al-Assad. Non meritava “di vivere su questa terra”, secondo il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius. Doveva “dimettersi”, “farsi da parte”. Il suo regime aveva solo poche settimane di vita, forse solo qualche giorno. Era il “punto di svolta”.

Poi, entro l’estate, quando il “punto di non ritorno” si era dileguato, ci hanno detto che Assad stava per usare il gas “contro il suo popolo”, o che le sue forniture di armi chimiche potevano “cadere nelle mani sbagliate” (le “mani giuste” erano ancora presumibilmente quelle di Assad).

I ribelli siriani erano sempre sul punto di farcela – a Homs, poi a Damasco, poi ad Aleppo, poi di nuovo a Damasco. L’Occidente sosteneva i ribelli: un profluvio di armi e denaro provenienti da Qatar e Arabia Saudita ed il sostegno morale di Obama, Clinton, del patetico Hague, di Hollande, di tutta l’industria del bene – fino a quando, inevitabilmente, si è scoperto che i ribelli avevano tra le loro file un bel po’ di salafiti, carnefici, settari assassini e, in un caso, un decapitatore di adolescenti che si comportava un po’ come il regime spietato che stavano combattendo. L’industria del bene ha dovuto fare retromarcia. Gli Stati Uniti hanno continuato a sostenere i buoni, i ribelli laici, ma ora consideravano gli orribili ribelli salafiti come un’”organizzazione terroristica”.

E il povero vecchio Libano, manco a dirlo, era sul punto di esplodere in una guerra civile per la seconda volta in meno di 40 anni, questa volta perché la violenza della Siria si “riversava” nel territorio dei suoi vicini.

Il Libano non era forse settario come la stessa Siria? Gli Hezbollah libanesi non erano forse alleati di Assad? I sunniti del Libano non sostenevano i ribelli siriani? Tutto vero. Ma i libanesi … erano troppo intelligenti ed istruiti per ripiombare nel caos del 1975-1990.

L’Iran, naturalmente, stava per essere bombardato perché stava – o stava per – fabbricare armi nucleari, o poteva – o avrebbe potuto – fabbricare armi nucleari entro un mese, o un anno, o una decina d’anni.

Obama potrebbe non bombardare l’Iran, non ne ha davvero voglia, ma “tutte le opzioni” erano “sul tavolo”. Lo stesso per Israele, che voleva bombardare l’Iran, perché poteva o potrebbe fabbricare armi nucleari o era in procinto di farlo, o potrebbe averle in sei mesi, o un anno, o in alcuni anni ma – ancora una volta – “tutte le opzioni” erano “sul tavolo”. La “finestra di opportunità” di Netanyahu si sarebbe chiusa, ci dicevano, con le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. E così queste sciocchezze sono continuate…ebbene, fino alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, al termine delle quali ci avevano avvertito ancora una volta che l’Iran stava producendo, o poteva produrre, o potrebbe produrre un’arma nucleare.

Israele ha anche minacciato il Libano, perché Hezbollah aveva migliaia di missili, e ha minacciato i palestinesi di Gaza, perché avevano migliaia di missili. E molti sono stati i giornalisti israeliani – con i loro cloni americani – che hanno preparato il terreno con i loro lettori per queste due guerre al “terrore”.

In questo caso il Libano è rimasto esente da bombardamenti mentre un conflitto molto insoddisfacente (dal punto di vista di Israele) scoppiato tra Israele e Hamas si è concluso quando Morsi ha convinto i palestinesi a rispettare un cessate il fuoco, che Netanyahu ha poi tristemente accettato.

Ha così rafforzato il suo prestigio Khaled Meshal, che ha successivamente annunciato che la Palestina dovrebbe estendersi dal fiume Giordano al mare. In altre parole: basta Israele.

Proprio come il ministro degli Esteri di Israele, Avigdor Lieberman, che si sarebbe presto dovuto dimettere, e i suoi sodali, che per lungo tempo avevano ripetuto che Israele doveva estendersi dal mare al fiume Giordano. In altre parole: niente più Palestina.

Al coraggioso e molto invecchiato israeliano Uri Avnery non è restato altro da fare che sottolineare che, se entrambi avevano questo stesso desiderio, poteva esistere solo una fosse comune tra il fiume e il mare.

Verso la fine dell’anno, l’amichevole, affettuoso Mohamed Morsi stava recitando la parte del Mubarak e stava facendo il pieno di tutti i vecchi poteri dittatoriali a sua disposizione, mentre una costituzione molto dubbia era imposta alla popolazione laica di quella terra, musulmana e cristiana, che Morsi aveva promesso di servire. In Libia, come s’è visto, gli Stati Uniti hanno scoperto di avere  più nemici di quel che si pensava, l’ambasciatore è stato ucciso da – e l’attribuzione deve restare in sospeso, nonostante i tentativi della Clinton di confondere le acque – una sorta di banda di miliziani di al-Qaeda.

In effetti, al-Qaeda – politicamente fallita dal momento dell’omicidio di Osama Bin Laden da parte di una squadra di sicari statunitensi in uniforme militare nel 2011 – era stata praticamente cancellata dal vocabolario della Casa Bianca prima della rielezione di Obama. Ma gli evanescenti disperati del wahabismo hanno acquisito l’abitudine tanto amata dai mostri del cinema di rigenerarsi in forma diversa, in paesi diversi.

Il Mali ha sostituito l’Afghanistan, così come la Libia ha sostituito lo Yemen e la Siria ha preso il posto dell’Iraq.

[…].

Eppure, ci potete scommettere, l’industria del bene ci farà piovere addosso un altro carico di luoghi comuni in sostituzione di quelli che sono già serviti al loro scopo.

http://www.independent.co.uk/voices/comment/a-word-of-advice-about-the-middle-east–weve-reached-the-tipping-point-with-cliches-8430495.html

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Cosa ne pensano i civili yemeniti dei droni che li uccidono? Cosa ne pensano i civili del Bahrein che vorrebbero ribellarsi alla dittatura ma non possono farlo perché sauditi e statunitensi inviano armi al regime? Cosa ne pensano i giornalisti di Al-Jazeera che si dimettono uno dopo l’altro per la faziosità del network sui conflitti in Libia e Siria? Cosa ne pensano gli indignati americani nello scoprire che sono state usate leggi anti-terrorismo per sorvegliarli minuziosamente?

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2012/dec/26/drones-yemen-fbi-occupy-terrorism#start-of-comments

Il precedente progetto angloamericano di destabilizzazione della Siria, risalente agli anni Cinquanta:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/31/loccidente-e-la-destabilizzazione-della-siria-1957-2011-articolo-del-guardian/

Il dado è tratto. Pronti alla guerra? Attenti…Via!

 

L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali

Articolo 11 della Costituzione della Repubblica Italiana

A fine novembre del 2011 avevo avvertito che nel 2012 rischiavamo la Terza Guerra Mondiale:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/terza-guerra-mondiale-scacchiera-pezzi.html

A gennaio 2012 ho pronosticato un attacco israeliano tra marzo e le presidenziali di Obama, ma più probabilmente entro settembre:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/12/guardatevi-dalle-idi-di-marzo-come-prevedere-la-data-dinizio-della-terza-guerra-mondiale/#axzz1uGj2e0y1

A marzo Obama ha fatto capire che non era il momento, ma NON HA MAI BLOCCATO ISRAELE.

Anzi, il Congresso americano ha appena approvato un ulteriore stanziamento di un miliardo di dollari per:

http://it.wikipedia.org/wiki/Iron_Dome

In totale, per l’anno fiscale 2013, Israele avrà ricevuto la somma record di 4 miliardi di dollari per la sua difesa, ossia per minimizzare i danni dalla rappresaglia iraniana in conseguenza di un attacco preventivo israeliano.

http://www.upi.com/Business_News/Security-Industry/2012/05/08/House-panel-OKs-1B-for-Israels-missiles/UPI-80231336496230/

Obama e i politici americani hanno le mani preventivamente insanguinate.

La guerra, intanto si avvicina a grandi falcate. Coinvolgerà l’intero Medio Oriente e, molto probabilmente, Egitto, Russia, Stati Uniti, Turchia e quindi l’intera NATO, cioè anche noi. L’unica cosa che possiamo e dobbiamo fare è impedire che l’Italia si faccia coinvolgere in questa impresa scellerata che ci porterà solo disastri in patria e rovinerà per molti decenni a venire l’immagine internazionale di paese decente (non certo equo, non certo benevolo, ma almeno decente, in confronto ad altri) che ci siamo costruiti dopo il fascismo. BISOGNA FERMARE QUESTA GUERRA! CHE L’ITALIA SIA TRA I PRIMI A DARE IL BUON ESEMPIO!

“C’è chi dice, e sono in molti, che la decisione di dare il via alla più grande coalizione di maggioranza mai vista in Israele sia da legare soprattutto a una ragione: essere il più compatti possibile in vista di un possibile attacco contro l’Iran, ipotesi che Gerusalemme non ha mai voluto escludere”.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-05-09/governo-israeliano-allarga-maggioranza-064019.shtml?uuid=AbeQmpZF

 

“L’ingresso di Kadima nel governo di Netanyahu e l’annullamento all’ultimo minuto delle elezioni anticipate hanno lasciato disorientata la stampa israeliana. Un analista di Haaretz ha scritto che Netanyahu, avendo agito da una posizione di forza e sfruttando la estrema debolezza di Mofaz, «ha comprato il suo partito Kadima con un brodo di lenticchie». E ha concluso: «Una volta superato il senso di disgusto e di repulsione, dobbiamo ammettere che Netanyahu è il re della politica israeliana»”.

http://www.lettera43.it/politica/netanyahu-blinda-israele_4367550076.htm

 

“Mofaz [il leader di Kadima, che ha acconsentito al grande inciucio di governo] ha recitato la parte del leader dell’opposizione nelle ultime settimane, ma prendere ordini da Netanyahu e Barak è quasi una seconda natura per lui. I commentatori tendono a porre Mofaz nel campo degli esperti di sicurezza contrari ad un attacco unilaterale israeliano, e nel corso dell’ultimo anno ha certamente dato questa impressione, come in una recente intervista il mese scorso in cui descriveva il piano di colpire l’Iran in questo momento come “prematuro” e “disastroso”.

D’altra parte, in un’intervista del giugno 2008…aveva detto: “sembra che un attacco israeliano contro l’Iran sia inevitabile”. Come abbiamo visto ieri sera, la coerenza non è uno dei punti forti di Mofaz.

Con l’adesione al Bibi-Barak cabinet, Mofaz ha ridotto drasticamente l’efficacia delle critiche [al governo] mosse dagli ex capi del Mossad e Shin Bet Meir Dagan e Yuval Diskin. […]. 

Se il duo al governo è davvero “messianico” nei confronti dell’Iran, come accusa Diskin, che cosa ci sta a fare Mofaz con loro al potere?

Oggi, non solo ha conferito ad entrambi un’istantanea credibilità, ha anche abbandonato i banchi dell’opposizione nella Knesset [il parlamento israeliano], lasciandola senza una figura credibile che controlli le azioni del governo”.

http://www.haaretz.com/blogs/the-axis/mofaz-has-neutralized-opposition-on-iran-1.429033

 

“Questa arriva dalla squadra di ricerca che si occupa di commodity per la banca Goldman Sachs: “I sauditi hanno accumulato riserve di greggio per 35 milioni di barili nel periodo dicembre-febbraio. La prima domanda è: perché l’Arabia Saudita estrae greggio al ritmo più intenso degli ultimi trent’anni per metterlo semplicemente nelle riserve?”. Aggiornamento di ieri: il ministro del Petrolio saudita, Ali al Naimi, ha detto che ora le scorte di petrolio sono arrivate a più del doppio, 80 milioni di barili. La domanda se la pone anche Izabella Kaminska, analista del Financial Times: perché i sauditi – “che sono la banca centrale del petrolio” pompano freneticamente greggio dai pozzi e non lo mettono sul mercato? Il Brent è attorno ai 100 dollari al barile, e “fare scorta durante un periodo di prezzi alti è un controsenso economico”, sarebbe il momento più adatto per vendere. Tanto più che, secondo Reuters, per colpa delle sanzioni l’Iran trabocca di petrolio invenduto, tanto da essere costretta a tenere ferma metà della sua costosissima flotta di superpetroliere poco al largo della costa per usarle come magazzini galleggianti: “Diciannove navi, classe Suezmax e Very large crude carriers, per una capacità di 33 milioni di barili di petrolio”. Ricapitolando: tra le scorte dei sauditi e quelle  degli iraniani non c’è mai stato così tanto petrolio contemporaneamente sopra la crosta terrestre invece che sotto.

Ci sono teorie diverse. Una sostiene che  i mesi del caldo stanno arrivando, in Arabia Saudita la domanda di energia aumenterà per colpa dei condizionatori d’aria e quindi i sauditi hanno pensato bene di fare scorta durante la stagione fredda, quando il clima è mite e la domanda è minore. Ma il picco nei consumi elettrici è un fatto stagionale che si ripete ogni anno. Un’altra spiegazione è che i sauditi si preparano a un forte periodo di tensioni nel Golfo. La capacità dell’Opec di aumentare la sua produzione, fa notare Kaminska, è di un milione di barili in più al giorno, ma la produzione dell’Iran è di 2,2 milioni di barili al giorno. Se qualcosa privasse il mondo del greggio iraniano, gli altri paesi non riuscirebbero a soddisfare la domanda.
Resta da capire che cosa può essere questo qualcosa a cui i sauditi si preparano. Aiuta un’altra notizia dal mercato petrolifero, da Reuters: i sauditi a marzo hanno esteso l’aumento di vendite di greggio agli Stati Uniti. “Contrariamente alle aspettative, secondo cui l’aumento dell’estrazione del greggio saudita era destinato ai mercati asiatici in espansione, i dati mostrano che le spedizioni verso gli Stati Uniti sono salite con discrezione del 25 per cento, tornando al livello più alto dal 2008, quando il primo paese dell’Opec tentava con una superproduzione di calmare il prezzo record del greggio arrivato vicino ai 150 dollari al barile”.

L’Arabia Saudita aumenta la produzione di petrolio ma in parte lo tiene e in parte lo spedisce a un mercato che non è quello che ti aspetti. Un meccanismo così previdente che ieri il ministro al Naimi ha aggiunto che “i prezzi sono troppo alti, possiamo farli scendere”, come dire: “Forse abbiamo esagerato con le scorte, liberiamoci di un certo quantitativo”.

Riad e Washington tengono in considerazione la possibilità a breve termine di uno strike israeliano contro il programma atomico di Teheran e le sue conseguenze: la chiusura dello Stretto di Hormuz, il collo di bottiglia marittimo attraverso cui passa un terzo del petrolio mondiale, da parte degli iraniani; gli attacchi di rappresaglia contro Israele; l’intero quadrante mediorientale destabilizzato. Sanno che in caso di attacco la produzione di petrolio subirà un rallentamento generale e non vogliono che – come minaccia Teheran – il prezzo schizzi oltre quota 200 dollari e provochi un infarto all’economia mondiale.

Se non è per la guerra, potrebbe essere per le sanzioni. Il primo luglio scatta l’embargo quasi totale dell’occidente – Stati Uniti più Unione europea – contro il petrolio iraniano. I produttori possono colmare la scomparsa dell’offerta iraniana dal mercato, ma sarà un periodo da amministrare con cautela: da qui la necessità di riserve. Intanto Teheran cerca altri acquirenti e strategie per aggirare le sanzioni: due giorni fa, secondo i banchieri di Dubai, ha cominciato ad accettare il pagamento da parte della Cina in yuan e non più in dollari. Per evitare di spendere troppo nel cambio, Teheran starebbe investendo i profitti direttamente in beni da comprare sul mercato cinese”.

http://www.ilfoglio.it/soloqui/13342

Usa e Ue hanno esercitato oggi ulteriore pressione sull’Iran affinché compia ”urgenti passi pratici” per dimostrare che il suo programma nucleare non ha fini militari. In particolare l’Unione europea, in una dichiarazione, ha affermato che Teheran ”deve sospendere” le sue attività di arricchimento dell’uranio.

http://www.blitzquotidiano.it/politica-mondiale/nucleare-in-iran-usa-e-ue-chiedono-passi-concreti-subito-1219679/

“La compagnia petrolifera nazionale cancella l’accordo di fornitura di gas a Israele e il parlamento chiede le dimissioni del Gran Muftì egiziano, ‘reo’ di aver visitato Gerusalemme Est. I rapporti tra Egitto e Israle hanno vissuto questa settimana due episodi per natura molto distanti tra loro, ma avvisaglie entrambi della situazione caotica che l’Egitto sta vivendo a un mese dalle elezioni presidenziali.

[…].

Israele avrebbe ripetutamente violato i termini contrattuali, secondo gli egiziani. Non è chiaro se la Giunta militare sia stata al corrente della decisione, che priva lo Stato ebraico del 40 percento delle sue forniture di gas, a tariffe molto vantaggiose. Gli analisti politici ritengono non a torto che nell’attuale fase economica, l’annuncio costituisca un suicidio politico per Il Cairo. Mentre il Primo ministro Benjamin Netanyahu ha dichiarato che l’intera questione è ‘business, non politica’, il ministro degli Esteri nazional-conservatore Avigdor Lieberman ha definito l’Egitto un Paese più pericoloso dell’Iran.

L’Egitto ha cominciato a rifornire Israele di gas nel 2008, nella cornice di un accordo siglato nel 2005 da Mubarak.

Il contesto politico nel quale si sono verificati i due fatti – la richiesta delle dimissioni del Gran Muftì a Gerusalemme e l’interruzione delle forniture di gas – è quello di un crescente sentimento anti-israeliano con il quale giunta militare e politici moderati devono fare quotidianamente i conti. Area fortemente critica, il Sinai, piagato da povertà cronica, traffico di esseri umani e scorribande di tribù beduine, è stato teatro degli attacchi più sanguinosi degli ultimi anni contro civili e militari israeliani. Dal 2008 i sabotaggi al gasdotto hanno interrotto le forniture per 225 giorni di fila, spia evidente dell’incapacità della giunta militare di controllare i gruppi radicali armati che imperversano nella regione”.

http://www.eilmensile.it/2012/04/24/egitto-israele-relazioni-pericolose/

Guerra tra Israele ed Egitto? Traduzione di G. Campa

7 maggio 2012

di Gianfranco Campa

Scritto da Raven Clabough

Proprio il mese scorso, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva annunciato che Israele sarebbe stata costretta a ritardare un eventuale attacco agli impianti nucleari iraniani fino alle prossime elezioni israeliane nel 2013. Ma questo non significa affatto che non sia in vista una guerra  nel prossimo futuro  di Israele. La Forza di Difesa di Israele ha appena richiamato sei battaglioni di riserva in quanto la tensione ai confini egiziani e siriani continua ad aumentare. The Times Of Israel riporta che il  parlamento israeliano ha dato il permesso all’ IDF di richiamare altri 16 battaglioni di riserva, se necessario.

Il Times of Israel nota che”Secondo la legge del 2008; Duty Reserve, i soldati di combattimento possono essere chiamati per adempiere al dovere di riserva attiva una volta ogni tre anni, e per sessioni di addestramento brevi durante gli altri due. Le crescenti tensioni tra Israele e Egitto, l’insurrezione in corso in Siria hanno forzato l’esercito a chiedere alla Knesset un permesso speciale per richiamare più soldati e con maggiore frequenza. ”

Tale richiesta è stata approvata dal Consiglio Affari Esteri e Comitato di Difesa, che consente all’IDF di richiamare in servizio attivo fino a 22 battaglioni, di cui sei già convocati.

“Questo significa che l’IDF considera i confini egiziano e siriano come una fonte potenziale di minaccia più grande rispetto al passato”, ha detto l’ex vice capo di stato maggiore, Dan Harel. “L’esercito ha bisogno di una  ’risposta’ più adeguata rispetto al passato per affrontare le attuali minacce”, ha aggiunto, riferendosi  al progressivo deterioramento del controllo dell’ Egitto sulla penisola del Sinai, con un aumento del contrabbando di armi e altre merci. Inoltre, egli sottolinea la crescente minaccia del terrorismo nel  Sinai.

Anche  la situazione siriana è altamente infiammabile; Harel ha detto, “che potrebbe esplodere in qualsiasi momento … rappresentando  un motivo di minaccia diretta per Israele.”

In risposta  a questo clima volatile, l’IDF ha scelto di richiamare le sue riserve e, di conseguenza, ha cancellato le sue sessioni di addestramento dei soldati di leva.

Allo stesso modo, Uzi  Dayan, l’ex capo del Consiglio di Sicurezza Nazionale, esorta Israele ad intraprendere un’azione militare. “Questo è il tempo per l’esercito israeliano di  estendere il suo controllo all’interno del Sinai”, ha detto Dayan. Ha continuato indicando che si è tenuto un incontro con il Capo di Stato Maggiore dell’esercito israeliano Benny Jants la scorsa settimana al fine di discutere le questioni relative alla penisola del Sinai.

Secondo il quotidiano egiziano Al-Arabiya, la polizia di stanza nella penisola egiziana del Sinai è stata attaccata oltre 50 volte da gruppi palestinesi e da una fazione  locale di al-Qaeda.

L’ egiziano Al-Masry Al-Youm osserva che la maggior parte degli attacchi si sono verificati nelle montagne del Sinai centrale, la maggior parte dei quali sono stati eseguiti da gruppi armati palestinesi tra cui Jaljalat, Esercito dell’Islam, Ezz Eddin al-Qassam e al-Qaeda. “La sicurezza in Sinai è ormai fuori controllo e gli sforzi  esercitati dai militari e dalla polizia hanno lo scopo di ripristinare un minimo di sicurezza, soprattutto perché una settimana fa, Israele ha accusato l’Egitto di rappresentare per Israele un pericolo addirittura maggiore dell’Iran, nonostante lo Stato Ebraico lo accusi di costruire armi  nucleari.” Il governo Egiziano, ha respinto queste accuse, e  in risposta ha richiamato il suo ambasciatore da Tel Aviv; le relazioni tra i due governi stanno  diventano sempre più tese.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito la  penisola egiziana del Sinai una “sorta di Wild West”. Netanyahu accusa l’Iran di contribuire a queste nuove tensioni nella regione. Ma le truppe israeliane non sono autorizzate ad entrare nella penisola del Sinai secondo il trattato di pace (Camp David) del 1979 con l’Egitto. Tuttavia, alcuni analisti ritengono che se l’Egitto dovesse violare il  trattato di pace, Israele potrà  muovere per riprendersi il Sinai.  Mordechai Kedar, un ricercatore  presso il Begin-Sadat Center for Strategic Studies, fondatore e direttore del Centro  Studi sul Medio Oriente e l’Islam, afferma: “ Si tratta di una possibilità che non si può escludere in quanto il Sinai è stato dato all’Egitto in cambio della pace. Se il trattato di pace viene annullato dagli egiziani, ci potrebbe essere una giustificazione per Israele per riprendere il Sinai. Non ho idea se lo farà. Ma se la Fratellanza Musulmana si aggiudica la presidenza [maggio 23] e quindi annulla l’accordo di pace e comincia a muovere l’esercito, questo  sarebbe pericoloso e Israele potrebbe probabilmente invadere il Sinai per creare una zona cuscinetto tra Egitto e Israele.”

Quindi, le tensioni tra il governo israeliano e il governo egiziano stanno aumentando drammaticamente. In realtà, secondo DEBKA, il presidente Obama, il Segretario alla Difesa Leon Panetta e il Segretario di Stato Hillary Clinton hanno ricevuto informazioni che Israele ed Egitto si stanno avviando alla guerra.

Al momento, il presidente  del Supremo Consiglio Militare dell’Egitto, SCAF, il feldmaresciallo Muhammad Tantawi,  ha detto: “Se qualcuno osa avvicinarsi al confine dell’Egitto, noi gli rompiamo la gamba” Il secondo in capo dell’esercito egiziano, Gen. Muhammad Higazi ha aggiunto: “Gli aggressori dovrebbero riconsiderare prima di pensare di attaccare qualsiasi parte del territorio egiziano “.

[…].

Nel frattempo, oltre alle tensioni tra Egitto e Israele, la situazione in Siria ha contribuito ad aumentare la tensione lungo il confine nei pressi delle alture del Golan, territorio che Israele conquistò alla Siria durante la guerra del 1967.

Dayan afferma che i funzionari israeliani dovrebbero “garantire la sicurezza dei loro civili, sempre assicurandosi di non far crescere le tensioni tra Israele ed Egitto “. Egli aggiunge che l’esercito deve “rispondere con forza perseguendo i terroristi e informando il governo egiziano delle intenzioni di intervenire militarmente in Sinai per braccare questi terroristi “, questo al fine di evitare che le frontiere d’Israele diventino  vulnerabili.

Israele sembra si stia preparando ad uno scenario di guerra, e sta fortificando un muro al confine con il Libano.

Il Wall Street Journal riporta che i funzionari israeliani hanno coordinato la costruzione del muro con l’esercito libanese e la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite nella regione, UNIFIL.

Ma c’è qualcosa di sospetto in tale affermazione, in quanto Israele e Libano non condividono  relazioni amichevoli.

Haaretz ha riferito in aprile che Israele aveva pianificato un’altra invasione del Libano. “Quasi sei anni dopo la seconda guerra in Libano, unità speciali israeliane si stanno preparando a partecipare a incursioni di massa in Libano, dovesse scoppiare un altro round di combattimento con Hezbollah”

Dove porta tutto questo resta da vedere.

http://www.conflittiestrategie.it/2012/05/07/guerra-tra-israele-ed-egitto-traduzione-di-g-campa/

Migliaia di Giordani manifestano contro l’accordo di pace tra Israele e Giordania.

http://www.haaretz.com/news/diplomacy-defense/thousands-in-jordan-call-for-end-of-peace-treaty-with-israel-1.428302

Israele è riuscito nell’incredibile, tafazziana impresa di costruirsi attorno una trappola che lo stritolerà:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/27/auschwitz-in-israele-un-suicidio-collettivo/#axzz1uGj2e0y1

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