Bersani o Renzi? Ma anche no!

I DISPERATI – Senza Soste

“Il grandissimo Elias Canetti [uno che cita Canetti per parlare di Renzi e Bersani è già indiscutibilmente un grande, NdR] parlava della disperazione come dell’unica forma disinteressata di esistenza. Insomma, un sentimento così profondo da superare, in importanza, l’interesse e il potere. Si trattava di un modo di esistenzializzare la disperazione. Come se fosse esclusivamente legata alla viva percezione della mortalità e al deperimento, alla caducità del senso del proprio agire. Nell’Italia della politica istituzionale la disperazione è invece legata al mantenimento, ad ogni costo, di ciò che si pensa essere interesse e potere. Persino a prescindere dal fatto che, una volta portato a compimento un piano, interesse e potere ci siano davvero. La disperazione rappresenta così i tratti complessivi di una antropologia del declino della ragione strumentale della politica mainstream, sedimentatasi nell’Italia dell’ultimo trentennio, quella dove le forme di soggettivazione si riproducono solo in tattiche di potere senza visione e senza uscita. Infatti, come non definire un disperato Mario Monti che parla di uscita dalla crisi entro pochi mesi?

Le revisioni delle stime del Fmi sull’Italia, che si presume conosca, proiettano al ribasso sia la recessione del 2012 che quella del 2013. Non solo: almeno due fattori globali, il rallentamento della “crescita” cinese (ai tassi più bassi dall’inizio degli anni ’90) e il fiscal cliff americano (la fine delle agevolazioni fiscali alla “crescita”, pari al 4% del Pil, entro il 2012) fanno capire che, a differenza di altri periodi anche recenti, la stagnazione non è solo italiana ma riguarda le locomotive economiche globali. Inoltre lo stato delle banche europee, se si segue la recente inchiesta del Wall Street Journal, è persino peggiore di quelle americane. I titoli tossici, spazzatura, inesigibili, speculativi affollano disordinatamente i portafogli delle banche del continente, se si sta all’inchiesta del WSJ, maggiormente rispetto a quelli delle consorelle americane. Dove siano le condizioni strutturali della ripresa, specie quando la governance continentale delle banche resterà ufficialmente in pieno caos per tutto il 2013 (come da compromesso recente nel vertice eurozona), lo sa solo Monti.

Ma in fondo lo sappiamo anche noi: le ragioni della ripresa stanno nella propaganda della disperazione. Di quel genere di disperazione di chi sa che ha un ruolo solo reiterando all’estremo l’unica politica che conosce. Mario Monti è l’Heinrich Brüning dei nostri tempi: similmente al cancelliere del Reich dal ’30 al ’32 attua una politica di tagli di bilancio e di deflazione salariale a prescindere dalla dinamica centrifuga che queste politiche provocano nel cuore della società. Brüning, a capo di un governo di centristi appoggiato dalla sinistra “responsabile”, sfuggì a stento da Hitler, il prodotto sociale maturo di quella stagione di austerità e rigore da lui promossa. Vedremo cosa accadrà a Mario Monti. [qualcuno potrebbe insinuare che Monti sia stato messo al potere proprio per generare quel tipo di clima – Monti è troppo intelligente per fare tutto questo in buona fede, NdR].

Comportamento simile lo troviamo in altri due disperati della politica italiana: Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Il primo ha sostenuto, nelle scorse settimane, con la copertura della discrezione di Repubblica e Unità, uno dei più robusti e silenziosi, almeno a livello di opinione pubblica, tentativi di salvataggio di banche tossiche della storia d’Italia. Stiamo parlando di una iniezione di liquidità superiore ai tagli delle pensioni della recente riforma Fornero a favore di uno dei feudi piddini: il Monte dei Paschi.  Allo stesso tempo, a differenza della Gran Bretagna (che è IL paese liberista) la decisiva immissione di liquidità non ha comportato che la banca passasse sotto controllo pubblico. Insomma, la società italiana ha compiuto uno sforzo immenso per pagare le avventure di MPS, e di riflesso del Pd, nel mondo della speculazione finanziaria.  Di fatto ha dovuto pagare anche il disastro MPS dell’acquisizione di Antonveneta (costata 9 miliardi), ma il controllo del Monte, a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna per casi analoghi, resta privato. Nonostante questo Moody’s ha declassato nei giorni scorsi i titoli MPS a spazzatura. Un’operazione da serio, serissimo dibattito politico. Lusi, Penati e lo scandalo Enac, di un altro collaboratore stretto di Bersani, rispetto a quanto è costato alla società italiana  MPS, e a fondo perduto, a confronto sono questioni da ricettazione di un camion trafugato pieno di salumi.

Non fosse che i titoli dei giornali di area centrosinistra sono tutti sulle regole delle primarie. E nel frattempo, con la defiscalizzazione dei crediti inesigibili delle banche (crediti inesigibili dove, già indirettamente, ci sono molte avventure di borsa) la società italiana paga un’altra cifra pari alla riforma Fornero. Già, e in questo scenario che ti tira fuori Bersani? La polemica con Renzi per le cene elettorali organizzate da un finanziere. Perché qui siamo su un altro piano di realtà: il campo di forza della creazione di consenso. E in quel campo di forza tornano utili, per vincere alle primarie, i servizi di Repubblica, ad uso dell’elettorato di centrosinistra quindi sterilizzati dalla realtà, su Occupy come il malcontento nei confronti dell’austerità genere Ballarò o Piazzapulita. Ecco quindi che, per estrarre il consenso necessario, Bersani il timoniere politico del crack MPS, già nella sala di comando ai tempi dell’operazione BNL-Unipol (quella della telefonata Fassino-Consorte “abbiamo una banca”), fautore della rapacità delle multiutility sui territori attacca Renzi perchè fa le cene promozionali con i finanzieri proprietari di società off-shore. Quando si dice la disperazione di Bersani: per vincere le primarie usando il tema delle banche bisogna tentare di tenere separato il campo della polemica da quello della realtà. Ridurre la questione a comportamenti che fanno effetto sugli spettatori di un televoto, dove si votano i personaggi meglio riusciti, e far evaporare il resto. Quello che paghiamo noi, tutti i giorni.

Su Renzi, il cui programma politico esporrebbe il paese ad una fine simile a quella dell’Argentina sotto Domingo Cavallo, bisogna dire che i tratti antropologici della disperazione del potere italiano sono di una particolare profondità che si agita  giusto sotto la superficie del non detto. La disperazione di Renzi, e di chi lo segue, che traspare da interviste sempre meno lucide, è quella di un potere anni ’90, blairiano che non ha mai avuto cittadinanza in Italia e che percepisce nervosamente di non avere futuro, qualsiasi sia l’esito delle primarie, viste le ristrutturazioni politiche ed economiche che abbiamo di fronte.

E qui, sotto le affermazioni renziane di disprezzo del fascismo e di desiderio di una vera democrazia, vediamo agitarsi dei tratti di disperazione che appartengono alle stagioni originarie delle squadracce fiorentine che riunivano futuristi e reduci della prima guerra mondiale. Basta guardare il pubblico di Renzi in sala e sentire le loro interviste, a volte ben fatte: l’adrenalina sale quando si parla di “decisione”, concetto sulla cui appartenenza a destra ci sono pochi dubbi in antropologia politica specie se, come qui, declinato con la consapevolezza di mandare a mare pezzi interi di società dopo un processo decisionale. L’eccitazione raggiunge l’acme nel modo con cui, Renzi dal palco e i fan nelle interviste, si coniuga il concetto di “merito”: come cavallo di Troia per farne passare uno nuovo di gerarchia.

Molto simile a quello espresso nella propaganda aziendale più autoritaria. Possiamo dirlo senza problemi: nel tentativo ansioso di riproporre schemi blairiani, applicabili fuori tempo massimo, alla società italiana il renzismo rielabora, nella forma della democrazia delle primarie, i trattici archetipici presenti nel fascismo della squadraccia della “Disperata” di Firenze: disprezzo per il lento sedimentarsi della vita sociale, selezione gerarchica degli appartenenti, mistica futuristica verso il nuovo. Allora quella tipologia comportamentale si nutriva del pensiero, comunque originale, di Marinetti. Oggi la sua sottile riedizione passa attraverso un pensiero importato e rimasticato, espresso da uno slang spaghetti marketing della politica pure cognitivamente povero. Renzi della squadraccia fiorentina ha rielaborato la disperazione politica ma non la sinistra originalità: il brand più importante di un raduno alla Leopolda era di Apple, gli slogan sono vintage fine anni ’90, l’organizzazione potrebbe indifferentemente essere applicata per una raccolta fondi fatta di titoli tossici o per il casting di un reality. L’immaginario della camicia, reiterato da Renzi con un bianco troppo acceso, rivela poi inavvertitamente l’antico eco della Disperata. In questo senso, il nero, il bruno e questo genere di bianco sono politicamente colori più vicini di quanto si osi pubblicamente dire. E questo in un paese che sembra più vicino all’Italia de Il Conformista di Bertolucci, una nazione apparentemente inerte in mano ad una propaganda ossessiva e a musica banale, che a qualsiasi altro periodo precedente.

[…].

Non guardiamo i dettagli, come lo spessore anonimo dei personaggi in scena o la formale fedeltà alla democrazia, piuttosto cerchiamo di capire quanto, e come, questo passato oscuro riesce a tornare sulla scena. In questo senso i briefing per la stampa dopo i vertici a Bruxelles, le conferenze della politica indoor fatti ad uso delle telecamere, i rapidi commenti a cascata su twitter su questi eventi, i blog dei giornalisti tipo “non ci sono alternative al rigore” che si richiamano a vicenda, la stampa intrisa di scandali da furto nella canonica rappresentano qualcosa di diverso dall’esercizio democratico della sfera dell’opinione pubblica. Perché c’è un modo disperato, un tratto antropologico dell’esercizio di questa democrazia che rischia di portarci direttamente frutti, materiali e sociali, prodotti da altri regimi”.

per Senza Soste, nique la police

21 ottobre 2012
http://senzasoste.it/internazionale/i-disperati

Webster Tarpley spiega la natura della crisi dell’eurozona (e cosa non fare)

 

Progresso Internazionale:  Tu hai dichiarato in varie interviste e discorsi sulla crisi finanziaria che ha investito la Grecia e l’Europa che “la Grecia non è un problema; il problema è la speculazione d’assalto”. Hai sottolineato che non c’e’ bisogno di austerità o di “salvataggi”. Perché austerità e salvataggi non sono necessari? E cosa sarebbe necessario invece?

Webster Tarpley:  Oggi assistiamo ad una attacco speculativo nei confronti della Grecia, della Spagna, del Portogallo, dell’Irlanda con l’idea di aggiungere poi anche l’Italia e altri paesi ancora. Questo attacco e’ motivato innanzitutto da considerazioni politiche: la debolezza del dollaro.
L’autunno scorso quando il dollaro scendeva praticamente ogni giorno, ci fu una presa di coscienza all’interno dell’elite della City di Londra e soprattutto di Wall Street che per salvare il dollaro direttamente non c’era niente da fare. L’unica strategia per evitare il crollo del dollaro era di provocare preventivamente un crollo dell’Euro e quindi fa apparire il dollaro come un porto sicuro nella tempesta generale.
E quindi hanno cominciato a ragionare: come si fa per attaccare l’Euro. Il fatturato tra l’Euro e le altre monete ogni giorno è di circa mille miliardi di Euro e quindi è difficile incidere lì con manovre bancarie e con lo scatenamento degli hedge funds. Perciò hanno identificato un punto debole cioè le obbligazioni dello stato greco in cui il deficit è molto elevato e anche le obbligazioni del Portogallo, e della Spagna.

E hanno anche lanciato un attacco contro l’Irlanda. E quindi con quei mercati che sono piuttosto piccoli paragonati ad altri paesi dell’Euro, hanno pensato che si potesse generare una crisi.

Così hanno fatto. Questo processo è stato innescato all’inizio dello scorso dicembre quando ci fu l’arresto della caduta del dollaro e l’inizio di una fase di ascesa del dollaro che si basava sulla debolezza crescente e sulla crisi dell’Euro.

Progresso: Gli hedge funds sono spesso associati al nome del finanziere George Soros, e si sono resi responsabili di attacchi contro le monete nazionali e quindi contro le economie e i livelli di vita di molti paesi tra cui anche contro l’Italia ai tempi della lira…

Tarpley: Sì, infatti. Gli hedge funds sono in generale strumenti di distruzione economica dediti al saccheggio delle economie reali per realizzare operazioni brutalmente speculative col risultato di procurare a un piccolo gruppo guadagni altissimi in brevissimo tempo e una miseria altrettanto alta.

I soci proprietari sono pochissimi, inferiore al numero minimo che renderebbe queste ditte regolabili per legge. Pochissimi investitori ma con immensa capacità finanziaria. Sono gli hedge funds che hanno partecipato alla distruzione della Lehman Brothers, hanno attuato la speculazione che ha portato all’aumento del petrolio al limite dei 150 dollari al barile nell’estate 2008 e oggi stanno tornando alla carica anche sul petrolio. Gli hedge funds sono gli incrociatori leggeri di questo attacco alla Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, Italia. Gli incrociatori sono seguiti dalle portaerei, che sono le banche, JP Morgan e via dicendo.

Progresso: E’ stato lo stesso giornale finanziario, Il Wall Street Journal, che ha rivelato in un sorprendente articolo dell’incontro segreto dei grandi hedge funds dedicato a preparare un attacco all’Euro…

Tarpley: Sì, questo è un esempio illuminante. L’articolo del Wall Street Journal è del 26 febbraio scorso; s’intitola minacciosamente: “Hedge Funds Pound Euro” [Gli Hedge Funds Pestano l’Euro]. Qui leggiamo di un incontro riservatissimo in un’abitazione di Manhattan, l’area elegante, l’area delle grandi banche di New York ospitato della ditta finanziaria Monness, Crespi, Hardt & Co. Gli ospiti, che hanno discusso cenando a base di pollo incrostato al limone e filet mignon, erano i rappresentanti dei più grandi (i “titani” li definisce il Journal) hedge funds. In particolare, c’era il rappresentante del Soros Fund Management LLC, David Einhorn, presidente della Greenlight Capital Inc., Donald Morgan, Presidente dell’hedge-fund Brigade Capital, il rappresentante di SAC Capital Advisors LP ed altri. I commensali si sono trovati d’accordo che era iniziata una fase di crisi non solo del debito pubblico, non solo della Grecia ma di tutti i paesi. Voglio porre l’accento sul “tutte”.

Questo vuol dire la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, il Giappone, Cina. Nessuno escluso. Nessuno è immune da questo attacco.

L’intenzione è di fare della Grecia il primo esempio e poi di generalizzare questo contagio verso altri, anche verso stati degli Stati Uniti come la California, New York e anche entità tipo il Port Authority, l’agenzia che gestisce il porto di New York. L’intenzione è di favorire un cannibalismo speculativo generalizzato…

Progresso: Un cannibalismo speculativo generalizzato?

Tarpley: Sì. L’idea è di lanciare attacchi speculativi coprendoli con lo spargimento di voci, teorie, giustificazioni che diano un’apparenza oggettiva a questo ben organizzato piano di cannibalizzazione finanziaria. L’arma per l’assalto sono I derivati finanziari, Credit Default Swaps.
Strumenti che servono per giocare al ribasso dei titoli (tipo i Buoni del Tesoro) emessi dai paesi-vittima per finanziare il proprio debito di bilancio. In questo contesto l’economia della Grecia, il deficit della Grecia, gli introiti dello stato greco – le cui manchevolezze sono state invocate dalla stampa mondiale, dai rappresentanti degli hedge funds, dagli istituti di ratings come la causa della crisi – sono in realtà solo minuscoli pretesti.
L’idea che si può bloccare l’attacco furibondo di questi hedge funds e delle grandi banche istituti finanziari “risanando” il bilancio e attuando una feroce austerità contro la popolazione del paese preso di mira dalla speculazione – tutto questo è irrazionale.

L’assalto speculativo di questi hedge funds non è motivato dalla necessità di tagliare la sanità o le pensioni per “riequilibrare” le finanze di un paese. Questa è semplicemente un’operazione orchestrata per colpire secondo un piano preciso e per fare grossi profitti.

Voglio rilevare che questi hedge-funds hanno da tanto tempo l’ambizione non tanto nascosta di provocare la bancarotta di stati sovrani – e cioè dei cittadini che sono bene o male rappresentati da queste istituzioni da loro elette. Si vorrebbe il ritorno alla “libertà” del signore feudale di disporre come vuole dei suoi soggetti. La loro idea sembra essere che fra breve le banche vinceranno e gli stati nazionali sovrani saranno schiacciati.
Qui negli Stati Uniti abbiamo l’espressione “zombie banks” appunto perché ci sono queste grandi banche come Citibank, JP Morgan Chase, Bank of America, e adesso anche Goldman Sachs che sarebbe una banca e anche Morgan Stanley che sarebbe una banca…

Tutte queste banche sono fondamentalmente in bancarotta, Sono insolventi. Sono Zombie, morti viventi! Sono state salvate, coi soldi degli americani, dall’intervento dello stato con il famoso bail-out [salvataggio finanziario] del settembre/ottobre 2008. Se paragoniamo la Grecia o lo stato della California (che ufficialmente sarebbe finanziariamente traballante) con la JP Morgan Chase dobbiamo concludere che le condizioni di Grecia e California sono mille volte migliori di quelle della JP Morgan Chase. Quindi c’e’ un forte elemento d’irrazionalità, di fantapolitica in questo tipo di discorsi.

Progresso: C’e’ stato un certo tentennamento all’interno dell’Unione Europea; non si sapeva se intervenire o meno. In parte forse comprensibile dato l’attacco speculativo violentissimo.

I leader e i pubblici europei sono stati martellati da continui appelli lanciati da George Soros e dai “titani” degli hedge funds affinché si intervenisse con tutti i mezzi da parte dei paesi europei per evitare quella che Soros ha chiamato la “spirale della morte”, con funebri previsioni di fine dell’Europa.

Tra l’altro ogni dichiarazione degli uomini degli Hedge funds, ogni pronunciamento delle agenzie di ratings tendeva ad aumentare la gravità della crisi.
Adesso le decisioni, che coincidono con il Primo Maggio festa dei lavoratori, prevedono una fortissima austerità che sarà il prezzo che la Grecia dovrà pagare per i suoi peccati finanziari con possibilità di esplosioni sociali. Ma, secondo la versione ufficiale, dopo la bastonata tutto dovrebbe rimettersi a posto, anche se ci sono piccole differenze di atteggiamento, come quella della Francia che fa la voce grossa contro la speculazione senza, però, prendere finora iniziative concrete. Che pensi della reazione dei paesi Europei alla crisi Greca; soprattutto della Germania e della Francia?

Tarpley:  E’ una reazione fallimentare. Si può riassumere in due punti. Prima di tutto, come hai detto, c’e’ l’austerità feroce con aspetti da genocidio economico nei confronti della popolazione greca che deve pagare più tasse, lavorare di più, andare in pensione dieci anni dopo, vedersi ridurre drasticamente i servizi sociali distruggere l’istruzione pubblica, la sanità… fare della Grecia una sorta di Inferno sociale.

Ma la feroce ironia in tutto questo è che tali misure non funzionano affatto! Anzi, peggiorano drammaticamente la situazione.
E’ questo il motivo per cui questi potentati finanziari le invocano? L’abbiamo visto mille volte nella storia anche recente. Il cancelliere tedesco Heinrich Brüning, nel 1930, rispose all’arrivo della Grande Depressione con spietate misure di austerità rigettando le proteste della popolazione e del Reichstag. Dovette imporre una forma di dittatura di fatto che provocò due conseguenze: la paralisi dell’economia e la presa del potere da parte di Hitler e del Partito nazista. Il fatto è che più si taglia il deficit e più crescono le spese dello stato. Per esempio parlando dei dipendenti dello stato greco si dice: licenziamoli. Benissimo; ma allora vuol dire che invece di pagare le tasse dovranno ricevere un sussidio da parte dello stato.

Progresso: Quindi la tua conclusione è che questo tipo di austerità equivale alla distruzione dell’apparato economico produttivo in definitiva….

Tarpley: Sì. Esatto. Qual è la grande risorsa di cui dispone la Grecia? E’ la qualificazione tecnica e professionale del lavoratore greco che è considerevole e quindi dovrebbero evitare la via dell’austerità. Ripeto, se funzionasse, si potrebbe anche discutere di questa ipotesi feroce, ma, infatti, sappiamo bene che mai è stata risolta una crisi semplicemente attaccando le condizioni di vita di una popolazione e fagocitando il capitale accumulato nell’apparato produttivo o altri beni capitali di cui un paese dispone. Tutto questo non funziona. Aumenta la crisi. Produce una crisi economica ancora più profonda.

Progresso: E tuttavia quello che sentiamo ripeterci da tutti i media, non solo negli USA e non solo quelli legati direttamente agli hedge funds, è che i Greci hanno fatto grandi errori, hanno creato un sistema sociale in cui si rimpinzano di tutti i benefici sociali senza dare niente, come cicale spendaccione e pigre paragonato alla serietà fiscale delle banche/formiche… Quindi sarebbe giustificato far loro espiare i peccati finanziari…

Tarpley: [Risata] Questo mi sembra l’atteggiamento feroce e barbaro che è tipico di chi vuole distruggere un sistema economico produttivo per rimpiazzarlo con cannibalismo speculativo. Questo è il linguaggio degli hedge funds. Questa è la loro giustificazione per lanciare nuove ondate speculative. Adesso arriva il paradiso dei luoghi comuni e del razzismo d’accatto. I Greci sono pigri, si sa.

E che dire dei Portoghesi? Sicuramente pigroni anche loro. La Spagna? Ma sì, lo sappiamo bene con tutte quelle sieste che fanno. E poi arriviamo all’Italia, scansafatiche con mandolini e spaghetti. Gli Irlandesi? Tutti alcolizzati. E non finirà qui. Poi magari sarà la volta degli inglesi; quante se ne potrebbero dire su di loro. Per non parlare della Germania.  Insomma ci sbattono in faccia argomentazioni puramente denigratorie presentate come analisi economiche e finanziarie.

E fatte da chi? Da ladri, da pescecani tipo questi Soros, questi David Einhorn, i grandi paladini della giustizia e della trasparenza che si sono incontrati per la famosa cena dell’otto febbraio a Manhattan. Queste sono le stesse ditte che hanno distrutto la Lehman Brothers il 15 settembre 2008 con le loro vendite al ribasso. Queste argomentazioni sono da respingere assolutamente, anche perché sono fatti da persone che dovrebbero essere in galera, da coloro che sono responsabili della crisi del 2008.

Progresso: Quindi tu dici che l’errore della Grecia è di non essere riuscita a difendersi da questo attacco…

Tarpley: L’errore madornale della Grecia è stato quello (durante il precedente governo) di invitare la Goldman Sachs che ha consigliato loro di creare una serie di derivati (derivatives) con la promessa – il classico boccone avvelenato — da parte dei reucci di Wall Street di nascondere l’ammontare del debito dello stato greco.

Così hanno dato alla Goldman Sachs la possibilità di usare queste informazioni per scatenare un attacco speculativo contro il paese.
Dobbiamo anche sottolineare che il regime della globalizzazione (di cui questi Soros, Goldman eccetera sono i grandi fautori) è un regime fallimentare. Dal 1990 abbiamo avuto un ventennio caratterizzato dalla vittoria del liberismo e monetarismo più scatenato, dal predominio degli Stati Uniti…
Questo ha distrutto tanti paesi, non solo la Grecia. L’Ucraina, l’Ungheria che erano già andate dal Fondo Monetario Internazionale. Il regime della globalizzazione non funziona, è fallimentare.

L’idea di privatizzare tutto, di cancellare qualsiasi legge e regolamento che aveva difeso gli standard di vita di un normale lavoratore ha aperto la porta al ristagno produttivo, al declino del capitalismo industriale, all’abbassamento del livello di vita.

Tutto questo non è colpa della Grecia, è colpa di quei finanzieri della City di Londra e di Wall Street che hanno insistito per la globalizzazione del mondo. Speculatori come George Soros.

Governo Monti o Italia: chi cadrà per primo? (pssst…i governi tecnici hanno le gambe corte, come le bugie)

a cura di Stefano Fait

“Sono volato in Asia per chiedervi di rilassarvi un po’ circa la crisi dell’Eurozona che è superata, anche grazie al più solido sentiero imboccato dall’Italia”.

Mario Monti, 2 aprile 2012

http://www.ilmessaggero.it/articolo.php?id=188613&sez=HOME_ECONOMIA

“Il pessimismo che regna tra i grandi produttori manifatturieri giapponesi è rimasto ai massimi livelli, stando ai dati del sondaggio trimestrale “tankan” effettuato dalla Banca del Giappone, che sottolinea le persistenti preoccupazioni circa l’apprezzamento dello yen ed il rischio legato all’indebitamento europeo”.

http://www.japantimes.co.jp/text/nb20120403a1.html

“Il peggioramento italiano sul fronte occupazione trova conferma anche nel trend europeo. Per l’Eurostat, infatti, i disoccupati nell’area Euro hanno raggiunto nel febbraio scorso la cifra record di 17 milioni di unità (+162mila su mese precedente), pari al 10, 8% (10,7% a gennaio)”.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-04-02/disoccupazione-febbraio-istat-giovani-111106.shtml?uuid=Ab00HoHF

 “L’indice manifatturiero Pmi dell’Eurozona è sceso a marzo a 47,7 da 49 di febbraio, in base alla lettura finale di Markit Economics. Il risultato conferma la stima preliminare e segnala una contrazione dell’attività per l’ottavo mese di fila. Quota 50 è la soglia di demarcazione tra espansione e contrazione dell’attività economica”.

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/economia/2012/04/02/visualizza_new.html_160445975.html

“La Germania ha sorpreso perché il suo Pmi è sceso per la prima volta nel 2012, e bruscamente, al di sotto di quota 50, portandosi a 48,4 da 50,3; mentre l’indice francese, ai minimi da 33 mesi, scendeva intanto a 46,7 da 49,9…Eurolandia e diversi suoi Stati membri devono affrontare venti contrari, in una situazione di difficoltà (e di austerità) fiscali che non aiuta certo a frenare la caduta della domanda interna, e soprattutto quella degli investimenti”.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-04-03/eurozona-industria-prospettive-incerte-064027.shtml?uuid=AbBfFDIF

“La stretta creditizia, i ritardi nei pagamenti e il forte calo della domanda interna sono le principali cause che hanno costretto molti piccoli imprenditori [11.615 nel 2011] a portare i libri in Tribunale. Purtroppo, questo dramma non è stato vissuto solo da questi datori di lavoro, ma anche dai loro dipendenti che, secondo una nostra prima stima, in almeno 50.000 hanno perso il posto di lavoro”.

CGIA Mestre, 31 marzo 2012

http://rassegna.governo.it/testo.asp?d=82321175

“Tariffe e tasse? Aumenti rozzi, ma meglio che finire come la Grecia”

Mario Monti, 1 aprile 2012

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-04-01/monti-tariffe-tasse-aumenti-081003.shtml?uuid=AbJZvKHF

“Oggi, secondo me, stiamo assistendo – non è un paradosso – al grande successo dell’Euro. E qual è la manifestazione concreta del grande successo dell’Euro? La Grecia”.

Mario Monti, 26 settembre 2011, trasmissione “L’Infedele”

“Rigore difficile da sopportare ma poi genera la ripresa economica”. Il presidente del Consiglio dopo l’incontro con il premier irlandese cita Dublino come esempio dei risultati che possono essere ottenuti con il consolidamento di bilancio e le riforme strutturali.

Mario Monti, 24 febbraio 2012

http://www.repubblica.it/politica/2012/02/24/news/monti_rigore_difficile_da_sopportare_ma_genera_la_ripresa-30426430/

“L’economia irlandese inaspettatamente si è contratta nel quarto trimestre, spingendo il paese in recessione, guidata da un calo delle esportazioni e della spesa pubblica. […]. Il ministro delle Finanze irlandese Michael Noonan ha detto la settimana scorsa che si aspetta di tagliare le previsioni di crescita per quest’anno, poiché le esportazioni rallentano e la spesa dei consumatori continua a contrarsi. L’Irlanda sta lottando per rilanciare la sua economia nazionale ma le misure di austerità pesano sulla domanda delle famiglie e la disoccupazione rimane sopra il 14 per cento”

http://www.businessweek.com/news/2012-03-22/irish-gdp-unexpectedly-declined-in-fourth-quarter-on-exports

“Le lezioni derivanti dalla repubblica di Weimar in Germania tra il 1919 e il 1933 non dovrebbero essere dimenticate. Già nel 1924 la stabilizzazione della moneta tedesca, dopo l’iperinflazione, era stata conseguita. Le cause immediate della fine della democrazia e dell’avvento del nazismo in Germania non sono derivate dalle incertezze sulla moneta, ma dalle politiche economiche di tagli drastici alle spese pubbliche e sociali, proprio negli anni della Grande Depressione, volute e realizzate dal Cancelliere Heinrich Brüning nel 1930-32, che hanno creato disoccupazione superiore al 30% e profondo malcontento nei lavoratori e nelle classi medie in Germania”

Rainer Masera, Repubblica – Affari e Finanza, 5 marzo 2012

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/03/05/cosi-europa-puo-evitare-la-tempesta-perfetta.html

“Intensificare le politiche di austerità in un contesto come quello attuale, in cui prevale il capitalismo finanziario, non abbasserà il rapporto debito/Pil, ma minerà soltanto la crescita economica. Le conseguenze del patto di bilancio saranno pertanto depressive”.

Stephan Schulmeister, “Quel patto che porta in Grecia”, Repubblica, 29 marzo 2012

http://temi.repubblica.it/micromega-online/quel-patto-che-porta-in-grecia/

 “Si è cominciato con atteggiamenti sprezzanti nei confronti dei giovani anche da parte del presidente del consiglio. Sfigati? Ma come si permettono? Vuol dire che non conoscono la realtà drammatica che vivono i giovani che spesso restano precari fino a che giovani non sono più. Poi la situazione è andata peggiorando. Fino a mercoledì. “Noi abbiamo il consenso, i partiti no”, ha detto Monti. Una frase e un atteggiamento che mi ha ricordato Craxi. E che denota una certa dose di populismo”.

Stefano Rodotà, “Monti non perda la sua sobrietà”, Trentino, venerdì 30 marzo 2012

“Ed è un capolavoro che raggiunge il suo apice nel passaggio sugli italiani, più maturi di quanto tutti si aspettassero. Bontà sua, professore. Sembra davvero trattarci alla stregua di quegli alunni un po’ indisciplinati che alla fine la fanno esclamare: “apperò, non siete mica così bestie come mi avevano detto”. Se ci consente, illustre presidente del Consiglio, accetti un nostro  suggerimento: non c’è cosa che manda più in bestia le persone dell’essere trattati dall’alto in basso, dell’essere considerati ingenuotti, sempliciotti, che si bevono tutto”.

Massimiliano Gallo, Linkiesta, 30 marzo 2012

http://www.linkiesta.it/lettera-monti-corriere#ixzz1qgwPMoAV

“Mario Seminerio, in questo breve post su Phastidio.net, commenta le Economic Surveys sull’Unione Europea presentata dall’Ocse. Dopo aver analizzato le raccomandazioni del documento, conclude con un desolato: “…L’unica spiegazione possibile è che l’Europa e la gestione della sua economia sono finiti in mano ad un gruppo di squilibrati”. Seminerio non è un sovversivo. È un bocconiano, economista, di posizioni mi pare moderate, più liberista che keynesiano. La sua voce si aggiunge al coro sempre più imponente degli economisti di entrambe le sponde atlantiche che contestano la politica economica Europea ritenuta ostinatamente demenziale. Il problema è che questo “gruppo di squilibrati” non è mai stato regolarmente eletto. Si tratta di tecnocrati auto-referenziali (o etero-referenziali, se li si considera come espressione di gruppi di potere), e in quanto tali non è possibile liberarcene con i normali metodi democratici. Non ci sono prossime elezioni grazie alle quali potremo cacciarli: sono lì per grazia divina, e in virtù di un potere che non abbiamo mai conferito loro continueranno a imporci sacrifici sempre maggiori con ricette sempre più recessive (cfr Grecia, Portogallo a breve). A questo punto, fra chi pensa come unica spiegazione possibile che siano un gruppo di squilibrati, e chi ha il sospetto che in realtà sia gente che opera lucidamente per un fine inconfessato, mi chiedo: chi è che sta peccando di ingenuità?”

Mauro Poggi, 27 marzo 2012

http://mauropoggi.wordpress.com/2012/03/27/gli-squilibrati-e-la-democrazia/

 “Questa sorta di nuovo populismo tecnocratico, incarnato dal montismo in versione elitaria, si invera nel richiamo alla maturità degli italiani…Ora, la contrapposizione partiti da una parte, governo dei tecnici e cittadini dall’altra, può piacere a molti italiani, spesso sedotti dalla tentazione a fare a meno della politica, e qualche volta anche della democrazia, ma non è una rappresentazione del tutto realistica. La stessa popolarità del governo è destinata a scendere quando saranno pienamente “percepibili” le misure adottate per evitare il baratro. Lo si vede in questi giorni con buste-paga pesantemente toccate dall’aumento delle addizionali Irpef locali; lo si vedrà con l’arrivo dell’Imu. E quando, e se, salirà l’Iva. Lo si intuisce già dalle diffuse reazioni, non certo della sola Fiom, sull’articolo 18. Vicenda nella quale l’ideologia dei tecnici ha dispiegato tutta la sua, voluta, potenza pedagogica. L’articolo 18 è essenzialmente un trofeo da consegnare a mercati, Bce e Unione Europea a guida tedesca. Visti gli esigui numeri in materia di giusta causa, è chiaro che la norma poco ha a che fare con l’appetibilità italiana per gli investimenti stranieri. Ostacolati, semmai, da una giustizia civile comatosa, dallo strapotere della criminalità organizzata in alcune aree del paese, dalle lentezze della burocrazia, dalla corruzione che altera le regole del gioco. La partita ha invece a che fare con la fine della concertazione, al massimo sostituibile, secondo Monti, con la consultazione delle parti sociali. Nel merito la visione del Presidente del Consiglio non è lontana da quella di Marchionne. La cosa non sorprende: per biografia Monti è parte dell’establishment finanziario internazionale e per dottrina un liberista, sia pure temperato”.

Renzo Guolo, “Se il populismo diventa tecnocratico”, Trentino, 31 marzo 2012

“Secondo l’ultimo sondaggio trimestrale svolto dalla Reuters tra gli economisti, l’arrivo di Monti non ha migliorato né le aspettative di crescita e nemmeno le attese per la tenuta per i conti pubblici italiani. Al punto che, per quanto riguarda la crescita, dallo zero del precedente sondaggio la previsione sull’andamento del Pil per il 2012 è addirittura precipitata al – 1,2 per cento, mentre il disavanzo è stato stimato al 2,2 per cento del Pil. In linea con il 2,3 per cento precedente. Ma significativamente al di sopra dell’obiettivo del governo che è dell’1,6 per cento. Proprio sulla base di queste previsioni negative nessuno degli interpellati ha ritenuto possibile aspettarsi che Monti possa raggiungere, come promesso, il pareggio di bilancio nel 2013”.

Pierre Carniti, 27 marzo 2012

http://www.nuovi-lavori.it/newsletter/section.asp?sid=17&iid=128&printme=1

“Non è che l’approccio del Governo non abbia nulla a che fare con la crescita. A chi dice all’Esecutivo di non cambiare il mercato del lavoro ma di occuparsi della crescita e della disoccupazione credo che il Governo risponda che un ostacolo allo sviluppo e all’occupazione sia rappresentato proprio da una situazione non soddisfacente, molto farraginosa, del mercato del lavoro”.

Giorgio Napolitano

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2012-04-03/napolitano-governo-riforma-aiuta-063731.shtml?uuid=Ab9NEDIF

“Il 99% della popolazione, praticamente tutti, si dice preoccupato e due famiglie su dieci sono state colpite dai licenziamenti…la crisi continua a colpire duramente: ormai un quarto delle famiglie (il 25%) rivela di esserne stata direttamente coinvolta, vuoi per la perdita di posto di lavoro o per la messa in cassa integrazione di uno dei propri componenti. Un dato in significativo aumento (+11%) rispetto a novembre 2011”.

http://www.agienergia.it/NewsML.aspx?idd=111216&id=67&ante=0

“L’analisi della crisi mostra chiaramente che il problema principale maturato negli ultimi trent’anni a seguito del contenimento della dinamica salariale e della spesa pubblica è stato l’insufficienza della domanda necessaria ad equilibrare la crescente capacità d’offerta potenziale dei sistemi produttivi. I tentativi di sopperire a questo squilibrio strutturale, alimentando la domanda con le “bolle” finanziarie e immobiliari, ha solo reso il sistema più fragile cosicché, dopo una lunga seria di crisi parziali, si è arrivati a quella globale in atto. In questo contesto, l’azione del governo si concentra su aspetti delle condizioni d’offerta, come la flessibilità in uscita dei lavoratori, che attualmente non hanno rilievo per rilanciare la crescita mentre aggrava le insufficienze dal lato della domanda che sono quelle dirimenti. Ma la riforma Monti-Fornero è controproducente anche rispetto alle problematiche dal lato dell’offerta; infatti non immette maggiori certezze nel sistema produttivo, ma – anzi – ne aumenta l’instabilità la quale è il nemico principale della crescita e della possibilità che essa sia qualitativamente compatibile con le esigenze sociali e ambientali sempre più ineludibili per generare sviluppo economico, sociale e civile nel medio e lungo periodo”.

Felice R. Pizzuti

http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/italie/Niente-di-tecnico-molto-di-tecnocratico-13062

“Con questo spirito tutti noi – io e voi – affrontiamo le nostre comuni difficoltà […] Non siamo stati colpiti dalla piaga delle locuste […] Ciò accade innanzitutto perché chi domina lo scambio di beni materiali ha fallito […] La condotta degli speculatori senza scrupoli è ora di fronte al giudizio dell’opinione pubblica e alla ripulsa dei cuori e della ragione degli uomini. Le uniche regole che conoscono sono quelle di una generazione di egoisti privi di una visione del futuro e quando questa manca il popolo soffre. […] Il nostro obiettivo più importante è quello di far tornare la gente a lavorare […] Lo possiamo realizzare attraverso assunzioni governative dirette, affrontando l’impegno come faremmo con un’emergenza bellica, ma, al contempo, grazie a queste assunzioni, portare a termine progetti di riorganizzare le nostre risorse naturali. […]. In questo sforzo per un rilancio dell’occupazione […] Abbiamo bisogno di una severa azione di controllo su tutte le attività bancarie, creditizie e di investimento, per porre fine alle speculazioni con danaro altrui”.

Franklin Delano Roosevelt, discorso di insediamento, 4 Marzo 1933

Confesso di aver sopravvalutato Mario Monti. A forza di sentirlo chiamare “professore” mi ero inconsciamente convinto che fosse un nemico temibile per chi ama la democrazia, la giustizia sociale e la libertà. Invece sto constatando, giorno dopo giorno, che il sospetto di Aldo Giannuli era fondato: non è davvero troppo lucido. Così, il rispetto che si riserva ad un avversario degno di nota sta lasciando il posto alla pena. Sarà forse l’età, o sarà che non è particolarmente avvezzo ad operare in ambienti in cui esiste dissenso, in cui le sue affermazioni vengono vagliate e contestate, quando non rispondono al vero.

Comunque stiano le cose e qualunque valore abbiano i sondaggi del Corriere della Sera, Monti è spacciato. Ha sfruttato finché ha potuto la spinta dell’anti-berlusconismo, il desiderio del PD e dei suoi elettori di sentirsi nuovamente al governo, l’assenza della sinistra dal Parlamento e dai media, ma ormai vacilla e sembra non essere più capace di farne e dirne una giusta. Passa da una gaffe all’altra, al punto che persino i compiacenti e servili editorialisti del Corsera lo rampognano, peraltro sempre con molto tatto.

È come se, improvvisamente, Monti si fosse accorto che le direttive che gli provengono dall’alto sono inapplicabili, perché lo renderebbero supremamente impopolare, e stesse cercando di tenere il piede in due scarpe, aggravando così la sua crisi di credibilità ed autorevolezza, che i principali media non riescono o non vogliono più dissimulare [sarebbe bello assistere agli scontri all’interno della redazione della Repubblica].

Dubito fortemente che questo governo ce la farà ad arrivare al 2013; non con il disastro socio-economico che sta abbattendosi sull’Italia e che sarà, giustamente, imputato principalmente a Monti & compagnia “bella”. A questo punto, potrebbe sembrare quasi indecente infierire su di lui e sul suo governo, ma la superbia con la quale continua(no) ad ignorare i fatti, i doveri istituzionali, i valori costituzionali e la sovranità popolare esigono che lo/li si colpisca duro finché non avrà(nno) capito che è giunto il momento di passare il cerino a qualcun altro, prima di bruciarsi troppo le dita e finché l’opinione pubblica non si sarà risvegliata dal sortilegio che le fa vedere bello, buono e giusto ciò che è turpe, iniquo e, in una parola, mostruoso.

Vorrei poter dire che mi diverto ad assistere alla caduta di questi “dèi” di terza classe – ed in parte è vero – ma la disperazione di milioni di Italiani, prodotta dalle atroci politiche neoliberiste degli ultimi anni, è reale e tangibile. Resta dunque un retrogusto estremamente amaro e il desiderio che tutto questo abbia fine al più presto e che la gente possa tornare a sperare in un mondo migliore.

E, in fondo al tunnel dell’austerità neoliberista, già si scorge la nostra sorte…

a cura di Stefano Fait

 

Kendell Geers and K.O. Lab: T/Error, B/Order and D/Anger, 2003

Bisogna proseguire su questa strada, non c’è possibilità di uscire da questo sentiero più virtuoso e responsabile che abbiamo intrapreso…Ci impegnamo ad avere anche nella Costituzione il pareggio di bilancio. Non possiamo che continuare su questa strada. Le misure che vengono definite di austerità sono state imposte da una situazione molto delicata, come la crisi del debito sovrano in Europa, anche se le cause e le dimensioni della crisi economica sono molteplici. Ci muoviamo in questo orizzonte, sapendo che è il 2012 già è e sarà un anno difficile per le nostre economie.

Giorgio Napolitano, 20 marzo 2012

Quello che certamente si verificherà sarà una recessione dell’Area e il default della Grecia, con la possibilità che Atene arrivi all’abbandono dell’euro. Niente di tutto ciò renderà la vita facile al Portogallo.

Paul Krugman, Nobel per l’Economia, 28 febbraio 2012

Benché l’austerità non dia frutti, la risposta politica è quella di chiederne sempre di più. La crisi vede vacillare paesi come Spagna e Irlanda, che prima della crisi avevano avanzi di bilancio.

Joseph Stiglitz, Nobel per l’Economia, 7 marzo 2012

A me sembra che l’impostazione sindacale di Landini, che parte dai principi (repubblica imperniata sul lavoro, diritto di ogni cittadino al lavoro) piuttosto che dalle leggi naturali (domanda, offerta, libero scambio)…sia una scheggia di quel sindacalismo che prevaleva nell’Italia del dopoguerra, figlio dell’estremismo di sinistra.

Piero Ottone, Repubblica (un quotidiano che si diceva di sinistra), 22 marzo 2012

Notare la perla: ai principi costituzionali Piero Ottone antepone le “leggi naturali” (?), che poi sarebbero quelle del più forte ma detto in modo più algido, dimenticando che è proprio per difendersi da questo che i principi cui fa riferimento Landini sono stati scritti in Costituzione.La gente accetta per auto-evidenti affermazioni che sono tali solo perché appartengono al filone di pensiero prevalente. Mala tempora.

Mauro Poggi, 22 marzo 2012

L’incidenza dell’HIV / AIDS tra i tossicodipendenti per via endovenosa nel centro di Atene è aumentata del 1250% nei primi 10 mesi del 2011 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, secondo il capo di Medici Senza Frontiere Grecia, mentre la malaria sta diventando endemica nel sud del paese per la prima volta dopo il regime dei colonnelli.

Reveka Papadopoulos ha detto che, in conseguenza di tagli selvaggi al bilancio del servizio sanitario nazionale, comprese pesanti perdite di posti di lavoro e una riduzione del 40% dei finanziamenti per gli ospedali, l’assistenza pubblica greca “è stremata, se non a pezzi. Vediamo indicatori molto chiari di un sistema che non regge”. I pesanti e miopi tagli di bilancio sono coincisi lo scorso anno con un aumento del 24% della domanda di servizi ospedalieri perché le persone non possono più permettersi la sanità privata. L’intero sistema si sta deteriorando. L’aumento straordinario dell’HIV/Aids tra i tossicodipendenti, causato soprattutto della sospensione o cancellazione del programma di distribuzione di siringhe, è stato accompagnata da un incremento del 52% nella popolazione generale. “Stiamo inoltre assistendo per la prima volta in Grecia alla trasmissione tra madre e figlio. Qualcosa che siamo abituati a vedere nell’Africa sub-sahariana, non in Europa. Poi c’è la ricomparsa della malaria endemica in varie parti della Grecia, in particolare il sud. “La malaria è curabile, non dovrebbe diffondersi se il sistema funziona”.

http://www.guardian.co.uk/world/blog/2012/mar/15/greece-breadline-hiv-malaria

L’austerità uccide ed infligge il colpo di grazia ad economie stagnanti.

Herbert Hoover nell’America della Depressione e Arnold Schwazenegger in California hanno già dato ampia dimostrazione degli effetti dell’austerità neoliberista. Un altro politico che adottò la stessa strategia in un’analoga situazione fu il cancelliere di Weimar Heinrich Brüning: dopo di lui arrivò al potere Hitler, sull’onda del disastro economico prodotto dai suoi tagli alla spesa pubblica. Chi predica il dogma dell’austerità (incluso Napolitano) non può essere in buona fede. Lo ripeto: Napolitano e Monti non possono non sapere che stanno distruggendo l’economia italiana. Il loro è, necessariamente, un piano consapevole (è comunque anche possibile che Napolitano sia semplicemente troppo ignorante o senile per capire cosa sta succedendo). Monti, Cameron, Merkel, Sarkozy, Papademos, ecc. sono i Brüning dei nostri tempi.

È indispensabile fare un buon lavoro di sensibilizzazione perché il deterioramento degli standard di vita spingerà molte persone normalmente apatiche a prendere posizione e protestare contro un sistema sempre più iniquo. Questi milioni di persone, catapultate improvvisamente sul palcoscenico della storia, saranno un boccone prelibato per i demagoghi e potrebbero cadere nella trappola dell’estremismo di destra.

Sono giunto alla conclusione che il piano dell’élite sia appunto questo, perché, lo ripeto, è impossibile che non abbiano appreso neppure i rudimenti della storia economica. La crisi economica e l’attacco israeliano all’Iran saranno impiegati per demolire lo stato di diritto democratico e, se non li fermeremo in tempo, instaurare qualcosa di molto diverso e di molto minaccioso.

A questo proposito, riporto una fantastica analisi di Blicero:

“La parola che definirà il 2012 è principalmente una: austerità. La crisi azzanna le economie, il corpo della società è malato, la recessione incombente: l’unica soluzione è ingurgitare il pesante cocktail di tagli alla spesa pubblica, aumenti di tasse, esuberi, licenziamenti di massa e benzina a prezzi greci. Certo, i sacrifici – assicurano alteri e sobri i nostri politici/governanti – saranno durissimi. Ma alla fine la crescita sboccerà di nuovo, e la prosperità, dopo il carpet-bombing di misure di austerità, tornerà a scoccare e risuonare impetuosa in tutti i cieli d’Europa.

Giusto? Non proprio. Se si guarda alla storia dei programmi di austerità degli ultimi 90 anni si nota esattamente l’inverso: svolte autoritarie, feroci scontri  di piazza, tensione sociale, massacri, colpi di stato, rovesciamenti di governi e l’ascesa di regimi dittatoriali. Il paperAusterity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010” scritto da Jacopo Ponticelli e Hans-Joachim Voth1 rileva in maniera scientifica la correlazione tra austerità e instabilità politica e sociale.

In “Austerity and Anarchy” i due studiosi individuano cinque diversi tipi di instabilità (manifestazioni contro il governo, riots, assassinii, scioperi generali e tentativi di rivoluzione) in Europa nel periodo 1919-2009. Gli indicatori sono assommati e aggregati in una variabile chiamata CHAOS. Nella prima immagine, come si vede, gli anni antecedenti/successivi alla seconda guerra mondiale, gli anni ’70 e la fine anni ’80/inizio anni ’90 sono estremamente turbolenti.

 

(Grafico #1: Numero di incidenti in Europa, 1919-2009. Fonte: Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010″)

Nella seconda immagine le barre indicano il numero di incidenti per anno e Paese. Più la barra diventa scura, più i tagli alla spesa pubblica sono massicci. Una volta che i tagli raggiungono il 2% del PIL, l’instabilità aumenta esponenzialmente. Quando i tagli arrivano al 5% del PIL vuol dire una cosa soltanto: Grecia odierna – e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

(Grafico #2: Disordini e tagli al budget. Fonte: Ponticelli, Voth, “Austerity and Anarchy: Budget Cuts and Social Unrest in Europe, 1919-2010″)

Il programma di austerità più catastrofico della Storia è sicuramente quello della Repubblica di Weimar, portato avanti nel pieno della Grande Depressione (tra il 1930 e il 1932) dal “cancelliere della fame” Heinrich Brüning. Dopo aver appreso i fondamenti dell’austerity durante il dottorato alla London School of Economics, il cancelliere era fortemente supportato nel suo piano dai big dell’industria tedesca. Ma dopo due anni di austerità la situazione era degenerata: Brüning sospese di fatto la democrazia parlamentare e governò a colpi di decreti emergenziali; la disoccupazione raddoppiò dal 15% del 1930 al 30% del 1932; la miseria dilagò; le proteste si fecero sempre più violente; e le milizie paramilitari e i nazisti acquisirono un potere sconfinato. Brüning fu infine costretto a dimettersi, e nel 1933 salì al potere un certo Adolf Hitler.

Un altro interessante caso di studio sull’efficacia dei programmi di austerità è la Lituania dei primi anni ’90. L’URSS era appena collassata e la piccola repubblica sovietica cercava di sganciarsi definitivamente dall’orbita del Cremlino, anche e soprattutto sul versante economico. Per fare ciò, il governo lituano si rivolse all’economista Larry Summers (ex Segretario del Tesoro sotto Clinton ed ex presidente del National Economic Council sotto Obama), che prescrisse la solita medicina dell’austerità per la transizione dall’economia pianificata al libero mercato. I risultati? Disoccupazione alle stelle, corruzione galoppante, una popolazione che addirittura rimette al potere i comunisti (nel 1992, appena due anni dopo la dichiarazione di indipendenza dalla Russia) ed il più alto tasso di suicidi del mondo. Nel 1990, infatti, in Lituania il tasso era fermo a 26.1 persone su 100.000; dopo appena cinque anni era schizzato a 45.6 su 100.0002.

(Grafico #3: Suicidi in Lituania, 1986-1996. Fonte: Haghighat, “Psychiatry in Lithuania: the highest rate of suicide in the world” in “The Psychiatrist”)

[…].

I programmi di austerità non sono stati sperimentati solo in Europa. Nel paperTightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995”, Hans-Joachim Voth analizza la corrispondenza tra le misure di austerità e l’instabilità politico-sociale in undici stati sudamericani nel periodo 1937-1995. Il risultato della ricerca, scrive Voth, “mostra una chiara e positiva correlazione tra austerità e instabilità”.

Il caso più eclatante del fallimento dell’austerity è quello venezuelano. Nel febbraio 1989 Carlos Andres Perez venne eletto presidente del Venezuela promettendo di combattere il piano di austerità che il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale volevano somministrare al suo paese. Ad appena tre settimane dall’elezione, però, Perez tradì le promesse e impose quegli stessi programmi a cui si era pubblicamente opposto. Le proteste furono massicce, la repressione cruenta: dopo aver dichiarato la legge marziale e sospeso la Costituzione, i reparti speciali della polizia trucidarono a Caracas circa tremila persone (i venezuelani chiamano il massacro “Caracazo”). In definitiva, il programma di austerity venezuelano aumentò esponenzialmente la povertà, fece esplodere la corruzione, rese incredibilmente ricco il solito ristretto club di oligarchi e nel 1992 portò ad un fallito tentativo di golpe da parte di Hugo Chavez. Perez, accusato di peculato e malversazione, venne destituito nel 1993 dalla Corte Suprema del Venezuela e fuggì a Miami, dove è morto il 25 dicembre del 2010.

 

(Grafico #4: Rivolte e Assassinii in Sud America, 1937-1995. Fonte: Voth, “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995″)

 

(Grafico #5: Rivoluzioni e Manifestazioni in Sud America, 1937-1995. Fonte: Voth, “Tightening Tensions: Fiscal Policy and Civil Unrest in Eleven South American Countries, 1937-1995″)

L’idea della “naturalizzazione de-politicizzata”3 della crisi sembra essere irrimediabilmente passata. Se vogliamo tornare a crescere, in parole povere, dobbiamo ingoiare l’amara pillola, rinunciare alle nostre pensioni, accettare di buon grado i tagli agli stipendi, accogliere con spirito di sacrificio lo smantellamento dello Stato sociale, chiudere un occhio sulle chiusure delle fabbriche, delle aziende e credere ciecamente nei vari pacchetti Salva-Qualcosa e Cresci-Qualcosa.

Il punto è che le misure di austerità non sono, come propugnano certi economisti e policy makers, l’unica & imprescindibile soluzione per imboccare nuovamente la retta via fiscale. La storia recente è lì a dimostrarlo: l’austerità non ha fatto altro che deprimere l’economia dei paesi che l’hanno adottata e ha risucchiato le società in una spirale di caos e disordine. “Ad eccezione della Germania, tutti i governi europei si stanno facendo in quattro per dimostrare ai mercati che non esiteranno a fare quello che è necessario – ha dichiarato tre giorni fa al New York Times Charles Wyplosz (professore di economia al Graduate Institute di Ginevra), riferendosi ai pacchetti di austerity approvati in questi ultimi mesi – Con questo tipo di politica stiamo andando dritti contro un muro. È follia pura”.

Quando si dice che l’alternativa all’austerità semplicemente non esiste, è una menzogna. Le misure di austerity sono una precisa scelta politica. Non è qualcosa che piove dall’alto. E non è nemmeno una catastrofe inevitabile come un terremoto, uno tsunami o un libro di Fabio Volo. Piuttosto, è la consapevole decisione di sfracellarsi contro un muro con una macchina senza l’airbag di serie”.

Le cause della Rivoluzione in Europa – L’hanno fatto una volta, lo rifaranno ancora

All’improvviso è lì, l’ospite di un altro mondo. Potrebbe venire tra mille anni, o anche domani. Che cosa faremo allora? Come ci proteggeremo da noi stessi, se assumerà ancora una volta la forma di un essere umano – uno che ovviamente non rassomiglierà per nulla ad Hitler, ma che potrebbe ad esempio essere calvo, con una lunga barba ed una voce paterna? Oppure giovane e in forma, dall’aspetto sveglio ed irresistibile? […]. Sedurrà la gente dalla testa ai piedi, come fece Hitler, e non solo la testa come fa il marxismo, o la pancia come fa il capitalismo. Gli crederanno, come credono in un dio, e saranno disposti a morire per lui, al fianco delle sue vittime, sentendosi finalmente vivi.

Harry Mulisch, “Criminal Case 40/61, the Trial of Adolf Eichmann An Eyewitness Account”, 2005, pp. 149-150.

L’hanno fatto in passato e probabilmente lo rifaranno anche in futuro.

Robert Servatius, avvocato difensore di Adolf Eichmann.

Quali furono le cause del contagio rivoluzionario che attraversò l’Europa nel corso del 2012?

Erano già state individuate in un oscuro e prezioso libricino, pubblicato proprio all’inizio dell’anno da Vladimiro Giacché, economista e giornalista del Fatto Quotidiano.

S’intitolava “Titanic-Europa: la crisi che non ci hanno raccontato” e fu, naturalmente, ignorato dai media ufficiali. Fu il passaparola degli internauti a decretarne il meritato successo.

Ecco una sintesi dei punti-chiave.

CAUSE DELLA CRISI

Il settore edilizio statunitense era in affanno già dal 2005 per un eccesso di offerta che non era compensato dalle facilitazioni creditizie. Risultato: cittadini indebitati, crollo del valore degli immobili, crisi dei mutui subprime. Questi sono poi cartolarizzati, ossia trasformati in titoli obbligazionari per essere rivenduti a banche e fondi di investimento per coprire fittiziamente le insolvenze, come nelle scatole cinesi. La montagna di liquidità si rivela essere un’illusione, consistendo in realtà in una montagna di debiti.

A questo proposito, Giacché segnala che i debiti della banche sono superiori a quelli delle famiglie, negli USA ed in molti altri paesi.

Per questo le banche hanno stretto i cordoni della borsa, causando un congelamento degli investimenti.

PERCHÉ IL RUOLO DELLA FINANZA È DIVENTATO COSÌ PROMINENTE?

L’ipertrofia finanziaria è l’inevitabile conseguenza della diminuzione della crescita dell’economia mondiale.

Tra 1973 e 2008 il tasso di crescita è di poco superiore alla metà di quello registrato tra 1950 e 1973. Senza includere la Cina equivarrebbe ad un terzo.

I profitti si dimezzano in Germania, Francia e Italia, tra gli anni Sessanta e i primi anni del terzo millennio.

Nel 2009 Marchionne rivela che il mercato assorbe solo 2/3 delle auto prodotte. Ossia, ogni anno, si fabbricano 30 milioni di auto invendibili. Nel 2002 erano 22 milioni (fonte: Wall Street Journal). Le case automobilistiche sopravvivono solo grazie agli aiuti di stato. Lo stesso Marchionne infatti aggiunge che “le autovetture finanziate in Europa sono 3 su 4”. Alla faccia del liberismo!

La finanza è la via di fuga dal rallentamento dell’economia, ma comporta un’impressionante crescita del debito e la moltiplicazione delle crisi: tra 1945 e 1971 non si verifica nessuna crisi finanziaria. Tra 1975 e 2010, ce ne sono 160 (e 54 crisi bancarie).

Negli anni Novanta scoppia la bolla finanziaria giapponese e comincia la sua stagnazione che, salvo brevi intervalli dovuti alla crescita cinese, dura ancora oggi.

Nel marzo del 2001 scoppia la bolla della New Economy e la recessione colpisce gli Stati Uniti. I profitti delle prime 500 imprese dell’indice di Standard & Poor’s nel secondo trimestre del 2001 erano calati mediamente del 60%. Il 10 settembre la Banca dei Regolamenti Internazionali certifica che la recessione riguarda l’economia globale.

Apro una parentesi sulla BRI: “I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo più ampio, niente meno che la creazione di un sistema globale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ciascuna nazione e l’economia mondiale nel suo complesso. Questo sistema andava controllato in stile feudale dalle banche centrali di tutto il mondo, agendo di concerto, per mezzo di accordi segreti raggiunti in frequenti incontri privati e conferenze. Al culmine della piramide ci doveva essere l’elvetica Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che a loro volta erano imprese private…non bisogna immaginare che questi dirigenti della principali banche centrali del mondo fossero loro stessi dei ragguardevoli potenti nel mondo della finanza. Non lo erano. Erano piuttosto dei tecnici e gli agenti dei massimi banchieri commerciali delle loro rispettive nazioni, che li avevano allevati ed erano perfettamente capaci di liberarsene…e che rimanevano in gran parte dietro le quinte…Questi costituivano un sistema di cooperazione internazionale e di egemonia nazionale più privato, più potente e più segreto di quello dei loro agenti nelle banche centrali. Il dominio dei banchieri commerciali era fondato sul controllo dei flussi di credito e dei fondi di investimento nelle loro nazioni e nel mondo….potevano dominare i governi attraverso il controllo dei debiti nazionali e dei cambi. Quasi tutto questo potere era esercitato dall’influenza personale e dal prestigio di uomini che in passato avevano dimostrato la capacità di portare a compimento con successo dei golpe finanziari, di mantenere la parola data, di mantenere la mente fredda nelle crisi e di condividere le loro opportunità più vantaggiose con i loro associati”. Lo scrive Carroll Quigley – docente di storia, scienze politiche e geopolitica a Princeton, Harvard e Georgetown, una delle massime autorità mondiali del suo tempo nel suo campo e mentore del giovane Bill Clinton, quando era uno studente universitario – in “Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time” (New York: Macmillan, 1966).

http://www.scribd.com/doc/71732657/Carroll-Quigley-Tragedy-and-Hope-2011-Ed

Chiusa parentesi.

Il mondo si salva dalla crisi che scoppierà nel 2008 solo grazie all’11 settembre. Nel novembre del 2001 la recessione ha termine.

Le imprese cercano di sfuggire alla contrazione dei profitti attraverso le attività finanziarie (la quota dei profitti generati in questo modo arriva al 40% del totale nel 2007), pretendendo (ed ottenendo) una marcata riduzione del carico fiscale, ma anche congelando o riducendo i salari.

Per questo, nel 2007 i lavoratori si ritrovano con un tenore di vita pari a quello del 1970. Se non se ne sono accorti è stato perché le banche hanno concesso prestiti agevolati e mutui ad alto rischio. Se vivono meglio è perché si indebitano di più. Si realizza il sogno del capitalista: i lavoratori guadagnano di meno ma consumano di più!

Nel 2007 il tasso di indebitamento in rapporto al reddito disponibile è del 176% in Irlanda, 145% nel Regno Unito, 138% negli Stati Uniti, 123% in Canada, 115% in Spagna

La cosa ha funzionato finché il valore degli immobili continuava a crescere e restava salda la percezione che la tendenza sarebbe continuata. Da 5 anni questo credenza si è infranta.

Successivamente, la retorica del libero mercato ha lasciato il posto agli aiuti di stato per “il salvataggio dei mercati” (Ben Bernanke).

Così, tra autunno 2008 e primavera 2009, almeno la metà delle 20 maggiori banche mondiali riceve un sostegno governativo diretto. Fino al giugno del 2009 il sistema bancario riceve, nel complesso, 14mila miliardi di dollari (equivalenti al colossale debito degli Stati Uniti!!!). Ora le autorità monetarie e i governanti europei ci spiegano che sono stati i cittadini comuni a vivere al di sopra delle proprie possibilità. D’improvviso, le nazionalizzazioni di Northern Rock, Royal Bank of Scotland e Dexia sono diventate un aspetto marginalissimo della questione.

I dati indicano, invece, che si è verificato “un gigantesco trasferimento del debito privato nel debito pubblico, ossia a una semplice socializzazione delle perdite” (Giacché, p. 43). Senza che peraltro si sia provveduto ad introdurre regole per evitare che questi eventi si ripetano. Non è per caso che il mercato dei derivati abbia toccato livelli record.

Contemporaneamente, le banche usano i soldi ricevuti non per risanarsi e concedere prestiti ai cittadini (rilanciando l’economia), ma per investire nei titoli di stato, i cui rendimenti sono superiori al tasso d’interesse a cui hanno ricevuto i prestiti dalle banche centrali.

 

IL PROBLEMA DEL DEBITO

Il debito complessivo, nel 2011, è pari al 310% del PIL mondiale.

Il governo italiano interviene con 30 miliardi annui di incentivi pubblici.

Chi paga? Per circa il 70% del totale i lavoratori dipendenti, in Germania come in Italia.

Così, dal 2007 al 2010 l’indebitamento della Germania cresce del 30%.

Quali sono le nazioni più indebitate?

In termini assoluti, gli Stati Uniti (oltre 14mila miliardi di dollari di debito e un deficit annuale di 1.300 miliardi di dollari).

In rapporto al PIL, il Giappone (229% contro il 120% italiano). Per ripagare il suo debito il Giappone dovrebbe devolvere tutte le sue entrate annue per vent’anni!

Se invece sommiamo debito pubblico e debito privato, vince la Gran Bretagna: già nel 2008 aveva raggiunto il 469% del PIL. Al secondo posto il Giappone (459%), Spagna (342%), Francia (308%), Italia (298%). Il Regno Unito manterrà o allargherà verosimilmente questo margine di vantaggio, dato che il suo deficit statale era del 10,4% nel 2010 e dell’11,7% nel 2011. Quello statunitense ha raggiunto la soglia del 10% del PIL. Gli USA sono una nazione allo stremo:

http://www.informarexresistere.fr/2011/12/30/la-zombificazione-degli-stati-uniti-e-pensano-di-potersi-permettere-unaltra-guerra/#axzz1od3sL7a5

che, nel 2010, ha dedicato il 20% delle sue spese alle forze armate. Con Obama si è raggiunto il 5% del PIL, superiore a quello dell’amministrazione Bush. Gli Stati Uniti non hanno mai speso così tanto per la voce armamenti dal tempo della fine della Seconda Guerra Mondiale. Intanto l’aspettativa di vita dei suoi cittadini li colloca ad un miserevole 37º posto nel mondo e le tasse sulle imprese sono pari a ¼ di quelle pagate dai cittadini (durante la Grande Depressione il rapporto era 1:1 e durante la Seconda Guerra Mondiale le imprese pagavano il 50% in più). Nel 2010 la General Electric non ha pagato un dollaro di tasse negli Stati Uniti. Il calo dei redditi è stato del 3,2% tra 2007 e 2009 e del 6,7% tra 2009 e 2011.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/13/the-big-squeeze-us-and-uk-income-drop-2002-2013/

Ho già descritto altrove la crisi del debito eurozona:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/16/basta-prendersela-coi-tedeschi-siamo-tutti-sulla-stessa-barca/

I lavoratori tedeschi hanno già subito molto, avendo perso il 4,5% del salario in termini reali (al netto dell’inflazione) dopo l’introduzione dell’euro. In nessun altro paese dell’eurozona si è registrata una diminuzione paragonabile a questa.

MENZOGNE SUI PIIGS E L’EURO:

Lavorano troppo poco: prima della crisi i Greci lavoravano in media 44,3 ore in settimana, contro una media europea di 41,7 e quella tedesca di 41 ore;

Sono sempre in ferie: avevano 23 giorni di vacanze contro i 30 dei Tedeschi;

Hanno stipendi eccessivi: ricevevano il 73% del salario medio dell’eurozona e gli insegnanti erano pagati il 40% in meno che in Germania;

Pensioni d’oro e pensioni baby: andavano in pensione dopo i Tedeschi e ricevevano il 55% della media del’eurozona;

Il grande problema di Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e, in misura minore ma sostanziale, Italia e Francia, è che all’ingresso nell’eurozona è corrisposta la deindustrializzazione. Nessuno di questi paesi poteva competere con la Germania senza svalutare (la dracma era stata svalutata del 45% rispetto al marco nel decennio precedente all’introduzione dell’euro). Così le esportazioni tedesche verso la Grecia sono aumentate a dismisura, tra il 47% ed il 94% a seconda dei settori.

Ciò nonostante, la Grecia non se la stava cavano male, fino al 2008. Poi si è trovata a dover salvare le due maggiori banche private del Paese. Questo ha fatto esplodere il deficit, che è passato da un ATTIVO del 2,9% nel 2006 ad un passivo del 32% nel 2010.

Dal 2010 le misure di austerità dei governi greci hanno ridotto il reddito dei Greci del 20%. Il conseguente crollo dei consumi e degli investimenti ha fatto esplodere il rapporto debito/PIL, che potrebbe arrivare al 180% nel 2012. Il deficit ha superato il 10% nel 2010.

Se, nel 2010, le autorità europee avessero speso 167 miliardi di euro per riportare il debito greco sotto controllo, all’80% del PIL, pari a quello tedesco, si sarebbe evitato questo buco nero. Quella stessa cifra è stata però spesa nel 2008-2009 per salvare Bank of America, Royal Bank of Scotland, Ing e Goldman Sachs.

Non contenti di aver fallito con la Grecia, gli eurocrati hanno applicato le stesse “terapie” alle altre nazioni, ad esempio in Irlanda per salvare le banche tedesche e britanniche (esposte rispettivamente per 184 e 188 miliardi di euro). L’Italia, che aveva un debito pubblico sotto controllo ed il più grande avanzo primario cumulato dell’intero Occidente, è stata (è) un’altra vittima: “il buco è stato colmato con l’IVA…un’imposta regressiva: le tasse indirette infatti colpiscono i poveri più dei ricchi, e questo perché la proporzione del reddito speso in beni di consumo è maggiore per gli stupendi bassi che per quelli alti” (p. 103-104).

Anche la Francia è a rischio. Il debito è cresciuto di quasi il 28% tra 2007 e 2010 e la bilancia commerciale ha un disavanzo annuo di oltre 100 miliardi di euro.

IN PRINCIPIO ERA HITLER (NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI, LA DIRIGENZA EUROPEA È COMPOSTA DA FANATICI)

Nouriel Roubini dixit: “come negli anni trenta, stagnazione prolungata, depressione, guerre valutarie e commerciali, controlli sui capitali, crisi finanziaria, insolvenze dei debiti sovrani e grande instabilità sociale e politica”.

Dylan Grice, analista di Société Génerale, osserva che sono state le politiche deflazionistiche del cancelliere Brüning a far balzare la disoccupazione al 30%, regalando milioni di voti ai nazisti.

Giacché cita lo storico dell’economia Derek Aldcroft: “Per tutta la seconda metà del 1930 e del 1931 la situazione economica si deteriorò costantemente ovunque. Con la caduta dei redditi il bilancio statale e i conti con l’estero divennero squilibrati e la prima reazione dei governi fu quella di varare provvedimenti deflazionistici, che non fecero che peggiorare le cose”.

Si associa ed aggiunge: “Quello che allora ne seguì è noto: ascesa al potere di Hitler, guerre valutarie, protezionismo e guerre commerciali, e infine la seconda guerra mondiale. Fu quest’ultima a risolvere la crisi, uccidendo oltre 50 milioni di persone e distruggendo capitali e forze produttive in misura senza precedenti per la storia dell’umanità” (pp. 130-131).

Cosa succederà? “Il processo di rientro dai deficit pubblici sta aggravando la crisi della domanda interna…siccome il settore privato sta già diminuendo i propri investimenti a causa della crisi, la forte diminuzione anche degli investimenti pubblici non farà che peggiorare la situazione. Non solo. Siccome questi risparmi sono attuati contemporaneamente in tutti i Paesi europei, e siccome il mercato europeo è fortemente integrato e interconnesso…la crisi della domanda interna diventa immediatamente crisi dell’export reciproco” (p. 133).

Repetita iuvant: “La razionalità dei mercati, lo Stato che deve dimagrire, la necessità delle privatizzazioni, le liberalizzazioni come toccasana per la crescita, la deregolamentazione del mercato del lavoro come ingrediente essenziale contro la disoccupazione: praticamente nessuno di quei luoghi comuni, che proprio la crisi scoppiata nel 2007 si è incaricata di smentire clamorosamente, ci viene risparmiato…si tratta di un fenomeno evidentissimo a chiunque provi a ragionare con la propria testa su quanto sta accadendo, senza farsi intrappolare dai cliché e dalla frasi vuote sull’argomento” (pp. 138-139).

I governanti europei sono colpevoli di crimini contro l’umanità: “bisogna avere il coraggio di dire che il raddoppio in tre anni del livello di suicidi in Grecia non è un effetto collaterale “naturale” della crisi, ma un vero e proprio crimine che ha mandanti ed esecutori” (p. 140).

I governanti europei sono nemici della democrazia: “Chi avrebbe detto che proprio quell’Europa che pretende di insegnare la democrazia a tutto il mondo, e talvolta di esportarla con i bombardieri, avrebbe impedito a un governo di organizzare un referendum popolare sulle misure di austerity da assumere come è avvenuto in Grecia? Chi avrebbe mai considerato normale che l’esito delle elezioni in Portogallo fosse ritenuto irrilevante, perché comunque il programma da seguire era già stato scritto a Bruxelles e a Francoforte? E che dire dell’Italia, dove si è ritenuto un atto di alta responsabilità nazionale impedire che si andasse alle elezioni anticipate dopo il catastrofico fallimento di un governo, oltretutto ormai privo di maggioranza parlamentare? In questi anni in Europa è successo letteralmente di tutto. La guida di fatto dell’unione Europea assegnata a Francia e Germania senza che questo sia previsto da nessun Trattato. Una Banca Centrale Europea che non può fare il prestatore di ultima istanza perché i Trattati le legano le mani, ma che in compenso manda lettera minatorie a governi di Paesi sovrani, dettando il proprio programma di governo (per giunta sbagliato). Parlamenti ricattati e costretti a votare l’inserimento in Costituzione di norme assurde e controproducenti come il vincolo del pareggio di bilancio. Tutto ciò mentre l’Europa degli accordi intergovernativi si adopera per modificare (in peggio) i Trattati esistenti facendo accuratamente in modo che nessun popolo europeo possa esprimersi con il voto su di essi” (p. 157).

La spada di Damocle sospesa sull’Italia: “La regola delirante della dimunizione del debito in ragione di 1/20 all’anno della quota che eccede il 60% del PIL resta appesa come una spada di Damocle sulle nostre teste: se applicata alla lettera essa comporterà per il nostro Paese manovre correttive annue da 50 miliardi di euro per 20 anni. Nietne paura, comunque: con i tassi d’interesse attuali, andremo in default molto prima” (p. 160).

La spada di Damocle sospesa su UK, USA e Giappone: “il contagio della crisi del debito sovrano difficilmente lascerà indenni tre grandi debitori pubblici quali il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Giappone. In particolare la situazione del Regno Unito sarà aggravata dall’entità abnorme del debito delle banche che va aggiungendo a quello pubblico” (p. 160).

Rivoluzione o distruzione: “Ma davvero non c’è via d’uscita? È davvero un destino ineluttabile che una classe dirigente inadeguata riesca a provocare tutto questo? Forse no. Se il timoniere non vuole cambiare idee e rotta, resta pur sempre un’altra possibilità: cambiare il timoniere” (p. 161).

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: