Per una sociologia del complotto

teoria del complottoteoria del complotto 1

Ed io vi dico invece, brava gente,

che i patrizi si curano di voi

col più caritatevole riguardo.

Quanto a quel che vi manca,

ciò che soffrite in questa carestia,

alzare contro lo Stato romano

le vostre mazze, è come alzarle in aria

con l’intenzione di colpire il cielo:

esso seguiterà per la sua strada,

spezzando mille, diecimila ostacoli

più forti che non possa mai sembrare

quello di questa vostra opposizione.

Quanto alla carestia, sono gli dèi

che l’han voluta, non punto i patrizi,

e davanti agli dèi sono i ginocchi,

non le braccia, che possono soccorrervi.

Ahimè, che voi vi fate trascinare

dalla disgrazia dove altri malanni

v’aspettano, a calunniar così

e maledir come nemici gli uomini

che reggono il timone dello Stato

e di voi son pensosi, come padri.

Menenio (Coriolano, Atto I, Scena I)

La società contemporanea è simultaneamente complottista ed anti-complottista

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/complottisti-ed-anticomplottisti-sono.html

Le persone dotate di una modica quantità di lucidità non possono fare a meno di concludere che le élite sono impegolate in una miriade di complotti: dalle menzogne sulle armi di distruzione di massa, ai cartelli per tenere artificialmente ed illegalmente alti i prezzi di certi beni e risorse, al Watergate, agli accordi tra politica e finanza per garantire l’impunità di certe persone, agli insabbiamenti delle inchieste più delicate, agli accordi tra stato e mafia, agli accordi tra democrazie e dittature o teocrazie, ai servizi segreti “deviati”, ai golpe sponsorizzati, agli attacchi speculativi concordati contro certe nazioni e certe valute, al controllo delle valutazioni delle agenzie di rating, agli accordi sottobanco tra banche centrali e banche, agli inciuci, agli attentati simulati (false flag) come quello previsto nell’operazione Northwoods

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/13/cuba-1962-siriairan-2012-operazione-northwoods-false-flag-per-invadere-cuba/

ed altre operazioni di propaganda per scatenare delle guerre

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/27/uninchiesta-del-guardian-ci-spiega-chi-ci-vuole-portare-in-guerra-e-perche/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/11/il-bilderberg-2012-decide-le-sorti-della-siria-e-del-mondo-articolo-del-guardian/

alla nomina ai più alti uffici di persone al servizio di interessi privati

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/17/il-grigiocrate-mario-monti-nellera-dei-mediocri-di-augusto-grandi-il-sole-24-ore-premio-saint-vincent/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/19/sergio-romano-spiega-il-club-bilderberg-ma-unimmagine-vale-piu-di-mille-parole/

alla creazione di finti movimenti spontanei

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/10/tea-party-il-totalitarismo-anarchico-alla-conquista-degli-stati-uniti/


Disprezza pure la scienza e la ragione,

supreme forze umane,

lascia che il Mentitore ti ammaestri

nelle arti di abbagli e di magie,

e io ti avrò senza condizioni

Mefistofele – Faust (Goethe)

 

Le élite (o, per meglio dire, quella parte dell’oligarchia mondiale che non è formata da persone di buona volontà e che, al momento, è largamente egemone) hanno tutto l’interesse a convincere le masse che gli scettici siano dei paranoici, che tutto procede per il verso giusto e le pecore possono dormire sonni tranquilli. Poiché il livello di credulità ed auto-inganno di molti (inclusi molti giornalisti) è stupefacente, non incontrano troppe difficoltà.

La cospiranoia – demonizzazione degli scettici – è una tecnologia sociale di controllo che stabilisce i confini del “discorso responsabile” e riflette il consenso delle élite sulla natura fondamentale della realtà sociale, conformemente ai propri interessi di classe:

Nel famoso libro L’élite del potere, del 1956, C. Wright Mills sostiene che negli Stati Uniti la politica è dominata da una ristretta e potente élite formata dalle persone che presiedono le maggiori organizzazioni: la burocrazia pubblica, le grandi corporations e le forze armate. Il capitalismo avanzato esige che si prendano decisioni fortemente coordinate e di ampia portata, quindi i dirigenti delle grandi organizzazioni sono costantemente in contatto e spesso assumono in modo informale decisioni di rilievo politico e sociale. Come hanno confermato anche recenti e accurate ricerche, questa élite del potere è composta da persone con un’estrazione sociale molto simile: sono nati in America da genitori americani, provengono da aree urbane, sono in prevalenza protestanti, hanno frequentato gli stessi college, provengono in maggioranza dagli stati dell’Est, si conoscono personalmente e hanno atteggiamenti, valori e interessi molto simili. Con i loro rapporti costituiscono un “direttorio intrecciato” che coordina iniziative e attività. Direttamente sotto questa élite, che opera in modo informale e invisibile, esiste un livello intermedio di gestione del potere, costituito dal settore legislativo, dai gruppi d’interesse e di pressione e dagli opinion leader locali. A un terzo e più basso livello si colloca la massa dei cittadini non organizzati”.

http://www.sapere.it/sapere/strumenti/studiafacile/sociologia/Lo-Stato-e-il-sistema-politico/Il-controllo-del-potere/Le-teorie-delle—lite-.html

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/02/succinto-trattatello-sulloligarchia/

In questo modo si afferma un pensiero convenzionale che è un mezzo incredibilmente efficace per consolidare l’egemonia della classe dirigente attraverso il controllo del dissenso e la traduzione degli interessi della classe dominante in quelli della nazione nel suo complesso (es. austerità neoliberista).

Si viene additati come complottisti per il semplice fatto di evocare quello che è un caposaldo della sociologia italiana ed internazionale: ogni classe dirigente si sforza di mantenere l’egemonia e, se necessario, lo fa con metodi cospiratori. La spiegazione alternativa fornita dall’establishment è che la classe dirigente sia indecisa, incoerente, incompetente, dottrinale o, quando il gioco si fa veramente sporco, folle (cf. Peter Bofinger https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/17/bagnai-piga-e-gli-zombie/). Si esclude a priori l’opzione “tacita collusione”, “crimine” e “alto tradimento”, nonostante la voluminosa letteratura sociologica dedicata alle élite al potere ed alla “devianza delle élite”.

Le nazioni e gli uomini si circondano di un apparato materiale che corrisponde esattamente al loro…modo di pensare. Osservate come ogni verità e ogni errore, ciascuno il pensiero di qualcuno, si rivestono di società, case, città, lingue, riti, giornali. Osservate le idee del presente…vedete come il legname, il mattone, la calce e la pietra hanno assunto una forma conveniente, obbediente all’idea dominante che governa le menti di tante persone… ne consegue, naturalmente, che il più minuscolo ampliamento delle idee…produrrebbe i più impressionanti cambiamenti delle cose esterne.

R.W. Emerson

La falsa coscienza indotta dalla propaganda mediatica è tale che persino persone laureate in sociologia si fanno buggerare da questa tattica dei poteri forti, poche migliaia di persone (< 100mila) che, accomunate dall’estrazione sociale,

http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/la-famiglia-bush-e-il-terzo-reich.html

dominano miliardi di altre persone, ricalibrando le loro iniziative in forum esclusivi e attraverso think tank, figure chiave negli ambienti accademici, giornalistici ed intellettuali ed organizzazioni transnazionali (cf. Gruppo Bilderberg, Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, World Economic Forum di Davos, Banca dei regolamenti internazionali, Organizzazione Mondiale del Commercio, Council of Foreign Relations, Commissione Trilaterale, Bohemian Grove, Gruppo degli Otto, Trans-Atlantic Business Council, ecc.)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/16/la-perniciosa-influenza-planetaria-delle-fondazioni-e-think-tank-degli-stati-uniti/

Lo scopo è quello di convincere il maggior numero possibile di persone che l’attuale sistema plutocratico (modello capitalista anglo-americano – e, recentemente, tedesco) funziona o comunque tornerà a funzionare se le masse faranno altri sacrifici.

*****
I poteri del capitalismo finanziario avevano un obiettivo più ampio, niente meno che la creazione di un sistema globale di controllo finanziario in mani private in grado di dominare il sistema politico di ciascuna nazione e l’economia mondiale nel suo complesso. Questo sistema andava controllato in stile feudale dalle banche centrali di tutto il mondo, agendo di concerto, per mezzo di accordi segreti raggiunti in frequenti incontri privati e conferenze. Al culmine della piramide ci doveva essere l’elvetica Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) di Basilea, una banca privata posseduta e controllata dalle banche centrali mondiali che a loro volta erano imprese private…non bisogna immaginare che questi dirigenti della principali banche centrali del mondo fossero loro stessi dei ragguardevoli potenti nel mondo della finanza. Non lo erano. Erano piuttosto dei tecnici e gli agenti dei massimi banchieri commerciali delle loro rispettive nazioni, che li avevano allevati ed erano perfettamente capaci di liberarsene…e che rimanevano in gran parte dietro le quinte…Questi costituivano un sistema di cooperazione internazionale e di egemonia nazionale più privato, più potente e più segreto di quello dei loro agenti nelle banche centrali. Il dominio dei banchieri commerciali era fondato sul controllo dei flussi di credito e dei fondi di investimento nelle loro nazioni e nel mondo….potevano dominare i governi attraverso il controllo dei debiti nazionali e dei cambi. Quasi tutto questo potere era esercitato dall’influenza personale e dal prestigio di uomini che in passato avevano dimostrato la capacità di portare a compimento con successo dei golpe finanziari, di mantenere la parola data, di mantenere la mente fredda nelle crisi e di condividere le loro opportunità più vantaggiose con i loro associati.

Carroll Quigley, docente di storia, scienze politiche e geopolitica a Princeton, Harvard e Georgetown e mentore del giovane Bill Clinton, da “Tragedy and Hope: A History of the World in Our Time” (New York: Macmillan, 1966).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/27/complottismo-for-dummies-le-trame-finanziarie-spiegate-al-bruco-del-mio-basilico/

Brzezinski, Atlantide e la Supernova

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Il “brillante” piano di Brzezinski per gli Stati Uniti del ventunesimo secolo: scimmiottare le strategie dell’impero britannico (e/o di Atlantide?)

http://it.wikipedia.org/wiki/Zbigniew_Brzezinski

Premessa: occorre capire che senza un impero gli Stati Uniti non hanno alcuna chance di sopravvivere. Sono nelle stesse condizioni del Regno Unito: la loro industria è moribonda, la loro economia è tenuta in vita a botte di stimoli dalle rispettive banche centrali (che prima o poi si pagano, con gli interessi – disastrose bolle speculative + inflazione), il loro settore bancario-finanziario è una metastasi, il loro tasso di disoccupazione reale è a livelli record, così come il loro indebitamento reale. Le loro rispettive valute non sono crollate solo grazie al predominio militare americano.

Anglo-America (Nuova Atlantide = City di Londra + Pentagono) è come una stella diventata troppo grande che è in procinto di esplodere per esaurimento di combustibile:

“L’esplosione di Supernova rappresenta l’ultimo atto, distruttivo e spettacolare, del ciclo evolutivo di stelle molto massive. Durante l’esplosione viene liberata un’energia enorme e la stella diventa così luminosa da splendere più di una intera galassia. La luce emessa dalla stella in seguito all’esplosione dura qualche mese ed è paragonabile a quella che il nostro Sole è in grado di emettere in un miliardo di anni!… Ogni volta che il combustibile nucleare al centro della stella finisce perché si è trasformato in un altro elemento, il nucleo si contrae sotto l’azione della gravità e riesce ad innalzare la temperatura fino ad innescare il bruciamento del nuovo elemento chimico. Sfortunatamente (per la stella) il ferro non può essere ulteriormente fuso per produrre energia e questa volta la contrazione del nucleo prosegue in maniera irreversibile. Quando la temperatura e la densità della materia all’interno del nucleo raggiungono un valore limite, i protoni e gli elettroni degli atomi si fondono a formare neutroni. In ognuna di queste reazioni di “neutronizzazione” viene prodotto un neutrino. In poche decine di secondi il diametro del nucleo si contrae da circa metà del raggio terrestre (3000 km) a poco più di 10 km. L’onda d’urto prodotta si propaga in circa due ore attraverso gli strati esterni della stella e, quando raggiunge la superficie, la stella esplode. Tutto il materiale di cui è composta la parte esterna della stella viene proiettato nello spazio circostante con una velocità approssimativa di 15000 km/s, lasciando come residuo il nucleo di neutroni che, a seconda della massa, può rimanere una stella di neutroni (pulsar) o diventare un buco nero

http://www.lngs.infn.it/lngs_infn/index.htm?mainRecord=http://www.lngs.infn.it/lngs_infn/contents/lngs_it/public/educational/physics/supernova/

Succederà. Uno choc petrolifero (crisi nel Golfo Persico), la morte di una banca zombie troppo grande per essere salvata (con effetto domino sulle altre), il tentativo di riprendere il controllo delle armi automatiche, pogrom antisemiti, una nuova recessione, un crack di Wall Street, prolungate proteste di massa con repressione e reazioni violente di una popolazione armata fino ai denti, un attentato terroristico, il collasso dell’eurozona: ormai le concause possono essere numerose.

Brzezinski queste cose le sa.

È un uomo straordinariamente intelligente, è spiritoso, è un padre amorevole. Ha fatto tutto quel che era in suo potere per scongiurare una terza guerra mondiale (conseguenza di un attacco all’Iran); ha condannato le politiche inique ed austeriste del Nord Europa, consigliando ad Obama di contrastarle in ogni modo negli Stati Uniti; ha promosso la nascita di una Palestina indipendente ed un serio processo di pace nel Medio Oriente. Per questo è diventato il bersaglio del livore dei neocon statunitensi e dei nazionalisti israeliani.

Brzezinski è troppo lucido e disciplinato per essere un neocon: sa che senza la carota il bastone può produrre un effetto boomerang.

È uno scacchista e il mondo per lui è una scacchiera. Ci sono giocatori e ci sono pedine. Qualcuno vince, qualcuno perde, qualcuno è sacrificato. Così è sempre stato e sempre sarà.

Brzezinski non tollera l’idea di un pianeta in cui non esista una potenza leader (o un direttorio) che stabilizzi i rapporti internazionali, l’idea di una governance globale DEMOCRATICA in cui il Terzo Mondo possa avere lo stesso peso delle potenze maggiori e in cui si possano mettere a tacere le oligarchie finanziarie.

Sa che l’America è stata quasi incessantemente una forza destabilizzante, anche laddove – conflitto arabo-israeliano – era nel suo interesse evitare che Israele facesse il passo più lungo della gamba (per non parlare di Iran, Pachistan, America Latina, Sud Est asiatico, Mediterraneo, ecc.).

La proliferazione di basi americane in tutto il mondo, anche a poche centinaia di chilometri dai confini russi e cinesi non è un fattore di stabilizzazione.

Sa perfettamente che, come l’impero britannico, anche quello NATO si pone come “indispensabile mediatore” solo per interferire negli affari interni di altri stati ed è perciò nel suo interesse impedire in ogni modo che nel mondo prevalga la diplomazia, la cooperazione, la concordia (divide et impera).

Obama non è meno imperialista di Bush, è solo molto più “smart”.

Di questo occorre tener conto quando si leggono i numerosi pareri condivisibili di Brzezinski.

Fa tutto parte di un calcolo costi-benefici che ha come obiettivo quello di fare in modo che Obama impari dagli errori di Gorbaciov nel gestire il declino del modello statunitense (soft landing). La parola-chiave è coordinamento (controllo indiretto): un Nobel per la Pace usa i droni, non i bombardieri; usa le truppe dei vassalli, non le sue (es. Libia, Mali, Siria, Somalia).

Si sfruttano come vassalli le ex potenze coloniali ora inserite nella NATO per conservare il predominio (low cost): Regno Unito, Francia e Turchia in Africa e Medio Oriente [Sarkozy ha inaugurato una base aeronavale francese negli Emirati Arabi Uniti, a poche decine di chilometri dall’Iran, nel 2009, lo stesso anno in cui ha imposto alla Francia l’adesione alla NATO], Polonia nell’Europa orientale (nella speranza che la Russia imploda).

Però le cose non vanno sempre per il verso giusto. Israele è ormai una mina vagante.

La Germania in Europa, il Giappone nell’Estremo Oriente e l’Italia nel Mediterraneo hanno occasionalmente lasciato intendere che sono più che pronti ad operare in una prospettiva post-NATO (es. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-06/putin-inaugura-gasdotto-north-165827.shtml?uuid=AaKyb31D).

La Francia pre-Sarkozy era una nazione sovrana e quasi certamente tornerà ad esserlo negli anni a venire.

I BRICS hanno sfidato la volontà di Washington senza subire alcuna conseguenza significativa.

BRICS-Summit-2013

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/12/atlantide-contro-eurasia-la-principale-causa-della-terza-guerra-mondiale/

Il Pachistan non desidera altro che liberarsi dalla presenza americana e dalla costante minaccia di una sua disgregazione (con il nord che se ne va per conto suo e finisce nell’orbita americana).

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/05/il-voto-sulla-siria-spacca-lonu-e-contrappone-nato-e-brics-nigeria-e-pakistan/

Insomma, le cose volgono al peggio, per i nemici dell’America come doveva essere.

Ecco la reazione di Brzezinski, al crepuscolo dell’impero.

Zbignew Brzezinski, primavera 2012

0:50 – il ventunesimo secolo sarà o il secolo più di successo su scala globale, oppure il peggior secolo nella storia umana

2:30 – la NATO è ancora importante e ancora necessaria ma deve dotarsi di una visione di politica globale.

5:00 – la storia del mondo si snoda nel continente eurasiatico. Là, oggigiorno, ogni conflitto regionale ha una portata globale.

6:30 – non è da escludere che l’Asia del ventunesimo secolo possa replicare la tragica storia dell’Europa del ventesimo secolo.

8:50 – gli Stati Uniti non devono lasciarsi coinvolgere in nessun conflitto asiatico sul continente (Giappone, Corea e Taiwan restano però strategici). Gli USA devono limitarsi a fare quel che ha fatto il Regno Unito nel diciottesimo secolo con l’Europa: fungere da equilibratori, mediatori.

9:30 – USA devono impegnarsi in un’opera di riconciliazione tra Giappone e Cina

10 – la Cina può essere un junior partner degli USA nella stabilizzazione del mondo: un conflitto tra le due potenze le distruggerebbe entrambe

11 – Gli USA sono i guardiani d’Europa, ma l’Europa deve svolgere un ruolo attivo nella stabilizzazione dell’Oriente (perché è nell’interesse di tutti)

13:44 – Perché ciò avvenga è indispensabile che Turchia e Russia entrino a far parte dell’Occidente

15 – Ataturk ha avuto successo laddove Lenin ha fallito

18 – la Turchia è un modello per il futuro sviluppo dell’Iran

21 – l’Unione Europea evolverà, sviluppando verosimilmente un nucleo centrale federale circondato da una periferia meno vincolata e da satelliti collegati in qualche forma all’UE, tra i quali certamente la Turchia, il tutto all’interno della comunità euro-atlantica (leggi: Europa vassallo del Nordamerica)

22 – L’Unione Europea era più “unione” quando era una comunità (CEE): ora è attraversata da fratture (chissà come mai!?)

26 – la Turchia può essere un modello di sviluppo per la Russia (arriva a dire che i turisti russi in Turchia si domanderanno perché il loro paese non possa essere più simile alla Turchia!)

31 – non è che gli Stati Uniti sono in declino, è che altre potenze si sviluppano più rapidamente, ma non è detto che possano conservare quel tasso di crescita

32 – gli USA possono migliorare la propria situazione solo risolvendo alcuni problemi strutturali e questo può accadere solo con un élite più lucida di quella attuale (segue allusione al fatto che una vittoria di Romney sarebbe disastrosa)

34 – l’Europa non sta decadendo. È significativo che sempre più statisti dicano che serve maggiore integrazione e una crescita che sia socialmente responsabile e non finalizzata unicamente alla massimizzazione del profitto

36 – se fossi un turco e vedessi da una parte l’Iran ed un Medio Oriente in subbuglio, dall’altra la Russia e da un’altra parte ancora l’Europa e gli Stati Uniti, vorrei avere questi ultimi come amici

46 – se la Turchia decidesse di intervenire in Siria, non sarebbe lasciata sola. Francia e Regno Unito (non li nomina ma vi allude) la assisterebbero (ma non gli USA, non direttamente). MA, data la sensitività e complessità della situazione, sarebbe meglio evitare di farsi coinvolgere in un’escalation voluta da forze esterne all’alleanza NATO (Arabia Saudita+Qatar? Israele?) in modo da evitare un coinvolgimento dell’Iran

55 – South Stream (progetto italo-russo) ignorato, Nabucco (progetto americano) strada giusta

http://temi.repubblica.it/limes/nabucco-vs-south-stream/6899

1:03 – il cambiamento climatico può essere realmente catastrofico per l’umanità ma non ci sono ancora risposte definitive. Altre minacce del ventunesimo secolo potrebbero essere la diffusione di malattie sconosciute, sommosse, guerre che impieghino armi di distruzione di massa. Queste sono minacce che non possono essere affrontate con il voto alle Nazioni Unite (B. odia le Nazioni Unite ma anche l’Unione Europea: altrimenti non ci sarebbero in giro molluschi come Van Rompuy e Ban Ki-Moon), ma solo attraverso la collaborazione delle grandi potenze.

https://www.youtube.com/watch?v=tTku4KZff3Q

Zbignew Brzezinski, estate 2012

La Russia si democratizzerà, ma solo dopo una parentesi nefasta (12:43)

Qualunque guerra nell’Estremo Oriente sarebbe disastrosa per gli Stati Uniti

Non ci sarà alcuna egemonia cinese fino alla metà del secolo (perché culturalmente gli USA hanno un appeal che i cinesi non possono avere)

Le disparità sociali negli Stati Uniti sono una gravissima minaccia

È necessario un ritiro delle forze americane dall’Afghanistan ma senza lasciare un paese destabilizzato

La questione siriana va risolta diplomaticamente, coinvolgendo l’Iran

L’invasione dell’Afghanistan era necessaria per distruggere Al-Qaeda

Se gli USA si fanno coinvolgere in una guerra in Iran tutte le crisi del Medio Oriente confluiranno in un’unica gigantesca crisi dal Mediterraneo all’India (15-16) – la strategia giusta è la stessa impiegata contro l’Unione Sovietica ed in ogni caso è evidente che una scelta tra strangolamento economico e umiliante capitolazione sarebbe irricevibile. L’Iran può continuare il suo legittimo programma atomico se monitorato seriamente. In ogni caso l’acquisizione da parte dell’Iran di una testata atomica non sarebbe la fine del mondo (19). La Corea del Nord ha testate atomiche, ma né la Corea del Sud né il Giappone strepitano perché gli Stati Uniti entrino in guerra contro il regime nordcoreano: si sentono ragionevolmente sicuri (21:30).

Un attacco israeliano all’Iran avrebbe effetti deleteri per i nostri soldati in Afghanistan, per i paesi del Golfo, per il prezzo del petrolio e quindi della benzina che è già fin troppo costosa per via della “tassa Netanyahu”, ossia il sovrapprezzo che le sue esternazioni hanno prodotto con la crescita dei premi di assicurazione sulle forniture petrolifere (23)

I palestinesi e gli israeliani non possono fare pace. I palestinesi sono troppo deboli e divisi e gli israeliani sono troppo forti, fiduciosi e politicamente frammentati. Solo gli Stati Uniti possono trovare e far accettare un compromesso ragionevole tra entrambe le parti che integri Israele nel Medio Oriente e trasformi Palestina e Israele, nel giro di una generazione, nella Singapore di quell’area: una fonte di innovazione (25).

Una guerra mondiale che coinvolga Cina e Stati Uniti per il controllo del mondo sarebbe troppo costosa per entrambe le parti, quindi è altamente improbabile che si verifichi. È necessario che gli uni non demonizzino gli altri e che si trovi una formula che permetta alle potenze di coesistere (32).

L’opinione pubblica è troppo ignorante di storia e geografia per rispondere intelligentemente alle sollecitazioni del presidente e spiana la strada ai demagoghi (34). La responsabilità è sia del sistema educativo, che non insegna la geografia e la storia mondiale, sia dei media che sono troppo superficiali.

La Siria non è la Libia, Assad non è Gheddafi: la situazione è molto più complicata di come l’hanno presentata i media (40).

Nel breve periodo le nostre relazioni con la Russia si deterioreranno per colpa di Putin, nel lungo periodo il suo regime è condannato e si protrarrà a lungo La stagnazione e decadenza saranno intollerabili per i Russi. La società civile cosmopolita è più ricettiva ed è il nostro obiettivo, se vogliamo costruire una comunità euro atlantica che sappia gestire i più vasti conflitti globali.

Nella società iraniana le donne hanno un ruolo molto più importante di quel che si tende a credere e sono loro che riusciranno a scindere il nazionalismo dal fondamentalismo. Ma una politica di contrapposizione con il governo iraniano può solo rafforzare quel legame.

L’America Latina è di importanza relativa nelle questioni internazionali del nostro tempo (43).

L’India è estremamente a rischio a causa dell’alto tasso di analfabetismo, del carattere aristocratico della sua pseudo-democrazia e dell’eterogeneità della sua popolazione (45).

L’intelligence statunitense non ha saputo prevedere la primavera araba come non l’ha saputa prevedere Mubarak, che era sul posto. Certi eventi sono il prodotto di incontrollabili concatenazioni di variabili (50)

COMMISSIONE TRILATERALE: è diventata sempre meno efficace. È prestigiosa, ma poco influente (54).

È una vergogna che nessun dirigente del mondo finanziario sia stato punito per delle azioni che possono essere definite delle truffe. È stata una grave mancanza da parte di Obama (59).

Il prossimo presidente dovrà occuparsi della giustizia sociale, perché non c’è democrazia con certi livelli di sperequazione

https://www.youtube.com/watch?v=Z7GDu1hqLPw

Zbigniew Brzezinski “The Role of the West in the Complex Post-Hegemonic World, autunno 2012

13:00 – crescente distanza tra burocrati cinesi e forze armate nazionaliste, ma anche tra dirigenza e giovane borghesia rampante

14:30 – la Russia di Putin è imperialista e vuole assorbire l’Ucraina ma il declino demografico la rende vulnerabile in oriente (minaccia cinese: Brzezinski ha sempre cercato di mettere Russia e Cina l’una contro l’altra, fin dai tempi della Guerra Fredda – la cosa sta diventando alquanto patetica). Le violenze caucasiche faranno fallire i giochi olimpici invernali di Sochi e il fondamentalismo islamico rischia di destabilizzare le sue regioni meridionali (Brzezinski è polacco, non ama la Russia, per usare un eufemismo – qui si rivolge ad un pubblico polacco, a Danzica)

16:00 – sostiene che la CEE (più piccola) era più coesa dell’UE (molto più grande) – il che è certamente vero – ma, “curiosamente”, consiglia all’UE di espandersi ulteriormente fino all’Ucraina

17:00 – il Giappone dovrebbe farsi valere di più con la Russia nella disputa sull’isola di Sakhalin

23:00 – la Germania deve guidare l’Europa (il ruolo storico della Francia è solo quello di aver portato a questo risultato!)

27:00 – l’UE deve includere la Turchia perché solo così Georgia e Ucraina saranno difese dalle mire espansionistiche russe

28:00 – L’Unione Eurasiatica promossa da Mosca è solo un trucco per ristabilire l’impero sovietico

http://it.wikipedia.org/wiki/Unione_eurasiatica

28:30 – una Russia inserita nell’Unione Europea sarebbe percepita come meno minacciosa per i suoi vicini, ma solo se subordinata alla NATO

https://www.youtube.com/watch?v=kO8eja6HSlo

I due fuochi, l’uovo di serpente, la lotta per un Mondo Nuovo

Le autonomie europee alla sfida dell’immigrazione. Quali diritti-doveri per i nuovi cittadini glocali?

21 settembre 2012, 18.00

Incontro pubblico

La crisi europea offre una grande opportunità per le autonomie locali come Trentino e Alto Adige, ma anche Catalogna, Baviera, Scozia, Paesi Baschi, Corsica. Queste regioni sono protagoniste di un processo di costruzione di una identità propria sempre più fortemente proiettata sullo scenario internazionale. Tale processo crea tuttavia una fortissima tensione attorno al concetto di cittadinanza: aperta all’inclusione degli immigrati come nuovi cittadini delle autonomie europee, o chiusa su una concezione attenta alla difesa della propria identità storica e delle radici etniche e territoriali?
Ne parliamo con Lorenzo Piccoli, Stefano Fait e Piergiorgio Cattani. Introduce Michele Nardelli.

Organizza: Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani

Luogo: Sala Aurora, c/o Sede Consiglio Provinciale – Trento

http://www.tcic.eu/web/guest/eventi/-/asset_publisher/8ZdO/content/storie-di-immigrazione-appunti-di-cittadinanza?redirect=%2Fweb%2Fguest%2Feventi

LINEE GUIDA DEL MIO INTERVENTO

La crisi dell’eurozona e la crisi globale aprono scenari nuovi per il futuro.

Un cambiamento positivo è quello che consente di diventare più liberi, più consapevoli, più responsabili e più miti (ossia meno prevaricatori).

Un cambiamento negativo è quello in cui la piramide sociale diventa più ripida, la dignità delle persone è mortificata, la libertà è compressa, l’iniquità è diffusa, la fratellanza umana è vilipesa.

Al momento attuale il Trentino-Alto Adige, come il resto del mondo, si trova preso tra due fuochi: quello della destra neoliberista, esportato dal mondo anglo-americano (Wall Street e la City di Londra) – il suo verbo è incapsulato in quel “a me non interessano i poveri” di Mitt Romney – , e quello della destra etnopopulista/etnofederalista, particolarmente forte nell’area che si estende tra i confini settentrionali della Baviera ed il Po e che, localmente, preme per la soppressione della regione Trentino-Alto Adige e vuole che il Trentino sia escluso dalla candidatura alle Olimpiadi Invernali del 2022.

Il rischio che corriamo è quello di un ritorno al passato, addirittura ad un sistema neo-feudale su base etnica-sciovinista che si proponga come rimedio (falso) alle catastrofi prodotte dal neoliberismo (vere); cioè a dire, ad una ridotta alpina (Alpenfestung) in un’Europa unita di stampo “imperiale” (“Fortezza Europa” la chiamano i critici), tenuta insieme solo dalla bramosia di potere e risorse e dalla paura di ciò che sta fuori e di ciò che è sgusciato dentro (milioni di immigrati, molti di loro musulmani).  

Alcune citazioni aiuteranno a delineare meglio i contorni e la natura del problema.

Vergérus, “L’uovo del serpente”, di Ingmar Bergman:

Il mio esperimento è come un abbozzo di ciò che avverrà nei prossimi anni. Tuttavia nitido e preciso: proprio come l’interno dell’uovo di un serpente. Attraverso la sottile membrana esterna, si riesce a discernere il rettile già perfettamente formato.

Lucio Caracciolo (prefazione a “I confini dell’odio”, 1999):

In discussione non è la dimensione geopolitica, economica o demografica della mia, della vostra, o forse della nostra patria di domani. In gioco è il carattere delle sue istituzioni e della sua società civile. Prima di decidere pro o contro l’Europa – l’Europa delle nazioni, l’Europa delle Regioni, lo Stato europeo o l’Europa ineffabile ed esoterica degli europeisti – dobbiamo decidere per o contro la democrazia liberale. Il resto viene dopo.

La decisione, come abbiamo oramai capito, non è purtroppo così scontata.

Ho parlato di due fuochi.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012, pp. 89-90) descrive il primo fuoco:

Noi non sappiamo se la crisi attuale sia una di quelle cicliche che investono il mondo capitalistico, oppure se sia qualcosa di completamente nuovo, come nuove saranno le uscite. In ogni caso, ne constatiamo già gli effetti, più o meno evidenti, nella vita delle nazioni, i cui governi, da rappresentanti delle istanze popolari, decadono a strumenti amministrativi dell’ordine dell’economia finanziaria mondiale. Alla cementificazione del pensiero, all’espulsione delle alternative dal campo delle possibilità, all’omologazione delle aspirazioni, alla diffusione di modelli pervasivi di comportamento, di stili di vita e di status e sex symbol nelle società del nostro tempo, lavorano centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tanks, uffici di marketing politico e commerciale, in cui vivono e operano intellettuali e opinionisti che sono in realtà consulenti e propagandisti, consapevoli o inconsapevoli, ai quali la visibilità e il successo sono assicurati in misura proporzionale alla consonanza ideologica. La loro influenza sul pubblico è poi garantita dall’accesso a strumenti di diffusione capillari e altamente omologanti. Non è forse lì che, prima di tutto, si stabiliscono i confini simbolici del legittimo e dell’illegittimo, del pensabile e dell’impensabile, del desiderabile e del detestabile, del ragionevole e dell’irragionevole, del dicibile e dell’indicibile, del vivibile e dell’invivibile? Da qui provengono le forze simboliche potenti che, fino a ora, cercano di tenere insieme le nostre società….come in una religione, per di più monoteista.

Bruno Luverà (“Il razzismo del rispetto”, Una Città, 1999) descrive il secondo fuoco:

Nel nuovo regionalismo europeo ci sono due correnti: il regionalismo autonomista della Svp in Alto Adige o di Pujol in Catalogna, che hanno come idea-guida quella dell’autonomia dinamica, con l’acquisizione di sempre maggiori competenze per arrivare a forme forti di autogoverno, senza però che si arrivi a mettere in discussione la lealtà rispetto allo Stato nazionale, se non in una prospettiva lontana (per esempio, il diritto di autodeterminazione viene posto come valore, ma non se ne chiede l’esercizio immediato). L’altra corrente è quella, invece, micronazionalista, secondo la quale la regione diventa sinonimo di nazione, di piccola nazione, di piccola patria, e il richiamo alla regione serve per creare dei meccanismi di esclusione, serve per innalzare dei muri attorno a un luogo molto facile da controllare, potenzialmente più sicuro, in cui il criterio fondante la cittadinanza è quello dell’omogeneità etnica… La Baviera ha giocato fino in fondo la carta dell’Europa a due velocità perché questa poteva aprire scenari geopolitici interessanti. I quali, guarda caso, sarebbero andati nella direzione dell’Europa delle Regioni; l’Europa delle due velocità era uno scenario che poteva rimettere in discussione i confini.

Lucio Caracciolo, in un dibattito con Enrico Letta (Caracciolo/Letta, 2010, p. 22), illustra il punto di contatto tra i due fuochi: la distruzione del progetto europeo pluralista, democratico e liberal-socialista e degli stessi stati-nazione che lo compongono, attraverso la creazione di un’Europa a due velocità:

L’attuale crisi economica, che è sempre più una crisi sociale, rischia poi di mettere in questione il senso concreto degli Stati nazionali, a cominciare dal nostro. Quando i tedeschi riscoprono l’Euronucleo come insieme riservato ai Paesi connessi all’economia e alla cultura monetaria germanica, constatiamo che ne risulta rafforzata la tesi «padana» per cui il Nord Italia pertiene a questo spazio, il Sud niente affatto. […]. Se davvero si costituisse un Euronucleo paracarolingio, forse ne saremmo esclusi. In tal caso metteremmo a rischio l’unità nazionale. Perché se il criterio di quel nucleo è l’appartenenza alla sfera economica tedesca, fino a Verona ci siamo, più a sud molto meno. Bossi avrebbe buon gioco a rispolverare i suoi argomenti secessionisti. Per la Lega l’Euronucleo tornerebbe a rivelarsi la leva per dividere l’Italia, non per unire l’Europa.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia dagli anni Settanta, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, ha espresso la sua approvazione per questo genere di sviluppo, che si integra perfettamente nelle strategie della NATO (Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012):

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Questo è un progetto che piace molto alle fondazioni e think tank neoliberisti e che potenzierebbe a dismisura le spinte secessioniste nei paesi relegati in “serie B”. Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Alto Adige e “Padania” difficilmente tollererebbero l’esclusione.

In un’intervista per il Corriere della Sera (“Ispiratevi alle città del Rinascimento”, 14 luglio 2012), Marcia Christoff Kurapovna, sfegatata paladina del neoliberismo residente a Vienna, ha perciò esortato la Grecia e l’Italia a seguire l’esempio jugoslavo, smembrandosi in piccoli staterelli sul modello dell’Alto Adige/Sudtirolo. Ha sorvolato però sul dettaglio che tali micro-entità sarebbero istantaneamente e completamente alla mercé dei mercati, delle oligarchie finanziarie, delle multinazionali.

Esaminiamo dunque questo progetto di uno Stato Libero del Sudtirolo.

Il politologo Günther Pallaver, intervistato nel febbraio del 2009 da Gabriele Di Luca, in vista di un dibattito pubblico sul tema “Stato libero: una visione” ha dichiarato, in modo piuttosto perentorio:

Chi rivendica il diritto all’autodeterminazione sottolinea in continuazione che gli italiani – in uno Stato autonomo o nell’ambito dello Stato austriaco – sarebbero tutelati come lo sono i tedeschi in Italia. Ciò significa che la tutela attuale non può essere poi così male. Ma se penso a come l’Austria tutela le sue minoranze, allora il mio scetticismo si acuisce. Basta dare uno sguardo alla Carinzia, dove vive la minoranza slovena. Confesso che in uno Stato sovrano avrei paura del nazionalismo tedesco, dei suoi impulsi vendicativi. Solo fino a pochi anni fa gli Schützen dichiaravano che gli italiani sono solo ospiti in questa terra, un’assurdità che contrasta con i diritti fondamentali dell’uomo, poiché ogni cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di residenza in tutti i suoi Stati membri. Preferisco dunque le certezze di oggi: garanzie costituzionali e internazionali e una cultura politica europea di democrazia e tolleranza. Alle promesse di un radioso futuro preferisco le sicurezze del presente.

I Freiheitlichen hanno commissionato la stesura della bozza di una possibile costituzione per lo Stato Libero del Sudtirolo. Tale bozza corrobora i timori di Pallaver, stabilendo che lo strumento referendario consentirebbe di emendare la costituzione: il che introduce la prospettiva di una tirannia della maggioranza che stravolga quegli articoli che tutelano i diritti civili di chiunque risieda in Alto Adige – in primis gli immigrati, che non sono particolarmente ben visti –, lasciando intatti quelli più problematici, come quello che consente ai ladini veneti di chiedere l’annessione al nuovo stato, generando ulteriori tensioni con l’Italia e quello che sancisce il diritto per ogni gruppo etnolinguistico di difendere la propria identità, aprendo la strada ad ogni possibile interpretazione. Infatti, molti si ricorderanno della famosa vicenda della rana verde che stringe un boccale di birra ed un uovo tra le zampe, autoritratto dell’artista Martin Kippenberger, torturato dall’alcolismo, la sua croce. Fu esposta al Museion di Bolzano e scatenò la furia di una parte della popolazione locale. Il presidente del Consiglio Regionale, Franz Pahl, arrivò a dire che “la Rana è un oltraggio alla nostra cultura. Se continueremo di questo passo arriveremo alla totale anarchia”. Ora, al di là del fatto che la stessa destra che mandava gli Schützen a presidiare l’accesso al Museion ora bolla come primitivi i musulmani che si sentono ingiuriati da una pellicola trash che ritrae Maometto come un pedofilo-stupratore-pappone-sterminatore, questa è una dichiarazione che esplicita la bizzarra credenza che non insegnare ai bambini la (presunta) verità di una particolare religione equivalga ad educarli al nichilismo. Bizzarra perché c’è da augurarsi che molti concordino nel dire che la fonte più affidabile per una condotta autenticamente morale è imparare a metterci nei panni degli altri – pur tenendo conto dei loro gusti. Chiunque dovrebbe essere in grado di farlo, ma sono proprio le militanze ed identificazioni forti (incluso l’ateismo) ad essere di grave ostacolo. Pichler-Rolle, il presidente del partito di governo in Alto Adige, l’SVP, chiese la rimozione dell’opera perché “troppi sudtirolesi si sono sentiti feriti nei loro sentimenti religiosi”.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012,  p. 45) ci ragguaglia rispetto al potere dei simboli ed alla necessità di democratizzarli:

“Il simbolo che non è di tutti, ma è solo di qualcuno, cessa di essere simbolo e diventa diabolo. Viene meno ai suoi compiti d’unificazione, di diffusione di sicurezza e di promozione di speranza…Se qualcuno se ne impadronisce, governandone i contenuti, inculcandoli come propaganda o come pubblicità nella testa degli altri, facendone così strumento di governo e di dominio delle coscienze, il simbolo cambia natura…Il simbolo-diabolo può diventare il diapason del potere totalitario.

Chi controlla certi simboli controlla le coscienze attratte da tali simboli; può così dominare intere nazioni (pensiamo ad Hitler, alla swastika, all’Ariano) e magari perfino interi pianeti.

Quel che vogliono i Freiheitlichen è, molto semplicemente, una piccola fortezza, una ridotta alpina, all’interno della Fortezza Europa.

Proprio sul tema delle fortezze in Alto Adige e della loro vacuità, la celebre scrittrice indiana Arundhati Roy ha qualcosa da dire (da “The Briefing”, Manifesta 7, 2008):

Cosa custodivano qui, care compagne e compagni? Cosa difendevano? Armi. Oro. La civiltà stessa. Questo è ciò che dice la guida…Quando le ossa di pietra di questo leone di pietra saranno interrate nella terra inquinata, quando la Fortezza-che-non-è-mai-stata-attaccata sarà ridotta in macerie e la polvere delle macerie avrà formato dei cumuli, chissà che non nevichi di nuovo.

Per concludere, un intervento (Alto Adige, 25 luglio 2012) di Luigi Gallo, assessore alla Partecipazione, al Personale e ai Lavori Pubblici del comune di Bolzano, che va dritto al cuore del problema. Rispondendo a due lettori impregnati di luoghi comuni xenofobici, mostra il nesso tra i due fuochi, l’immigrazione e l’unica, concreta, attuabile soluzione ai nostri problemi, un autentico viatico verso un Mondo Nuovo:

I due lettori hanno sacrosanta ragione a lamentare una drammatica crisi economica che colpisce giovani, pensionati, lavoratori; ma dovrebbero rivolgere i propri strali verso altri bersagli; mentre loro guardano male il carrello della spesa del vicino immigrato o notano con invidia la marca della sua auto di “seconda mano”, qualche decina di speculatori a livello mondiale – con un clic sulla tastiera di un computer – guadagna miliardi di euro con operazioni di Borsa che mandano sul lastrico interi paesi, Italia compresa; le conseguenze sono poi che i governi di quei paesi devono tagliare gli ospedali, le scuole e le pensioni per risparmiare e pagare interessi astronomici sui titoli di stato. Forse i due lettori potrebbero prendersela con queste politiche economiche che tagliano pensioni e diritti del lavoro mentre gli evasori fiscali rimangono salvi. Certo, è più facile guardare il vicino di casa che viene dal Marocco o dal Pakistan e pensare che sia colpa sua, ma non è così. Piaccia o meno, semplicemente non è così. Avete tante ragioni cari signori ma la guerra fra poveri serve solo a distruggere la solidarietà fra le persone e a far ridere “quelli in alto, ma molto in alto” che decidono la nostra vita. Sta a voi decidere da che parte stare

Stati Uniti d’Europa – i dubbi dei costituzionalisti e delle persone di buon senso

Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.

Esodo 3-6

Solo il federalismo sarà capace di evitare il fallimento dell’Euro e le sue conseguenze disastrose sulla vita di tutta l’Unione europea. Esso aprirà agli Europei la via verso un’Europa giusta, solidale e democratica in grado di garantire il suo spazio centrale nel mondo.

Giuliano Amato, Jacques Attali, Emma Bonino, Romano Prodi,Il federalismo che può salvare l’Europa”, La Repubblica, 9 maggio 2012

Un’Europa che potrebbe rivelarsi uno dei pilastri essenziali di un più ampio sistema euroasiatico di sicurezza e cooperazione sponsorizzato dagli americani. Ma, prima di ogni altra cosa, l’Europa è la testa di ponte essenziale dell’America sul continente euroasiatico. Enorme è la posta geostrategica americana in Europa…l’allargamento dell’Europa si traduce automaticamente in un’espansione della sfera d’influenza diretta degli Stati Uniti. In assenza di stretti legami transatlantici, per contro, il primato dell’America in Eurasia svanirebbe in men che non si dica. E ciò comprometterebbe seriamente la possibilità di estendere più in profondo l’influenza americana in Eurasia…Un impegno americano in nome dell’unità europea potrebbe scongiurare il rischio che il processo di unificazione segni una battuta d’arresto per poi essere addirittura gradualmente stemperato.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale –“La grande scacchiera”,  Milano : Longanesi, 1998, pp. 83-85

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Zbigniew Brzezinski, intervista rilasciata al Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012

Leggendo il suo articolo mi pare che per lei il federalismo sia una soluzione finale. Io credo che sia un mezzo: uno dei mezzi. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che il potere oppressivo non è soltanto prerogativa degli Stati nazionali. Una grande impresa oggi ha la possibilità di abusare del potere più dello stato stesso. Le nostre costituzioni accordano garanzie contro l’abuso di potere da parte degli organi dello Stato. Non ne accordano contro l’abuso di potere da parte dei grandi gruppi capitalistici. Il superamento dello Stato nazionale è una faccia del problema del potere. O i federalisti credono che sia una soluzione totale? Io non ne sono del tutto convinto.

Norberto Bobbio ad Altiero Spinelli, 15 dicembre 1957

Nessuno degli esempi della storia, siano essi una federazione di stati o un’unione di nazioni, può servire come modello per plasmare l’unione politica. L’Unione europea è sempre stata, e resterà, un impegno unico per il quale non ci sono modelli che possono essere facilmente adottati. È importante consentire un processo evolutivo, che è aperto a ulteriori iniziative di integrazione, ma salvaguarda ciò che è già in atto e funziona bene, e che assegna le competenze agli Stati nazionali o addirittura alle regioni a seconda dei casi.

Otmar Issing, capo degli economisti della BCE, 24 marzo 2006.

Il modello burocratico che vige a Bruxelles è il modello francese, in cui la burocrazia decide quanto cacao vi deve essere in un impasto di cioccolata oppure il raggio di curvatura che deve avere una banana. La Svizzera per contro rappresenta ancora oggi lo spirito di regionalismo, d’identità locale che non vuole cedere alla pressione dell’Unione Europea. E secondo me con diritto. Perché io sono democratico, e per me l’esistenza di una comunità come Bellinzona, che andrà alle urne per decidere di un credito per la pavimentazione di una piazza, è una parte importante della democrazia mondiale. […]. I singoli Stati americani sono molto più simili tra loro che non i 26 cantoni svizzeri. Quando si attraversano le frontiere in America non si nota nessuna differenza. Tutto è uguale, che sia Pennsylvania o New Jersey o Virginia. La diversità americana, che tanto ho amato, non esiste più. […]. Lì il federalismo è più una finzione: in realtà quello americano è un governo centralizzato.

Jonathan Steinberg, docente di storia moderna europea all’Università della Pennsylvania, Corriere del Ticino, 31 Luglio 2003

È nell’interesse di tutti addivenire ad un’Europa politicamente unita, ma dovrebbe essere evidente a tutti che l’Europa è sostanzialmente diversa dagli Stati Uniti d’America, per storia, lingue e cultura. I suoi popoli e comunità non possono essere trattati alla stregua degli ospiti della leggendaria locanda di Procuste, che venivano amputati oppure “allungati” per poterli adattare alle misure dei letti. È più che realistico attendersi che proprio la mancanza di rispetto per le specificità locali e le sensibilità particolari, oltre ad una fretta ingiustificata, produrranno reazioni violente e l’affondamento del sogno europeista.

Tra l’altro, è piuttosto curioso che si caldeggi una maggiore integrazione europea mentre oltreoceano, per tre soli voti (e grazie ad uno scaltro emendamento inserito all’ultimo minuto), non è passata una proposta di legge del Wyoming (HB 0085, 2012) per l’istituzione di un gruppo di studio che intraprenda l’analisi delle conseguenze di una potenziale interruzione del governo federale degli Stati Uniti, di un eventuale rapido declino del dollaro, di una situazione in cui il governo federale non ha alcun potere effettivo o autorità sul popolo degli Stati Uniti, di una crisi costituzionale e dell’ipotetica interruzione nel settore della distribuzione alimentare e dell’energia.

In un libro molto bello e sincero, intitolato “Il mito d’Europa” (Monti, 2000) Luciano Monti, docente di Politica Regionale europea presso la Luiss Guido Carli, dà testimonianza di come certe perplessità siano assolutamente motivate. Carli rileva che l’Europa è diventata un fine in sé e che il mito rischia di diventare un idolo. Sottolinea la modesta potestà legislativa del Parlamento europeo ed il suo scarso coinvolgimento nel processo decisionale della politica europea, stigmatizza il prevalere della burocrazia e l’inamovibilità dei suoi vertici, il proliferare di normative sempre più complesse ed il decentramento a livello regionale che indebolisce gli stati come corpi intermedi che possono anche tutelare le regioni stesse, le quali, sono comunque troppo deboli e mal coordinate. Infine, un’élite distante dai cittadini, isolata nella sua torre eburnea, persuasa di essere, sola, in grado di decretare i destini di centinaia di milioni di cittadini (p.235): “Vi sono anche numerosi potentati, che a differenza delle tradizionali strutture di governo, legate ad un territorio, sono piuttosto incardinati su una fitta rete di relazioni. Non si tratta in realtà di una casta determinabile, ma, per dirla con Herman Hesse, delle Castalie, vale a dire dei gruppi circoscritti di soggetti isolati dal resto della società civile. Dove l’isolamento è il prodotto non già dell’emarginazione ma piuttosto dell’elevazione“.

Perciò non sorprende constatare che le corti costituzionali dei paesi europei, specialmente in Francia, Germania e Regno Unito, abbiano assunto un atteggiamento difensivo e critico verso l’architettura istituzionale dell’Unione Europea (Zagrebelsky/Portinaro/Luther, 1996; Zagrebelsky, 2003). In particolare, il costituzionalista tedesco Dieter Grimm ha argomentato in modo molto persuasivo una serie di contestazioni all’iter integrativo europeo che si coniugano a quelle che ho menzionato in precedenza. Grimm osserva che, come non si possono costruire degli edifici a partire da tetto, ma servono delle solide fondamenta, così l’edificio europeo non può prescindere da una società civile europea, una lingua-ponte europea sufficientemente diffusa, partiti europei, media europei, una memoria sufficientemente condivisa, ossia di tutti quei trait d’union e soprattutto corpi intermedi che, fin dai tempi di Montesquieu, sono considerati elementi basilari ed irrinunciabili per un’organizzazione statuale stabile ed efficiente ed una cittadinanza che possa prendere parte attiva al processo decisionale. Senza la possibilità di comunicare in modo più agevole, di scambiare opinioni e valutazioni, come sarà possibile che mezzo miliardo di persone trovi punti di accordo, raggiunga compromessi e regoli i suoi rapporti con i paesi extra-europei, anche in tempi di crisi?

Una valutazione sottoscritta, tra gli altri, da Ralph Dahrendorf e Gian Enrico Rusconi nei loro commenti ad una sentenza della Corte Costituzionale Federale Tedesca del 12 ottobre 1993, la prima di una serie di sentenze, non solo tedesche, che hanno intralciato i piani delle autorità europee di addivenire al più presto ad uno Stato federale. Sentiamo il parere, al riguardo, di Andreas Vosskuhle, presidente della corte costituzionale tedesca, intervistato dalla Frankfurter Allgemeine („Mehr Europa lässt das Grundgesetz kaum zu“, 25 settembre 2011):

La Costituzione consente un’ulteriore integrazione europea?

Penso che i margini di manovra si siano in gran parte esauriti.

E se la politica volesse procedere oltre?

La costituzione tedesca garantisce l’inviolabilità della sovranità statuale. Essendo ancorata alla Costituzione, essa non potrebbe essere accantonata neppure per mezzo degli emendamenti costituzionali. Le modifiche della Costituzione concernenti i principi strutturali – democrazia, stato di diritto, stato sociale, federalismo – sono inammissibili.

La sovranità di bilancio del Parlamento potrebbe essere parzialmente trasferita alle istituzioni europee?

Non c’è più molto spazio per una cessione di ulteriori competenze all’Unione Europea. Se si volessero varcare questi limiti – il che può anche essere politicamente legittimo e desiderabile –, in quel caso la Germania dovrebbe darsi una nuova costituzione. Ma allora si renderebbe necessaria una consultazione referendaria. Non si possono fare queste cose senza il popolo.

È curioso che molti analisti politici, accecati dalla loro fede europeista, si dimentichino della differenza tra democrazia formale (la scatola) e democrazia sostanziale (il contenuto) e che debbano essere dei costituzionalisti a rammentarglielo (cf. per esempio Antonio Cantaro). Una democrazia senza una società civile vigorosa e corale (voci distinte ma armonizzate, come in un coro, appunto) è come quelle pagnotte che sembrano belle esternamente ma quando le spezzi scopri che è quasi tutta crosta e poca mollica (sostanza). Un vinaccio scadente ed un vino di alta qualità sono entrambi vini, ma sfido chiunque a dire che sono la stessa cosa: uno intossica, l’altro gratifica.

Ciò che è forse paradossale, ma molto significativo, è che questa agognata società civile europea, questo popolo sovrano europeo, sta effettivamente sbocciando, con fatica, solo ora, tra gli indignati, ma come atto di protesta contro le istituzioni europee e globali. La sensazione è che, per molti Europei, l’Unione stia diventando un problema, piuttosto che una soluzione, a dispetto del diverso parere di una larga fetta dell’intellettualità europea.

Come giustamente lamenta Giuseppe Guarino (2008, p. 160): “Bisogna andare avanti, si dice. Completare un processo glorioso che si è svolto con successo per oltre cinquanta anni. Andare avanti, certo. È indispensabile. Ma sempre che la strada prosegua diritta e sicura. Se diventa accidentata e va inoltrandosi in luoghi non chiari, se sorge anche un minimo dubbio se continui ad essere quella giusta, la più elementare prudenza suggerisce di fermarsi e chiedere informazioni…Non c’è ragione per discostarsi da quanto in analoghe condizioni farebbe una comune persona, mediamente saggia. Solo di questo si tratta“.

Vorrei concludere questo capitolo riproponendo alcuni passi salienti di un dibattito avvenuto in seno alla famosa, o famigerata, Commissione Trilaterale (Crozier, Huntington, Watanuki, 1977), un’organizzazione che è soprattutto nota per il suo elitismo e che quindi non ci si aspetta che possa manifestare posizioni contrarie all’accentramento del potere nelle mani di pochi selezionati. Ebbene, verso la fine degli anni settanta, le proposte di tre relatori che andavano, appunto, nella direzione di una revisione in senso tecnocratico e centralistico della democrazia come rimedio per la presunta crisi in cui versavano le società democratiche, ricevettero una bordata di critiche da diversi membri della Commissione. Ci fu chi sottolineò che i padri fondatori degli Stati Uniti non avrebbero mai anteposto la “governabilità” al rispetto dei diritti dei cittadini, chi denunciò gli eccessi dei governanti e della burocrazia, piuttosto che quelli dei governati, chi definì i rimedi raccomandati “errati, deludenti, fatali”, chi invocò più democrazia, non meno democrazia, chi lamentò il restringimento del pluralismo nei media e chi constatò che, essendo gli esseri umani così deboli, in una situazione di monopolio sarebbero inclini ad abusare del potere loro conferito. Posizioni assolutamente coincidenti con quelle degli indignati dei nostri giorni. Quel che più ci interessa è invece la valutazione che i membri canadesi diedero del federalismo canadese, uno dei possibili modelli per quello europeo (pp. 184-185): “Si fece rilevare che l’espansione e la proliferazione della burocrazia a livello federale, provinciale e comunale hanno contribuito, a causa della sempre minore chiarezza di direzione e responsabilità, alle tensioni cui è sottoposto il sistema politico canadese. Si registra una tendenza sempre più forte – si disse – della burocrazia ad assumere ruoli che tradizionalmente erano di pertinenza prevalente degli uomini politici – ad esempio quei ruoli che hanno per oggetto il “bene pubblico”. In ciò si potrebbe vedere uno sviluppo pericoloso, specie alla luce della vocazione della burocrazia federale a “imperniarsi su Ottawa”, senza più esprimere un’adeguata rappresentanza delle altre regioni del paese“.

La famigerata Commissione Trilaterale esce allo scoperto sulla Grande Coalizione

 

Le idee della Commissione Trilaterale possono essere sintetizzate come l’orientamento ideologico che incarna il punto di vista sovranazionale delle società multinazionali, che cerca di subordinare le politiche territoriali a fini economici non territoriali.

Richard Falk (Emerito, Princeton), “A New Paradigm for International Legal Studies”, The Yale Law Journal (Vol 84, no. 5, April 1975)

Carlo Tecce (Fatto Quotidiano) intervista Carlo Secchi.

“Vuol sapere un segreto?”, dice Carlo Secchi con la voce impastata durante un’ora di colloquio a murare domande e tramandare leggende. La Commissione Trilateral, origine americana e desideri di tecnocrazia, dollari e diplomazia, maneggia sapientemente i segreti. Secchi è il presidente italiano, nonché ex rettore all’Università Bocconi e consigliere d’amministrazione di sei società quotate in Borsa tra cui Italcementi, Mediaset e Pirelli: “Quando il nostro reggente europeo Mario Monti ha ricevuto l’incarico dal Quirinale, e stava per formare il governo, noi eravamo riuniti: curiosa coincidenza, non l’abbiamo scelto noi”. Questo è un tentativo di respingere i complotti che inseguono la Commissione.

Monti premier, promosso o bocciato?

La Trilateral guarda l’Italia con grande interesse. Tutti sono contenti e ammirati per il lavoro di Mario Monti. È inevitabile che ci sia un’ottima considerazione del premier, che è stato un apprezzato presidente del gruppo europeo.

Prima osservava e giudicava, ora è osservato e viene giudicato.

Ovviamente i princìpi di fondo – su economia, finanza, riforme, bilancio, sviluppo – sono ancora condivisi. Mario non li ha rinnegati: c’è continuità fra il Monti in Commissione Trilateral e il Monti a Palazzo Chigi.
È un fatto positivo. Non è l’unico che passa per le nostre stanze: da Jimmy Carter a Bill Clinton, da Romano Prodi fino al greco Lucas Papademos.

Cos’è la Trilateral?

Una storia di quarant’anni, a breve onoreremo l’intuizione del banchiere David Rockefeller e le visioni di Henry Kissinger. Avevamo una struttura tripolare che rispettava i poteri di un secolo fa: americani, canadesi e messicani; l’Europa democratica, cioè occidentale; Giappone e Corea del Sud. Adesso ci spingiamo verso i paesi orientali, quelli più rampanti: India e Cina, Singapore e Indonesia. Siamo una specie di G-20 allargato. La Croazia è l’ultima ammessa.

Che ruolo giocate?

Favorire il dialogo su temi di carattere economico e geopolitico. Vogliamo coniugare l’interesse fra le istituzioni e gli affari.

Bella definizione, teorica però. Chi seleziona i componenti?

Siamo divisi in gruppi continentali e nazionali con un numero limitato. In Europa non possiamo superare i 200 membri, mentre in Italia siamo 18. Posso citare, per fare un esempio, Marco Tronchetti Provera (Pirelli), Enrico Tomaso Cucchiani (Intesa), John Elkann (Fiat). Io sono entrato come rettore della Bocconi.

Chi si dimette fa un nome per la successione, ma si cercano figure simili. Soltanto un banchiere può sostituire un banchiere.

Il nostro disegno è quello di contenere la società italiana: professori universitari, esperti militari, ambasciatori, imprenditori, politici, giornalisti. Ci vediamo due volte all’anno con vari argomenti da approfondire e cerchiamo di trovare una soluzione. Lanciamo idee.

E chi le raccoglie?

Ciascuno di noi ha un collegamento con le istituzioni. Il nostro presidente può chiedere un incontro con i commissari europei.

Noi elaboriamo proposte, non facciamo pressioni. Non votiamo mai per un nostro piano, discutiamo, punto.

Differenze con il Club Bilderberg?

Le nostre porte sono più aperte, c’è un profondo ricambio generazionale. A volte si può assistere ai dibattiti, invitiamo personalità a noi vicine, ma con un divieto assoluto: non è permesso riportare dichiarazioni all’esterno. Questo serve a garantire la nostra libertà.

C’è tanta massoneria fra di voi?

Personalmente non me ne sono accorto, può darsi che qualcuno dei membri maschi sia massone. Non c’è nulla, però, che rimandi a una loggia. Più che i grembiulini, noi indossiamo una rete: è chiaro che, avendo numerosi contatti sparsi ovunque, ci si aiuti a vicenda.

Come influenzate i governi?

Soltanto in maniera indiretta, non abbiamo emissari, non siamo un sindacato né un partito. Non mi piace il verbo influenzare.

Ma non posso negare che le nostre conoscenze siano ampie.

Scommettete contro l’Euro morente?

Non posso portare fuori il pensiero interno alla Trilateral. Posso raccontare spezzoni, elementi messi insieme durante l’ultima assemblea di Tokyo. Quando ragioniamo sull’euro ci rendiamo conto che siamo di fronte a una creatura incompiuta e quindi consigliamo un mercato europeo comune, non soltanto una moneta.

Previsioni?

La Cina è un chiodo fisso, a Tokyo è stata protagonista. Cina vuol dire crescita e integrazione, e il timore che quel mezzo potentissimo possa rallentare. Invece gli americani si sentono tranquilli, ma credono che l’Europa sia un po’ lenta a risolvere i suoi problemi e sono molto insoddisfatti di Bruxelles.

Meglio i tecnici o i politici al governo?

Ci sono tecnici ad Atene e Roma.

Papademos e Monti, due ex illustri esponenti della Trilateral.

Il prossimo modello, forse anche in Italia, sarà una coalizione trasversale come in Germania. Poi cambia poco se i ministri saranno o no dei partiti.

Quali sono i vostri amici nel governo italiano?

Oltre a Monti e al sottosegretario Marta Dassù (Esteri), per motivi professionali, dico i ministri Lorenzo Ornaghi (Cultura) e Corrado Passera (Sviluppo economico).

La Trilateral è potente perché misteriosa?

Siamo semplicemente una rete forte, la migliore al mondo. Non prendiamo direttamente decisioni importanti, ma ci siamo sempre nei momenti più delicati. Jimmy Carter non è diventato presidente perché era il capo americano: una volta alla Casa Bianca, però, sapeva di avere un gruppo di persone con cui consigliarsi“.

Carlo Tecce
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it
26.04.2012

http://shop.ilfattoquotidiano.it/2012/04/26/noi-della-trilateral-contenti-di-monti/

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=43172

Libia: missione compiuta. Sotto a chi tocca! (Pachistan, Siria)

a cura di Stefano Fait

L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia è uno sviluppo naturale.

Giorgio Napolitano

Bombardare una nazione non è uno sviluppo naturale.

Antonio Di Pietro

Si tratta di una questione seria e delicata, che riguarda tra l’altro milioni di persone che si sono ribellate a un regime dittatoriale e che per questo stanno subendo azioni di guerra e rischi per la loro stessa incolumità fisica, civili innocenti abbandonati alla furia oppressiva.

Anna Finocchiaro

Chi scende in piazza contro la missione internazionale di fatto non è neutrale, bensì con Gheddafi. Perché niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? […] In Italia vedo appelli a protestare mossi dall’ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l’imperialismo americano. Come fa Vendola a dire né con Gheddafi né con le bombe?

Daniel Cohn-Bendit, presidente dei Verdi al Parlamento europeo.

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/perche-questuomo-e-il-leader-dei-verdi.html

Circa 10 giorni dopo l’11 settembre 2001 mi sono recato al Pentagono, ho visto il segretario alla difesa Rumsfield e il vice segretario Wolfowitz, sono sceso per salutare alcune persone dello Stato Maggiore che lavoravano per me e uno dei miei generali mi chiamò dicendomi: «Venga, Le devo parlare un momento», io gli dissi «ma lei avrà da fare…» e lui disse «no, no, abbiamo preso una decisione, attaccheremo l’Iraq» . Tutto questo accadeva attorno al 20 di settembre. E io gli chiesi: «ma perché?» e lui: «non lo so», e aggiunse «penso che non sappiano cos’altro fare». Io gli chiesi «hanno trovato informazioni che collegano Saddam Hussein con Al Quaeda?», disse «No, non c’è niente di nuovo. Hanno soltanto deciso di fare la guerra all’Iraq!», e disse «non so la ragione è che non si sa cosa fare riguardo al terrorismo, però abbiamo un buon esercito e possiamo rovesciare qualsiasi governo». Sono tornato a trovarlo alcune settimane più tardi e all’epoca stavamo bombardando l’Afghanistan. Gli chiesi: «bombarderemo sempre l’Iraq?», lui mi rispose «molto peggio!». Prese un foglio di carta e disse «ho appena ricevuto questo dall’alto», sarebbe a dire dall’ufficio del segretario alla difesa. «Questo è un memo che descrive in che modo prenderemo 7 paesi in 5 anni, cominciando dall’IRAQ, poi la SIRIA, il LIBANO, la LIBIA, la SOMALIA, il SUDAN e per finire l’IRAN». Gli chiesi: «è confidenziale?» e lui «si, signore».

Generale Wesley Clark, ex comandante generale dell’US European Command.

http://www.youtube.com/watch?v=fW8mLDtq9Ls&feature=player_embedded

Al Pentagono, nel novembre del 2001, feci una chiacchierata con uno degli ufficiali superiori. Sì, stavamo ancora progettando la guerra contro l’Iraq, ma c’era anche altro. Quel progetto faceva parte di un piano quinquennale di campagne militari che comprendeva sette nazioni: a partire dall’Iraq, per continuare con la Siria, il Libano, la Libia, l’Iran, la Somalia e il Sudan. Il tono era indignato e quasi incredulo […] Cambiai discorso, non erano cose che volevo sentire.

Wesley K. Clark, Winning Modern Wars, p. 130

http://www.amazon.com/Winning-Modern-Wars-Terrorism-American/dp/1586482181

Sono un autonomista, non un separatista, o comunque non separatista ad ogni costo.

Razzismi e nazionalismi e la violenza irrazionale che li accompagna si estinguono quando c’è prosperità e non c’è disoccupazione, ossia quando i deboli non sono costretti a combattersi l’un l’altro, quando nessuno si permette di stabilire che il proprio dio è superiore a quello degli altri, nessuno ha bisogno di idoli da venerare e tribù a cui giurare eterna fedeltà e per cui immolarsi. Quando invece c’è crisi gli intelletti si ottenebrano, le passioni si accendono, le idee si deformano, il buon senso ne esce mutilato. A quel punto o le comunità sono governate da persone di buona volontà, disposte a servire i cittadini, la verità e la giustizia, oppure razzisti, oscurantisti, populisti, guerrafondai, fanatici, mitomani, psicopatici assumeranno il controllo della società e la spingeranno verso l’abisso.

La dignità dei popoli non va confusa con il narcisismo particolarista di chi è più interessato a tutelare le proprie rendite e che, per ciò stesso, è facilmente manovrabile, diventa una pedina impiegata per frammentare entità nazionali, balcanizzandole, contrapponendo cinicamente un gruppo all’altro (divide et impera), trasformandole in golosi bocconi per la potenza di turno e neutralizzando così preventivamente ogni possibilità che le masse si uniscano contro le élite e le loro politiche egemoniche ed anti-democratiche.

Il separatismo è il gioco preferito da chi aderisce alle strategie di Zbigniew Brzezinski, grande vecchio della politica estera statunitense, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale (ne fu il direttore tra il 1973 ed il 1976) che, alla fine degli anni Novanta, spiegava che le guerre americane non servono a sanare l’economia americana ma esclusivamente a riaffermare l’egemonia statunitense mondiale e che solo un qualche tipo di Pearl Harbor consentirebbe di occupare militarmente l’Asia Centrale, il centro geostrategico del globo (l’11 settembre è arrivato circa 4 anni dopo la pubblicazione del libro):

http://www.amazon.com/Grand-Chessboard-American-Geostrategic-Imperatives/product-reviews/0465027261/ref=dp_top_cm_cr_acr_txt?ie=UTF8&showViewpoints=1

Riferendosi alle nazioni centrasiatiche, Brzezinski usava volutamente termini come: “vassalli”, “tributari” e “barbari”.

Essendo contrario alle guerre, che considerava e considera troppo dispendiose rispetto ai benefici che possono apportare, suggerisce di optare per la soluzione dell’insorgenza anti-governativa, ossia cambi di regime per mezzo di insurrezioni popolari programmate, le ben note rivoluzioni colorate.

Le rivoluzioni colorate sono dei movimenti di protesta non-violenti e non-spontanei esplosi in varie regioni dell’ex Unione Sovietica e del Medio Oriente, tra le quali la Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004), il Libano e il Kyrgyzstan (2005), l’Iran (fallita, nel 2009-2010), in seguito ad un’elezione  dall’esito contestato o sull’onda della richiesta di un voto legittimo. Sono non-spontanee in quanto strumenti di politica estera, come il terrorismo.

Questi non sono complottismi, sono fatti documentati dai migliori corrispondenti internazionali, incluso il premio Pulitzer Seymour Hersh (quello di My Lai e di Abu Ghraib) e confermati da Kissinger e, appunto, dallo stesso Brzezinski.

Se così tanta gente non l’ha ancora capito è per pigrizia intellettuale ed inerzia morale.

L’Occidente (o altre potenze regionali e globali) organizza e finanzia le rivolte, direttamente o attraverso le ONG, per ottenere dei cambi di regime senza incorrere negli ingentissimi costi di una guerra (Iraq, Afghanistan, Libia) o nelle spiacevoli ricadute d’immagine di un golpe (es. Pinochet, Gbagbo), sfruttando le vulnerabilità dell’emotività umana (paura, desiderio, pigrizia) e la credulità dell’opinione pubblica internazionale pronta ad avallare qualunque moto nominalmente democratico. I fomentatori sono degli specialisti, persone altamente competenti che devono manovrare i moti popolari in modo tale da non far trapelare le reali motivazioni dei poteri forti che li sostengono. La stragran parte dei manifestanti dev’essere in buona fede, altrimenti il fallimento è assicurato.

Se i governi (“regimi”) esistenti sono troppo robusti (es. Libia, Pachistan), si ricorre all’indipendentismo ed alla guerra civile.

Praticamente tutti i critici dell’intervento in Libia avevano previsto che quel paese sarebbe stato separato in due tronconi e quello orientale, più ricco di petrolio e gas naturale, sarebbe diventato una colonia euro-americana. Ora sappiamo che avevamo visto giusto.

“La Cirenaica si proclama “autonoma”. Alla Tripolitania, la mossa non è piaciuta. Il Cnt parla di «un appello alla fragmentazione». Il leader Mustafa Abdul Jalil minaccia uso forza. Il dopo-Gheddafi mostra le ambiguità di una ribellione che non è stata una rivoluzione per la democrazia.

La nuova Libia ogni giorno ha la sua pena. Si può anche capire, visto che i 42 anni di Gheddafi si sono lasciati dietro un vuoto istituzionale che la (ex) Jamahiriya (lo Stato delle masse) non è certo servita a coprire.

Però questo non rende la pena quotidiana meno acuta. Quella di ieri è la proclamazione, unilaterale, di una regione (o peggio, di «uno Stato») semi-autonomo. È la regione (o lo Stato) di Barqa, nome arabo della Cirenaica, l’est del paese, quella più grande – la metà dell’attuale territorio libico: va da Sirte fino al confine con l’Egitto a est, fino al Ciad e al Sudan a sud – e, guarda un po’, quella che racchiude i due terzi delle colossali risorse petrolifere.
La proclamazione è avvenuta nel corso del «Congresso del popolo della Cirenaica», svoltosi in un hangar fuori Bengasi, con duemila delegati in festa. Fra loro rappresentanti delle principali tribù dell’est – Ubaidat, Mughariba, Awajeer -, comandanti delle milizie che hanno combattuto contro Gheddafi – l’«Esercito di Barqa» che raggruppa 61 «milizie rivoluzionarie» dell’est – e uomini politici della regione – alcuni dei quali membri dello stesso Cnt, il Consiglio nazionale transitorio: come lo stesso Ahmed al Zubair al Senussi, nominato capo del Consiglio di governo provvisorio di Barqa.
Ahmed al Zuabair, quasi ottantenne, è il pronipote dell’ultimo re libico, re Idriss (pupazzo nelle mani degli inglesi rovesciato dal giovane colonnello Gheddafi il primo settembre 1969), ha passato nelle galere gheddafiane 31 anni e nel 2011 ha vinto il premio Sakharov per «aver combattuto per la libertà della Libia». La nuova Libia ha recuperati la vecchia bandiera di re Idriss e ora anche il pronipote.

Al Cnt e all’occidente libico, la Tripolitania, la mossa dei cirenaici non è piaciuta per nulla. Hanno un bel dire che si è trattato solo di una dichiarazione di intenti, che autonomia non vuol dire secessione, che federalismo «non significa divisione ma unità», che le risorse petrolifere, la politica estera e l’esercito nazionale resteranno nelle mani del governo centrale e «federale» di Tripoli. Il Cnt ha parlato di un passo «pericoloso» e di «un evidente appello alla fragmentazione».
Anche perché l’«autonomia» pretesa dalla Cirenaica è molto larga: un proprio parlamento, una propria polizia, delle proprie corti di giustizia, una capitale – Bengasi, la seconda città del paese -, un proprio governo. Anche le elezioni, indette «entro due settimane» per eleggere il proprio esecutivo, suonano come una sfida a quelle che il Cnt ha fissato per giugno, che dovranno eleggere una assemblea nazionale di 200 membri per nominare un nuovo capo di governo e scrivere una nuova costituzione. Sulla base della legge emanata dal Cnt, di quei 200 deputati, la Cirenaica dovrebbe averne 60, contro i 100 della Tripolitania (più popolosa). Troppo pochi dicono a Bengasi, accusando le autorità della «nuova Libia» di proseguire la politica di emarginazione-discriminazione che fu di Gheddafi verso l’est, accusato di essere culla dell’islamismo e dell’opposizione.

Alla «autonomia» e al «federalismo», il Cnt di Mustafa Abdel Jalil e il governo provvisorio del premier Abdel Rahim al-Keib contrappongono una «decentralizzazione» che darebbe ampi poteri ai governi muncipali e locali ma che non prevede l’esistenza di «Stati» così ingombranti. La mossa ieri a Bengasi riporta agli anni fra il 1951 (quando gli inglesi diedero «l’indipendenza») e il ‘63 in cui re Idriss (in realtà il Foreign Office di Londra) divise la Libia in tre Stati: la Tripolitania a ovest, la Cirenaica a est e il Fezzan nel sud-ovest.

La «nuova Libia» ha qualche problema”.

Maurizio Matteuzzi [Il Manifesto]

Roma, 07 marzo 2012, Nena News

http://nena-news.globalist.it/?p=17584

“Libia, Amnesty International denuncia “Torture e abusi da milizie fuori controllo”. L’organizzazione umanitaria sottolinea che “le azioni e il rifiuto di deporre le armi o unirsi ai ranghi dell’esercito regolare minacciano di destabilizzare il Paese e deludere le speranze di milioni di persone che sono scese in piazza per chiedere libertà, giustizia, rispetto per i diritti umani e dignità”.

Il loro disarmo era uno degli impegni prioritari del nuovo governo libico che deve traghettare il paese nel dopo-Gheddafi. Invece, a un anno dall’inizio della guerra civile che ha poi portato all’intervento della Nato e alla cacciata del dittatore, le milizie sono la principale minaccia alla stabilità della nuova Libia. Lo documenta un rapporto reso pubblico oggi da Amnesty International, che si apre, con una frase di Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani: “La mancanza di controllo da parte del governo centrale produce un ambiente favorevole alle torture e agli abusi”.

[…].

“I miliziani hanno preso prigionieri centinaia di lealisti di Gheddafi e di presunti mercenari stranieri, molti dei quali sono stati maltrattati e torturati, a volte fino alla morte”. Decine di migliaia di persone, secondo Amnesty, sono state costrette a lasciare le proprie case dalle milizie lanciate in saccheggi e devastazioni contro presunti fedeli del dittatore. La pratica degli arresti arbitrari, al di fuori di qualsiasi controllo da parte delle autorità statali, continua ancora con “migliaia di detenuti arrestati senza alcun processo e senza la possibilità di contestare la legalità del loro fermo”.

Il rapporto è basato sulle ricerche sul campo condotte dal personale di Amnesty che ha intervistato centinaia di persone che sono state detenute a Sirte, Misurata, Tripoli, al-Zawyah e Gharian.

[…].

Medici, personale internazionale, attivisti per i diritti umani erano troppo spaventati per denunciare le violenze di cui avevano avuto notizia o che avevano potuto verificare di persona. “Le loro paure erano fondate – aggiunge AI – Persone che hanno presentato denunce sono state minacciate o attaccate dalle milizie”.

[…].

Le autorità non hanno voluto riconoscere la scala degli abusi, limitandosi al massimo ad ammettere casi individuali, nonostante l’evidenza di abusi diffusi e sistematici in molte parti del Paese”.

Difficilmente la nuova Libia poteva partire peggio di così”.

di Joseph Zarlingo

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/16/libia-amnesty-international-denuncia-torture-abusi-milizie-fuori-controllo/191706/

PACHISTAN

L’8 febbraio 2012 si è tenuta un’Audizione del Congresso americano, convocata dalla Commissione per gli Affari Esteri della Camera statunitense dei Rappresentanti e presieduta da Dana Rohrabacher, membro repubblicano del Congresso e co-autore di un articolo che esprime sostegno per un Belucistan indipendente:

http://gilguysparks.wordpress.com/2012/02/19/ingerenza-straniera-negli-affari-del-balucistan/

Ciò corrobora l’analisi di Webster G. Tarpley sui piani statunitensi per il Pachistan:

http://tarpley.net/2011/05/27/gli-stati-uniti-e-il-pakistan-vicini-a-una-guerra-aperta/

A questa potenza nucleare, caduta in disgrazia presso la Casa Bianca e il Pentagono, potrebbe essere strappato il Belucistan, che diventerà uno stato indipendente molto ricco di risorse minerarie:

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_febbraio_21/miniera-oro-paksitan-virtuani_a952b4a4-5bda-11e1-9554-12046180c4ab.shtml

L’argomentazione impiegata è trita e ritrita. La maggioranza oppressiva dev’essere fermata, la minoranza può tutelarsi solo costituendo uno stato indipendente, alleato di ferro della NATO. [Chissà cosa succederebbe se fossero il Texas, il Nuovo Messico o il Vermont a volersene andare].

Nel caso pachistano, dopo la rimozione dal potere di Musharraf, burattino dell’Occidente, gli oppressori sarebbero gli indomiti Pashtun, che hanno resistito per secoli ad ogni occupante straniero. Oppressiva è la millenaria cultura del Punjab.

Il Belucistan ha anche il vantaggio di sconfinare nell’Iran e nell’Afghanistan, il che non guasta ai fini della destabilizzazione di governi ostili.

Questo piano ha però alcune controindicazioni di non poco conto: Pachistan ed Iran combatteranno fino all’ultimo per difendere la loro integrità territoriale e la Turchia non sarà disposta ad avallare una strategia che favorirebbe il separatismo kurdo. Gli Americani si troverebbero isolati nell’Asia Centrale e spazzati via, anche in virtù del probabile intervento cinese e russo, due potenze che si sono fatte garanti dell’unità pachistana e del diritto iraniano di proseguire il loro programma atomico:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/terza-guerra-mondiale-scacchiera-pezzi.html

SIRIA

Le milizie ribelli non sono diverse da quelle che hanno imperversato in Libia:

http://www.silviacattori.net/article2864.html

Forse sono addirittura le stesse persone:

http://gilguysparks.wordpress.com/2012/03/08/la-russia-critica-aspramente-la-nato-sulla-libia-e-la-libia-sulla-siria/

Il responsabile di Al-Jazeera per la Siria è il fratello di uno dei capi dell’insurrezione siriana. I giornalisti di Al-Jazeera si dicono sempre più indignati per la distorsione della realtà prodotta dal loro canale di informazione:

http://english.al-akhbar.com/content/syria%E2%80%99s-electronic-warriors-hit-al-jazeera

I ribelli ammettono di ricevere già da tempo armi dall’Occidente:

http://www.presstv.ir/detail/228428.html

La prima figura istituzionale ad abbandonare Assad e schierarsi coi ribelli è, guarda caso, un viceministro del petrolio:

http://it.euronews.com/2012/03/08/siria-vice-ministro-del-petrolio-si-dimette/

Una parte importante dell’opposizione siriana contraria all’escalation militare si dissocia da chi vuole a tutti i costi un intervento bellico:

http://www.almanar.com.lb/english/adetails.php?eid=46639&cid=23&fromval=1&frid=23&seccatid=20&s1=1

“Perché il regime di Bashar al-Assad non è caduto? Perché la maggioranza della popolazione siriana ancora lo sostiene (il 55%, in base a un sondaggio che risale di metà dicembre finanziato dalla Qatar Foundation)”:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=9863

Teoria del Complotto

“Vi dico che l’uomo e il cane sono in combutta!”
“Cristo santo, Trevor, tu e i tuoi complottismi!”

http://fanuessays.blogspot.com/2012/01/ferruccio-pinotti-sui-poteri-occulti.html

http://www.informarexresistere.fr/2011/11/23/complottisti-ed-anticomplottisti-sono-una-piaga-sociale/#axzz1xm7oxFYA

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