La “civiltà occidentale” ha il diritto di esistere?

11987137_1045145435496586_1903334274013560540_nPREMESSA BREVE
Il titolo è radicale, non l’analisi.
Il titolo fa riferimento all’idea di “civiltà occidentale” difesa dai bruti citati dopo le premesse (sotto le cronolinee).
L’analisi sostiene che quella civiltà occidentale (che non è la mia e spero non sia la vostra) non ha alcuna ragione di esistere, essendo un cancro dell’umanità.

PREMESSA LUNGHISSIMA

Le anime belle della sinistra devono affrontare la realtà.

La rozzezza di chi difende un certo tipo di trattamento riservato ad altri esseri umani e un certo tipo di “civiltà occidentale” che appartiene a secoli bui rende improvvisamente attualissimo un grande film – CLOUD ATLAS – che aveva spiegato molto bene quale sia la posta in palio: la scissione dell’umanità (e del suo futuro) in due o più ramificazioni.

Alcuni, a SINISTRA, si dolgono all’idea che l’umanità possa essere differenziata (plurima).

Detestano chi, a DESTRA, protesta che siamo DIVERSI e che un bianco non è un nero e non lo sarà mai.

Naturalmente la destra ha ragione da vendere e la sinistra ha torto.

Un fascista è un fascista ed è diverso da un non-fascista.

Mentre un fascista ha il diritto di esistere, il fascismo non ce l’ha, come non ce l’ha l’antifascismo (o la civiltà “occidentale”, quella “cinese”, quella “islamica”, quella “ebraica”, ecc.).

Le idee non hanno alcun diritto di esistere. Si scontrano nell’arena della storia. Alcune vincono, altre perdono.

La questione dei rifugiati ha riesumato vecchie idee (marchiature, campi di concentramento, muri, demonizzazione, disumanizzazione, caccia alle streghe) che hanno trasformato la civiltà occidentale in una MACCHINA DI MORTE (da Cortés alle guerre dell’oppio, all’Olocausto, alla Guerra al Terrore).

In mezzo a questo orrore chi si è opposto (es. Bartolomé de las Casas, Martin Luther King, papa Francesco e, dall’altra parte, tutti quelli che hanno difeso un uso umanitario della tecnoscienza) ha potuto fare molto poco e se non la pensiamo così è molto probabilmente perché siamo diventati cinici e disincantati e ci accontentiamo di quasi niente (di molti secoli per poter abolire la schiavitù e altri secoli per abolire il servaggio debitorio-salariale, che ci sembra così naturale).

Al momento forse sono pochi quelli che possono credere che la polarizzazione tra gli esseri umani (che ignora categorie politiche, razziali, di genere, ecc.) possa arrivare a un punto tale da causare una scissione definitiva tra due (o più?) umanità.

I più sono certi che la polarizzazione sui social media e nei forum sia dovuta alla natura stessa dello strumento.

Io penso che si sbaglino. Siamo di fronte a una cesura radicale, epocale (La sesta estinzione e il prossimo balzo evolutivo della civiltà umana, FuturAbles, 15 agosto 2015).

La separazione è già un dato di fatto. Quante persone avete perso di vista che una volta frequentavate assiduamente e ora se le incontrate non sapete che dire e non vedete l’ora di salutarvi?
Con quante persone preferite non avere più contatti perché pensano cose che per voi non stanno né in cielo né in terra (“ma una volta non erano così”)?
L’umanità si sta dividendo tra quelli che mettono in discussione la realtà, ad ogni livello, e quelli che sostanzialmente o entusiasticamente la accettano.
Nulla del genere e non su questa scala, era mai successo in passato, fin dai tempi della comparsa di Cro-Magnon.

Non sto parlando di separazione fisica/geografica, ma psichica/spirituale.
Grazie a internet il vostro migliore amico/mentore/partner può abitare dall’altra parte del mondo ed essere cresciuto in una cultura totalmente altra, mentre invece i vicini coi quali non avete nulla in comune li potete ignorare tranquillamente.

Mentre sono convinto che, per quanto è possibile, sia utile e giusto unire l’umanità, una sua parte (nazista, ebrea, extracomunitaria, leghista, femminile, maschile, islamica, atea, gay, etero, ecc. non importa) resterà refrattaria e quella parte lì – e in special modo la mentalità che diffonde e che vuole imporre a tutti gli altri – è quella che rischia di portarci alla catastrofe.

Le anime belle della sinistra devono affrontare la realtà.

STO_timeline_diagramB-TimelineDay1
Tomorrowland – The future of the future is ours to create

I profughi marchiati dalla polizia ceca con un numero di registrazione sull’avambraccio, il filo spinato ungherese e la richiesta di un leader nazionalista ceco di internare i rifugiati a Terezin (Theresienstadt), un ex campo di concentramento nazista, ci scuotono la coscienza.

Questa è la seconda chance per l’Europa e l’Occidente, dopo il test fallito con gli ebrei nel secolo scorso.

Non siamo partiti bene (Keep them out, lock them up, bomb them all, or…, 15 September 2015).

Wesley Clark, generale americano in pensione, già comandante supremo della forze NATO in Europa tra il 1997 e il 2000, propone di rinchiudere in campi di internamento i cittadini americani “a rischio di radicalizzazione” e raccomanda a Gran Bretagna, Germania e Francia di metter mano alle rispettive costituzioni per fare lo stesso (Wesley Clark: “Disloyal Americans” should be tossed in internment camps for the “duration” of the war on terror, Salon, 20 July 2015).

L’intellettuale di riferimento di Marine Le Pen (Marine Le Pen verrait bien Eric Zemmour comme son ministre de la Culture, BFMTV, 14 settembre 2015), Éric Zemmour, non esclude la prospettiva di deportare 5 milioni di musulmani francesi perché incompatibili con una non ben definita “francesità” (Il successo di Zemmour, l’arrabbiato anti-élite «La Francia si è suicidata», Corriere della Sera, 30 ottobre 2014).

L’ancor più influente Bernard-Henri Lévy, annunciando la morte imminente dell’Europa, dichiara che se la Siria fosse stata sufficientemente bombardata la crisi dei rifugiati siriani non avrebbe mai avuto luogo (Migrants: pour qui sonne le glas? Project Syndicate, 31 agosto 2015).

Il folgorante motivo del suicidio collettivo di una civiltà nazionale (Francia) e transnazionale (Europa) trova il suo portavoce tedesco nell’economista e controverso commentatore socio-politico Thilo Sarrazin, autore diDeutschland schafft sich ab” (“La Germania si auto-abolisce”). Questi invita l’opinione pubblica tedesca a considerare la possibilità di erigere grandi opere difensive come la Grande Muraglia cinese o il Limes romano (“Sie können mich ja gern fragen, was ich täte, wenn ich Chef von Frontex wäre”, Die Zeit, 13 settembre 2015).

Piero Ostellino, più modestamente, vede negli immigrati e rifugiati un cavallo di Troia che ci snazionalizzerà e pretende che abbandonino la loro inconciliabile cultura pacificamente (Piero Ostellino, Il buonismo che ci acceca, Corriere della Sera, 10 gennaio 2015).

12019977_10207625257258833_3482184668361962334_n

Questa civiltà occidentale non è la mia e non so cosa farmene. Per come la vedo io, non ha alcun diritto di esistere e chi scrive non sente alcun dovere di rispettarla e tutelarla.

Prima si estinguerà, meglio sarà per il genere umano (Scontro di inciviltà o incontro di civiltà? Armageddon o Pace? WazArs, 13 gennaio 2015).

Che fine farebbe la Grecia se il resto d’Europa ascoltasse queste sirene e seguisse l’esempio magiaro, saudita e israeliano, erigendo muri e accusando i critici di altruismo patologico?

Sommersa dagli “indesiderati” (cf. Arendt), con un governo debole, neonazisti scatenati, una popolazione impoverita…imploderebbe.

Come detto, l’Europa si gioca tutto.

Oleh Tyahnybok, leader della destra ucraina

Oleh Tyahnybok, leader della destra ucraina (Ukraine underplays role of far right in conflict, BBC, 13 December 2014)

“Avremo bisogno di campi di internamento negli USA e in Europa”, ex generale ed ex candidato alle presidenziali Wesley Clark

Dobbiamo trovare il modo di identificare le persone che hanno più probabilità di subire una radicalizzazione. Dobbiamo interrompere questa dinamica sul nascere. Ci sarà sempre un certo numero di giovani alienati. Non ottengono un posto di lavoro, hanno perso una ragazza, la loro famiglia non si sente bene qui da noi e possiamo cercare questo tipo di sintomi. E ci sono i membri della comunità che possano entrare in contatto con queste persone e farle ragionare e incoraggiarle a vedere quel che di buono hanno a disposizione qui.

Ma io credo che a livello di politica nazionale abbiamo bisogno di guardare al significato di questa auto-radicalizzazione, perché siamo in guerra con questo gruppo di terroristi. Hanno una ideologia. Nella seconda guerra mondiale se qualcuno sosteneva la Germania nazista a spese degli Stati Uniti non ci stava bene perché esercitavano un loro diritto alla libera espressione delle proprie idee: le abbiamo internate come prigionieri di guerra.

Quindi, se queste persone sono radicalizzate e non sostengono gli Stati Uniti e sono sleali verso gli Stati Uniti, per una questione di principio, va bene. È un loro diritto, come è un nostro diritto e obbligo segregarle dalla comunità ordinaria per tutta la durata del conflitto [la cosiddetta “guerra al terrore” è considerata permanente. Nella migliore delle ipotesi si parla di “generazioni” per indicare la presunta durata del conflitto, NdT]. E penso che dovremo usare sempre più le maniere forti su questo fronte, non solo negli Stati Uniti, ma anche nelle nostre nazioni alleate come la Gran Bretagna, la Germania e la Francia, che dovranno metter mano alle proprie costituzioni.

Wesley Clark, generale americano in pensione, già comandante supremo della forze NATO in Europa tra il 1997 e il 2000

http://www.salon.com/2015/07/20/wesley_clark_disloyal_americans_should_be_tossed_in_internment_camps_for_the_duration_of_the_war_on_terror/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/01/sei-un-terrorista-si-tu/

SVEGLIA GENTE, STIAMO PER FARE LA FINE DI ANAKIN SKYWALKER!

Il nostro futuro dipende anche dalla forza della visione del mondo attuale che alimenta i progetti dei neoconservatori di sinistra (George Soros, George Friedman, Susan Rice (gabinetto Obama), Samantha Power (gabinetto Obama), Zbigniew Brzezinski, ecc.) e di destra (Victoria Nuland (gabinetto Obama), Robert Kagan, Ashton Carter (gabinetto Obama), Richard Perle, Daniel Pipes, Michael Ledeen, Henry Kissinger, David Cameron, Wolfgang Schäuble, ecc.) e che viene codificata in linee guida, direttive, raccomandazioni, report da fondazioni (Hoover Institution, Heritage Foundation, American Enterprise Institute) e think tank (Atlantic Council, Council on Foreign Relations, Freedom House, Strategic Forecasting, ecc.). Una rassegna dei capisaldi del pensiero neoconservatore e dell’imperialismo statunitense.

http://www.lulu.com/shop/stefano-fait/il-futuro-degli-stati-uniti-dalla-repubblica-allimpero-2001-2020/ebook/product-22278981.html

Libia: missione compiuta. Sotto a chi tocca! (Pachistan, Siria)

a cura di Stefano Fait

L’ulteriore impegno dell’Italia in Libia è uno sviluppo naturale.

Giorgio Napolitano

Bombardare una nazione non è uno sviluppo naturale.

Antonio Di Pietro

Si tratta di una questione seria e delicata, che riguarda tra l’altro milioni di persone che si sono ribellate a un regime dittatoriale e che per questo stanno subendo azioni di guerra e rischi per la loro stessa incolumità fisica, civili innocenti abbandonati alla furia oppressiva.

Anna Finocchiaro

Chi scende in piazza contro la missione internazionale di fatto non è neutrale, bensì con Gheddafi. Perché niente cortei quando Gheddafi massacrava il suo popolo? […] In Italia vedo appelli a protestare mossi dall’ossessione assoluta e accecante della mitica lotta contro l’imperialismo americano. Come fa Vendola a dire né con Gheddafi né con le bombe?

Daniel Cohn-Bendit, presidente dei Verdi al Parlamento europeo.

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/perche-questuomo-e-il-leader-dei-verdi.html

Circa 10 giorni dopo l’11 settembre 2001 mi sono recato al Pentagono, ho visto il segretario alla difesa Rumsfield e il vice segretario Wolfowitz, sono sceso per salutare alcune persone dello Stato Maggiore che lavoravano per me e uno dei miei generali mi chiamò dicendomi: «Venga, Le devo parlare un momento», io gli dissi «ma lei avrà da fare…» e lui disse «no, no, abbiamo preso una decisione, attaccheremo l’Iraq» . Tutto questo accadeva attorno al 20 di settembre. E io gli chiesi: «ma perché?» e lui: «non lo so», e aggiunse «penso che non sappiano cos’altro fare». Io gli chiesi «hanno trovato informazioni che collegano Saddam Hussein con Al Quaeda?», disse «No, non c’è niente di nuovo. Hanno soltanto deciso di fare la guerra all’Iraq!», e disse «non so la ragione è che non si sa cosa fare riguardo al terrorismo, però abbiamo un buon esercito e possiamo rovesciare qualsiasi governo». Sono tornato a trovarlo alcune settimane più tardi e all’epoca stavamo bombardando l’Afghanistan. Gli chiesi: «bombarderemo sempre l’Iraq?», lui mi rispose «molto peggio!». Prese un foglio di carta e disse «ho appena ricevuto questo dall’alto», sarebbe a dire dall’ufficio del segretario alla difesa. «Questo è un memo che descrive in che modo prenderemo 7 paesi in 5 anni, cominciando dall’IRAQ, poi la SIRIA, il LIBANO, la LIBIA, la SOMALIA, il SUDAN e per finire l’IRAN». Gli chiesi: «è confidenziale?» e lui «si, signore».

Generale Wesley Clark, ex comandante generale dell’US European Command.

http://www.youtube.com/watch?v=fW8mLDtq9Ls&feature=player_embedded

Al Pentagono, nel novembre del 2001, feci una chiacchierata con uno degli ufficiali superiori. Sì, stavamo ancora progettando la guerra contro l’Iraq, ma c’era anche altro. Quel progetto faceva parte di un piano quinquennale di campagne militari che comprendeva sette nazioni: a partire dall’Iraq, per continuare con la Siria, il Libano, la Libia, l’Iran, la Somalia e il Sudan. Il tono era indignato e quasi incredulo […] Cambiai discorso, non erano cose che volevo sentire.

Wesley K. Clark, Winning Modern Wars, p. 130

http://www.amazon.com/Winning-Modern-Wars-Terrorism-American/dp/1586482181

Sono un autonomista, non un separatista, o comunque non separatista ad ogni costo.

Razzismi e nazionalismi e la violenza irrazionale che li accompagna si estinguono quando c’è prosperità e non c’è disoccupazione, ossia quando i deboli non sono costretti a combattersi l’un l’altro, quando nessuno si permette di stabilire che il proprio dio è superiore a quello degli altri, nessuno ha bisogno di idoli da venerare e tribù a cui giurare eterna fedeltà e per cui immolarsi. Quando invece c’è crisi gli intelletti si ottenebrano, le passioni si accendono, le idee si deformano, il buon senso ne esce mutilato. A quel punto o le comunità sono governate da persone di buona volontà, disposte a servire i cittadini, la verità e la giustizia, oppure razzisti, oscurantisti, populisti, guerrafondai, fanatici, mitomani, psicopatici assumeranno il controllo della società e la spingeranno verso l’abisso.

La dignità dei popoli non va confusa con il narcisismo particolarista di chi è più interessato a tutelare le proprie rendite e che, per ciò stesso, è facilmente manovrabile, diventa una pedina impiegata per frammentare entità nazionali, balcanizzandole, contrapponendo cinicamente un gruppo all’altro (divide et impera), trasformandole in golosi bocconi per la potenza di turno e neutralizzando così preventivamente ogni possibilità che le masse si uniscano contro le élite e le loro politiche egemoniche ed anti-democratiche.

Il separatismo è il gioco preferito da chi aderisce alle strategie di Zbigniew Brzezinski, grande vecchio della politica estera statunitense, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale (ne fu il direttore tra il 1973 ed il 1976) che, alla fine degli anni Novanta, spiegava che le guerre americane non servono a sanare l’economia americana ma esclusivamente a riaffermare l’egemonia statunitense mondiale e che solo un qualche tipo di Pearl Harbor consentirebbe di occupare militarmente l’Asia Centrale, il centro geostrategico del globo (l’11 settembre è arrivato circa 4 anni dopo la pubblicazione del libro):

http://www.amazon.com/Grand-Chessboard-American-Geostrategic-Imperatives/product-reviews/0465027261/ref=dp_top_cm_cr_acr_txt?ie=UTF8&showViewpoints=1

Riferendosi alle nazioni centrasiatiche, Brzezinski usava volutamente termini come: “vassalli”, “tributari” e “barbari”.

Essendo contrario alle guerre, che considerava e considera troppo dispendiose rispetto ai benefici che possono apportare, suggerisce di optare per la soluzione dell’insorgenza anti-governativa, ossia cambi di regime per mezzo di insurrezioni popolari programmate, le ben note rivoluzioni colorate.

Le rivoluzioni colorate sono dei movimenti di protesta non-violenti e non-spontanei esplosi in varie regioni dell’ex Unione Sovietica e del Medio Oriente, tra le quali la Serbia (2000), la Georgia (2003), l’Ucraina (2004), il Libano e il Kyrgyzstan (2005), l’Iran (fallita, nel 2009-2010), in seguito ad un’elezione  dall’esito contestato o sull’onda della richiesta di un voto legittimo. Sono non-spontanee in quanto strumenti di politica estera, come il terrorismo.

Questi non sono complottismi, sono fatti documentati dai migliori corrispondenti internazionali, incluso il premio Pulitzer Seymour Hersh (quello di My Lai e di Abu Ghraib) e confermati da Kissinger e, appunto, dallo stesso Brzezinski.

Se così tanta gente non l’ha ancora capito è per pigrizia intellettuale ed inerzia morale.

L’Occidente (o altre potenze regionali e globali) organizza e finanzia le rivolte, direttamente o attraverso le ONG, per ottenere dei cambi di regime senza incorrere negli ingentissimi costi di una guerra (Iraq, Afghanistan, Libia) o nelle spiacevoli ricadute d’immagine di un golpe (es. Pinochet, Gbagbo), sfruttando le vulnerabilità dell’emotività umana (paura, desiderio, pigrizia) e la credulità dell’opinione pubblica internazionale pronta ad avallare qualunque moto nominalmente democratico. I fomentatori sono degli specialisti, persone altamente competenti che devono manovrare i moti popolari in modo tale da non far trapelare le reali motivazioni dei poteri forti che li sostengono. La stragran parte dei manifestanti dev’essere in buona fede, altrimenti il fallimento è assicurato.

Se i governi (“regimi”) esistenti sono troppo robusti (es. Libia, Pachistan), si ricorre all’indipendentismo ed alla guerra civile.

Praticamente tutti i critici dell’intervento in Libia avevano previsto che quel paese sarebbe stato separato in due tronconi e quello orientale, più ricco di petrolio e gas naturale, sarebbe diventato una colonia euro-americana. Ora sappiamo che avevamo visto giusto.

“La Cirenaica si proclama “autonoma”. Alla Tripolitania, la mossa non è piaciuta. Il Cnt parla di «un appello alla fragmentazione». Il leader Mustafa Abdul Jalil minaccia uso forza. Il dopo-Gheddafi mostra le ambiguità di una ribellione che non è stata una rivoluzione per la democrazia.

La nuova Libia ogni giorno ha la sua pena. Si può anche capire, visto che i 42 anni di Gheddafi si sono lasciati dietro un vuoto istituzionale che la (ex) Jamahiriya (lo Stato delle masse) non è certo servita a coprire.

Però questo non rende la pena quotidiana meno acuta. Quella di ieri è la proclamazione, unilaterale, di una regione (o peggio, di «uno Stato») semi-autonomo. È la regione (o lo Stato) di Barqa, nome arabo della Cirenaica, l’est del paese, quella più grande – la metà dell’attuale territorio libico: va da Sirte fino al confine con l’Egitto a est, fino al Ciad e al Sudan a sud – e, guarda un po’, quella che racchiude i due terzi delle colossali risorse petrolifere.
La proclamazione è avvenuta nel corso del «Congresso del popolo della Cirenaica», svoltosi in un hangar fuori Bengasi, con duemila delegati in festa. Fra loro rappresentanti delle principali tribù dell’est – Ubaidat, Mughariba, Awajeer -, comandanti delle milizie che hanno combattuto contro Gheddafi – l’«Esercito di Barqa» che raggruppa 61 «milizie rivoluzionarie» dell’est – e uomini politici della regione – alcuni dei quali membri dello stesso Cnt, il Consiglio nazionale transitorio: come lo stesso Ahmed al Zubair al Senussi, nominato capo del Consiglio di governo provvisorio di Barqa.
Ahmed al Zuabair, quasi ottantenne, è il pronipote dell’ultimo re libico, re Idriss (pupazzo nelle mani degli inglesi rovesciato dal giovane colonnello Gheddafi il primo settembre 1969), ha passato nelle galere gheddafiane 31 anni e nel 2011 ha vinto il premio Sakharov per «aver combattuto per la libertà della Libia». La nuova Libia ha recuperati la vecchia bandiera di re Idriss e ora anche il pronipote.

Al Cnt e all’occidente libico, la Tripolitania, la mossa dei cirenaici non è piaciuta per nulla. Hanno un bel dire che si è trattato solo di una dichiarazione di intenti, che autonomia non vuol dire secessione, che federalismo «non significa divisione ma unità», che le risorse petrolifere, la politica estera e l’esercito nazionale resteranno nelle mani del governo centrale e «federale» di Tripoli. Il Cnt ha parlato di un passo «pericoloso» e di «un evidente appello alla fragmentazione».
Anche perché l’«autonomia» pretesa dalla Cirenaica è molto larga: un proprio parlamento, una propria polizia, delle proprie corti di giustizia, una capitale – Bengasi, la seconda città del paese -, un proprio governo. Anche le elezioni, indette «entro due settimane» per eleggere il proprio esecutivo, suonano come una sfida a quelle che il Cnt ha fissato per giugno, che dovranno eleggere una assemblea nazionale di 200 membri per nominare un nuovo capo di governo e scrivere una nuova costituzione. Sulla base della legge emanata dal Cnt, di quei 200 deputati, la Cirenaica dovrebbe averne 60, contro i 100 della Tripolitania (più popolosa). Troppo pochi dicono a Bengasi, accusando le autorità della «nuova Libia» di proseguire la politica di emarginazione-discriminazione che fu di Gheddafi verso l’est, accusato di essere culla dell’islamismo e dell’opposizione.

Alla «autonomia» e al «federalismo», il Cnt di Mustafa Abdel Jalil e il governo provvisorio del premier Abdel Rahim al-Keib contrappongono una «decentralizzazione» che darebbe ampi poteri ai governi muncipali e locali ma che non prevede l’esistenza di «Stati» così ingombranti. La mossa ieri a Bengasi riporta agli anni fra il 1951 (quando gli inglesi diedero «l’indipendenza») e il ‘63 in cui re Idriss (in realtà il Foreign Office di Londra) divise la Libia in tre Stati: la Tripolitania a ovest, la Cirenaica a est e il Fezzan nel sud-ovest.

La «nuova Libia» ha qualche problema”.

Maurizio Matteuzzi [Il Manifesto]

Roma, 07 marzo 2012, Nena News

http://nena-news.globalist.it/?p=17584

“Libia, Amnesty International denuncia “Torture e abusi da milizie fuori controllo”. L’organizzazione umanitaria sottolinea che “le azioni e il rifiuto di deporre le armi o unirsi ai ranghi dell’esercito regolare minacciano di destabilizzare il Paese e deludere le speranze di milioni di persone che sono scese in piazza per chiedere libertà, giustizia, rispetto per i diritti umani e dignità”.

Il loro disarmo era uno degli impegni prioritari del nuovo governo libico che deve traghettare il paese nel dopo-Gheddafi. Invece, a un anno dall’inizio della guerra civile che ha poi portato all’intervento della Nato e alla cacciata del dittatore, le milizie sono la principale minaccia alla stabilità della nuova Libia. Lo documenta un rapporto reso pubblico oggi da Amnesty International, che si apre, con una frase di Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani: “La mancanza di controllo da parte del governo centrale produce un ambiente favorevole alle torture e agli abusi”.

[…].

“I miliziani hanno preso prigionieri centinaia di lealisti di Gheddafi e di presunti mercenari stranieri, molti dei quali sono stati maltrattati e torturati, a volte fino alla morte”. Decine di migliaia di persone, secondo Amnesty, sono state costrette a lasciare le proprie case dalle milizie lanciate in saccheggi e devastazioni contro presunti fedeli del dittatore. La pratica degli arresti arbitrari, al di fuori di qualsiasi controllo da parte delle autorità statali, continua ancora con “migliaia di detenuti arrestati senza alcun processo e senza la possibilità di contestare la legalità del loro fermo”.

Il rapporto è basato sulle ricerche sul campo condotte dal personale di Amnesty che ha intervistato centinaia di persone che sono state detenute a Sirte, Misurata, Tripoli, al-Zawyah e Gharian.

[…].

Medici, personale internazionale, attivisti per i diritti umani erano troppo spaventati per denunciare le violenze di cui avevano avuto notizia o che avevano potuto verificare di persona. “Le loro paure erano fondate – aggiunge AI – Persone che hanno presentato denunce sono state minacciate o attaccate dalle milizie”.

[…].

Le autorità non hanno voluto riconoscere la scala degli abusi, limitandosi al massimo ad ammettere casi individuali, nonostante l’evidenza di abusi diffusi e sistematici in molte parti del Paese”.

Difficilmente la nuova Libia poteva partire peggio di così”.

di Joseph Zarlingo

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/02/16/libia-amnesty-international-denuncia-torture-abusi-milizie-fuori-controllo/191706/

PACHISTAN

L’8 febbraio 2012 si è tenuta un’Audizione del Congresso americano, convocata dalla Commissione per gli Affari Esteri della Camera statunitense dei Rappresentanti e presieduta da Dana Rohrabacher, membro repubblicano del Congresso e co-autore di un articolo che esprime sostegno per un Belucistan indipendente:

http://gilguysparks.wordpress.com/2012/02/19/ingerenza-straniera-negli-affari-del-balucistan/

Ciò corrobora l’analisi di Webster G. Tarpley sui piani statunitensi per il Pachistan:

http://tarpley.net/2011/05/27/gli-stati-uniti-e-il-pakistan-vicini-a-una-guerra-aperta/

A questa potenza nucleare, caduta in disgrazia presso la Casa Bianca e il Pentagono, potrebbe essere strappato il Belucistan, che diventerà uno stato indipendente molto ricco di risorse minerarie:

http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/12_febbraio_21/miniera-oro-paksitan-virtuani_a952b4a4-5bda-11e1-9554-12046180c4ab.shtml

L’argomentazione impiegata è trita e ritrita. La maggioranza oppressiva dev’essere fermata, la minoranza può tutelarsi solo costituendo uno stato indipendente, alleato di ferro della NATO. [Chissà cosa succederebbe se fossero il Texas, il Nuovo Messico o il Vermont a volersene andare].

Nel caso pachistano, dopo la rimozione dal potere di Musharraf, burattino dell’Occidente, gli oppressori sarebbero gli indomiti Pashtun, che hanno resistito per secoli ad ogni occupante straniero. Oppressiva è la millenaria cultura del Punjab.

Il Belucistan ha anche il vantaggio di sconfinare nell’Iran e nell’Afghanistan, il che non guasta ai fini della destabilizzazione di governi ostili.

Questo piano ha però alcune controindicazioni di non poco conto: Pachistan ed Iran combatteranno fino all’ultimo per difendere la loro integrità territoriale e la Turchia non sarà disposta ad avallare una strategia che favorirebbe il separatismo kurdo. Gli Americani si troverebbero isolati nell’Asia Centrale e spazzati via, anche in virtù del probabile intervento cinese e russo, due potenze che si sono fatte garanti dell’unità pachistana e del diritto iraniano di proseguire il loro programma atomico:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/terza-guerra-mondiale-scacchiera-pezzi.html

SIRIA

Le milizie ribelli non sono diverse da quelle che hanno imperversato in Libia:

http://www.silviacattori.net/article2864.html

Forse sono addirittura le stesse persone:

http://gilguysparks.wordpress.com/2012/03/08/la-russia-critica-aspramente-la-nato-sulla-libia-e-la-libia-sulla-siria/

Il responsabile di Al-Jazeera per la Siria è il fratello di uno dei capi dell’insurrezione siriana. I giornalisti di Al-Jazeera si dicono sempre più indignati per la distorsione della realtà prodotta dal loro canale di informazione:

http://english.al-akhbar.com/content/syria%E2%80%99s-electronic-warriors-hit-al-jazeera

I ribelli ammettono di ricevere già da tempo armi dall’Occidente:

http://www.presstv.ir/detail/228428.html

La prima figura istituzionale ad abbandonare Assad e schierarsi coi ribelli è, guarda caso, un viceministro del petrolio:

http://it.euronews.com/2012/03/08/siria-vice-ministro-del-petrolio-si-dimette/

Una parte importante dell’opposizione siriana contraria all’escalation militare si dissocia da chi vuole a tutti i costi un intervento bellico:

http://www.almanar.com.lb/english/adetails.php?eid=46639&cid=23&fromval=1&frid=23&seccatid=20&s1=1

“Perché il regime di Bashar al-Assad non è caduto? Perché la maggioranza della popolazione siriana ancora lo sostiene (il 55%, in base a un sondaggio che risale di metà dicembre finanziato dalla Qatar Foundation)”:

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=print&sid=9863

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: