Se i sindaci governassero il mondo – 15 obiezioni alla distopia globalista di Benjamin R. Barber

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Ciò che noi, educatori delle nuove leve del Führer, vogliamo, è una moderna statualità articolata secondo il modello delle città-stato elleniche. Bisogna pensare a queste democrazie strutturate aristocraticamente, con la loro larga base economica di iloti, come ai maggiori risultati culturali dell’antichità. Il cinque-dieci per cento della popolazione, i migliori accuratamente selezionati, devono comandare, il resto deve lavorare e obbedire. Soltanto così sarà possibile raggiungere quelle alte mete che proponiamo a noi stessi e al popolo tedesco (Kaminski, 1998, p. 138).

Lo storico tedesco Eugen Kogon, sopravvissuto ai campi di concentramento per diventare uno dei padri della Repubblica Federale Tedesca, riferisce di un colloquio che ebbe nel 1937 con un ufficiale delle SS, che gli descrisse il futuro che avevano in mente i nazisti.

Il futuro è per i più piccoli: la posizione geopolitica non avrà più un grande peso, proprio grazie alle nuove tecnologie di comunicazione. Del resto l’Italia è nota in tutto il mondo per aver avuto delle città molto “potenti” come Genova o Venezia. Credo che i “piccoli” potranno farsi avanti se avranno volontà di farlo, delle strategie adatte, un gruppo dirigente che sappia creare entusiasmo su degli obiettivi precisi

Jacques Attali, già consigliere di François Mitterrand e uno degli intellettuali europei più ascoltati e citati

http://www.ladige.it/articoli/2010/04/23/attali-mondo-vince-chi-sa-cambiare

Venezia era Venezia, Genova era Genova, Firenze era Firenze: le repubbliche marinare e i comuni avevano una loro personalità. Ogni parte dell’ Italia era unica. Con il risultato che le città-Stato erano in competizione tra loro e questo era il motore della crescita, dell’ innovazione, del potere… Uso l’esempio del Sud Tirolo (l’Alto Adige, ndr). Quando ogni regione si auto-organizza, le cose riprendono a funzionare, come lì. Quando si dà uno stop alle interferenze e alle imposizioni di Roma, intesa come centro dello Stato, l’innovazione e la crescita lievitano, scompare la paura dello Stato. E la competitività ne guadagna enormemente. Questo, credo, è quello che l’Italia dovrebbe imparare dalla sua storia… Il primo passo necessario, probabilmente, sarebbe la separazione tra il Nord e il Sud. Per togliere paura ad ambedue le entità. Poi si dovrebbe andare verso regioni autonome, che si governano da sole. Dopo un po’ si potrebbe introdurre qualcosa che dia un feeling simbolico di identità italiana, ma niente di più. Come in alcuni Paesi è la monarchia… Io penso che, come entità politica, l’Europa sia finita. Credo nell’Europa culturale, nel senso dei valori dell’Occidente. Ma per il resto penso si debbano avere indipendenza, specializzazione, capacità di affrontare i propri problemi. E ognuno con la propria moneta.

Marcia Christoff Kurapovna, teorica neoliberista, collaboratrice del Wall Street Journal

http://archiviostorico.corriere.it/2012/luglio/14/Ispiratevi_alle_citta_del_Rinascimento_co_8_120714018.shtml

L’esimio sociologo neocon Benjamin Barber immagina un mondo senza stati-nazione, sostituiti da città-stato che amministrano le loro aree di pertinenza.

Secondo lui le città sono pragmatiche e non ideologiche e i sindaci sono più amati dei presidenti, le città sono meno sottoposte alla pressione lobbistica e le amministrazioni riescono a mantenere più promesse. Già si relazionano tra loro con unioni internazionali, come la Nuova Lega Anseatica o la Fondazione delle Megacittà.

Barber sostiene che la governance globale non ha bisogno di un grande edificio con governanti unitari. Può essere volontaria, informale, bottom-up. Raccomanda la costituzione di un parlamento mondiale delle città, perché gli Stati nazionali non possono governare a livello globale, mentre le città lo possono fare. Un pianeta governato dalle città rappresenterebbe un nuovo paradigma di governance globale, di glocalismo democratico e non imposizione dall’alto, di orizzontalismo invece di gerarchia, di interdipendenza pragmatica in luogo delle ideologie superate di indipendenza nazionale.

E’ un progetto che ha un futuro: la stampa angloamericana mainstream sta dando ampio spazio a chi suggerisce che città come Tokyo, New York, Londra, Chicago, Montreal, ecc. [es. cercate “London city-state” e “Montreal city-state”], seguano l’esempio di Singapore e, in parte, Honk Kong, dandosi uno statuto di città-stato.
Barber, nei prossimi anni, diventerà una star a livelli dell’Al Gore di inizio secolo, se l’agenda anarcocapitalista (fase finale del neoliberismo) procederà spedita:
http://it.wikipedia.org/wiki/Anarco-capitalismo

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Si possono muovere numerose obiezioni a questo “nuovo ordine mondiale”:

1. Innanzitutto i sindaci di norma vengono eletti perché assecondano le esigenze (e i capricci) locali e si ripromettono di risolvere i problemi locali, prima di tutto e quasi esclusivamente. Difficile che un sindaco venga eletto perché promette di risolvere i problemi del mondo assieme ad altri sindaci.

2. A un sindaco, anche il sindaco di una megalopoli, manca una prospettiva non solo globale, ma anche semplicemente nazionale, e non ha senso che siano autorizzati a parlare a nome di milioni di persone che non abitano nella città o nei paraggi (e se i paraggi fossero davvero estesi, che differenza ci sarebbe rispetto agli stati-nazione e capi di stato attuali?).

3. Capita che i sindaci/giunte emanino disposizioni che entrano in conflitto con le legislazioni nazionali, se non addirittura con le costituzioni. Chi tutelerebbe il rispetto dei principi fondamentali? Con quale forza impositiva?

4. Circa il 50% della popolazione mondiale non vive in un contesto urbano. Di che tutele potrebbe godere?

5. E se questa popolazione non urbanizzata, che produce il 95% del cibo e delle risorse di cui necessitano le città, decidesse di scioperare per difendere la propria autonomia, che succederebbe?

6. L’esempio cinese (o di Singapore) non promette bene: i sindaci onnipotenti delle megalopoli non sembrano interessati a coordinarsi per il bene della Cina. Sembrano più intenzionati a trasformare le loro città in feudi personali e gli amministratori locali in cortigiani. Un caso non troppo dissimile è quello di Tokyo, che molti giapponesi considerano un’entità ipertrofica con un’eccessiva influenza sulla gestione del paese. Per non parlare della bancarottata Detroit.

7. Le città-stato del passato non erano certo il paragone della virtù e della concordia, né in Grecia, né in Italia o in Germania. La ‘culla della democrazia’ era in realtà un nido di serpi infido di città in perenne conflitto tra loro per centinaia di anni fino a che furono conquistate da un impero. L’Italia è un esempio classico di come un mosaico di piccoli staterelli è rimasto per secoli alla mercé delle grandi potenze e delle grandi banche. Se le città erano murate una ragione c’era.

8. Senza entità nazionali e federali chi amministra i parchi nazionali, la viabilità transcontinentale, i soccorsi ed aiuti di emergenza, la difesa, la lotta alla criminalità transnazionale? Chi salverà le istituzioni finanziarie troppo grandi per essere lasciate fallire? La tua città o la mia?

9. Oggi, nella maggior parte dei paesi democratici, il governo raccoglie le tasse dai cittadini e le distribuisce ai governi locali. Ci si sforza di contrastare le disparità dovute alle rendite di posizione che nascono dalla concentrazione di ricchezze e di competenze in certi luoghi strategici. Tuttavia, se i governi dovessero scomparire, i divari tra aree urbane e rurali crescerebbero stabilmente e le periferie finirebbero alle dirette dipendenze delle grandi città in grado di far valere la loro volontà con la forza e il ricatto.

10. Inoltre l’attenzione concentrata sulle questioni locale non farebbe che sviluppare il campanilismo e la competizione più sfrenata che ora i governi centrali riescono a gestire a beneficio di un’intera nazione.

11. Per quel che riguarda l’idea che i sindaci siano in grado di cooperare meglio dei leader nazionali, non è difficile capire perché ciò avvenga. Lo possono fare perché tutte le questioni più scottanti, controverse e potenzialmente esplosive vengono gestite a livello nazionale, e così i sindaci possono occuparsi di tutto quel che resta, come i bambini possono giocare assieme mentre i genitori si prendono cura dei problemi reali. Riusciamo ad immaginare una conferenza di sindaci che cercano di decidere riguardo a questioni complesse come il diritto delle donne all’aborto, la guerra alla criminalità organizzata, il welfare, ecc.?

12. La creazione di migliaia di città-stato sarebbe un regalo a quella porzione avida e priva di scrupoli delle élites. Essa prenderebbe il controllo di tutto le esistenti strutture di potere sfruttandole per i propri fini egoistici. La storia italiana, quella tedesca e quella giapponese ce lo insegnano.

13. I candidati a sindaco/governatore sarebbero molto probabilmente ricchi e non capirebbero le condizioni di vita dei distretti più poveri.

14. Infine, mi rifiuto di vivere in un mondo governato da politici post-ideologici, se questo significa che giustizia sociale, uguaglianza e fratellanza saranno incasellate nelle categorie “ideologia”, “populismo”, “radicalismo”. Abbiamo bisogno di più democrazia, non della fantasia di un mondo fiabesco, in cui tutti i sindaci non sono corrotti o vittime della sindrome del salvatore che ha sempre ragione perché è dalla parte del vero, del bene e del giusto.

Post-ideologico, al giorno d’oggi, è diventato sinonimo di neo-liberismo, la dottrina che promuove l’abolizione di quelle norme che tutelano i deboli dall’arbitrio dei forti in nome della “meritocrazia”: come se un bambino allevato “parsimoniosamente” non subisse contraccolpi a livello cognitivo e psicologico,  veri e propri handicap di cui non ha alcuna colpa e come se un bambino allevato in una famiglia benestante non avesse le migliori opportunità di sfruttare una posizione di rendita e di privilegio pregressa.

15. Il progetto di Barber ricorda troppo da vicino lo scenario denominato “renew-abad” nell’analisi futurologica intitolata “Megacities on the Move” di Forum for the Future e che prevede la riemersione delle “città-stato”, un massiccio uso delle energie rinnovabili; uso delle risorse strettamente regolamentato; “benevole” autocrazie sul modello cinese; il divario tra ricchi e poveri diminuito a livello sociale, ma aumentato a livello globale; iniziativa privata fortemente regolamentata dal potere centrale: “I governi impongono regole più severe e utilizzano tecnologie sempre più sofisticate per monitorare i cittadini e far rispettare la legge. Spesso decretano il distretto in cui uno dovrà risiedere, le modalità di spostamento, il livello di consumi energetici consentito. Il tasso di criminalità è calato drasticamente, il traffico è più fluido, ma le rappresentanze della società civile denunciano la morte della democrazia. Le città-stato controllano vasti territori come al tempo dell’Europa medievale”.

I centri urbani funzionerebbero come città-stato neo-feudali che sfruttano e tengono a bada le masse sottomesse e divise in clan neotribali in perenne conflitto – la filantropia al posto dei diritti sociali, la “sicurezza” al posto dei diritti civili, il populismo al posto della democrazia, il vassallaggio al posto del contratto sociale, il precariato al posto dei diritti dei lavoratori. No, grazie!

Chi potrebbe volere una cosa del genere?
Avete presente i semi terminator e zombie della Monsanto? Avete presente le sperimentazioni statunitensi per creare soldati-macchina privi di empatia che saranno poi usati contro la popolazione civile?
http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/i-cyloni-sono-gia-tra-noi.html
http://www.independent.co.uk/news/science/super-soldiers-the-quest-for-the-ultimate-human-killing-machine-6263279.html
Avete presente le revisioni dei conti greci della Goldman Sachs? Avete presente il riciclaggio dei soldi del narcotraffico e della vendita di armi della HSBC? Avete presente le conseguenze letali delle politiche europee in Grecia?
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/10/09/islanda-grecia-egitto-italia-cavie-sovrane/
Avete presente le liste della morte di Obama? Avete presente Deepwater Horizon e Tepco? Avete presente l’Halliburton? Avete presente la guerra delle case farmaceutiche contro i paesi del Terzo Mondo? Avete presente il lobbismo delle multinazionali contro gli interessi e la salute della popolazione? Avete presente la Black Rock, la più grande società di investimento nel mondo, che gestisce un giro d’affari superiore al PIL della Germania? Avete presente il Washington Consensus? Avete presente l’11 settembre? Avete presente la misantropia di certi leader dell’ecologismo?
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/08/09/quando-lumanita-odia-se-stessa-la-misantropia-serrista/
Pensate seriamente che questo esercizio psicopatico di un potere spropositato sia capace di e disposto a disciplinare la sua avidità ed egoismo?

1-reports-per-year2-700x4602145 avvistamenti ufficializzati nel 2012 – 2250 all’inizio di ottobre 2013

http://www.amsmeteors.org/fireball_event/2013/


L’umanità può essere indotta ad accettare tutto questo?

Ecco la risposta di Jacques Attali (parti in rosso): meteoriti/impatti cosmici
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/26/jacques-attali-domani-chi-governera-il-mondo-2012-estratti/
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/23/spedizioni-cosmiche-consegna-rapida-e-sicura-in-tutto-il-mondo/

photo7http://sciencefictionruminations.wordpress.com/2011/12/05/adventures-in-science-fiction-cover-art-the-domed-cities-of-the-future/

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Il celebre scrittore di fantascienza William Gibson, incuriosito dalla possibilità che Singapore incarnasse l’avanguardia di quel mondo futuro che lui descriveva nei suoi romanzi, dopo aver visitato la città-stato, l’ha definita “Disneyland con la pena di morte” e ha ipotizzato che, se la IBM avesse potuto crearsi un suo staterello, le corrispondenze con la tecnocrazia capitalista di Singapore sarebbero state ragguardevoli. Un microcosmo fatto di conformismo, automatizzazione, sorveglianza capillare, carenza di creatività e di senso dell’umorismo, efficientismo, soppressione di tutto ciò che è considerato vecchio, censura, divieto di vendita di certi libri (inclusi, a quel tempo, i suoi!), programmi TV che insegnano ai vari gruppi etnici come essere stereotipicamente “se stessi”, locali gay clandestini, omologazione della moda e delle vetrine, ecc. Gibson conclude mestamente che, se gli architetti della società di Singapore dimostreranno di avere ragione – cioè che è così che una società dovrebbe essere amministrata – sarà una sconfitta per l’umanità, perché sarà la prova che essa può prosperare a dispetto della repressione della libera espressione delle personalità e dell’eterogeneità della natura umana.

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post-3990-1246826145Astana

Più inquietante ancora è l’allucinante “città-utopia” di Astana, capitale dell’odierno Khazakhstan, soprannominata la “base spaziale della steppa” e fortemente voluta dal dittatore Nursultan Nazarbaev, strenuo alleato della NATO, che ne magnifica l’architettura futuristica e sincretistica, gli appelli umanitaria al dialogo tra le fedi e le nazioni, alla pace, alla prosperità ed al progresso, ecc. Ma non c’è unità nella diversità ad Astana, non ci sono concordia, dignità, libertà, uguaglianza e fratellanza. È solo il sogno auto-celebrativo – realizzato con l’aiuto dei proventi petroliferi di un tiranno che si crede illuminato. È anche l’incubo di qualunque persona assennata. Non sembra essere una residenza popolarissima: doveva raggiungere il milione di abitanti nel 2012, ma è rimasta bloccata sotto la soglia degli 800mila e, di questo passo, al milione ci arriverà, forse, dopo il 2030. Tuttavia, nel 2010, Astana è stata scelta come sede di una conferenza diplomatica sui diritti umani dell’Organizzazione per la Sicurezza e Cooperazione in Europa.

Quello di Nazarbaev e delle città-stato tecnocratiche è un dispotismo che ha un futuro, perché non è orwelliano, non è sguaiato. È piuttosto molto paternalistico e retoricamente benevolo, un po’ come quello preconizzato da Tocqueville ne “La Democrazia in America” (1840):

Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima… Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. È assoluto, minuzioso, metodico, previdente, e persino mite. Assomiglierebbe alla potestà paterna, se avesse per scopo, come quella, di preparare gli uomini alla virilità. Ma, al contrario, non cerca che di tenerli in un’infanzia perpetua. Lavora volentieri alla felicità dei cittadini ma vuole esserne l’unico agente, l’unico arbitro. Provvede alla loro sicurezza, ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la forza di vivere e di pensare?

Lo spirito di questo possibile futuro è stato colto con una prodigiosa ed inquietante capacità precognitiva da Fëdor Dostoevskij nella Leggenda del Grande Inquisitore:

Il grande inquisitore si presenta come liberatore degli uomini dal peso della libertà. Sembra quasi una contraddizione: liberare dalla libertà. Ma è proprio questo ch’egli vuole fare: sollevare gli esseri umani da quella che sostiene essere la maledizione che il Cristo è venuto a portare agli uomini. Alla stragrande maggioranza di essi, dice il vegliardo al Cristo prigioniero che lo ascolta in silenzio, non si addice la vertigine della libertà, ma la servitù dello spirito… Il grande inquisitore e il Cristo sono fratelli e al tempo stesso nemici mortali. Cristo promuove la vita, l’inquisitore la soffoca…L’inquisitore sostiene le sue posizioni dal punto di vista della «ragion del volgo»: si presenta come amico e non come nemico del popolo. Egli, che ha detto di sì a tutte le tentazioni del demonio nel deserto, non vuole affatto costringere con la forza gli esseri umani ad obbedire; vuole piuttosto impadronirsi dell’animo. È l’anima umana che gli interessa. Il potere non compare come violenza, ma nella sua versione seduttiva, fino al punto di dispensare l’illusione di una vita oltre la morte. Noi, gli eletti – dice l’inquisitore – sappiamo bene che non è così, ma poiché sappiamo illudere gli uomini, essi moriranno felici (Gustavo Zagrebelsky, intervista, Il Sussidiario, 23 gennaio 2012)

E, non meno lucidamente, da Aldous Huxley in “Brave New World” e da David Mitchell in un romanzo trasposto sul grande schermo dai fratelli Wachowski (cf. “L’Atlante delle Nuvole”) che tratteggia una città-stato plutocratica, iperconsumista, castale ed ecologicamente compromessa chiamata Nea So Copros, retta da un’oligarchia, l’“Unanimità”, che si presenta unita ma in realtà è divisa da lobby, tribalismi e lotte di potere, ed è soprattutto condannata:

Nea So Copros si sta avvelenando da sola. Il terreno è inquinato, i fiumi sono privi di vita, l’aria è tossica, le scorte di cibo sono piene di geni canaglia. Gli strati inferiori non ce la fanno più a comprare le droghe indispensabili per affrontare queste privazioni. Le fasce di melanoma e malaria avanzano verso nord a una velocità di quaranta chilometri all’anno. Le Zone di Produzione dell’Africa e dell‘Indonesia che alimentano la domanda delle Zone di Consumo sono per il sessanta per cento inabitabili. La legittimità della plutocrazia, il benessere, sta scomparendo; le Leggi per l’Arricchimento promulgate dalla Juche sono semplici cerotti a fronte di emorragie e amputazioni. L’unica via d’uscita rimasta è la strategia tanto apprezzata da tutti gli ideologi della bancarotta: la negazione.

Al tempo della rivoluzione francese, Louis-Sebastien pubblicò una visione utopica, intitolata “L’anno 2440”, che doveva prefigurare l’esito finale dell’ingegneria sociale di un certo filone illuminista tecnocratico applicata alla rivoluzione. A distanza di qualche secolo Parigi sarebbe diventata una città puritana che avrebbe bandito caffè, the e tabacco. Sarebbe stata la capitale di una società imperialista che aveva occidentalizzato il mondo, che censurava la letteratura non allineata e inquisiva i dissidenti per convertirli. Una società patriarcale, fatta funzionare come un orologio, in cui non esistevano ozio e tempo libero, ma tutti dovevano rendersi utili in ogni momento. La separazione tra pubblico e privato era svanita e i doveri civici avevano eclissato le libertà civili. I critici hanno paragonato la Parigi di Mercier a una città di morti viventi, una necropoli. Dobbiamo contrastare ogni spinta in quella direzione con tutte le nostre forze.

Il paese più stupido del mondo – incontro-dibattito (6 maggio, Trento)

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L’associazione culturale italo-giapponese “Yomoyamabanashi – 4 ciacere” è lieta di invitarvi ad un incontro-dibattito dal titolo:

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“Il paese più stupido del mondo”

con Claudio Giunta,

docente di Letteratura italiana all’Università di Trento

e Stefano Fait,

antropologo e politologo

lunedì 6 maggio alle ore 20:30

a Trento, presso il Café de la Paix
passaggio Teatro Osele 6/8

 https://www.facebook.com/pages/Caf%C3%A9-de-la-Paix-Trento/172033196275003

Non ci può essere autentica democrazia se l’opinione pubblica non è sufficientemente istruita. L’analfabetismo di ritorno ci rende incapaci di comprendere la realtà e difenderci dagli abusi.

Ma cosa vuol dire essere istruiti?

In una classe sudcoreana sei studenti su dieci sperano in un attacco della Corea del Nord perché desiderano morire per porre fine alla pressione psicologica causata dalle esigenze di studio.

Gli studenti con le migliori performance del mondo si trovano molto spesso in nazioni che hanno alti tassi di suicidio e bullismo.

All’estremo opposto, David Gilmour (Pink Floyd), famoso anche per le sue severe critiche al modello educativo inglese, ha dovuto ritirare i suoi figli da una delle migliori scuole steineriane inglesi perché, in un mondo dominato da un sistema formativo standard, si sentivano dei disadattati.

Che fare?

Ne parliamo con Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’Università di Trento, che ha insegnato in Marocco, in Australia, negli Stati Uniti e, ciò che più ci interessa, a Tokyo. Sulla scorta della sua esperienza didattica giapponese, ha scritto “Il paese più stupido del mondo” (Il Mulino), un confronto tra i vizi e le virtù della società giapponese e di quella italiana: ha concluso che i due modelli rappresentano “due tipi opposti di stupidità, due lussuosi fallimenti”.

Dialogherà con Stefano Fait, autore di “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso”.

Associazione culturale italo-giapponese “Yomoyamabanashi – 4 ciacere”

cellulare: +39 345  7866166 (Stefania Da Pont)

http://www.yomoyamabanashi.it/

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Il paese più stupido del mondo

di Claudio Giunta

Ho scritto un libretto sul Giappone, l’Italia e altre cose che si chiama “Il paese più stupido del mondo” (Il Mulino, 14 euro). Il paese più stupido del mondo non è il Giappone, naturalmente. Comincia così:

Nell’inverno del 2008 mi hanno invitato ad andare per due mesi a Tokyo, aprile-maggio 2009, per fare due corsi all’università, la prestigiosa The University of Tokyo. «Mettiamo l’articolo per distinguerla dalle altre che ci sono in città», mi spiegano il giorno del mio arrivo. Ho accettato subito non per il prestigio (non c’è nessun prestigio, il prestigio è un’idiozia) e non per i soldi (pochi) ma perché (1) starci due mesi è l’unico modo per capire qualcosa del Giappone, cosa che probabilmente si può dire e si dice di qualsiasi luogo del pianeta, ma per il Giappone di più; e perché (2) volevo prendermi una vacanza dall’Italia, un paese in cui sembra che tutti quanti si siano messi d’accordo per fare ogni cosa alla cazzo di cane.
Questo non piacevole aspetto dell’«identità nazionale» (non c’è nessuna identità nazionale, l’identità nazionale è un’idiozia) mi aveva spinto, negli ultimi anni, su posizioni non destrorse, oh no, ma diciamo di conservazione intelligente, posizioni fraintese da qualcuno dei miei amici meno benevoli come segno di involuzione, passatismo, misoneismo, e da qualcun altro addirittura come segno di stronzaggine. E insomma volevo, voglio un paese in cui al posto della sacrosanta libertà individuale non ci sia la licenza di fare tutto quel che viene in mente di fare, in cui il bene pubblico conti più del piacere privato, un paese con meno furbizia e più lealtà, più regole e meno illegalità, la repressione degli istinti al posto della loro mobilitazione da parte dei demagoghi, le buone maniere al posto della scortesia, le gonne sotto il ginocchio e via dicendo.
Insomma, la civiltà: una bella civiltà repressiva e funzionante. Non potendo tornare nella Vienna di fine Ottocento, il Giappone sembrava la realtà più prossima al mio sogno. E dunque.

Metterei anche il resto, ma l’editore non sarebbe contento.

http://www.claudiogiunta.it/2007/09/il-paese-piu-stupido-del-mondo/

N.B. Giunta ha poi scoperto cosa significhi vivere in una “bella civiltà repressiva e funzionante” ;oD

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TRACCIA INTEGRALE

In tutto il mondo si domanda a gran voce più democrazia partecipata ma, contemporaneamente, una grossa fetta dell’opinione pubblica non sembra ancora capace di decidere con cognizione di causa in vista dell’interesse generale.

Per di più ci ritroviamo con alti tassi di suicidio, violenza, bullismo e violenza domestica: troppi non sanno adattarsi ad una società in rapido cambiamento e reagiscono distruttivamente. Un recente sondaggio indica che “è quasi raddoppiata la quota di giovani altoatesini disposti ad utilizzare anche la forza fisica per far valere i propri interessi” (Ausserbrunner et al. 2010).

La promessa dell’era tecnologica era che la tecnologia ci avrebbe affrancato dai compiti più ingrati e permesso di sperimentare attività ricreative e creative, alla scoperta delle nostre potenzialità inesplorate.

Invece il tasso di disoccupazione continua ad aumentare, la stagnazione culturale è un dato innegabile, l’analfabetismo di ritorno ci infantilizza, l’indebitamento e il precariato ci imprigionano.

Nick Connelly, insegnante di inglese nella Corea del Sud, poco prima di tornare in patria, quando era già in corso l’escalation di minacce e contro-minacce tra Corea del Nord e Stati Uniti, ha chiesto ai suoi studenti quali siano i loro sentimenti: sei studenti su dieci gli hanno risposto che speravano in un attacco della Corea del Nord perché desideravano morire, non ce la facevano più. Connelly riferisce che è un fenomeno diffuso nelle scuole coreane, dove la pressione competitiva è incredibile, in un paese con il più alto tasso di suicidio del mondo (Nick Connelly, The west seems more concerned about North Korea than most Koreans, Guardian, 14 April 2013).

Gli studenti con le migliori performance del mondo si trovano in Cina, Corea del Sud, Singapore, Hong Kong, Finlandia, Canada, Nuova Zelanda, Giappone. A parte Canada e Nuova Zelanda, sono tutte nazioni con altissimi tassi di suicidio.

A Singapore, su oltre 600 ragazzini tra i 6 ed i 12 anni, il 22% ha dichiarato di avere l’intenzione di suicidarsi o di averci pensato in passato. Un quinto degli scolari soffre di depressione.

Un giovane studente giapponese, citato dalla filosofa ed educatrice giapponese Naoko Saito (Università di Kyoto), ci spiega la ragione dei suoi crucci: “La società di oggi non accetta facilmente la mia esistenza…Se mi guardo attorno, non c’è un luogo dove mi senta accettato. Non c’è qualcuno con cui poter parlare della domanda filosofica più importante: ‘Perché viviamo?’. Le menti dei miei compagni di scuola sono troppo impegnate a preparare i test d’ingresso alle scuole superiori e non si possono permettere di parlare delle apprensioni del cuore. Nell’educazione contemporanea si pone l’accento sul come realizzare l’obiettivo di passare il test d’ingresso piuttosto che discutere di questioni relative alla dignità umana. Non si capisce quanto importante sia pensare e parlare dei problemi della vita”.

All’estremo opposto David Gilmour (Pink Floyd), famoso anche per le sue critiche al sistema educativo inglese, ha dovuto ritirare i suoi figli da una delle migliori scuole steineriane inglesi, perché in un mondo dominato da un sistema educativo standard, si sentivano dei disadattati.

Che fare?

Ne parliamo con Claudio Giunta, docente di letteratura italiana all’Università di Trento, che ha insegnato in Marocco, in Australia, negli Stati Uniti e, ciò che più ci interessa, a Tokyo. Sulla scorta della sua esperienza didattica giapponese, ha scritto “Il paese più stupido del mondo”, un confronto tra i vizi e le virtù della società giapponese e di quella italiana: ha concluso che i due modelli rappresentano “due tipi opposti di stupidità, due lussuosi fallimenti”.

Il Fuji potrebbe tornare ad eruttare – l’incubo di Kurosawa

La pressione sulla camera magmatica del monte Fuji e’ a livelli tali da poter causare una eruzione vulcanica: il fenomeno, secondo l’ultimo studio dell’Istituto nazionale di ricerca per le scienze della Terra e la prevenzione delle catastrofi, e’ legato al devastante sisma/tsunami dell’11 marzo 2011 e a una scossa di magnitudo 6.4 avvenuta nel Giappone centrale appena quattro giorni dopo. La pressione accresciuta, tuttavia, non e’ l’unico fattore che segnala il rischio anche se finora il Fuji-san, montagna icona del Sol Levante e sacra per la religione shintoista, non ha mostrato finora segnali di risveglio. L’ultima eruzione del vulcano, che e’ distante appena 100 km da Tokyo, risale al 1707, subito dopo un forte sisma ma non tanto quanto quello del 2011 di magnitudo 9, hanno rilevato i ricercatori dello studio, secondo cui un’eruzione potrebbe verificarsi anche alcuni anni dopo i terremoti. Sulla base dei movimenti tettonici causati dalle due scosse di marzo 2011, gli esperti – riporta l’agenzia Kyodo – hanno stimato la pressione in circa 1,6 megapascal, pari a quella atmosferica di 15,8 kg per centimetro quadrato, sulla camera magmatica, situata 15 km di profondita’. In passato, livelli di pressione da 0,1 a diversi punti megapascal hanno provocato eruzioni anche al monte Fuji: pur se le condizioni della camera magmatica non sono uniformi, 1,6 megapascal ”non e’ un numero di piccolo conto”, ha commentato Eisuke Fujita, ricercatore dell’Istituto. Nel 2004, il governo nipponico ha stimato in 2.500 miliardi di yen (25 miliardi di euro) i possibili danni causati dal risveglio improvviso del Fuji-san”.
http://www.meteoweb.eu/2012/09/giappone-il-vulcano-fuji-e-a-rischio-eruzione-sta-aumentando-la-pressione-sulla-camera-magmatica/151572/

Un incubo (premonitore?) di Kurosawa sembra aver riunito un po’ tutte le catastrofi giapponesi (peraltro tutte previste anche dai massimi esperti nipponici)

Sogni (in giapponese Konna Yume wo mita, conosciuto anche come Akira Kurosawa’s Dreams, I Saw a Dream Like This o Such Dreams I Have Dreamed) è un film del 1990 diretto da Akira Kurosawa, composto da 8 episodi, basato sui concetti del realismo magico e di alcuni sogni del regista.
Fuji in rosso L’alter-ego si ritrova ai piedi del Monte Fuji che, risvegliatosi, ha cominciato ad eruttare lava e ceneri, assumendo un aspetto rosso. Un fiume di persone disperate, a cui egli si aggrega, cerca scampo invano lungo una scogliera a picco sul mare: tra queste ci sono una madre con due bambini ed un ingegnere nucleare, responsabile di aver costruito una centrale proprio ai piedi del vulcano e che la lava ha appena distrutto. I vapori radioattivi assassini si sprigionano nell’aria e si abbattono su di loro: mentre l’ingegnere sparisce in mare, il protagonista cerca invano di allontanare le esalazioni dalla madre e dai bambini sventolando il giubbotto, mentre la scena si dissolve in nero.

http://it.wikipedia.org/wiki/Sogni_%28film%29

Fukushima – è realmente possibile che Tokyo debba essere evacuata?

Il 70% dei giapponesi vorrebbe ridurre la dipendenza dall’energia nucleare, mentre il 25% rimane favorevole all’uso del nucleare. Solo il 4% dei giapponesi vorrebbe che il paese aumenti l’uso dell’energia nucleare. Un anno fa, a poche settimane dall’inizio della crisi nucleare di Fukushima, i giapponesi erano più divisi su questo tema: il 44% era per una diminuzione dell’energia nucleare, il 46% voleva mantenere le cose come stavano, mentre l’8% si dichiarava favorevole ad un incremento del nucleare.

“Japanese Wary of Nuclear Energy. Survey Report”. Pew Research Center, 5 giugno 2012.

http://bywo.wordpress.com/

Il governo giapponese ha deciso di riavviare i due reattori della centrale nucleare di Oi nella prefettura di Fukui, ma il 71 per cento degli intervistati in un sondaggio condotto da Mainichi Shimbun dice che il governo non dovrebbe avere fretta nel riavviare i reattori fermi, mentre il 23 per cento è favorevole al riavvio immediato.

“71 percent against hastily restarting Oi nuclear plant: Mainichi poll”. The Mainichi Shimbun, 4 giugno 2012.

http://bywo.wordpress.com/

Masashi Goto, già ingegnere della Toshiba specializzato nella progettazione antisismica delle centrali nucleari, ha progettato il reattore nucleare di contenimento, riguardo alla solidità della struttura del reattore n° 4: “Anche se ci sono le pareti, non esistono modi semplici di verificarne la stabilità. In che misura è stata compromessa la loro stabilità dalla temperatura dell’incendio? È essenziale avere tutti i dati quando si esegue un calcolo strutturale. Ogni volta che Tepco pubblica i dati, dice sempre: “Abbiamo calcolato questo, ecco il risultato di ciò che abbiamo fatto, quindi non c’è pericolo”. Ma non hanno mai pubblicato un dato che un analista esterno possa utilizzare per verificare le loro conclusioni”.

Yukiteru Naka, direttore della Tohoku, ha lavorato come ingegnere presso la General Electric. Specializzata in sistemi di tubazioni, è stato coinvolto direttamente nella costruzione della centrale Fukushima Daiichi (reattore 1, 2 e 6). Attualmente è impegnato nel lavoro di smantellamento. Essendo a conoscenza del reale stato della costruzione del reattore 4, ha ammesso che ci sono dei pericoli di una fuoriuscita d’acqua dalla piscina di raffreddamento del combustibile: “Devo dire che c’è un rischio per l’unità 4. La piscina è attualmente raffreddata da un sistema temporaneo. Ma i condotti si estendono per decine di chilometri e poiché questa è una struttura temporanea, non è stata pensata per resistere a terremoti. Non c’è manutenzione sufficiente. I tubi attraversano le macerie. Penso che ci vorrà del tempo per svuotare la piscina, se i tubi sono stati danneggiati e causano una perdita. Le emissioni di materiale radioattivo sarebbe così alta che nessuno potrebbe avvicinarsi. (…) Vorrei che il governo e la Tepco si preparassero consapevolmente all’idea di una crisi incombente. (…) Se la piscina si svuota, nessun lavoratore potrà avvicinarsi al reattore 4 o agli edifici 1, 2 e 3”.

Hiroaki Koide, professore presso l’Istituto di Ricerca Nucleare dell’Università di Kyoto, è particolarmente preoccupato per lo stato dell’unità 4: “Se la piscina arrivasse al collasso a causa di un nuovo terremoto di grandi dimensioni, l’emissione di materiale radioattivo sarebbe enorme: una stima conservativa dà una radioattività pari a 5000 volte la bomba di Hiroshima”.

Per Robert Alvarez, ex consigliere del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, il problema riguarda il mondo intero: “Se un terremoto o un altro evento colpisse questa piscina [del reattore 4], potrebbe provocare un incendio radiologico catastrofico, con quasi dieci volte la quantità di cesio-137 che si è diffuso dopo l’incidente di Chernobyl”.

http://fukushima.over-blog.fr/article-fukushima-et-l-avenir-du-monde-106326840.html

Ho incontrato Robert Alvarez a Washington ed abbiamo parlato per diverse ore. L’ho ringraziato per il suo calcolo del Cs-137 nel sito di Fukushima Daiichi, un semplice numero che ha contribuito a richiamare l’attenzione del pubblico sulla questione. Alvarez ha detto che il dato di dieci volte il Cs-137 (nel reattore 4) rispetto a Chernobyl è basso, ma è utile ad evitare dispute scientifiche; una cifra più realistica potrebbe essere 50 volte…Ma poco importa, ha aggiunto, se la quantità è di 10 o 20 volte superiore. L’intero territorio giapponese diventerebbe una zona di evacuazione e la forte radioattività colpirebbe l’Asia orientale ed il Nord America. La ricaduta (fall-out) di materiale radioattivo durerebbe per diverse centinaia di anni.

http://akiomatsumura.com/2012/06/what-is-the-united-states-government-waiting-for.html

Il governo giapponese aveva già programmato l’evacuazione della metà settentrionale dell’isola di di Honshu (Tokyo compresa: fino a circa 40 milioni di persone) in caso di aggravamento della situazione a Fukushima:

http://ajw.asahi.com/article/0311disaster/fukushima/AJ201201070039

In una conferenza stampa il ministro Hosono ha affermato che il reattore numero 4 potrebbe sopportare un terremoto di magnitudo 6. Ma uno studio geologico sino-giapponese ha stimato un 90% di probabilità che un terremoto di magnitudo 7 colpisca quell’area entro tre anni:

http://www.solid-earth.net/3/43/2012/se-3-43-2012.pdf

Tre giorni fa c’è stato un terremoto da 6,4 nei paraggi, fortunatamente molto profondo.

“Dobbiamo far capire il concetto di after heat, vale a dire la generazione di calore da frammenti di fissione che durerà per settimane e mesi, e che deve essere continuamente rimosso. Non è facile comunicare questo concetto alla gente, per la quale qualsiasi incendio può essere domato in poco tempo. Per il nucleare purtroppo non è così”.

Robert Socolow, fisico della Princeton University, Bullettin of Atomic Scientist

http://thebulletin.org/web-edition/op-eds/reflections-fukushima-time-to-mourn-to-learn-and-to-teach

 

IL NUCLEARE IN ITALIA ED IL MITO DELL’EFFICIENZA GIAPPONESE

di Roberto Vacca (ingegnere favorevole al nucleare)

“…Il Giappone era al terzo posto nel mondo (dopo USA e Francia) per potenza installata e numero di centrali. Di 54, ne funzionano solo due. Molte sono ferme per manutenzione e le popolazioni circostanti si sono opposte con successo alla loro riaccensione. Al Giappone manca così un terzo dell’energia elettrica prodotta fino a un anno fa. Il risparmio forzoso è imponente: condizionatori spenti d’estate, illuminazione pubblica e privata al minimo e nuovo deficit della bilancia commerciale dopo tre decenni. Si aggravano localmente gli effetti della crisi economica. Sembra che i giapponesi si avviino a lasciare l’energia atomica. Le discussioni sulla sicurezza sono decisive – e peculiari. Ogni tecnologia presenta rischi. Per uccidere un uomo basta che il suo corpo sia attraversato da una corrente elettrica di circa un decimo di Ampere – meno di quella che passa in una lampadina. La sicurezza, però, è facile da capire e da assicurare (con limitatori e salva-vita). I morti per elettrocuzione sono pochissimi specie in Europa ove le protezioni sono più stringenti. Anche le automobili sono rischiose e, nel mondo, muoiono ogni anno 1.200.000 persone in incidenti di traffico. I movimenti per abolire le auto, però, sono scarsi e deboli. Molto più energici i verdi anti-nucleari con slogan, marce e propaganda, sebbene nel mezzo secolo da quando c’è l’energia nucleare i morti siano stati poche decine di migliaia. È arduo calcolarli: le radiazioni agiscono a distanza di tempo e spazio e si sommano alla radiazione naturale (da minerali, radon e raggi cosmici).
[quel che è certo è che le migliaia di test atomici della Guerra Fredda hanno ucciso un numero enorme di persone inquinando il pianeta irrimediabilmente, NdR]

Che conclusioni trarre per l’Italia? Il CIRN, Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare, conduce una campagna ispirata da esperti del settore. Sostengono che il nucleare sicuro è possibile. Questo è vero, se esistono accertati prerequisiti di competenza e rigore. In Italia certo esistevano nei pochi anni in cui funzionarono le nostre poche centrali nucleari. Discutere di competenza è difficile. Occorrono dati: non facilmente disponibili e compresi solo da chi ha studiato. Anche qui la trasparenza talora è scarsa, come in Giappone su Fukushima. Ci vogliono valutazioni espresse da esperti sulle prestazioni e i record di altri esperti. Spesso sono opinabili.

Molte delle opinioni espresse sono poco meditate e talora viscerali. Già un anno fa pubblicai su La Stampa un pezzo per controbattere chi diceva:”Perfino i giapponesi tecnicamente perfetti hanno avuto Fukushima: figuratevi che succederebbe da noi!” Spiegavo che la rete elettrica nipponica è spaccata in due: la metà orientale alla frequenza di 50 Hertz [come in Europa, NdR]e l’altra a 60 Hertz [come negli USA, NdR]. Solo una piccola frazione della potenza producibile può essere trasmessa da una regione all’altra. È una madornale inefficienza sistemica – altro che perfezione tecnica!

Come dico da anni, gli aspetti sistemici sono vitali: non basta essere perfetti, sia pure in alta tecnologia. Le quarantenni centrali di Fukushima erano di buon livello tecnico, ma i progettisti ignorarono il rischio degli tsunami. In quella zona sono fenomeno antico e ben documentato. Ce ne furono di più grossi: nel 1933 con un’onda alta 27 metri e nel 1890 con un’onda di 38 metri. Un recente studio commenta le statistiche sui 70 tsunami che colpirono la regione negli ultimi 12 secoli (vedi in figura: il segmento a destra indica un’onda di 10 metri). Nell’869 un’onda di 70 metri colpì Jorgan e distrusse tutto fino a 4 chilometri entro terra. I progettisti di Fukushima non tennero conto di questi precedenti.

L’ingegneria della sicurezza impone di considerare ogni possibile eventualità e predisporre difese adeguate. Queste mancavano nell’intera struttura della rete elettrica giapponese, nella scelta della località della centrale e nel progetto delle difese contro il mare. Avvenuto il disastro, i tecnici non potevano entrare nelle centrali per non subire gli effetti di radiazioni nucleari pericolose. Si poteva rimediare facendo entrare nei fabbricati robot radiocomandati muniti di telecamere. Anche questi, però, non erano stati predisposti.

Il costruttore americano iRobot mise gratuitamente a disposizione due robot Packbot e due robot Warrior 710 muniti anche di braccia meccaniche per rimuovere ostacoli e manipolare oggetti. I tecnici giapponesi dovettero essere addestrati a usarli. L’impiego pratico poté iniziare solo un mese dopo il disastro. Le difficoltà incontrate erano documentate dal diario di un operatore giapponese, noto solo con le sue iniziali S.H. I diari erano intitolati “Dico tutto quel che voglio”.  Le note di S.H. sono state scaricate da Web (prima che fossero cancellate) da un redattore del mensile SPECTRUM dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers [e.guizzo@ieee.org]. Ne risultano situazioni gravine critiche. S.H. racconta che dopo una lunga operazione in cui aveva dovuto avvicinarsi molto al robot (data la scarsa portata della connessione radio) l’allarme del dosimetro che misurava il livello di radiazioni che aveva assorbito cominciò a suonare. Il suo supervisore gli disse che il dosimetro era difettoso e che continuasse a lavorare.

Solo dopo tre mesi arrivarono alcuni moderni robot giapponesi. Erano modelli in cui i circuiti integrati erano vulnerabili alle radiazioni e avevano dovuto essere schermati opportunamente. Nell’ottobre 2011 uno di questi tranciò il proprio cavo e dovette essere abbandonato.

Le strategie energetiche e i problemi di sicurezza non si risolvono con discorsi (anche se “paiono assai fondati”), né su principi ideologici, né su astratti principi di precauzione. Dobbiamo analizzare i fatti, studiare, addestrare tecnici eccellenti, finanziare ricerca e scuole avanzate.

http://www.internauta-online.com/2012/02/energia-nucleare-tsunami-robot-politica-e-competenza/

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