L’uroboro del male, Treviso e l’evoluzione della specie

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Alessandro Robecchi c’insegna, con sapiente e dissacratoria mordacia, che si può uscire dal cerchio della violenza psicologica/psichica e fisica, il cerchio dell’egoismo. Se Treviso può cambiare, può cambiare anche il genere umano. C’è un futuro per la nostra civiltà.

Alessandro Robecchi, Micromega, 13 giugno 2013

Della sconfitta di Giancarlo Gentilini a Treviso si occupano inspiegabilmente i cronisti politici, mentre è chiaro a tutti che dovrebbero festeggiare gli antropologi. Come alla comparsa del primo pollice opponibile, o al cospetto della scoperta del fuoco, il salto in avanti della piccola e assai gradevole città di Treviso è incalcolabile. Ora, come dicono i leghisti nei bar della zona (cito testualmente dalle cronache), a Treviso si aspettano l’invasione di “Rom, clandestini, centri sociali comunisti e culattoni”, e quindi vedete, se lo dicono da soli: il panorama umano, rispetto a uno che teorizzava di sparare agli stranieri, migliorerà notevolmente. Ma lasciando i gentiliniani alle loro incombenze – comprare cani feroci, mettere sbarre alle finestre, organizzare le ronde per difendere il loro spritz dall’assalto delle popolazioni Sinti o dei culattoni anonimi – è la lenta e sublime estinzione della Lega che mette di buonumore.

Capitanata da un Bobo Maroni che parla esattamente come Crozza quando imita Bobo Maroni, la Lega continua fieramente a mantenere nel primo punto del suo statuto il suo obiettivo finale: “l’indipendenza” della Padania, e altre amenità del genere. E’ come se il Pd scrivesse nella sua carta d’intenti che vuole la dittatura del proletariato e il PdL che intende invadere la Polonia, obiettivi leggermente démodé. Per raggiungere quel sacro traguardo, le hanno provate tutte: la devoluzione (fallita), il federalismo (non pervenuto), il razzismo (facile), le ronde (peggio che andar di notte), il Dio Po (amen), fino ai manifesti in cui paragonavano i cittadini di Pinerolo o di Busto Arsizio ai pellerossa nelle riserve (un chiaro caso di acido sciolto negli acquedotti). Ecco. Ne avessero azzeccata una. Ma anche per sbaglio. Ma anche per culo. Invece niente. Zero. Ora il prode Maroni ci prova con la Macroregione: forse ci avevano pensato anche i dinosauri, e guarda com’è finita!

E’ sempre brutto vedere una forma di vita, un tempo florida e capace di esprimere ben tre ministri, sparire lentamente, ma credo che l’umanità se ne farà una ragione. Ancora più triste è vedere che, nel penoso esalare degli ultimi rantoli nessuna energia venga dedicata all’autocritica. Qualcosa tipo: “Cazzo, avevano ragione quelli di Cro-Magnon, dovevamo farci degli utensili di pietra!”. No, niente. La veglia funebre è invece vivacizzata dagli scontri interni, liti, insulti. I maroniani contro i bossiani, gli zaiani che cadono in disgrazia, i cotiani che non contano niente, i salviniani che tentano di salire sul carro del vincitore, senza pensare che quella arretrata civiltà un carro non lo sa costruire. Anche le lotte intestine fiaccano i popoli, come ci ricorda una battuta del grande Asterix: “I Goti che picchiamo i Goti, che goturia!”.

Non resta che aspettare. Non l’estinzione, che è praticamente cosa fatta, ma il giudizio degli archeologi che tra qualche centinaio d’anni cercheranno nelle terre padane qualche reperto della civiltà leghista. Non troveranno niente. Mestamente, dovranno dedurre che la civiltà leghista è arrivata, passata e sparita senza lasciare tracce. Anzi, sì: qualcosa rimane. E’ una legge, che si chiama Bossi-Fini, che non funziona, crea infelici e ingiustizia, affoga innocenti nel Mediterraneo e ci costa una fortuna. Bene. E’ il momento di cancellare anche quest’ultima vergognosa traccia di quell’antica (in)civiltà chiamata Lega. Coraggio. Al museo antropologico potremo sempre appendere in una bella teca qualche laurea albanese.
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/06/13/alessandro-robecchi-ha-perso-gentilini-a-treviso-e-arrivata-l%E2%80%99era-dei-cro-magnon/

L’egoista

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Si promuove il proprio io e sempre a spese degli altri…la vita vive sempre a spese di un’altra vita – chi non lo comprende, non ha ancora fatto il suo primo passo verso l’onestà.
Nietzsche, “Volontà di Potenza”, 369.

L’essenziale di una buona e sana aristocrazia è che essa…accolga con tranquilla coscienza il sacrificio di innumerevoli esseri umani che per amor suo devono essere spinti in basso e diminuiti fino a diventare uomini incompleti, schiavi, strumenti.
Nietzsche, “Al di là del bene e del male”, 176.

Gli Slavi devono lavorare per noi. Quelli che non ci servono possono pure morire…La fertilità degli Slavi è indesiderabile. Possono usare contraccettivi o praticare l’aborto, più lo faranno meglio sarà. L’educazione è pericolosa. È sufficiente che sappiano contare fino a cento…ogni persona educata è un futuro nemico.
Martin Bormann, Memorandum, 1942.

La forza e la volontà di infiggere grandi sofferenze. Essere capace di soffrire è l’ultima cosa: anche le donne deboli e gli schiavi possono raggiungere l’eccellenza in questo campo. Ma non morire per il disagio interiore e l’insicurezza quando si infligge una grande sofferenza e si ascoltano le grida di dolore – questo è grande, questa è la vera grandezza.
Nietzsche, “La Gaia Scienza”.

La maggior parte di voi sa cosa significa un mucchio di 100 cadaveri, di 500, di mille cadaveri. Aver sopportato tutto ciò e, eccezion fatta per umane debolezze, essere rimasti persone decenti, è ciò che ci ha reso duri. Questa è una pagina gloriosa della nostra società che non è mai stata scritta né mai lo sarà.
Heinrich Himmler, Poznan, 4 ottobre 1943.

In malora il Terzo Mondo: è solo una zavorra.

In malora i PIIGS: vivono al di sopra delle loro possibilità.

In malora i tedeschi dell’est: non possiamo essere noi bavaresi a mantenerli tutti.

In malora gli italiani: non possiamo essere noi lombardi a mantenerli tutti.

In malora i parassiti del welfare: senza di loro ci sarebbero più risorse.

In malora gli immigrati: senza di loro il welfare funzionerebbe.

In malora chi vive nei quartieri poveri: la città è più brutta ed insicura per colpa loro.

In malora mio figlio: è solo un costo.

In malora mia moglie: spende più di quello che guadagna.

In malora la mia mano sinistra: è decisamente meno efficiente della destra.

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Il simbolo dell’uroboro, del serpente che si morde la coda. Medusa è il suo volto mitico più minaccioso, il volto dell’alienazione psicotica. Medusa interrompe il flusso dell’energia vitale, pietrifica ed uccide la vita nel suo accumularla egoistico e disperato.

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Carlo Emilio Gadda (“L’egoista”, 1953) descrive l’egoista come un ego che si considera autarchicamente indipendente da tutto il resto, per nulla in “simbiosi con l’universo”, quando invece “ognuno di noi è il no di infiniti sì, è il sì di infiniti no” e “se una libellula vola a Tokio, innesca una catena di reazioni che raggiungono me”. L’egoismo tirannico spadroneggia ovunque ed estingue la coscienza morale e lo spirito civico, per poi estinguere gli egoisti più estremi: “autostritolatosi nella sua pressione centripeta, nella sua propria ipergravità. La sua disumana forza-centripeta, la disumana coesione del suo io inutilmente io, lo hanno polverizzato, annichilato”.
Per Gadda, c’è un nesso evidente tra egoismo e consumo del prossimo:

L’egoismo è riferibile a un prepotere dell’io fàgico; sì, fàgico, da faghèin che significa manducare, manicare, mangiare: sgranare, come dicono a Firenze. L’egoismo interessa la nostra peristalsi, il nostro io gastro-enterico: discende dalla smania priméva di appropriarci il vitto, la maggior quantità possibile di cibo. è un impulso istintivo, non riflesso: è la liberazione dalla paura atavica, primordiale, belluina, di rimanere senza cibo: è la reviviscente fame dei millenni, ove il trasporto e la distribuzione del grano e delle cibarie non si operava, indi si operava a fatica, e le lunghe notti invernali e il coltrone diacciato delle nevi bloccavano sentieri e tratturi, e cadeva, il mulo, sulla neve, sotto la sferza del vento rovaio. […]. L’egoismo di discendenza fàgica, il duro senso del possesso, lo spietato esercizio del proprio tornaconto, la liruccia disputata alla serva, la schioppettata nella gobba del prossimo per una falciata di fieno; o viceversa quell’amore dei propri comodacci di che l’egoista non si smuove d’un millimetro nemmeno a veder crepare la su’ nonna, è condizione morale, è stato biopsichico oggigiorno così consueto e diffuso, da neppure doverci spendere parola.

L’egoismo dell’istinto di autoconservazione, il desiderio di ego di perseverare nella sua esistenza fisica, di non essere un semplice epifenomeno, di affermare la propria pienezza e permanenza, è anche quello di possedere, controllare, sfruttare chi è più debole. Nella psicologica junghiana il supremo egoista è associato al simbolo dell’uroboro, del serpente che si morde la coda, un emblema dell’individualismo possessivo e parassitario: una forma di vita attaccata alla terra, di sangue freddo e spesso velenosa, imprigionata nel proprio ciclo di morte e rinascita. L’archetipo dell’uroboro è il cerchio dell’eterna immutabilità, simbolo della stagnazione, dell’assenza di crescita ed individuazione, della ricerca ossessiva della sicurezza e del controllo sul prossimo, il dominio sul proprio universo, non della maturazione.

Nella letteratura, un esempio particolarmente calzante è il personaggio del contadino Mazzarò nella novella di Giovanni Verga intitolata “La roba”. Nella filosofia, la più pura incarnazione è quella del superuomo nietzscheano, specchio del senso di inadeguatezza di Nietzsche, che lo cela dietro la sua autocelebrazione: “Perché sono una fatalità?”, “Perché sono tanto saggio”, “Perché sono tanto accorto”, “Perché scrivo così buoni libri”, “Io non sono un uomo, sono dinamite”, “Io sono per natura battagliero”. Nietzsche è “Dioniso”, è “l’Anticristo” è “il più grande filosofo della storia”, è una persona sofferente, sconfitta dalla vita che cerca un riscatto nelle sue fantasie e merita il nostro rispetto, perché è successo a molti di noi.

È questo il Male? Io credo di sì. Bene e Male sono concetti vaghi, largamente interpretabili. Egoismo ed altruismo sono concetti più facilmente circoscrivibili. Compie il male chi, da adulto, si comporta come un bimbo capriccioso, arrogante ed egoista. Chi, invece, ama se stesso attraverso l’amore per il prossimo, l’altruismo, la sollecitudine, la premura, la solidarietà, l’umiltà, l’accettazione della mutua interdipendenza, riconosce pari dignità all’altro, per quanto diverso. Per queste persone la coscienza è un’attività integrativa di interrelazione ed interdipendenza, perché nel prossimo si vede se stesso e proprio per questo lo si assiste, nel rispetto della sua diversità. Questa, a mio avviso, è la migliore approssimazione al Bene che sia concessa agli esseri umani ed è, non a caso, lo spirito della democrazia come è stata interpretata in Europa, in senso liberal-socialista, prima dell’idolatria dell’avidità neoliberista.

Credo che, in questo particolare momento della storia, segnato da un incrudelimento delle tendenze rapaci e cannibalistiche, particolarmente nelle persone più inclini a questo tipo di vulnerabilità, quello di cui le persone hanno bisogno più di ogni altra cosa è il riconoscimento dei loro meriti e della loro bontà, dello sforzo che fanno per restare umani in un mondo disumanizzante. Ci vuole incoraggiamento, non uno sterile imperversare di condanne misantropiche, di auspici che l’umanità si estingua e lasci in pace il pianeta, di cacce alle streghe di turno, di sacrifici al capro espiatorio di turno. Servono parole di incoraggiamento, di sostegno al valore ed alla dignità delle persone, espressioni concrete e quotidiane del rispetto che meritano, anche se pensiamo che c’è chi possa meritare più di altri. Diversamente, il futuro sarà fin troppo conforme al passato.

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