Se le grandi regioni italiane sono strumenti più rinomati/celebrati/amati, il Trentino Alto Adige è probabilmente un’ocarina. Eppure un’ocarina ben suonata può dare il suo contributo nell’unità di diversità che è l’orchestra d’Italia.
15 luglio 2014 a 12:29 (Antropologia, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: Alto Adige, Italia, ocarina, Trentino, unità nella diversità
Se le grandi regioni italiane sono strumenti più rinomati/celebrati/amati, il Trentino Alto Adige è probabilmente un’ocarina. Eppure un’ocarina ben suonata può dare il suo contributo nell’unità di diversità che è l’orchestra d’Italia.
1 novembre 2013 a 08:46 (Etnofederalismo/Etnopopulismo, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: balcanizzazione, campanilismo, chiusura, disgregazione, E.F. Schumacher, etnocentrismo, etnopopulismo, ex-Jugoslavia, gigantismo, globalizzazione, immigrazione, interazione, Jugoslavia, localismo, Magris, piccolo è bello, piccolo è brutto, razzismo, San Cristoforo, Schumacher, unità nella diversità, uniti nella diversità, universalismo, xenofobia
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Piccolo è bello e soprattutto è più facile prendere a calci chi sta sui cojones.
Anonimo
Si parla tanto di superare la prospettiva degli stati-nazione, ma la tendenza è diametralmente opposta. Invece di accorpare gli stati in organizzazioni transnazionali si stanno formando dei poli confederali circondati da una sovrabbondanza di micro e nano-stati, microscopiche entità amministrative con un Pil spesso inferiore al fatturato di una multinazionale o di una grande banca d’affari. C’erano circa una cinquantina di stati dopo la fine della seconda guerra mondiale. Oggi dopo la decolonizzazione, ma anche dopo la balcanizzazione del globo, sono quasi 200, senza contare certi distretti (es. City di Londra) o aree metropolitane (es. Chicago o New York) che si comportano come città-stato. Gli egoismi collettivi stanno spingendo verso la frammentazione, dividendo le aree più ricche da quelle meno privilegiate
Più frontiere ci sono, maggiori sono i rischi di frizione. Più piccoli sono gli stati, minori saranno le loro prospettiva economiche e militari (diventare un paradiso fiscale o un protettorato significa dipendere interamente dall’interesse altrui) e maggiori le probabilità che divengano delle pedine per i grandi giocatori dello scacchiere inglobale.
Quanto contano nel mondo Croazia, Slovenia, Macedonia, Serbia? Davvero poco. La Jugoslavia era il leader di un centinaio di paesi non-allineati.
Le nazioni più piccole e più deboli possono opporre ben poca resistenza agli oligopoli economico-finanziari e alle potenze egemoni. Così, per loro, la globalizzazione dei mercati si traduce in coercizione, intimidazione, sfruttamento, corruzione, autoritarismo: culture, valori, tradizioni, comunità locali contano davvero poco agli occhi dei grandi manovratori di ricchezze, che sono nella posizione di decidere che cosa e come debbano produrre le nazioni emergenti, quando e dove possano vendere la loro produzione, a che prezzo, quale debba essere il salario dei lavoratori, le condizioni di lavoro, le tutele, i sussidi, ecc. E, attraverso le istituzioni globali, possono anche decretare le politiche monetarie, fiscali, commerciali e bancarie di queste nazioni, punendo i riottosi. Gli abitanti del Terzo Mondo sanno molto bene che piccolo non è per niente bello in un mondo iniquo e prevaricatore.
Anche le piccole nazioni più ricche patiscono le conseguenze delle loro dimensioni ridotte. Le popolazioni di Belgio, Austria, Olanda, Svizzera, Danimarca sono in parte accomunate dalla paura di essere sommerse dagli immigrati, specialmente quelli musulmani, e di essere sminuzzate dal processo di integrazione europea e dalla globalizzazione. Molti cittadini di queste piccole patrie si sentono vittime di una manovra a tenaglia che li sta progressivamente snazionalizzando e votano in massa per dei partiti xenofobi e per dei quesiti referendari discriminatori. La paura è una cattiva consigliera e chi è piccolo tende ad essere più insicuro ed ad ingigantire i problemi.
Senza entità nazionali e federali chi amministrerebbe i parchi nazionali, la viabilità transcontinentale, i soccorsi ed aiuti di emergenza, la difesa, la lotta alla criminalità transnazionale? Chi tamponerebbe le conseguenze delle crisi cicliche della finanza? Chi si sforzerebbe di contrastare le disparità dovute alle rendite di posizione che nascono dalla concentrazione di ricchezze e di competenze in certi luoghi strategici? Migliaia di micro-comunità diventerebbero un gradito dono per quella porzione avida e priva di scrupoli delle élites, che prenderebbe il controllo di tutto le esistenti strutture di potere sfruttandole per i propri fini egoistici.
Il piccolo non è bello in quanto tale, come vuole un retorico slogan; lo è se rappresenta e fa sentire il grande, se è una finestra aperta sul mondo, un cortile di casa in cui i bambini giocando si aprono alla vita e all’avventura di tutti. L’identità autentica assomiglia alle Matrioske, ognuna delle quali contiene un’altra e s’inserisce a sua volta in un’altra più grande. Essere emiliani ha senso solo se implica essere e sentirsi italiani, il che vuol dire essere e sentirsi pure europei. La nostra identità è contemporaneamente regionale, nazionale — senza contare tutte le vitali mescolanze che sparigliano ogni rigido gioco — ed europea; del nostro Dna culturale fanno parte Manzoni come Cervantes, Shakespeare o Kafka o come Noventa, grande poeta classico che scrive in veneto. È una realtà europea, occidentale, che a sua volta si apre all’universale cultura umana, foglia o ramo di quel grande, unico e variegato albero che era per Herder l’umanità.
Claudio Magris
“Piccolo è bello” è un titolo che non è mai piaciuto a E.F. Schumacher, che lo considerava ingannevole, in quanto era convinto che l’obiettivo dovesse essere quello di realizzare il piccolo nel grande, non certo quello di ridimensionare tutte le attività umane. Fu scelto dall’editore perché “suonava bene”, ma l’economista restò convinto che offuscasse quello che era il messaggio del suo studio: non conta che un progetto sia piccolo o grande, conta che sia la scala appropriata e sostenibile, nel quadro di un consumo ottimale. Schumacher rigettava l’idea della decrescita, della miniaturizzazione dei cicli economici e delle società: “non è questione di scegliere tra crescita moderna e stagnazione tradizionale. Si tratta di trovare il giusto percorso di sviluppo, la Via di Mezzo tra materialismo dissennato e immobilismo tradizionalista”.
Ciò che importava, per lui, è che un’intrapresa non sia affetta da hybris (illusione di un potere illimitato) e avidità, che l’obiettivo non sia quello di dominare la natura, espandere illimitatamente i bisogni non spirituali (e quindi la dipendenza), addomesticare la natura umana meccanizzandola e focalizzando la sua attenzione su aspirazioni esclusivamente materiali e quantitative e monetizzare ogni valore non legato al profitto, bensì quello di garantire una prosperità universale che permetta di seguire un percorso di progresso qualitativo e morale.
Per farlo, Schumacher non raccomandava di tornare indietro: “L’uomo non può vivere senza la scienza e la tecnologia più di quanto egli possa vivere contrapposto alla natura”. Chiedeva una tecnologia dal volto umano, non in guerra con la natura, più originalità e creatività, più educazione e consapevolezza, più autodeterminazione a livello locale, più democrazia partecipata, meno gerarchie piramidali. Il che vuol dire anteporre le persone a tutto il resto: teorie, macchine, produzione, merci, profitto, ecc.
Dobbiamo uscire dalle logiche dicotomiche, dai dualismi che ci imprigionano: piccolo e grande possono e devono stare assieme (cf. Tao). Scegliere tra l’uno e l’altro è suicida.
30 ottobre 2013 a 08:12 (Antropologia, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: ambiente, animali, antropologia, antropologo, cambiamento, civilizzati, civilizzazione, civiltà umana, coesione, corredo genetica, creatori, cultura, cultura mondiale, determinismo, entropia, Eric R. Wolf, essere umano, etnocentrismo, geni, globalizzazione, identitarismo, interazione, matematica, maturazione, mors tua vita mea, musica, mutamento, natura, natura umana, omogeneità, pluralismo, primitivi, purezza etnica, sostenibiltà, sviluppo, trascendentalismo, trascendenza, umani, umanità, UNESCO, unità nella diversità, universali, Whitman, Wolf
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L’uomo è la sola creatura che si rifiuta di essere ciò che è
Albert Camus
La mia umanità è legata a quella di chiunque altro, perché noi possiamo essere umani solamente insieme
Desmond Tutu
In ogni persona ritrovo me stesso e il bene e il male che dico di me lo dico anche di loro
Walt Whitman
I bambini non hanno colore, basta guardarli quando sono tra di loro, non sanno cosa sia la differenza e allora vuol dire che la differenza non c’è. Per me i bambini non hanno nazionalità. La discriminante non può essere il colore dalla pelle o la forma degli occhi. Da bambino quando subisci una discriminazione non sai fartene una ragione, io lo so bene.
Gianangelo Bof, sindaco leghista di Tarzo (TV)
Gli organismi crescono e cambiano in ogni istante. Non sono fabbricati sulla base di una serie di istruzioni di montaggio, non ci sono capacità innate (abilità, disposizioni, motivazioni, sensibilità) pre-programmate uniformemente. Ciascun individuo si sviluppa in modo peculiare nel suo ambiente.
I geni o la cultura non interagiscono con l’ambiente naturale e tra di loro, è l’organismo a farlo e l’organismo è in costante mutamento, come lo è l’ambiente.
Perciò non c’è alcuna ragione di fissarsi sui geni o sugli elementi culturali. Non c’è alcuna ragione scientifica per descrivere gli esseri umani indipendentemente da un’immensa pluralità di circostanze storiche ed ambientali nelle quali crescono e vivono la loro vita.
Ogni persona è un’eccezione vivente (Fait/Fattor 2010).
Le persone non debbono essere incarcerate in celle identitarie che mettono a repentaglio l’integrazione e la coesione sociale, con conseguenze che possono essere sanguinose. Una comunità è coesa e robusta solo quando è anche sufficientemente flessibile da dare ai singoli la libertà di scegliere la propria vita. Una società rigida può spezzarsi molto più facilmente di una società flessibile, quando è sottoposta a forti pressioni.
È possibile fondare una società sostenibile solo sulla base del pluralismo, di alcuni valori fondamentali condivisi e di un minimo di solidarietà.
Omogeneità culturale e purezza etnica non solo non hanno nulla a che vedere con questo, ma ne sono l’antitesi, come l’entropia (l’antitesi dello sviluppo: è alta nei sistemi isolati) è la negazione della vita (che fiorisce nella diversità, non nell’omogeneità e nell’isolamento).
Non abbiamo altra scelta che convivere con la differenza, senza rinunciare in tal modo a dei valori fondamentali che non sono solo nostri, ma sono un bene comune del genere umano.
Questo è il significato di “fare comunità” nel terzo millennio.
Come il grande antropologo Eric R. Wolf, anch’io voglio ribadire che il compito dell’antropologia, in quanto scienza dell’uomo, sia quello di vedere l’unità della specie nella multiformità delle sue espressioni. Il punto di vista antropologico, come quello umano, dovrebbe essere quello di una cultura mondiale in fasce, che unisce invece di dividere, che affratella invece di contrapporre.
Il compito degli antropologi non dovrebbe essere quello di focalizzarsi unicamente sulle differenze, perché ciò significa perdere di vista una realtà fatta di unitarietà dell’esperienza umana, pur nella sua sensibile diversità. Questa constatazione ci spinge ad abbracciare una certa idea di civiltà ed evoluzione umana – in linea con i valori e finalità dell’UNESCO – che è anche l’unica che ci potrebbe consentire di maturare ed evitare un tragico tracollo.
Se questa idea di cultura fallirà, non avrà più alcun senso fare antropologia.
Ma questo significa anche capire che il mondo non starebbe meglio senza gli umani.
un mondo senza Mozart, Heisenberg, Aung San Suu Kyi, Michelangelo, i Beatles, Truffaut, Kandinsky, Dostoevskij, Omero, Calvino, Socrate, Gesù, il Buddha, Goethe, senza le danze, canti e musiche tradizionali, senza i piatti tradizionali, i giardini zen, gli orti, l’artigianato, le chiesette di montagna, i templi shintoisti e le cattedrali gotiche, senza la moda al suo meglio, senza la fede, senza l’altruismo disinteressato, senza la capacità di tradurre i sogni in realtà, ecc. sarebbe triste e povero in senso assoluto, non solo per gli umani.
Questo perché l’umano è nella natura ma contemporaneamente la trascende. E questo spiega perché Mozart sembra far bene ai criminali, alle mucche e alle piante e perché ci sembra perfettamente plausibile che la regola d’oro, che trova riscontri a qualunque latitudine, possa contenere un significato universale che va ben oltre i confini di questo pianeta. D’altra parte, quale animale potrebbe esperire e comunicare l’estasi poetica e spirituale di un Walt Whitman nell’entrare in contatto con la natura?
Tutti gli animali sono speciali, ma gli umani sono più speciali nella loro specialità. La differenza sta nel grado di profondità con cui si percepisce e si comprende la realtà: la consapevolezza di una formica è meno profonda di quella di un gatto. Un gatto ha una comprensione di universali come la matematica e la musica più estesa e complessa di quella di una formica.
Gli esseri umani – se liberi dalle inclinazioni psico e sociopatiche che ci fanno vivere all’insegna del motto mors tua vita mea – sembrano essere l’unica forma di vita in grado di integrare la natura in modo qualitativamente radicale. Una volta maturati, una volta apprese certe lezioni, gli esseri umani possono accelerare l’evoluzione e possono stabilizzarla, responsabilmente. Si potrebbe perfino immaginare che la natura ci abbia creati perché potevamo tornarle utili, come tutto il resto.
Questa, dopo tutto, è sempre stata la prospettiva dei popoli “primitivi” che, anche se non sempre erano in perfetta armonia con la natura, avevano trovato nella figura e nelle mansioni dello sciamano un connubio degli archetipi del guerriero e del guaritore che, per lo più, assicurava l’equilibrio nel cambiamento e garantiva che la natura, in un certo senso, potesse dire la sua.
Per questo solo noi “civilizzati” siamo misantropici, cinici, nichilisti e psichicamente instabili a livello collettivo, pur possedendo tutte le risorse intellettuali e creative per riscoprire il nostro ruolo ed assolvere i nostri compiti in maniera mirabile, senza paralleli nella storia.
Superata questa fase adolescenziale, passato l’esame di maturità che stiamo affrontando in questi anni, potremo diventare quel che siamo destinati ad essere: creatori responsabili, non bulletti distruttori e sfruttatori.
5 agosto 2013 a 08:02 (Controrivoluzione e Complotti, Verità scomode)
Tags: amero, Attali, Bonino, Brzezinski, Canada, canadesi, Detroit, Elkann, Emma Bonino, euro, eurofobi, eurofobia, Europa, euroscettici, euroscetticismo, eurozona, FIAT, gaffe, governo mondiale, Homeland, imperialismo, impero, Jacques Attali, Jean-Claude Paye, libero scambio, Marchionne, mercato transatlantico, messicani, Messico, Nafta, Paye, Quebec, Senato americano, Serenissima, Singapore, Stati Uniti, Sud America, trattato di libero scambio, turbocapitalismo, unifocazione, unione, Unione Europea, Unione Nord-Americana, unità nella diversità, Vaticano
Per il Senato americano il Nord America è già HOMELAND – I canadesi non sembrano averla presa troppo bene
https://twitter.com/stefanofait
L’altra sera, al cinema, mi lagnavo del fatto che ultimamente ogni blockbuster (anche co-produzioni o produzioni messicane) ambientato in Messico ritrae solo i suoi problemi con la mala e il narcotraffico: un Messico violento, selvaggio, barbaro, da civilizzare.
Mi ero chiesto se non fosse pura propaganda: si massaggia l’opinione pubblica di entrambi i paesi per giustificare future misure d’emergenza, rese necessarie dallo scacco subito in Siria, da quello che si profila in Egitto, dalla sorprendente “resilienza” della Cina e dalla non entusiastica partecipazione di alcuni paesi europei alla zona di libero scambio transatlantico così fieramente promossa, tra gli altri, da Zbigniew Brzezinski (e da Emma Bonino, ça va sans dire)
http://gilguysparks.wordpress.com/2013/05/17/una-nato-economica-no-grazie/
Quel giorno stesso Jacques Attali, ex consigliere particolare di Mitterrand, scriveva questo testo sul suo blog, rispondendo involontariamente alle mie inquietudini:
“Un nuovo discorso ideologico e geopolitico sta per fare la sua comparsa nei circoli dirigenziali economici, politici e militari americani. Di fronte alla crescita del potere cinese, con la Cina che presto sarà, inevitabilmente, la più grande economia del mondo in termini di produzione, si comincia a sentire una nuova narrazione a Washington: la potenza leader del mondo per almeno i prossimi due decenni non sarà la Cina, ma l’unione formata da Stati Uniti, Canada e Messico.
http://www.cfr.org/content/publications/attachments/NorthAmerica_TF_final.pdf
Questo insieme, sostengono, deve essere considerato come un’unica nazione: l’integrazione economica, che ha avuto inizio con l’introduzione del NAFTA, è ormai a buon punto. I tre paesi hanno la stessa ideologia, lo stesso interesse per la difesa e una stretta collaborazione su tutti i fronti, economico, culturale e militare. Il Messico è diventata un paese moderno in cui è rispettato il principio di legalità, così come negli altri due paesi. Il Messico e il Canada si stanno americanizzando ad alta velocità e l’integrazione economica e culturale è notevole.
Questo scenario non è improbabile. Quest’unione è già ora la prima potenza al mondo e lo sarà a lungo: una popolazione totale di 470 milioni, che salirà a 540 milioni nel 2030. Un PIL totale di 19mila miliardi di euro, che saranno almeno 25mila entro il 2018. In entrambi i casi, molto superiore a quello della Cina.
Gli Stati Uniti, che si vedono naturalmente come leader della coalizione, potrebbero ritardare così, come l’impero romano, il momento del loro declino. L’intera strategia americana si concentrerà quindi sul successo di questa integrazione economica, completandola con quella politica, sfruttando all’uopo i mass media. E quest’integrazione può essere più facile da conseguire rispetto a quella europea: i nord-americani sono divisi in tre nazioni, con una potenza dominante che può provare a dettare il suo volere.
Ciò avrebbe delle importanti conseguenze geopolitiche. La dominazione del Nord America sul Sud America e sull’Europa, che non tiene conto, per esempio, delle conseguenze di una tale unione sui negoziati commerciali avviati con i soli Stati Uniti [il trattato transatlantico di libero scambio, appunto, NdT].
Tuttavia, molti ostacoli si frappongono. In primo luogo, perché le differenze di tenore di vita tra gli Stati Uniti e il Messico sono enormi: il PIL del Messico è più basso di quello del Canada, con una popolazione quattro volte superiore. Le dinamiche della popolazione sono anch’esse molto diverse: l’età mediana era di 38 anni negli Stati Uniti e in Canada e di 26 in Messico e, nel 2030, sarà di 40 anni negli Stati Uniti e 33 anni in Messico. Inoltre, gran parte dell’integrazione economica di questi paesi è criminale: due terzi della marijuana consumata negli Stati Uniti sono importati dal Messico. Il 95% della cocaina che entra nel territorio degli Stati Uniti proviene dal Messico. Nel complesso, si stima che la droga negli Stati Uniti generi 30 miliardi di dollari l’anno di profitti per i cartelli messicani, alimentando una vera e propria economia sommersa che rappresenta più del 3% del PIL del Messico. Con conseguenze mortali estreme: quasi 100.000 persone morte o disperse negli ultimi sei anni. Questo sarà senza dubbio il pretesto per mettere in comune considerevoli mezzi militari.
Inoltre, messicani e canadesi sono molto interessati a conservare la propria indipendenza, fin dalla nascita delle loro nazioni, e non hanno alcun motivo per rimetterla in discussione. Né francofoni né ispanici accetteranno il predominio della lingua inglese. E sono ben lungi dall’accettare la dollarizzazione delle loro economie.
A meno che, per una piroetta della storia, gli Stati Uniti non divengano messicani. Nel 2050, gli Stati Uniti dovrebbero essere il primo paese di lingua spagnola del mondo, con un 30% di popolazione ispanica (132 milioni di persone contro i 52 milioni (17% della popolazione) di oggi) e quindi rappresenterebbero i due terzi della popolazione del NAFTA. Questa alleanza potrebbe quindi essere in ultima analisi, per gli Stati Uniti di oggi, un affare sciagurato. Come è avvenuto per molti imperi prima di loro.
Noi abbiamo oggi una gara tra due alleanze che cercano di integrarsi politicamente. Tocca a noi farlo prima e non abbandonare le comunità francofone del Nordamerica, più importanti che mai”.
http://www.attali.com/actualite/blog/geopolitique/la-nouvelle-surpuissance-americaine
NOTA BENE: io sono molto favorevole all’unione federata/confederata dei popoli, perché voglio più collaborazione e meno conflitti, più concordia e meno violenza.
Un governo mondiale, però, non avrebbe alcuna chance di durare molto a lungo e avrebbe come unico risultato quello di frantumare gli stati e sostituirli con una congerie di signorie per nulla democratiche (es. Singapore, Serenissima, Vaticano, ecc.) e certamente turbo-capitaliste.
Meglio le Nazioni Unite.
W l’unità nella diversità.
Analisi di Jean-Claude Paye, sociologo e politologo belga (cf. articoli apparsi su Le Monde, Le Monde Diplomatique, Réseau Voltaire)
La “crisi dell’euro” non esiste. È una guerra economica degli Stati Uniti contro l’Unione Europea (non solo contro l’eurozona), con la complicità delle agenzie di rating, dei “mercati” (= banche d’affari rifornite di liquidità da usare per attacchi speculativi proprio dai quantitative easing della FED, ossia l’iniezione di nuova valuta nel mercato), del FMI, di Londra, di Berlino e della Bundesbank+BCE (Francoforte). L’obiettivo è duplice: riprendersi i capitali in fuga sottraendoli ai cittadini europei per salvare l’economia americana
far capire alla Cina che abbandonare il dollaro per l’euro non era una buona idea
e ottenere il controllo dell’economia europea in vista dell’accordo di libero scambio transatlantico, con tutte le sue immani conseguenze (ulteriori tagli salariali, tagli al welfare, privatizzazioni)
Questa strategia prevede lo smantellamento dell’Unione Europea e la sua sostituzione con un’Unione Atlantica costruita sull’accordo di libero scambio – gli euroscettici che si bevono tutte le cazzate del Telegraph, dell’Economist, del Financial Times, del Wall Street Journal, ecc. sono l’inconsapevole quinta colonna dell’imperialismo anglo-americano (e tedesco).
Dopo l’unificazione tedesca l’Unione Europea è stata modellata per venire incontro alle esigenze tedesche e favorirla puntando sulla sua competitività, senza che ci fosse un governo europeo che usasse dei trasferimenti importanti per controbilanciare questi oggettivi benefici. La “crisi dell’euro” l’ha ulteriormente avvantaggiata. L’intransigenza di Angela Merkel, accusata da più parti di mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’eurozona, si capisce solo nell’ottica di chi si appresta a cambiare cavallo (mercato transatlantico) e può sfiancare quello che sta cavalcando. Stesso discorso per Marchionne e per il suo trasferimento della FIAT negli Stati Uniti
Chi è contro l’euro (certamente non io) deve pertanto cominciare a passare dalle parole ai fatti, altrimenti il progettino di cui sopra potrebbe fallire
Mancano solo 9 mesi alle elezioni europee del 2014 e, nei vari sondaggi, inclusi quelli dei quotidiani euroscettici inglesi, gli eurofobi continuano a faticare a superare la soglia del 30% nei paesi PIIGS.
– movimenti/partiti anti-euro: un pregiudicato (Berlusconi), nostalgici di Vichy (Le Pen), La Destra, Forza Nuova, nostalgici della DDR (die Linke, che prende voti soprattutto nella Germania Orientale), ultrareazionari turbo-capitalisti (Alternativa per la Germania: “i lavoratori tedeschi hanno troppi diritti”, “il welfare è uno spreco”), Alba Dorata, UKIP (il partito dichiaratamente schierato a favore della finanza londinese), Veri Finlandesi, destra austriaca post-haideriana, Fidesz, Jobbik, Sinn Féin, Lega Ticinese, Vlaams Belang.
– chance che queste formazioni politiche mobilitino una maggioranza di elettori europei: zero
Gli indignati, che non avevano proposte concrete e universalmente condivise, non hanno combinato nulla, ma almeno si sono fatti vedere.
Voi, che avete un obiettivo preciso, nitido, attualissimo e godete del totale appoggio dei media anglosassoni e anche della stampa conservatrice tedesca, non siete andati al di là della tiepida proposta grillina di un referendum sull’euro, di cui non se ne è fatto nulla.
Allora? Quand’è che riuscite a mettere la questione al centro del dibattito pubblico?
18 giugno 2013 a 08:06 (Miti da sfatare, Sorprendimi!, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: Ahmadinejad, Ayatollah, Bahrein, Bergoglio, colonialismo, Concordia, condizione femminile, democrazia, dignità, discorso, egoismo, Erdogan, Francessco, Hezbollah, imperialismo, infrastrutture, Iran, Iraniani, Israele, materialismo, multiculturalismo, Nazioni Unite, nuovo ordine, nuovo ordine mondiale, Obama, ONU, pace, papa, pluralismo, pontefice, populismo, populista, Rohani, schiavismo, teocrazia, tolleranza, Turchia, unità nella diversità, welfare, Yemen
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Rohani è stato definito “moderato” e “ragionevole” dalla stampa italiana. Le sue prime dichiarazioni:
1. Sanzioni ingiuste e ingiustificate;
2. Iran non sospenderà l’arricchimento dell’uranio;
3. Negoziati con gli Usa a condizione che riconoscano i diritti legittimi dell’Iran;
4. Iran contrario a ingerenze straniere in Siria;
Non vedo, francamente – e me ne compiaccio -, alcuna differenza rispetto al “grande demone” Ahmadinejad: l’uomo che ha promosso la causa della sovranità e dignità palestinese, che ha difeso il welfare, che voleva sviluppare l’economia iraniana, modernizzare il paese, ottenere una condanna delle politiche di Israele da parte delle Nazioni Unite, promuovere le donne in politica ai più alti incarichi, riformare le Nazioni Unite, contenere i costi della politica, denunciare i complotti della NATO e di Israele in Medio Oriente:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/06/16/ex-ministro-degli-esteri-francese-uk-e-israele-non-usa-hanno-ordito-linsurrezione-siriana/
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/31/loccidente-e-la-destabilizzazione-della-siria-1957-2011-articolo-del-guardian/
…già, CHE SCHIFO!
Ahmadinejad è stato accusato di populismo. Negli ultimi 40 anni, chiunque desideri fare qualcosa per i cittadini (es. investire in infrastrutture e in programmi di welfare) e arginare il potere delle oligarchie è condannato come populista dalle “democrazie” occidentali e dai loro media. L’Occidente è diventato una parodia orwelliana: la guerra (umanitaria) è pace, la schiavitù (flessibilità/precariato) è libertà, l’ignoranza (propaganda dei media) è forza, la democrazia è populismo, l’oligarchismo è democrazia e va esportato con la forza.
Ahmadinejad non ha mai dichiarato che l’Iran avrebbe distrutto Israele: si è limitato ad osservare che, continuando così, il sionismo avrebbe causato la sua distruzione, il che dovrebbe essere evidente a tutti e sottoscritto da tutte le persone che non hanno perso la bussola morale [«… questo regime occupante Gerusalemme è destinato a scomparire dalla pagina del tempo… » – «…per quanto concerne le atrocità israeliane nei territori occupati, il regime criminale che sta sfruttando la ricchezza dell’oppressa nazione palestinese e sta uccidendo innocenti da 60 anni, ha raggiunto la sua fine e sparirà dalla scena politica…» – chi non è d’accordo è meglio che si domandi quale sia la misura del lavaggio del cervello che ha subito].
È un ingegnere forse di discendenza ebraica persiana che ha evitato di creare un culto della personalità intorno a lui (Obamamania), è stato sindaco di Tehran (Obama diviene presidente senza l’esperienza necessaria a guidare la superpotenza egemone), usa i proventi petroliferi per varare una serie di programmi per aiutare disoccupati e giovani coppie (Obama ha salvato le banche zombie). Ha condotto una vita sobria (ogni tour di Obama costa decine di milioni di dollari).
Il suo slogan elettorale è “è possibile e possiamo farlo” (yes we can), si è battuto per eliminare il potere di veto delle grandi potenze sulle decisioni che riguardano l’intera umanità, ha promosso il legittimo e legale programma atomico civile iraniano a dispetto di sanzioni internazionali (che erano e restano illegali e un giorno saranno considerate un crimine contro l’umanità, come l’infame embargo all’Iraq). Ha continuato a finanziare Hezbollah (ritenuto un’organizzazione terroristica da quelle nazioni che si rifiutano di condannare le azioni terroristiche di Israele). Ha cercato di indebolire il potere dei conservatori in Iran e, per questo, lui ed i suoi fedelissimi sono diventati il bersaglio di una campagna prima denigratoria e poi giudiziaria per stroncare ogni prospettiva che un “Ahmadinejadista” arrivi di nuovo al potere. Ha fatto eleggere ad alti incarichi il maggior numero di donne nella storia dell’Iran (o della storia italiana). Nei confronti delle proteste di piazza non si è comportato diversamente da Erdogan, che non pare aver perso il sostegno delle democrazia occidentali, e meglio del governo del Bahrein o dello Yemen, alleati di ferro dell’Occidente.
Per tutte queste ragioni, la demonizzazione di Ahmadinejad da parte di governi alleati delle teocrazie e monarchie assolutiste del Golfo Persico e di Israele è una delle grandi infamie del nostro tempo.
L’Occidente non ha voluto ascoltare questo discorso, rivolto da Ahmadinejad all’assemblea delle Nazioni Unite. Se omettessi di dire che sono le sue parole, qualcuno potrebbe credere che siano uscite dalla bocca di papa Francesco, o di un segretario generale dell’ONU più coraggioso ed indipendente degli altri.
Ora che la vendetta degli ayatollah si sta per abbattere su chi ha osato sfidarli
http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Iran-Ahmadinejad-a-novembre-in-tribunale-per-denuncia-presidente-parlamento_32305219693.html
mi pare il momento opportuno per riproporre questo splendido appello all’umanità, che rimane tale a prescindere da ciò che uno possa pensare dell’ex presidente iraniano (giudizi non certo immuni dalla pesante ed unilaterale cappa mediatica occidentale).
“Le culture originali e preziose che sono l’esito di secoli di sforzi e sono il punto d’incontro dell’amicizia degli uomini e dei popoli e sono motivo di varietà e di ricchezza culturale e sociale sono minacciate ed in via di estinzione.
Con l’umiliazione e la distruzione sistematica delle identità culturali si propina alla gente un tipo di vita senza identità personale e sociale.
Le masse popolari non hanno mai desiderato fare conquiste ed ottenere con la guerra ricchezze mitiche. I popoli non hanno divergenze, non hanno avuto nessuna colpa nei fatti amari della storia, sono stati solo ‘le vittime’.
Io non credo che le masse musulmane, cristiane, ebraiche, induiste, buddiste ed ecc… abbiano dei problemi fra di loro. Loro si amano facilmente, vivono in una atmosfera di amicizia, e vogliono tutti purezza giustizia ed affetto.
In generale le richieste dei popoli sono sempre state positive e l’aspetto comune tra di loro, è la loro propensione per istinto verso la bellezza e le virtù divine ed i valori umani.
È giusto dire quindi che la responsabilità dei fatti amari della storia e delle condizioni inconvenienti di oggi, è della gestione del mondo e dei potenti del mondo che hanno venduto l’anima a Satana.
L’ordine mondiale di oggi è un ordine che ha le sue radici nel pensiero anti-umano dello schiavismo, nel colonialismo vecchio e nuovo, ed è responsabile della povertà, della corruzione, dell’ignoranza, dell’ingiustizia e della discriminazione diffusa in tutte le parti del mondo.
La gestione attuale del mondo ha delle caratteristiche ed io ne voglio citare qualcuna.
Primo: è basata sul pensiero materiale e per questo non sente il dovere di rispettare i principi morali.
Secondo: è basato sull’egoismo, l’inganno e l’odio.
Terzo: effettua una classificazione degli uomini, umilia certi popoli, usurpa i diritti di altri ed è basata sul dominio.
Quarto: è alla ricerca della diffusione del dominio attraverso l’intensificazione delle divisioni e delle divergenze tra i popoli e le nazioni.
Quinto: cerca di concentrare nelle mani di pochi paesi il potere, la ricchezza, la scienza e la tecnologia umana.
Sesto: l’organizzazione politica dei centri principali del potere mondiale, è basata sul dominio e sulla forza che un paese ha e che è superiore a quella di altri paesi. Gli enti internazionali pertanto sono centri per acquisire potere, ma non per creare pace e servire tutti i popoli.
Settimo: il sistema che domina il mondo è discriminatorio e basato sull’ingiustizia.
Come deve essere il nuovo ordine mondiale?
Amici e colleghi cari!
Cosa bisogna fare? Qual’è la soluzione? Non c’è dubbio che il mondo ha bisogno di nuovo pensiero e nuovo ordine. Un ordine in cui:
1- L’uomo venga riconsiderato la più eccelsa creatura divina e ad esso venga riconosciuto il diritto di avere una vita caratterizzata da aspetti sia materiali che morali e venga riconosciuto il valore elevato della sua anima e venga riconosciuta legittima la sua propensione istintiva alla giustizia ed alla verità.
2- Invece dell’umiliazione e della classificazione degli uomini e delle nazioni, si pensi alla rinascita della dignità e del carattere sacro dell’uomo.
3- Si cerchi di creare, in tutto il mondo, pace, sicurezza stabile e benessere.
4- La nuova struttura venga costruita sulla base della fiducia e dell’amore tra gli uomini, si cerchi di avvicinare i cuori, le menti, le mani ed i governanti imparino ad amare la gente.
5- Venga applicato un unico standard nelle leggi e tutti i popoli vengano presi in considerazione alla pari.
6- Coloro che gestiscono il mondo si sentano al servizio della gente e non superiori alla gente.
7- La gestione venga considerato un incarico sacro affidato dalla gente alle persone e non una opportunità per arricchirsi.
Come si realizza il nuovo ordine?
Signor Segretario, Signore e Signori!
– Un ordine del genere può realizzarsi senza la cooperazione di tutti alla gestione del mondo?
– È chiaro che queste speranze avranno una probabilità per avverarsi solo quando tutte le nazioni inizieranno a pensare in dimensione internazionale e saranno seriamente decise a partecipare all’amministrazione del mondo.
– Con l’aumento del livello di consapevolezza, ci sarà sempre una maggiore richiesta per una nuova gestione del mondo.
– Questa è l’era dei popoli e la loro volontà sarà determinante per il domain del mondo.
Pertanto è degno un impegno collettivo in queste direzioni:
1) Fare affidamento al Signore ed opporsi con tutta la forza alle ambizioni ed a coloro che vogliono più di quanto spetta loro per isolarli ed indurli a rinunciare al vizio di voler decidere al posto dei popoli.
2) Credere nell’aiuto divino e cercare di compattare ed avvicinare le comunità umane. I popoli ed i governi eletti dai popoli devono credere fermamente nelle proprie capacità e devono avere la forza per lottare contro il sistema ingiusto vigente e difendere i diritti umani.
3) Insistere nell’applicazione della giustizia in tutte le relazioni e rafforzare l’unità e l’amicizia, ampliare le relazioni culturali, sociali, economiche e politiche nell’ambito delle ong e delle organizzazione specializzate, in modo da preparare il terreno fertile per l’amministrazione collettiva del mondo.
4) Riformare la struttura dell’Onu sulla base degli interessi di tutti ed il bene del mondo intero. Bisogna ricordare che l’Onu appartiene a tutti i popoli e per questo discriminare i membri è una grande offesa alle nazioni. L’esistenza di differenze, vantaggi, diritti e privilegi non può essere accettabile, in nessuna forma ed in nessuna misura.
5) Cercare di produrre leggi e strutture basate sempre più sulla letteratura dell’amore, della giustizia e della libertà. L’amministrazione collettiva del mondo è una garanzia per la pace stabile”.
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