Il Segreto di Pulcinella – per festeggiare le 400mila visualizzazioni dal 16 ottobre 2011

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OK caro Cristo, noi qui si sta macinando gioco ma non riusciamo a segnare e gli altri si sentono dei padreterni,

come sempre

https://twitter.com/stefanofait


Quando
piccoli uomini proiettano grandi ombre si è vicini al tramonto.

Proverbio cinese.

Ci sono tre tipi di persone: quelli che vedono, quelli che vedono quel che altri quando qualcuno gli mostra cosa vedere e quelli che non vedono affatto.

Aforisma attribuito a Leonardo da Vinci

Ormai molti hanno capito che il vecchio mondo sta tirando le cuoia. Lo scandalo Libor, la sorveglianza globale pre-11 settembre, le transazioni finanziarie istantanee fuori controllo, le menzogne a ripetizione sugli attacchi terroristici, il sole addormentato in quella che dovrebbe essere una fase di estrema vitalità, l’abominio austerista che ha distrutto le esistenze di centinaia di migliaia di innocenti, gli estremi climatici totalmente imprevedibili, le continue morie di massa di animali marini, api e volatili, il Golfo del Messico avvelenato a morte, come il Pacifico lungo le coste nord-orientali del Giappone (ma facciamo finta di niente), OGM e nanotecnologie nella catena alimentare, la manipolazione del costo dell’energia e delle bollette, le bufale compulsive che circondano le ingerenze umanitarie, l’Olocausto strumentalizzato per politiche coloniali che rischiano di scatenare una terza guerra mondiale nell’area strategica più cruciale del pianeta, voragini e inghiottitoi che si moltiplicano, l’inaudita frequenza di sfioramenti da parte di asteroidi mai avvistati prima, il sorprendente numero di comete avvistato in un singolo anno, sismi completamente anomali, computer quantistici in grado di apprendere autonomamente ed emanciparsi dal controllo umano, la disoccupazione strutturale che si gonfia a causa dei mercati saturi, della tecnologia che sostituisce i lavoratori, dell’avidità di una minoranza di sociopatici che si comportano come parassiti sul corpo dell’umanità.

http://expianetadidio.blogspot.it/2013/06/la-caduta-della-fenice.html


Chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere…

Siamo a un passo da un collasso climatico/meteorologico.

Siamo a un passo da un collasso economico-finanziario.

Siamo a un passo da una guerra terribile.

Siamo a un passo da un’interruzione, speriamo non troppo lunga, della democrazia, non solo quella sostanziale ma anche quella formale.

Perché in quei giorni ci sarà una tribolazione tale, come al mondo non si era mai vista prima, né si vedrà mai più.

Il male dilagherà ovunque e raffredderà l’amore di molti.

Si moltiplicano i messia, gli uomini della provvidenza che predicano bene e razzolano male, le valchirie salvifiche, i guru, i tribuni della plebe, che approfittano della perdita del senso della realtà (e dell’integrità) di chi dovrebbe amministrare la cosa pubblica.

Si faranno avanti falsi cristi e falsi profeti che compiranno miracoli così meravigliosi, tanto da ingannare, se fosse possibile, anche i prescelti da Dio. Ecco, vi ho avvisato.

I parassiti, i vampiri, gli oligarchi che hanno sequestrato la civiltà umana non sono liberi. Il codice dei bucanieri non ne garantisce l’incolumità. Non risiedono sulla sommità della piramide: si condannano a credere di avere il controllo. Non è così. La piramide, come l’Olimpo, si perde nelle nubi. Si scorgono luci, forme, si odono suoni, si narrano resoconti piuttosto sconcertanti e allarmanti. Chi o cosa dimora tra le nubi? Chi sorveglia? Chi usa e getterà i parassiti, i Quisling del nostro tempo? Chi preda i predatori?

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Gordon Creighton (1908-2003), Cambridge (UK), Scienze Politiche a Parigi, diplomatico britannico, ufficiale dei servizi segreti, parlava almeno una decina di lingue

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/07/29/lalieno-che-ce-in-me/

E ovunque ci sono i cadaveri, là si radunano gli avvoltoi.

“Tutto questo è già accaduto, tutto questo accadrà ancora”.

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Most people will be shocked to learn that in 1933 a cabal of wealthy industrialists—in league with groups like the K.K.K. and the American Liberty League—planned to overthrow the U.S. government in a fascist coup. Their plan was to turn discontented veterans into American “brown shirts,” depose F.D.R., and stop the New Deal. They clandestinely asked Medal of Honor recipient and Marine Major General Smedley Darlington Butler to become the first American Caesar. He, though, was a true patriot and revealed the plot to journalists and to Congress. In a time when a sitting President has invoked national security to circumvent constitutional checks and balances, this episode puts the spotlight on attacks upon our democracy and the individual courage needed to repel them.

http://www.amazon.com/gp/product/1602390363/ref=cm_cr_asin_lnk

I segni sono presenti ovunque, per chi non ha già raggiunto le sue conclusioni.

http://cintos.org/SaginawManifold/introduction/files/butterfly_portrait.jpg

http://bifrost.it/ELLENI/4.Origini/03-Eta_dell_uomo.html

“Non attribuire a malafede quel che si può ragionevolmente spiegare con la stupidità”.

“Attribuisci a malafede quel che la stupidità non può ragionevolmente spiegare”.

“Pungolate dal loro carattere, queste persone sono avide solo di questo anche se contrasterebbe con il loro proprio interesse di vita…Non capiscono la catastrofe che ne deriverebbe. I germi non sono consapevoli del fatto che saranno bruciati vivi in profondità all’interno del corpo umano di cui stanno causando la morte” (Andrew M. Lobaczewski, Political Ponerology, 1998)

Precariato, indebitamento: il nuovo schiavismo. Così diversi, eppure così uniformemente servi.

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Per capire chi vi comanda basta scoprire chi non vi è permesso criticare

Voltaire, riferendosi profeticamente a Napolitano

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Non ci amano (eufemismo). Siamo utili

“Cercando un nuovo nemico contro cui unirci, pensammo che l’inquinamento, la minaccia dell’effetto serra, della scarsità d’acqua, delle carestie potessero bastare …Ma nel definirli i nostri nemici cademmo nella trappola di scambiare i sintomi per il male. Sono tutti pericoli causati dall’intervento umano …Il vero nemico, allora, è l’umanità stessa”.

Club di Roma, “The First Global Revolution”, 1991 – Club di Roma, quello della DECRESCITA.

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Allora sarete torturati e uccisi, e odiati da tutto il mondo, per causa mia. Allora molti di voi ricadranno nel peccato, si tradiranno l’un l’altro e si odieranno a vicenda.

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Che farà l’organismo chiamato “umanità”? Affronterà la spiacevolissima realtà o continuerà a vivere nel diniego? Si accorgerà che i parassiti che si nutrono di lui, a sue spese, sono umani solo nell’aspetto, ma sono privi di empatia e coscienza, la caratteristica distintiva degli umani? Li espellerà o sarà la natura a fare piazza pulita di buoni e cattivi, sani e patologici, come una grande chemioterapia?

Il risveglio è innegabile. Ma se potevano sorvegliare tutto e tutti da così tanti anni, come è potuto accadere l’11 settembre? E l’attentato di Boston?

Se il riscaldamento globale sta accelerando come dice Obama, perché l’aumento del livello degli oceani sta rallentando? Perché l’anidride carbonica infrange un record dopo l’altro eppure le temperature globali si sono stabilizzate?

L’austerità doveva far scendere l’indebitamento. Perché sta salendo come non mai?

Apocalisse = disvelamento.

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Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/12/heliofant-i-pet-goat-ii-il-nostro-futuro/

Alcuni non la conosceranno e continueranno a condurre un’esistenza di stupidità conclamata.

“In senso figurativo il termine filisteo sta ancora oggi, soprattutto nei Paesi di area anglosassone, a indicare una persona meschina, conformista, gretta, dominata dall’interesse economico. In questo senso il termine fu adoperato la prima volta nel XVII secolo dagli studenti tedeschi per indicare il ceto borghese”.

http://it.wikipedia.org/wiki/Filistei

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I primi filistei spediti al macello saranno quelli americani. Si sono dimenticati di quanto ridicola fosse la versione ufficiale dell’uccisione di Kennedy. Hanno accettato quella ancora più grottesca dell’11 settembre. Il cervello è scivolato nel girovita. Faranno la spia, denunceranno i loro vicini, da bravi cittadini collaborativi. O collaborazionisti. Finiranno nei campi, a migliaia.

“Qui non può accadere”

http://it.wikipedia.org/wiki/Sinclair_Lewis

http://www.vocidallastrada.com/2012/01/il-progetto-giorno-del-giudizio-e-gli.html

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“L’onore a difesa della libertà” – il motto di Guantanamo.

“A Clean Break: A New Strategy for Securing the Realm” – “The Project for the New American Century” – Gli psicopatici sentono il bisogno di pubblicizzare le loro intenzioni. L’Islam è il bersaglio privilegiato. Questi musulmani, con le loro norme contro l’usura, questo retaggio medievale così inadatto al progresso finanziario.

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I fratelli musulmani egiziani sanno con chi hanno a che fare. Sanno che la violenza li condurrebbe al massacro. Sono già morti a decine per dei semplici sit-in, nel “golpe che però non è un golpe”.

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Un esempio per le proteste occidentali che verranno.

“Una volta che ti hanno reso violento sanno come gestirti. L’unica cosa che non sanno come gestire è la non violenza e l’umorismo” (John Lennon).

Autodifesa, autocontrollo.

“Non sarò mai soggetta a maltrattamenti criminosi” (Yoona~939, Cloud Atlas)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/18/cloud-atlas-uno-studio-antropologico/

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Il mondo sarà negli agi. Ci saranno banchetti, feste, matrimoni, proprio come al tempo di Noè, prima del diluvio. Anche allora la gente non volle credere a ciò che stava per accadere, finché non venne il diluvio all’improvviso, e spazzò via tutti quanti. Così accadrà anche per il mio arrivo.  Due uomini saranno insieme a lavorare nei campi: uno sarà preso e l’altro lasciato. Due donne torneranno dal mercato con le loro borse una sarà presa e l’altra lasciata. Siate quindi pronti, perché non sapete in che giorno tornerà il vostro Signore.

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Primo post da blogger – 16 ottobre 2011, circa 400.000 visualizzazioni fa

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/il-riscaldamento-globale-e-solo-in.html

È il 2 giugno e noi a Napolitano che gli diciamo?

Giorgio Napolitano – Camaleonte o Barbie (con vestitini ed accessori)?

Questo è un paese dove il presidente della Repubblica esercita poteri imprevisti. Con che diritto, sabato, ha definito «eccezionale» il governo: «a termine»? Il Quirinale già ha pesato molto, influenzando il voto presidenziale e favorendo le grandi intese. Formidabile è la coazione a ripetere inganni, tradimenti. La chiamano addirittura pace, responsabilità.

BARBARA SPINELLI, sulla Repubblica del 5 giugno 2013 (NON UN BLOGGER COMPLOTTISTA)


Napolitano…e sai cosa bevi (olio di ricino).

Napolitano ha cambiato casacca molte volte nella sua vita: pro-Mussolini (e Hitler), pro-Unione Sovietica (al tempo dell’invasione dell’Ungheria), pro-NATO (al tempo della strategia della tensione atlantista), pro-liberismo (al tempo dell’austerismo sponsorizzato dalla Bundesbank e dalla City di Londra), pro-eurocrazia (al tempo della distruzione del sogno europeista). Oggi è il Presidente della Repubblica italiana, garante della Costituzione (!!!).

IL PASSATO FASCISTA DI NAPOLITANO

Chi ricorda Napolitano universitario fascista? Ripulita la biografia del presidente, ora viene fatto passare per padre costituente: ma nel 1942 non aveva ancora abbracciato il comunismo e faceva parte dei gruppi fascisti

Di Antonio Socci, Libero del 10 Dicembre 2010

Il ministro Gianfranco Rotondi, martedì sera, a Ballarò, ha affermato: «Il presidente Napolitano non solo ha letto la Costituzione, ma l’ha anche scritta visto che fece parte della Costi­tuente». Né il conduttore, né gli altri ospiti hanno obiettato. Ma fino ad oggi si ignorava una tale notizia. Si dà il caso infatti che l’assemblea Costituente sia stata eletta il 2 giugno del 1946, quando il ventunenne Giorgio Napolitano era ancora un semplice studente universita­rio a Napoli. Della sua carriera da costituente non c’è traccia da nessuna parte.

Forse l’eccesso di zelo ha giocato a Rotondi un tiro mancino. Può capitare. Meno comprensibile è che sia addirittura ‘il sito ufficiale della Presidenza della Repubblica’ a riscrivere la biografia di Napolitano in chiave apologetica. Nella biografia del presidente in­fatti si legge: «Fin dal 1942, a Napoli, iscrittosi all’Uni­versità, ha fatto parte di un gruppo di giovani antifascisti». Ora, si dà il caso che nel 1942 Napolitano sia entrato a far parte non di “un gruppo di giovani anti­fascisti”, come oggi declama il sito del Quirinale, ben­sì del Guf napoletano (Guf sta per “Gruppo universi­tario fascista’). Infatti collaborò attivamente alla rivi­sta del Guf, “IX Maggio”, partecipando pure alla giu­ria del convegno nazionale di critica cinematografica dei Guf. Si cimentò anche “in un esperimento di regia con la compagnia del Teatro Guf’. Notizie che lui stesso dà nella sua autobiografia, “Dal Pci al sociali­smo europeo” (Laterza), nella quale però cede – pure lui – alla tentazione di “redimere” la sua vicenda per­sonale, con un’autoassoluzione che suona così: «L’organizzazione degli universitari fascisti era in ef­fetti un vero e proprio vivaio di energie intellettuali antifasciste mascherato e fino a un certo punto tolle­rato». Chi ha scritto la biografia per il sito del Quirina­le non ha fatto altro che cancellare la sigla del Guf e trasformare il gruppo cui aderì Napolitano in “grup­po di giovani antifascisti” tout court.

I Guf e fascismo

Quella di gabellare i Guf per covi di antifascisti è un costume (francamente risibile) che è invalso fra tutti coloro -e sono tanti- che frequentarono Guf e Litto­riali e poi, in tempi diversi, diventarono antifascisti. La verità è che i giovani cresciuti fra Guf e Littoriali non erano affatto antifascisti, né ha senso pensarlo. Come ha testimoniato lealmente, nel suo ultimo li­bro di memorie, Enzo Forcella, diventato poi antifa­scista e per anni editorialista di punta della “Repub­blica”. A lui stesso qualcuno attribuì posizioni antifa­sciste anticipate agli anni del Guf. Ma Forcella ha ri­battuto in modo lapidario: «Non ci ponevamo nep­pure il problema dell’antifascismo». E a proposito della “generazione dei Littoriali”, riabilitata da Zan­grandi, è stato molto netto: «Magari c’erano davvero tutte le allusioni critiche, lo spirito di fronda, il dolo­roso travaglio che nei decenni successivi i volenterosi esegeti vi avrebbero ritrovato; ma io non li vedevo».

Nel caso di Napolitano del resto è difficile aver dubbi. La sua non fu neanche una scelta dovuta a ignoranza della politica, perché lui stesso racconta che avendo vissuto a Padova, nei primi mesi del 1942, lì «scoprii la dimensione della politica e la specie, fino ad allora per me sconosciuta, dei comunisti». Scrive addirittura: «Anche noi liceali respiravamo l’aria di una università di grande tradizione innanzitutto nel senso del libero pensiero; nella libreria Randi, nel centro della città, si potevano incrociare figure di maestri e intellettuali come Concetto Marchesi, Ma­nara Valgimigli, Diego Voleri, dei quali si sapeva per certo che non erano fascisti, ma tutt’altro».

Aggiunge: «Insomma vidi a Padova – anche grazie a qualche insegnante eterodosso e stimolante- come ci fossero vie che dall’impegno culturale, nutrito di senso della libertà e della responsabilità, conduceva­no all’impegno politico, antifascista e tendenzial­mente comunista». Lo vide, ma si guardò bene dal percorrerle. Infatti dopo una così preziosa presa di coscienza, che era preclusa a gran parte dei suoi coe­tanei, Napolitano cosa fa? Si coinvolge in questi am­bienti antifascisti? Si iscrive al Pci clandestino? Resta almeno indipendente e libero? No. Torna a Napoli ed entra nel Guf. Tutto questo nell’autunno 1942, dopo venti anni di dittatura, quando già erano state decise le leggi razziali, il patto di alleanza con Hitler e l’in­gresso in guerra che già stava prendendo una piega disastrosa. Iniziare a frequentare il Guf nell’autunno 1942 tutto può essere fuorché una scelta antifascista. Ma la tentazione, a posteriori, di presentarla come ta­le è forte per uno che poi è diventato dirigente comunista. Soprattutto perché gode di uno statuto di in­toccabilità, quasi come un padre della patria. Su Wikipedia, nel suo profilo biografico, si legge addirittu­ra: «Durante l’occupazione tedesca, con il gruppo formatosi all’interno del Guf prende parte alle azioni della Resistenza in Campania». Di azioni resistenziali di Napolitano a dire il vero non ho trovato traccia nel­la sua autobiografia, dove si riferisce che con il 25 lu­glio 1943 (la caduta del regime) e il successivo 8 set­tembre, «qualcuno di noi (non io) prese subito con­tatto con il Partito comunista», altri con «i venti giorni di terrore nazista a Napoli» e l’occupazione nazista del Nord, presero la via della Resistenza.

Ma Napolitano così racconta di sé: «Io deluso e confuso, mi misi da parte, mi presi un periodo di ri­flessione». Stette a Capri, dove conobbe Curzio Mala­parte. Poi, passata la tempesta e tornata la democra­zia, nel 1945 si iscrisse al Pci. La biografia del sito del Quirinale (che non fa menzione della resistenza) è as­sai indulgente con Napolitano anche sul versante co­munista. Degli anni passati come dirigente del Pci di Togliatti e Stalin e poi dell’epoca Breznev o dei suoi viaggi a Mosca è difficile trovare traccia.

IL PASSATO FILO-SOVIETICO DI NAPOLITANO

Quando Napolitano disse: “in Ungheria l’Urss porta la pace

Nel 1956, all’indomani dell’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, mentre Antonio Giolitti e altri dirigenti comunisti di primo piano lasciarono il Partito Comunista Italiano, mentre “l’Unità” definiva «teppisti» gli operai e gli studenti insorti, Giorgio Napolitano si profondeva in elogi ai sovietici. L’Unione Sovietica, infatti, secondo lui, sparando con i carri armati sulle folle inermi e facendo fucilare i rivoltosi di Budapest, avrebbe addirittura contribuito a rafforzare la «pace nel mondo»…

Giorgio Napolitano nel nov. 1956: “Come si può, ad esempio, non polemizzare aspramente col compagno Giolitti quando egli afferma che oltre che in Polonia anche in Ungheria hanno difeso il partito non quelli che hanno taciuto ma quelli che hanno criticato? E’ assurdo oggi continuare a negare che all’interno del partito ungherese – in contrapposto agli errori gravi del gruppo dirigente, errori che noi abbiamo denunciato come causa prima dei drammatici avvenimenti verificatisi in quel paese – non ci si è limitati a sviluppare la critica, ma si è scatenata una lotta disgregatrice, di fazioni, giungendo a fare appello alle masse contro il partito. E’ assurdo oggi continuare a negare che questa azione disgregatrice sia stata, in uno con gli errori del gruppo dirigente, la causa della tragedia ungherese.

Il compagno Giolitti ha detto di essersi convinto che il processo di distensione non è irreversibile, pur continuando a ritenere, come riteniamo tutti noi, che la distensione e la coesistenza debbano rimanere il nostro obiettivo, l’obiettivo della nostra lotta. Ma poi ci ha detto che l’intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere – e qui sarebbe stato meglio che, senza cadere lui nella doppiezza che ha di continuo rimproverato agli altri, si fosse più chiaramente pronunciato – che l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenamento di una guerra calda, l’intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore d’Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all’Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare la aggressione imperialista nel Medio Oriente abbia contribuito, oltre che ad impedire che l’Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell’Urss ma a salvare la pace nel mondo.

«Napolitano non venga a Budapest. Con il Pci appoggiò i russi invasori», tratto da il Giornale, 26.5.2006.

Un portavoce dei superstiti: “Tardivo il su ripensamento, chi pagò con la vita non vorrebbe essere commemorato da lui“.

Hanno perdonato Boris Eltsin, erede dei loro carnefici. Potrebbero, sforzandosi, mandar giù anche un boccone indigesto come Vladimir Putin «l’opportunista» ma Giorgio Napolitano no, proprio no. Il nostro presidente della Repubblica non merita sconti e in Ungheria non deve andare. Soprattutto in quei giorni, nel prossimo autunno, in cui a Budapest si ricorderanno i 50 anni dell’invasione sovietica. A lanciare il diktat è un gruppetto sparuto ma autorevole di magiari, quelli raccolti intorno a «56 Alapitvany» (Fondazione ’56). Sono in diciannove, tutti accomunati dallo stesso destino: essersi ribellati agli occupanti venuti da Mosca e aver pagato per questo con duri anni di galera.

Per questo, l’altroieri, sono insorti quando hanno saputo che il presidente ungherese Laszlo Solyom aveva invitato per il prossimo autunno a Budapest anche Giorgio Napolitano. In nove hanno firmato una lettera-appello per chiedere che Napolitano non venga. O se proprio ci tiene a visitare l’Ungheria, lo faccia prima o dopo le commemorazioni. Facendo riferimento alla posizione presa dal Pci nel 1956, la lettera afferma che il documento di allora offrì sostegno internazionale ai sovietici che «repressero nel sangue il desiderio di libertà dell’Ungheria». E Laszlo Balazs Piri, tra i nove firmatari dell’appello, membro del board della Fondazione, già condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione per la sua partecipazione alla rivolta, rilancia: «Purtroppo i governi dei grandi Paesi occidentali non poterono aiutarci. L’opinione pubblica dei Paesi liberi era accanto a noi. Nello stesso tempo, però, in Paesi come Italia e Francia i Partiti comunisti erano allineati a Mosca. Furono d’accordo con questa resa dei conti sanguinosa contro la lotta di liberazione ungherese. Napolitano a quel tempo non era un bambino e aveva un’opinione».

A poco vale per i «reduci» della repressione sovietica il ripensamento del presidente italiano. Un dietrofront tardivo, sostengono. E Balasz Piri è categorico: «La comunità dei veterani del 1956 sente che quest’uomo non deve partecipare alle commemorazioni del ’56 ungherese. Chissà cosa direbbero quelli che sono stati impiccati in seguito alla repressione».

Il 26 settembre 2006, a Budapest, Napolitano ha reso omaggio alle vittime della rivoluzione del 1956, soffocata nel sangue dai carri armati sovietici. In quell’occasione ha detto: “Ho reso questo omaggio sulla tomba di Imre Nagy a nome dell’Italia, di tutta l’Italia, e nel ricordo di quanti governavano l’Italia nel 1956 e assunsero una posizione risoluta, a sostegno dell’insurrezione ungherese e contro l’intervento militare sovietico”. Non una dichiarazione sulle responsabilità sue e dei suoi «compagni» di partito, non una richiesta di perdono alle vittime (forse 25.000), non un’affermazione che defisse il comunismo «male assoluto».

http://www.storialibera.it/epoca_contemporanea/comunismo_nel_mondo/est_europa/ungheria_1956/articolo.php?id=732

Napolitano è al di sopra di ogni critica? (siamo ancora una democrazia?)

Napolitano è stato un militante e propagandista fascista durante il fascismo, difensore dell’invasione sovietica dell’Ungheria nel 1956, atlantista al tempo della strategia della tensione, europeista ai tempi dell’eurocrazia e neoliberista (cioè darwinista sociale) a sostegno di Monti.

La democrazia non pare volerlo toccare neppure con una perticaSarebbe interessante capire se la sua personalità autoritaria (forte coi deboli, debole coi forti) sia legata all’educazione ricevuta o sia connaturata al personaggio. Degni di nota i paralleli con Angela Merkel.

Aldo Giannuli è del parere che in una democrazia nessuno può essere immune da critiche. Questa è la sua lista:

a-nei quasi due anni del governo Prodi, Napolitano ha controfirmato senza battere ciglio leggi come la Legge 3 agosto 2007, n. 124 di riforma dei servizi segreti che fanno a cazzotti con gli art 3, 101, 104 e 112 della Costituzione (tanto per fare un esempio)

b-nel primo anno di governo Berlusconi ha controfirmato, con altrettanta letizia d’animo, riforme sulla giustizia su cui ci sarebbe stato molto da ridire, ma, più ancora, ha consentito provvedimenti in materia di federalismo in aperto contrasto con l’art. 5 della Costituzione

c-dalla fine del 2009, la sua prassi è andata via via invadendo campi non di sua pertinenza: ad esempio, per circa un anno la politica estera è stata di fatto curata direttamente dal Quirinale (anche se, bisogna ammettere, ciò trovava una sua parziale giustificazione nell’impresentabilità del Presidente del Consiglio che poteva fare viaggi di stato solo in Russia dal suo amico Putin)

d-fra gli sconfinamenti di campo del Presidente sono da segnalare anche interventi che definiremmo di “indirizzo storico culturale” (come le ripetute e non richieste esternazioni in materia di strategia della tensione e simili, subito raccolte da giornalisti  compiacenti delle maggiori testate nazionali)

e-una certa tendenza a “dettare” l’agenda del Parlamento e del Governo, che va molto oltre il diritto di inviare messaggi alle Camere sancito dall’Art. 87. Peraltro, il dovere del Presidente di essere imparziale non riguarda solo l’equidistanza fra le forze politiche, ma anche quella fra le forze sociali e questo è stato uno dei punti più carenti della Presidenza Napolitano: in tutta la vicenda della riforma del mercato del lavoro i suoi interventi sono stati costantemente schierati con il Governo (ed, in parte con la Confindustria) e contro il sindacato. Vice versa, colpisce il suo assoluto silenzio in materia di riforma della Finanza (anzi ricordiamo l’assoluta tranquillità con la quale il Presidente accettò l’inclusione dei reati finanziari nella discutibile amnistia del 2006)

f-Anche alcune sue “scelte silenziose” meritano un commento. Ad esempio il caso della grazia a Sofri: concessa dal suo predecessore, venne bloccata dall’allora Guardasigilli Castelli, per cui ne derivò un conflitto fra poteri dello Stato davanti alla Corte Costituzionale, risolto a favore della tesi presidenziale. La grazia tuttavia non diveniva esecutiva, perché nel frattempo Ciampi era giunto a scadenza. Un minimo di cortesia istituzionale avrebbe voluto che il nuovo Presidente desse esecuzione alla volontà del suo predecessore, assumendo l’atto della grazia non come una decisione personale ma come un atto di ufficio, tanto più che la questione era stata posta come conflitto fra poteri dello Stato, quindi trattata come atto dell’istituzione in quanto tale. Invece, non solo la grazia non era concessa, ma sulla questione calava un pesante silenzio. Di fatto, quella mancata conferma diventava un giudizio politico di merito che allineava Napolitano a Castelli, contro il suo predecessore. La conferma implicita verrà dal discorso del Presidente in occasione dell’”incontro delle due vedove” (Pinelli e Calabresi) il 9 maggio 2009.

g-Sempre in materia di atti non compiuti, ci sembra il caso di sollevare una questione totalmente ignorata: la Costituzione stabilisce l’obbligo di copertura delle spese per ogni legge non prevista dal bilancio (art 81). E’ noto, che questo è stato risolto per oltre trenta anni con il disavanzo finanziato dall’emissione di titoli di debito pubblico. E questo è accaduto anche durante gli ultimi governi di Prodi e Berlusconi. Anche se la soluzione adottata non contraddiceva la lettera della Costituzione,  sarebbe stato più che opportuno, doveroso, un richiamo del Presidente al rispetto della ratio costituzionale, cercando di contrastare l’aumento del debito. Ma né Napolitano né i suoi predecessori hanno ritenuto di farlo, magari  rinviando alle Camere qualche legge di spesa. Oggi si invoca un infausto (e poco credibile) vincolo di pareggio in Costituzione, ma non sarebbe stato costituzionalmente più corretto un intervento presidenziale mentre il debito si gonfiava  come una mongolfiera?

h-Ma dove la condotta presidenziale rende costituzionalmente più perplessi è la crisi del novembre scorso. Certamente c’era una situazione di emergenza determinata dalla tempesta sui titoli di Stato, c’era un Presidente del Consiglio che non aveva la sensibilità di farsi da parte ed il ricorso immediato alle elezioni, in quel contesto, appariva finanziariamente troppo rischioso. Tutto vero. Tuttavia, se un governo di transizione, espresso dal Presidente e mandato al voto in Parlamento, era la soluzione quasi obbligata, questo non significa che  ne dovesse scaturire una formula di governo di lunga durata (18 mesi) ed addirittura proposta anche dopo le prossime elezioni. Tanto più che noi abbiamo un sistema elettorale maggioritario, che è già uno strappo costituzionale in sé. Se poi le  due ( o tre) principali forze politiche si alleano, praticamente sparisce l’opposizione e la forma di governo del paese diventa un’altra cosa rispetto a quella prevista dalla Costituzione. Per di più, questo governo “tecnico” (che più politico non si può) non è affatto neutrale nel conflitto sociale, sta apertamente dalla parte della finanza e vara riforme che vanno molto al di là della singola emergenza che ne ha determinato la nascita, in campi come la giustizia, l’università, i beni comuni. Di fatto, questo governo sta cercando di attuare un nuovo modello sociale polarmente opposto a quello descritto nella prima parte della Costituzione e, per di più, senza mai aver ricevuto una investitura popolare. Se non è un colpo di Stato ci siamo molto vicini.

i-Anche dal punto di vista formale la prassi Presidenziale è stata molto “sciolta”: le consultazioni avviate prima ancora delle dimissioni del governo in carica, la nomina sul capo di Monti a Senatore a vita, con efficacia in 24 ore, con l’effetto di rafforzare la sua eventuale maggioranza in Senato (dove era possibile prevedere maggiori difficoltà, se il Pdl non avesse accettato di votare la fiducia), il governo che chiede ed ottiene la fiducia prima ancora di essersi completato con la nomina dei sottosegretari, ecc ecc: neanche in una bocciofila di quartiere si sarebbe statutariamente così allegri. Mi direte che si tratta di rilievi formali: certo, ma una democrazia parlamentare (o comunque liberale) è fondata su procedure formali da rispettare.

j-Infine, poco consono al dovere di imparzialità ci è sembrato il suo intervento diretto contro il movimento 5 stelle che avrà certamente i suoi aspetti criticabili, ma non spetta al Capo dello Stato occuparsene.

E, in fondo al tunnel dell’austerità neoliberista, già si scorge la nostra sorte…

a cura di Stefano Fait

 

Kendell Geers and K.O. Lab: T/Error, B/Order and D/Anger, 2003

Bisogna proseguire su questa strada, non c’è possibilità di uscire da questo sentiero più virtuoso e responsabile che abbiamo intrapreso…Ci impegnamo ad avere anche nella Costituzione il pareggio di bilancio. Non possiamo che continuare su questa strada. Le misure che vengono definite di austerità sono state imposte da una situazione molto delicata, come la crisi del debito sovrano in Europa, anche se le cause e le dimensioni della crisi economica sono molteplici. Ci muoviamo in questo orizzonte, sapendo che è il 2012 già è e sarà un anno difficile per le nostre economie.

Giorgio Napolitano, 20 marzo 2012

Quello che certamente si verificherà sarà una recessione dell’Area e il default della Grecia, con la possibilità che Atene arrivi all’abbandono dell’euro. Niente di tutto ciò renderà la vita facile al Portogallo.

Paul Krugman, Nobel per l’Economia, 28 febbraio 2012

Benché l’austerità non dia frutti, la risposta politica è quella di chiederne sempre di più. La crisi vede vacillare paesi come Spagna e Irlanda, che prima della crisi avevano avanzi di bilancio.

Joseph Stiglitz, Nobel per l’Economia, 7 marzo 2012

A me sembra che l’impostazione sindacale di Landini, che parte dai principi (repubblica imperniata sul lavoro, diritto di ogni cittadino al lavoro) piuttosto che dalle leggi naturali (domanda, offerta, libero scambio)…sia una scheggia di quel sindacalismo che prevaleva nell’Italia del dopoguerra, figlio dell’estremismo di sinistra.

Piero Ottone, Repubblica (un quotidiano che si diceva di sinistra), 22 marzo 2012

Notare la perla: ai principi costituzionali Piero Ottone antepone le “leggi naturali” (?), che poi sarebbero quelle del più forte ma detto in modo più algido, dimenticando che è proprio per difendersi da questo che i principi cui fa riferimento Landini sono stati scritti in Costituzione.La gente accetta per auto-evidenti affermazioni che sono tali solo perché appartengono al filone di pensiero prevalente. Mala tempora.

Mauro Poggi, 22 marzo 2012

L’incidenza dell’HIV / AIDS tra i tossicodipendenti per via endovenosa nel centro di Atene è aumentata del 1250% nei primi 10 mesi del 2011 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo il capo di Medici Senza Frontiere Grecia, mentre la malaria sta diventando endemica nel sud del paese per la prima volta dopo il regime dei colonnelli.

Reveka Papadopoulos ha detto che, in conseguenza di tagli selvaggi al bilancio del servizio sanitario nazionale, comprese pesanti perdite di posti di lavoro e una riduzione del 40% dei finanziamenti per gli ospedali, l’assistenza pubblica greca “è stremata, se non a pezzi. Vediamo indicatori molto chiari di un sistema che non regge”. I pesanti e miopi tagli di bilancio sono coincisi lo scorso anno con un aumento del 24% della domanda di servizi ospedalieri perché le persone non possono più permettersi la sanità privata. L’intero sistema si sta deteriorando. L’aumento straordinario dell’HIV/Aids tra i tossicodipendenti, causato soprattutto della sospensione o cancellazione del programma di distribuzione di siringhe, è stato accompagnata da un incremento del 52% nella popolazione generale. “Stiamo inoltre assistendo per la prima volta in Grecia alla trasmissione tra madre e figlio. Qualcosa che siamo abituati a vedere nell’Africa sub-sahariana, non in Europa. Poi c’è la ricomparsa della malaria endemica in varie parti della Grecia, in particolare il sud. “La malaria è curabile, non dovrebbe diffondersi se il sistema funziona”.

http://www.guardian.co.uk/world/blog/2012/mar/15/greece-breadline-hiv-malaria

L’austerità uccide ed infligge il colpo di grazia ad economie stagnanti.

Herbert Hoover nell’America della Depressione e Arnold Schwazenegger in California hanno già dato ampia dimostrazione degli effetti dell’austerità neoliberista. Un altro politico che adottò la stessa strategia in un’analoga situazione fu il cancelliere di Weimar Heinrich Brüning: dopo di lui arrivò al potere Hitler, sull’onda del disastro economico prodotto dai suoi tagli alla spesa pubblica. Chi predica il dogma dell’austerità (incluso Napolitano) non può essere in buona fede. Lo ripeto: Napolitano e Monti non possono non sapere che stanno distruggendo l’economia italiana. Il loro è, necessariamente, un piano consapevole (è comunque anche possibile che Napolitano sia semplicemente troppo ignorante o senile per capire cosa sta succedendo). Monti, Cameron, Merkel, Sarkozy, Papademos, ecc. sono i Brüning dei nostri tempi.

È indispensabile fare un buon lavoro di sensibilizzazione perché il deterioramento degli standard di vita spingerà molte persone normalmente apatiche a prendere posizione e protestare contro un sistema sempre più iniquo. Questi milioni di persone, catapultate improvvisamente sul palcoscenico della storia, saranno un boccone prelibato per i demagoghi e potrebbero cadere nella trappola dell’estremismo di destra.

Sono giunto alla conclusione che il piano dell’élite sia appunto questo, perché, lo ripeto, è impossibile che non abbiano appreso neppure i rudimenti della storia economica. La crisi economica e l’attacco israeliano all’Iran saranno impiegati per demolire lo stato di diritto democratico e, se non li fermeremo in tempo, instaurare qualcosa di molto diverso e di molto minaccioso.

A questo proposito, riporto una fantastica analisi di Blicero:

“La parola che definirà il 2012 è principalmente una: austerità. La crisi azzanna le economie, il corpo della società è malato, la recessione incombente: l’unica soluzione è ingurgitare il pesante cocktail di tagli alla spesa pubblica, aumenti di tasse, esuberi, licenziamenti di massa e benzina a prezzi greci. Certo, i sacrifici – assicurano alteri e sobri i nostri politici/governanti – saranno durissimi. Ma alla fine la crescita sboccerà di nuovo, e la prosperità, dopo il carpet-bombing di misure di austerità, tornerà a scoccare e risuonare impetuosa in tutti i cieli d’Europa.

Giusto? Non proprio. Se si guarda alla storia dei programmi di austerità degli ultimi 90 anni si nota esattamente l’inverso: svolte autoritarie, feroci scontri  di piazza, tensione sociale, massacri, colpi di stato, rovesciamenti di governi e l’ascesa di regimi dittatoriali. Il paperAusterity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010” scritto da Jacopo Ponticelli e Hans-Joachim Voth1 rileva in maniera scientifica la correlazione tra austerità e instabilità politica e sociale.

In “Austerity and Anarchy” i due studiosi individuano cinque diversi tipi di instabilità (manifestazioni contro il governo, riots, assassinii, scioperi generali e tentativi di rivoluzione) in Europa nel periodo 1919-2009. Gli indicatori sono assommati e aggregati in una variabile chiamata CHAOS. Nella prima immagine, come si vede, gli anni antecedenti/successivi alla seconda guerra mondiale, gli anni ’70 e la fine anni ’80/inizio anni ’90 sono estremamente turbolenti.

 

(Grafico #1: Numero di incidenti in Europa, 1919-2009. Fonte: Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010″)

Nella seconda immagine le barre indicano il numero di incidenti per anno e Paese. Più la barra diventa scura, più i tagli alla spesa pubblica sono massicci. Una volta che i tagli raggiungono il 2% del PIL, l’instabilità aumenta esponenzialmente. Quando i tagli arrivano al 5% del PIL vuol dire una cosa soltanto: Grecia odierna – e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

(Grafico #2: Disordini e tagli al budget. Fonte: Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010″)

Il programma di austerità più catastrofico della Storia è sicuramente quello della Repubblica di Weimar, portato avanti nel pieno della Grande Depressione (tra il 1930 e il 1932) dal “cancelliere della fame” Heinrich Brüning. Dopo aver appreso i fondamenti dell’austerity durante il dottorato alla London School of Economics, il cancelliere era fortemente supportato nel suo piano dai big dell’industria tedesca. Ma dopo due anni di austerità la situazione era degenerata: Brüning sospese di fatto la democrazia parlamentare e governò a colpi di decreti emergenziali; la disoccupazione raddoppiò dal 15% del 1930 al 30% del 1932; la miseria dilagò; le proteste si fecero sempre più violente; e le milizie paramilitari e i nazisti acquisirono un potere sconfinato. Brüning fu infine costretto a dimettersi, e nel 1933 salì al potere un certo Adolf Hitler.

Un altro interessante caso di studio sull’efficacia dei programmi di austerità è la Lituania dei primi anni ’90. L’URSS era appena collassata e la piccola repubblica sovietica cercava di sganciarsi definitivamente dall’orbita del Cremlino, anche e soprattutto sul versante economico. Per fare ciò, il governo lituano si rivolse all’economista Larry Summers (ex Segretario del Tesoro sotto Clinton ed ex presidente del National Economic Council sotto Obama), che prescrisse la solita medicina dell’austerità per la transizione dall’economia pianificata al libero mercato. I risultati? Disoccupazione alle stelle, corruzione galoppante, una popolazione che addirittura rimette al potere i comunisti (nel 1992, appena due anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Russia) ed il più alto tasso di suicidi del mondo. Nel 1990, infatti, in Lituania il tasso era fermo a 26.1 persone su 100.000; dopo appena cinque anni era schizzato a 45.6 su 100.0002.

(Grafico #3: Suicidi in Lituania, 1986-1996. Fonte: Haghighat, “Psychiatry in Lithuania: the highest rate of suicide in the world” in “The Psychiatrist”)

[…].

I programmi di austerità non sono stati sperimentati solo in Europa. Nel paperTightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995”, Hans-Joachim Voth analizza la corrispondenza tra le misure di austerità e l’instabilità politico-sociale in undici stati sudamericani nel periodo 1937-1995. Il risultato della ricerca, scrive Voth, “mostra una chiara e positiva correlazione tra austerità e instabilità”.

Il caso più eclatante del fallimento dell’austerity è quello venezuelano. Nel febbraio 1989 Carlos Andres Perez venne eletto presidente del Venezuela promettendo di combattere il piano di austerità che il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale volevano somministrare al suo paese. Ad appena tre settimane dall’elezione, però, Perez tradì le promesse e impose quegli stessi programmi a cui si era pubblicamente opposto. Le proteste furono massicce, la repressione cruenta: dopo aver dichiarato la legge marziale e sospeso la Costituzione, i reparti speciali della polizia trucidarono a Caracas circa tremila persone (i venezuelani chiamano il massacro “Caracazo”). In definitiva, il programma di austerity venezuelano aumentò esponenzialmente la povertà, fece esplodere la corruzione, rese incredibilmente ricco il solito ristretto club di oligarchi e nel 1992 portò ad un fallito tentativo di golpe da parte di Hugo Chavez. Perez, accusato di peculato e malversazione, venne destituito nel 1993 dalla Corte Suprema del Venezuela e fuggì a Miami, dove è morto il 25 dicembre del 2010.

 

(Grafico #4: Rivolte e Assassinii in Sud America, 1937-1995. Fonte: Voth, “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995″)

 

(Grafico #5: Rivoluzioni e Manifestazioni in Sud America, 1937-1995. Fonte: Voth, “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995″)

L’idea della “naturalizzazione de-politicizzata”3 della crisi sembra essere irrimediabilmente passata. Se vogliamo tornare a crescere, in parole povere, dobbiamo ingoiare l’amara pillola, rinunciare alle nostre pensioni, accettare di buon grado i tagli agli stipendi, accogliere con spirito di sacrificio lo smantellamento dello Stato sociale, chiudere un occhio sulle chiusure delle fabbriche, delle aziende e credere ciecamente nei vari pacchetti Salva-Qualcosa e Cresci-Qualcosa.

Il punto è che le misure di austerità non sono, come propugnano certi economisti e policy makers, l’unica & imprescindibile soluzione per imboccare nuovamente la retta via fiscale. La storia recente è lì a dimostrarlo: l’austerità non ha fatto altro che deprimere l’economia dei paesi che l’hanno adottata e ha risucchiato le società in una spirale di caos e disordine. “Ad eccezione della Germania, tutti i governi europei si stanno facendo in quattro per dimostrare ai mercati che non esiteranno a fare quello che è necessario – ha dichiarato tre giorni fa al New York Times Charles Wyplosz (professore di economia al Graduate Institute di Ginevra), riferendosi ai pacchetti di austerity approvati in questi ultimi mesi – Con questo tipo di politica stiamo andando dritti contro un muro. È follia pura”.

Quando si dice che l’alternativa all’austerità semplicemente non esiste, è una menzogna. Le misure di austerity sono una precisa scelta politica. Non è qualcosa che piove dall’alto. E non è nemmeno una catastrofe inevitabile come un terremoto, uno tsunami o un libro di Fabio Volo. Piuttosto, è la consapevole decisione di sfracellarsi contro un muro con una macchina senza l’airbag di serie”.

Libia: missione compiuta. Sotto a chi tocca! (Pachistan, Siria)

a cura di Stefano Fait

L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia è uno sviluppo naturale.

Giorgio Napolitano

Bombardare una nazione non è uno sviluppo naturale.

Antonio Di Pietro

Si tratta di una questione seria e delicata, che riguarda tra l’altro milioni di persone che si sono ribellate a un regime dittatoriale e che per questo stanno subendo azioni di guerra e rischi per la loro stessa incolumità fisica, civili innocenti abbandonati alla furia oppressiva.

Anna Finocchiaro

Chi scende in piazza contro la missione internazionale di fatto non è neutrale, bensì con Gheddafi. Perché niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? […] In Italia vedo appelli a protestare mossi dall’ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l’imperialismo americano. Come fa Vendola a dire né con Gheddafi né con le bombe?

Daniel Cohn-Bendit, presidente dei Verdi al Parlamento europeo.

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/perche-questuomo-e-il-leader-dei-verdi.html

Circa 10 giorni dopo l’11 settembre 2001 mi sono recato al Pentagono, ho visto il segretario alla difesa Rumsfield e il vice segretario Wolfowitz, sono sceso per salutare alcune persone dello Stato Maggiore che lavoravano per me e uno dei miei generali mi chiamò dicendomi: «Venga, Le devo parlare un momento», io gli dissi «ma lei avrà da fare…» e lui disse «no, no, abbiamo preso una decisione, attaccheremo l’Iraq» . Tutto questo accadeva attorno al 20 di settembre. E io gli chiesi: «ma perché?» e lui: «non lo so», e aggiunse «penso che non sappiano cos’altro fare». Io gli chiesi «hanno trovato informazioni che collegano Saddam Hussein con Al Quaeda?», disse «No, non c’è niente di nuovo. Hanno soltanto deciso di fare la guerra all’Iraq!», e disse «non so la ragione è che non si sa cosa fare riguardo al terrorismo, però abbiamo un buon esercito e possiamo rovesciare qualsiasi governo». Sono tornato a trovarlo alcune settimane più tardi e all’epoca stavamo bombardando l’Afghanistan. Gli chiesi: «bombarderemo sempre l’Iraq?», lui mi rispose «molto peggio!». Prese un foglio di carta e disse «ho appena ricevuto questo dall’alto», sarebbe a dire dall’ufficio del segretario alla difesa. «Questo è un memo che descrive in che modo prenderemo 7 paesi in 5 anni, cominciando dall’IRAQ, poi la SIRIA, il LIBANO, la LIBIA, la SOMALIA, il SUDAN e per finire l’IRAN». Gli chiesi: «è confidenziale?» e lui «si, signore».

Generale Wesley Clark, ex comandante generale dell’US European Command.

http://www.youtube.com/watch?v=fW8mLDtq9Ls&feature=player_embedded

Al Pentagono, nel novembre del 2001, feci una chiacchierata con uno degli ufficiali superiori. Sì, stavamo ancora progettando la guerra contro l’Iraq, ma c’era anche altro. Quel progetto faceva parte di un piano quinquennale di campagne militari che comprendeva sette nazioni: a partire dall’Iraq, per continuare con la Siria, il Libano, la Libia, l’Iran, la Somalia e il Sudan. Il tono era indignato e quasi incredulo […] Cambiai discorso, non erano cose che volevo sentire.

Wesley K. Clark, Winning Modern Wars, p. 130

http://www.amazon.com/Winning-Modern-Wars-Terrorism-American/dp/1586482181

Sono un autonomista, non un separatista, o comunque non separatista ad ogni costo.

Razzismi e nazionalismi e la violenza irrazionale che li accompagna si estinguono quando c’è prosperità e non c’è disoccupazione, ossia quando i deboli non sono costretti a combattersi l’un l’altro, quando nessuno si permette di stabilire che il proprio dio è superiore a quello degli altri, nessuno ha bisogno di idoli da venerare e tribù a cui giurare eterna fedeltà e per cui immolarsi. Quando invece c’è crisi gli intelletti si ottenebrano, le passioni si accendono, le idee si deformano, il buon senso ne esce mutilato. A quel punto o le comunità sono governate da persone di buona volontà, disposte a servire i cittadini, la verità e la giustizia, oppure razzisti, oscurantisti, populisti, guerrafondai, fanatici, mitomani, psicopatici assumeranno il controllo della società e la spingeranno verso l’abisso.

La dignità dei popoli non va confusa con il narcisismo particolarista di chi è più interessato a tutelare le proprie rendite e che, per ciò stesso, è facilmente manovrabile, diventa una pedina impiegata per frammentare entità nazionali, balcanizzandole, contrapponendo cinicamente un gruppo all’altro (divide et impera), trasformandole in golosi bocconi per la potenza di turno e neutralizzando così preventivamente ogni possibilità che le masse si uniscano contro le élite e le loro politiche egemoniche ed anti-democratiche.

Il separatismo è il gioco preferito da chi aderisce alle strategie di Zbigniew Brzezinski, grande vecchio della politica estera statunitense, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale (ne fu il direttore tra il 1973 ed il 1976) che, alla fine degli anni Novanta, spiegava che le guerre americane non servono a sanare l’economia americana ma esclusivamente a riaffermare l’egemonia statunitense mondiale e che solo un qualche tipo di Pearl Harbor consentirebbe di occupare militarmente l’Asia Centrale, il centro geostrategico del globo (l’11 settembre è arrivato circa 4 anni dopo la pubblicazione del libro):

http://www.amazon.com/Grand-Chessboard-American-Geostrategic-Imperatives/product-reviews/0465027261/ref=dp_top_cm_cr_acr_txt?ie=UTF8&showViewpoints=1

Riferendosi alle nazioni centrasiatiche, Brzezinski usava volutamente termini come: “vassalli”, “tributari” e “barbari”.

Essendo contrario alle guerre, che considerava e considera troppo dispendiose rispetto ai benefici che possono apportare, suggerisce di optare per la soluzione dell’insorgenza anti-governativa, ossia cambi di regime per mezzo di insurrezioni popolari programmate, le ben note rivoluzioni colorate.

Le rivoluzioni colorate sono dei movimenti di protesta non-violenti e non-spontanei esplosi in varie regioni dell’ex Unione Sovietica e del Medio Oriente, tra le quali la Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004), il Libano e il Kyrgyzstan (2005), l’Iran (fallita, nel 2009-2010), in seguito ad un’elezione  dall’esito contestato o sull’onda della richiesta di un voto legittimo. Sono non-spontanee in quanto strumenti di politica estera, come il terrorismo.

Questi non sono complottismi, sono fatti documentati dai migliori corrispondenti internazionali, incluso il premio Pulitzer Seymour Hersh (quello di My Lai e di Abu Ghraib) e confermati da Kissinger e, appunto, dallo stesso Brzezinski.

Se così tanta gente non l’ha ancora capito è per pigrizia intellettuale ed inerzia morale.

L’Occidente (o altre potenze regionali e globali) organizza e finanzia le rivolte, direttamente o attraverso le ONG, per ottenere dei cambi di regime senza incorrere negli ingentissimi costi di una guerra (Iraq, Afghanistan, Libia) o nelle spiacevoli ricadute d’immagine di un golpe (es. Pinochet, Gbagbo), sfruttando le vulnerabilità dell’emotività umana (paura, desiderio, pigrizia) e la credulità dell’opinione pubblica internazionale pronta ad avallare qualunque moto nominalmente democratico. I fomentatori sono degli specialisti, persone altamente competenti che devono manovrare i moti popolari in modo tale da non far trapelare le reali motivazioni dei poteri forti che li sostengono. La stragran parte dei manifestanti dev’essere in buona fede, altrimenti il fallimento è assicurato.

Se i governi (“regimi”) esistenti sono troppo robusti (es. Libia, Pachistan), si ricorre all’indipendentismo ed alla guerra civile.

Praticamente tutti i critici dell’intervento in Libia avevano previsto che quel paese sarebbe stato separato in due tronconi e quello orientale, più ricco di petrolio e gas naturale, sarebbe diventato una colonia euro-americana. Ora sappiamo che avevamo visto giusto.

“La Cirenaica si proclama “autonoma”. Alla Tripolitania, la mossa non è piaciuta. Il Cnt parla di «un appello alla fragmentazione». Il leader Mustafa Abdul Jalil minaccia uso forza. Il dopo-Gheddafi mostra le ambiguità di una ribellione che non è stata una rivoluzione per la democrazia.

La nuova Libia ogni giorno ha la sua pena. Si può anche capire, visto che i 42 anni di Gheddafi si sono lasciati dietro un vuoto istituzionale che la (ex) Jamahiriya (lo Stato delle masse) non è certo servita a coprire.

Però questo non rende la pena quotidiana meno acuta. Quella di ieri è la proclamazione, unilaterale, di una regione (o peggio, di «uno Stato») semi-autonomo. È la regione (o lo Stato) di Barqa, nome arabo della Cirenaica, l’est del paese, quella più grande – la metà dell’attuale territorio libico: va da Sirte fino al confine con l’Egitto a est, fino al Ciad e al Sudan a sud – e, guarda un po’, quella che racchiude i due terzi delle colossali risorse petrolifere.
La proclamazione è avvenuta nel corso del «Congresso del popolo della Cirenaica», svoltosi in un hangar fuori Bengasi, con duemila delegati in festa. Fra loro rappresentanti delle principali tribù dell’est – Ubaidat, Mughariba, Awajeer -, comandanti delle milizie che hanno combattuto contro Gheddafi – l’«Esercito di Barqa» che raggruppa 61 «milizie rivoluzionarie» dell’est – e uomini politici della regione – alcuni dei quali membri dello stesso Cnt, il Consiglio nazionale transitorio: come lo stesso Ahmed al Zubair al Senussi, nominato capo del Consiglio di governo provvisorio di Barqa.
Ahmed al Zuabair, quasi ottantenne, è il pronipote dell’ultimo re libico, re Idriss (pupazzo nelle mani degli inglesi rovesciato dal giovane colonnello Gheddafi il primo settembre 1969), ha passato nelle galere gheddafiane 31 anni e nel 2011 ha vinto il premio Sakharov per «aver combattuto per la libertà della Libia». La nuova Libia ha recuperati la vecchia bandiera di re Idriss e ora anche il pronipote.

Al Cnt e all’occidente libico, la Tripolitania, la mossa dei cirenaici non è piaciuta per nulla. Hanno un bel dire che si è trattato solo di una dichiarazione di intenti, che autonomia non vuol dire secessione, che federalismo «non significa divisione ma unità», che le risorse petrolifere, la politica estera e l’esercito nazionale resteranno nelle mani del governo centrale e «federale» di Tripoli. Il Cnt ha parlato di un passo «pericoloso» e di «un evidente appello alla fragmentazione».
Anche perché l’«autonomia» pretesa dalla Cirenaica è molto larga: un proprio parlamento, una propria polizia, delle proprie corti di giustizia, una capitale – Bengasi, la seconda città del paese -, un proprio governo. Anche le elezioni, indette «entro due settimane» per eleggere il proprio esecutivo, suonano come una sfida a quelle che il Cnt ha fissato per giugno, che dovranno eleggere una assemblea nazionale di 200 membri per nominare un nuovo capo di governo e scrivere una nuova costituzione. Sulla base della legge emanata dal Cnt, di quei 200 deputati, la Cirenaica dovrebbe averne 60, contro i 100 della Tripolitania (più popolosa). Troppo pochi dicono a Bengasi, accusando le autorità della «nuova Libia» di proseguire la politica di emarginazione-discriminazione che fu di Gheddafi verso l’est, accusato di essere culla dell’islamismo e dell’opposizione.

Alla «autonomia» e al «federalismo», il Cnt di Mustafa Abdel Jalil e il governo provvisorio del premier Abdel Rahim al-Keib contrappongono una «decentralizzazione» che darebbe ampi poteri ai governi muncipali e locali ma che non prevede l’esistenza di «Stati» così ingombranti. La mossa ieri a Bengasi riporta agli anni fra il 1951 (quando gli inglesi diedero «l’indipendenza») e il ‘63 in cui re Idriss (in realtà il Foreign Office di Londra) divise la Libia in tre Stati: la Tripolitania a ovest, la Cirenaica a est e il Fezzan nel sud-ovest.

La «nuova Libia» ha qualche problema”.

Maurizio Matteuzzi [Il Manifesto]

Roma, 07 marzo 2012, Nena News

http://nena-news.globalist.it/?p=17584

“Libia, Amnesty International denuncia “Torture e abusi da milizie fuori controllo”. L’organizzazione umanitaria sottolinea che “le azioni e il rifiuto di deporre le armi o unirsi ai ranghi dell’esercito regolare minacciano di destabilizzare il Paese e deludere le speranze di milioni di persone che sono scese in piazza per chiedere libertà, giustizia, rispetto per i diritti umani e dignità”.

Il loro disarmo era uno degli impegni prioritari del nuovo governo libico che deve traghettare il paese nel dopo-Gheddafi. Invece, a un anno dall’inizio della guerra civile che ha poi portato all’intervento della Nato e alla cacciata del dittatore, le milizie sono la principale minaccia alla stabilità della nuova Libia. Lo documenta un rapporto reso pubblico oggi da Amnesty International, che si apre, con una frase di Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani: “La mancanza di controllo da parte del governo centrale produce un ambiente favorevole alle torture e agli abusi”.

[…].

“I miliziani hanno preso prigionieri centinaia di lealisti di Gheddafi e di presunti mercenari stranieri, molti dei quali sono stati maltrattati e torturati, a volte fino alla morte”. Decine di migliaia di persone, secondo Amnesty, sono state costrette a lasciare le proprie case dalle milizie lanciate in saccheggi e devastazioni contro presunti fedeli del dittatore. La pratica degli arresti arbitrari, al di fuori di qualsiasi controllo da parte delle autorità statali, continua ancora con “migliaia di detenuti arrestati senza alcun processo e senza la possibilità di contestare la legalità del loro fermo”.

Il rapporto è basato sulle ricerche sul campo condotte dal personale di Amnesty che ha intervistato centinaia di persone che sono state detenute a Sirte, Misurata, Tripoli, al-Zawyah e Gharian.

[…].

Medici, personale internazionale, attivisti per i diritti umani erano troppo spaventati per denunciare le violenze di cui avevano avuto notizia o che avevano potuto verificare di persona. “Le loro paure erano fondate – aggiunge AI – Persone che hanno presentato denunce sono state minacciate o attaccate dalle milizie”.

[…].

Le autorità non hanno voluto riconoscere la scala degli abusi, limitandosi al massimo ad ammettere casi individuali, nonostante l’evidenza di abusi diffusi e sistematici in molte parti del Paese”.

Difficilmente la nuova Libia poteva partire peggio di così”.

di Joseph Zarlingo

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/16/libia-amnesty-international-denuncia-torture-abusi-milizie-fuori-controllo/191706/

PACHISTAN

L’8 febbraio 2012 si è tenuta un’Audizione del Congresso americano, convocata dalla Commissione per gli Affari Esteri della Camera statunitense dei Rappresentanti e presieduta da Dana Rohrabacher, membro repubblicano del Congresso e co-autore di un articolo che esprime sostegno per un Belucistan indipendente:

http://gilguysparks.wordpress.com/2012/02/19/ingerenza-straniera-negli-affari-del-balucistan/

Ciò corrobora l’analisi di Webster G. Tarpley sui piani statunitensi per il Pachistan:

http://tarpley.net/2011/05/27/gli-stati-uniti-e-il-pakistan-vicini-a-una-guerra-aperta/

A questa potenza nucleare, caduta in disgrazia presso la Casa Bianca e il Pentagono, potrebbe essere strappato il Belucistan, che diventerà uno stato indipendente molto ricco di risorse minerarie:

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_febbraio_21/miniera-oro-paksitan-virtuani_a952b4a4-5bda-11e1-9554-12046180c4ab.shtml

L’argomentazione impiegata è trita e ritrita. La maggioranza oppressiva dev’essere fermata, la minoranza può tutelarsi solo costituendo uno stato indipendente, alleato di ferro della NATO. [Chissà cosa succederebbe se fossero il Texas, il Nuovo Messico o il Vermont a volersene andare].

Nel caso pachistano, dopo la rimozione dal potere di Musharraf, burattino dell’Occidente, gli oppressori sarebbero gli indomiti Pashtun, che hanno resistito per secoli ad ogni occupante straniero. Oppressiva è la millenaria cultura del Punjab.

Il Belucistan ha anche il vantaggio di sconfinare nell’Iran e nell’Afghanistan, il che non guasta ai fini della destabilizzazione di governi ostili.

Questo piano ha però alcune controindicazioni di non poco conto: Pachistan ed Iran combatteranno fino all’ultimo per difendere la loro integrità territoriale e la Turchia non sarà disposta ad avallare una strategia che favorirebbe il separatismo kurdo. Gli Americani si troverebbero isolati nell’Asia Centrale e spazzati via, anche in virtù del probabile intervento cinese e russo, due potenze che si sono fatte garanti dell’unità pachistana e del diritto iraniano di proseguire il loro programma atomico:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/terza-guerra-mondiale-scacchiera-pezzi.html

SIRIA

Le milizie ribelli non sono diverse da quelle che hanno imperversato in Libia:

http://www.silviacattori.net/article2864.html

Forse sono addirittura le stesse persone:

http://gilguysparks.wordpress.com/2012/03/08/la-russia-critica-aspramente-la-nato-sulla-libia-e-la-libia-sulla-siria/

Il responsabile di Al-Jazeera per la Siria è il fratello di uno dei capi dell’insurrezione siriana. I giornalisti di Al-Jazeera si dicono sempre più indignati per la distorsione della realtà prodotta dal loro canale di informazione:

http://english.al-akhbar.com/content/syria%E2%80%99s-electronic-warriors-hit-al-jazeera

I ribelli ammettono di ricevere già da tempo armi dall’Occidente:

http://www.presstv.ir/detail/228428.html

La prima figura istituzionale ad abbandonare Assad e schierarsi coi ribelli è, guarda caso, un viceministro del petrolio:

http://it.euronews.com/2012/03/08/siria-vice-ministro-del-petrolio-si-dimette/

Una parte importante dell’opposizione siriana contraria all’escalation militare si dissocia da chi vuole a tutti i costi un intervento bellico:

http://www.almanar.com.lb/english/adetails.php?eid=46639&cid=23&fromval=1&frid=23&seccatid=20&s1=1

“Perché il regime di Bashar al-Assad non è caduto? Perché la maggioranza della popolazione siriana ancora lo sostiene (il 55%, in base a un sondaggio che risale di metà dicembre finanziato dalla Qatar Foundation)”:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=9863