
LIBERTÀ
Essere liberi di scegliere la propria fede, la propria visione del mondo, indirizzo politico e concezione filosofica, di esprimerle e metterle in pratica pubblicamente, è oggi forse uno dei pochi valori riconosciuti come tali da quasi tutti i movimenti. Nasce anche da questa pluralità, innegabilmente feconda, l’incontro, il dialogo, che si espande alla dialettica e che spesso conduce ad una sintesi, a partire dalle iniziali contrapposizioni.
Alex Langer, Pluralismus und Einheit 1 aprile 1965. Da: skolast Nr. 4-5
In cosa consiste tuttavia la libertà di cui godono le genti di questa aristocrazia guerriera? Non si tratta assolutamente d’una libertà coincidente con l’indipendenza e neppure della libertà attraverso la quale si rispettano gli altri. La libertà di cui usufruiscono i guerrieri germanici è essenzialmente la libertà dell’egoismo, dell’avidità. Coincide con il gusto della battaglia, col gusto della conquista e della rapina. La libertà di questi guerrieri non è quella che procede dalla tolleranza e dall’uguaglianza, ma è una libertà che può essere esercitata solo attraverso la dominazione. Ciò significa che essa, lungi dall’essere una libertà che nasce dal rispetto, è una libertà della ferocia. (…) la libertà sarà equivalente a una ferocia che è gusto del potere e avidità determinata; incapacità di servire e desiderio sempre pronto ad assoggettare.
Michel Foucault, “Difendere la società” (sulla visione politica di Nietzsche), pp. 101-102
Il male è, e resta, ciò che tu sai che non dovresti fare. Ma per disgrazia l’uomo, a questo proposito, si sopravvaluta: crede di essere libero di scegliere il bene o il male…in realtà, considerando la grandezza di questi opposti, è troppo piccolo e impotente per scegliere l’uno o l’altro volontariamente e in qualsiasi circostanza.
Carl Jung a Erich Neumann (1957), cf. Erich Neumann, “Psicologia del profondo e nuova etica”, p. 133
Altiero Spinelli descriveva la sua visione della libertà in questi termini: “non è riuscito a trovare alla libertà nessun’altra base più solida della forza con cui chi ha da realizzare qualcosa si mette all’opera e non si fa sopraffare dagli altri. Non ama la libertà degli altri in virtù di un astratto ideale di libertà. Chi vuol fare una cosa tende a calpestare gli altri” (Graglia 2008, p. 140).
Questa, a mio parere, è una falsa idea di libertà, è la libertà del forte di prevalere sul debole, di far trionfare la sua volontà, sempre e comunque, è la libertà dell’anarchismo di destra, del pensiero libertario della frontiera americana. Si è più liberi quante più persone si relegano sotto di noi. Lo stesso Piero Graglia, che pure è un biografo particolarmente generoso nei suoi confronti, concede: “Può sorgere naturale il dubbio, fondato, che Spinelli in fin dei conti nutra un malcelato disprezzo per la pratica democratica e per il sistema rappresentativo” (Graglia, 1993, p. 55).
Questa è un’idea di libertà diversa da quella di Spinelli e, sempre a mio avviso, più consona ad una democrazia matura.
La libertà pone al centro l’individuo come principio e come valore. È uno dei capisaldi del pensiero umanista. “Ti determinerai la tua natura secondo il tuo arbitrio”, scrive Giovanni Pico della Mirandola nell’orazione “De hominis digitate” (1486). “Non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l’uomo cessi di essere persona e diventi cosa” confermerà Cesare Beccaria, tre secoli più tardi, nel 1764. Infine, nella sua stesura preliminare, l’articolo terzo della Costituzione della Repubblica, ingiungeva: “È compito perciò della società e dello Stato eliminare gli ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza degli individui, impediscono il raggiungimento della piena dignità della persona umana e il completo sviluppo fisico, economico, culturale e spirituale di essa”.
La libertà è lo svincolamento da forze e circostanze che oggettificano l’umano, che impongono ad una persona la passività e prevedibilità della materia grezza. Gli oggetti hanno cause, i soggetti hanno motivazioni e ragioni complesse e anche contraddittorie.
Il filosofo russo Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev considerava la libertà un valore aristocratico: “In realtà, la libertà è aristocratica, non democratica. Dobbiamo riconoscere, sconfortati, che la libertà è cara solo a chi pensa creativamente. Non è necessaria per chi non dà valore al pensiero. Nelle cosiddette democrazie, che si fondano sul principio della sovranità popolare, una proporzione considerevole della cittadinanza non possiede ancora la consapevolezza di essere libera, di recare con sé la dignità della libertà” (“Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951).
È difficile dargli torto. È probabile che tante persone che non si curano della libertà di pensiero, di opinione, di associazione e di stampa lo facciano non tanto perché temono il carico di responsabilità implicito in ogni libertà o perché sentono la necessità di una tutela paternalistica, ma perché non sanno cosa farsene, non ne vedono l’utilità, perché non hanno nulla di significativo da esprimere e non prestano molta attenzione a ciò che altri potrebbero dire. È un peccato, perché ciascuno di noi è libero solo se si cura di proteggere la libertà altrui e questa libertà, una volta persa, non la si riguadagna facilmente. La storia ne è testimone.
Il libero arbitrio e la libertà d’espressione sono diritti inalienabili perché sono il prodotto della conoscenza di cui disponiamo e costituiscono una forma di libertà spirituale, la libertà di non essere governati da menti altrui. Ogni individuo dovrebbe idealmente godere della medesima libertà interiore e personale. La libertà interiore comprende la dimensione intellettuale e spirituale della vita umana, cioè l’autodeterminazione etica degli esseri umani, la loro capacità di assumersi la responsabilità delle proprie parole, azioni ed esistenze.
Cosa sarebbe l’essere umano senza libertà creativa e realizzativa? Un automa, uno strumento. Lo sviluppo dell’immaginazione è accrescimento di vita, mentre la sua limitazione è una riduzione di vita, un impulso di morte. La libertà è la dimensione di apertura illimitata che consente all’essere umano di trascendere la finitezza. È una condizione d’esistenza indispensabile allo sviluppo della psiche e della coscienza. Essere libero, libero di essere onesto con me stesso, di pensare senza dovermi chiedere ogni volta cosa gli altri penseranno di me, di vivere pienamente ed abbondantemente.
Non c’è umanità senza libertà di scegliere, non esiste morale e maturazione spirituale se una persona non può essere libera di compiere il male. Quella persona sarebbe un’arancia meccanica, un congegno, non un essere vivente. Per questo nei campi di sterminio il suicidio e lo sciopero della fame erano proibiti e severamente puniti, anche se acceleravano la morte dei detenuti. Ogni atto di autodeterminazione era bandito.
Tutto ciò che penso, che dico, che faccio, ha un significato ed ha un valore perché sono libero. Solo in questa condizione di libertà la mia vita, i miei pensieri, le mie decisioni, i miei sentimenti sono realmente miei. Diversamente, sarei una marionetta. Solo un essere umano traumatizzato sarebbe disposto a rinunciare volontariamente alla libertà. Di norma, chi la sacrifica, ne sacrifica solo una parte, perché non sa cosa farsene dell’altra. Che cosa me ne faccio della libertà di parola se non ho niente da dire?
Ma la libertà è un bene troppo prezioso per essere sacrificato a qualunque astrazione di ordine inferiore. Chi la libertà l’ha persa, come Viktor Frankl, sopravvissuto all’Olocausto, rammenta che la lezione più importante che ne trasse fu che l’uomo ha sempre una scelta: o un’incrollabile, socratica saldezza d’animo, o la sottomissione ad un potere che intende spogliarti della dignità e dell’indipendenza interiore, trasformandoti in un oggetto in balia delle circostanze.
Per essere effettiva, la libertà esige di poter agire in base alla consapevolezza delle alternative reali e delle loro conseguenze. Per diventare realmente consapevoli è indispensabile poter operare in una società dove le informazioni circolino liberamente e dove tutte le idee possano essere dibattute.
Non si dovrebbe avere paura di questa libertà, che include anche la libertà di non rispettare le idee altrui (pur rispettando l’interlocutore), di canzonare e di rappresentare un inconveniente per le opinioni altrui.
Un principio cardine della costituzione come la libertà d’espressione non può essere fatto valere in certi casi ed ignorato in altri, anche perché una parola è una parola e non serve dare alle parole più peso di quel che meritano. Non siamo automi che rispondono meccanicamente a sollecitazioni verbali e le nostre personali credenze non sono tutelate da alcun diritto inviolabile a non essere messe in discussione, con tutto il tatto ed il senso di responsabilità necessari. Sono le parole o gli atti che distruggono le persone e le cose? Un effetto indiretto è moralmente equivalente ad un effetto diretto?
Le parole esercitano un’influenza sulle persone solo se queste decidono che così dev’essere, perché attribuiscono credibilità ed autorevolezza a chi le pronuncia e perché vogliono o temono che il messaggio sia vero. Le parole hanno potere solo se chi le ascolta o legge glielo conferisce. Altrimenti sono solo vibrazioni nell’aria. Dunque attribuire uno speciale potere alle parole è una semplice credenza che ciascuno può respingere coscientemente. Se certe parole ci irritano la responsabilità è nostra, perché lasciamo che ciò avvenga. Possiamo forse plasmare il prossimo in modo da costringerlo ad essere più sensibile? Sarebbe giusto? È sbagliato cercare di controllare gli altri, è una forma di manipolazione tanto deprecabile quanto l’uso di parole al fine di ferire la sensibilità altrui. E siccome non è giusto controllare gli altri, finché questi non cercano di controllarci, non è nemmeno giusto censurare gli altri.
Senza la libertà di dire qualcosa di sconveniente non c’è libertà. Se le mie azioni sono giudicate in base alla sconvenienza, potrò fare solo quello che gli altri mi consentono graziosamente di fare e, poiché moltissimi sono suscettibili e permalosi, ciò decreterebbe la morte della libertà.
Le società democratiche sono conflittuali perché sono formate da esseri umani con punti di vista anche molto diversi riguardo alla realtà, ciascuno convinto che il suo sia più corretto. Nessuno di noi è consapevole dell’intera estensione delle sue credenze e convinzioni e ancor meno di quanto unica e peculiare sia la sua percezione della realtà.
La libertà di espressione consente a superstizioni, preconcetti e pregiudizi di essere vagliati, separati e respinti dal maggior numero possibile di persone, che potranno invece avvalersi delle idee originali e promettenti. È quindi nel nostro stesso interesse rispettare la libertà del nostro prossimo di dire la sua, anche quando ci infastidisce, ci sciocca, c’indigna, ci oltraggia, ci disgusta, ci ferisce. Solo difendendo la libertà altrui posso continuare a difendere la mia, anche se questa libertà sarà da loro impiegata per ridursi in un angolo, per scegliere di condurre una vita convenzionale, di rinunciare ad esercitare i propri diritti, di consegnarsi a rapporti vincolanti, affiliazioni soffocanti, appartenenze totalizzanti. Se la ricerca della verità e dell’autenticità li conduce in quei paraggi, allora hanno la prerogativa di comportarsi di conseguenza senza che una tutela paternalistica li inibisca, senza trattarli come degli infanti plagiabili, plasmabili, eternamente sprovveduti, inculcando in loro il sospetto di esserlo veramente anche quando si tratta di una mera divergenza d’opinioni.
Soprattutto, nessuno osi censurare il prossimo per il mero fatto di essersi permesso di esprimere un punto di vista differente. La casa comune dell’umanità che verrà, dovrà essere tollerante. Se noi stessi decretiamo che un diritto universale non è più universale, ma vale solo quando ci pare a noi, la nostra credibilità ed autorevolezza saranno compromesse, la forza di quel principio sarà compromessa, la possibilità di tutelare le persone vulnerabili in nome di quello stesso principio sarà compromessa.
Se la nostra casa comune avrà timore di idee diverse, allora non avrà un futuro. Un soffio e il castello di carte cadrà.
La libertà che conta è quella da forze e circostanze che trasformano l’uomo in una cosa e la sua vita interiore in un processo meccanico, automatico, prevedibile, inerziale, come la materia stessa. Se la libertà è come un volo, allora più si mozzano le ali delle persone per circoscriverla, più basso ed incerto sarà il volo dell’intera comunità.
Non si può essere sicuri, nel volo. La libertà non è rassicurante, non dà garanzie, ma è l’unico modo che ci è dato di essere autentici (di non limitarci ad essere ciò che gli altri hanno stabilito per noi) e di diventare più vivi (gioia di vivere, abbondanza dell’esistere) e consapevoli; come il prigioniero rilasciato nella parabola della caverna di Platone. A quel punto la sicurezza che si acquista sarà più stabile, più affidabile, ma mai completa.
AUTONOMIA
L’autonomia, o autogoverno, è la libertà calata in un contesto sociale complesso.
Significa vivere la propria vita, agire in base al proprio giudizio, assumere liberamente degli impegni, rispettare delle convenzioni nella consapevolezza che non sono nulla più che convenzioni, far emergere il meglio di sé a beneficio della proprio comunità. Comporta un distanziamento, un distacco dagli altri, una condizione che è raramente possibile per gli altri esseri viventi di questo pianeta. Comporta anche dei rischi, perché solo un essere autonomo si può assumere delle responsabilità e quindi andare incontro alle conseguenze delle sue azioni senza poter dare la colpa a nessun altro.
Ma, nell’autonomia, io conto, le mie decisioni possono fare la differenza, perché sono mie; non sono trascurabile, la mia volontà ha un peso. Mi si devono delle spiegazioni, posso esprimere il mio parere, posso contestare quello altrui, ho diritto di poter ascoltare il parere altrui, di prendere parte alla vita della comunità. In questo risiede la mia dignità, nel fatto che sono imprevedibile perfino a me stesso, sono solo parzialmente determinato dal mio corredo genetico e dal mio ambiente socio-culturale, c’è qualcosa in me che è unico e che è in larga misura inespresso. Sono un progetto, un lavoro in corso, posso e debbo riflettere su chi sono, da dove vengo e su dove voglio andare. Posso scegliere, mi creo e ricreo ogni giorno e non sono un prodotto, un manufatto, una merce, un burattino, un automa. Posso trovare il coraggio di essere me stesso, di vivere consapevolmente e sento che questo enorme beneficio vale per tutti gli altri, che vivrei meglio in una comunità in cui tutti potessero farlo, senza violare l’altrui diritto di poterlo fare. Una comunità di persone libere e responsabili che si sforzano di consentire agli altri di essere nelle condizioni di poter esprimere e migliorare se stesse, di non nascondersi a se stesse ed agli altri, di cambiare, di desistere e ricominciare da capo.
Non sono la proprietà di nessun altro, neppure della mia comunità, di una casta, della società o dello Stato. Nessuno mi può trattare come un bambino o un animale domestico se sono un adulto e mi comporto come tale. Ci sono dei confini che non devono essere violati, ho/abbiamo dei diritti inalienabili che mi/ci permettono di procedere nell’elaborazione del progetto di me stesso, assieme agli altri, coralmente. Mi pongo al servizio del prossimo ma non sono a disposizione degli altri per qualunque cosa, eccezion fatta per le persone che amo e anche lì con dei distinguo.
Devo poter vivere a modo mio anche se le mie scelte sono impopolari e magari persino considerate aberranti (es. poligamia, se contratta liberamente, oppure il neofascismo, se non passa ai fatti), purché non leda il diritto altrui di fare lo stesso e non danneggi il mio prossimo (non certo la sua sensibilità, che è un arbitrio e come tale non merita rispetto a prescindere dalle circostanze e dalla persona).
Lo scopo non è quello di vivere al massimo ma di vivere più onestamente – non come la brutta copia di qualcun altro – e, se possibile, più abbondantemente (cf. il film “Quasi Amici”). Non è solo scegliere un’opzione tra le tante, ma meditare un’azione che si intende compiere, una direzione che si sta pensando di imboccare, vagliare, soppesare, avere il tempo e le possibilità di farlo (cf. il film “Marigold Hotel”).
Ciò è possibile perché io ho la capacità di trascendere i miei peggiori impulsi e le mie abitudine più meschine ed intendo sforzarmi di farlo, pur essendo cosciente, con Paolo di Tarso che “In me c’è il desiderio del bene, ma non c’è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio” (Romani 7,18-19).
La libertà individuale, con annessa responsabilità personale, a volte ci sembra una zavorra. È più facile delegare le decisioni ad altri ed accusarli di aver sbagliato, se commettono degli errori. È ancora più facile distribuire la responsabilità tra i membri di un’intera comunità, enfatizzando la libertà collettiva e i narcisismi collettivi: “mal comune mezzo gaudio, e comunque tutte queste persone non possono aver torto” (chissà quanti Tedeschi l’hanno pensato o detto durante il nazismo!).
L’idea moderna di autonomia, però, è incentrata sul principio dell’importanza di assumere, almeno in una certa misura, il controllo delle proprie esistenze, coralmente, invece di vivere alla mercé degli agenti esterni, in un infantilismo protratto.
L’idea moderna di autonomia presuppone l’autodeterminazione personale (libertà) in una cornice di autodeterminazione comunitaria (responsabilità).
L’una non esclude l’altra: sono complementari.
Un cittadino adulto, maturo, non ripudia la sua autonomia di giudizio e si batte per espandere questo suo diritto inalienabile (giacché non è un privilegio né una concessione), a partire dalla sua comunità, perché sa che essere circondato da persone consapevoli, libere e responsabili, che sanno decidere in coscienza, va a tutto vantaggio suo e del bene comune. In questo senso la democrazia autonomista, nella sua tensione ideale, prova, per quanto è possibile, a realizzare (inverare) l’ideale delle prime comunità cristiane: la piena autonomia delle personalità nell’unità di un destino comune. Questo ideale, a sua volta, in un circolo virtuoso, si fa spontaneo promotore delle virtù dell’autonomia: la tolleranza (non paternalistica), il dialogo, l’apertura, l’autodisciplina e la disponibilità all’autocritica ed al cambiamento.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, non dobbiamo commettere l’errore di ricadere in quello che chiamo “autonomismo tassidermico”, ossia la tendenza a fissare le identità come quando s’impaglia un animale, a bloccare il cambiamento, come i serpenti che cambiano pelle ma rimangono sempre gli stessi. Quella è la strada della morte dell’autonomismo e delle sue istituzioni, che diventano dei morti-viventi che pretendono devozione ed asservimento a beneficio della loro auto-perpetuazione, invece di porsi al servizio dei cittadini, come sarebbero tenute a fare (è quella la loro ragion d’essere).
L’autonomia, l’autonomismo, le comunità autonome, devono poter cambiare nel tempo, come cambiano gli esseri umani, altrimenti diventano ingabbiatori e vampiri, annichilitori della ragione e dignità umana. Un autonomismo etnicamente connaturato, per quanto si sforzi di passare per una crociata in favore dei più deboli, è informato dal principio del diritto del più forte di prevalere, sempre e comunque, ed infantilizza invece di avviare alla maturità. Infatti, nessuno mi può definire, solo io posso assumermi la responsabilità di stabilire chi sono e come gestire questa mia identità mutevole, eterogenea, sfuggente.
Mi piace:
"Mi piace" Caricamento...