L’inconcepibile – Samuel L. Jackson, Jack Bauer e la tortura ragionevole

Secondo il diritto internazionale la tortura è un crimine contro l’umanità. Secondo il legislatore italiano la tortura non è un crimine. […]. La tortura è un crimine che protegge il bene sommo della dignità umana. L’Italia, così attenta all’Europa, dovrebbe ricordarsi che nelle norme di apertura del Trattato di Lisbona della Ue vi è la proibizione categorica e senza eccezioni della tortura. L’Italia dovrebbe attivarsi anche per ratificare al più presto il Protocollo Opzionale alla Convenzione Onu contro la tortura, che prevede la nascita di un meccanismo ispettivo su scala globale nonché l’istituzione di un organismo nazionale indipendente di controllo di tutti i luoghi di detenzione.

Patrizio Gonnella, “Un reato fantasma ma è l’unico chiesto dalla Costituzione”, il Manifesto, 18 maggio 2012

Non credo che ci sia solo pigrizia e strafottenza nel non inserire il reato di tortura [in Italia]. C’è la specifica intenzione di fare si che situazioni come il G8 di Genova si possano ripetere all’occorrenza, c’e’ la volontà di mantenere la gente in uno stato privo di elementi di diritto in modo da agire più “sbrigativamente” se ce ne fosse bisogno. Insomma, da tanti elementi, si deve accettare che l’Italia non e’ una democrazia compiuta anche per via di un diritto monco e malleabile.

Teresa, lettrice del Manifesto

Pensate alle conseguenze di un altro massiccio attacco (terroristico) negli Stati Uniti – magari la detonazione di una bomba radiologica o sporca, oppure di una mini bomba atomica o un attacco chimico in una metropolitana. Uno qualunque di questi eventi provocherebbe morte, devastazione e panico su una scala tale che al confronto l’11 settembre apparirebbe come un timido preludio. Dopo un attacco del genere, una cappa di lutto, melanconia, rabbia e paura resterebbe sospesa sulle nostre vite per una generazione. Questo tipo di attacco è potenzialmente possibile. Le istruzioni per costruire queste armi finali si trovano su internet ed il materiale necessario per costruirle lo si può ottenere pagando il giusto prezzo. Le democrazie hanno bisogno del libero mercato per sopravvivere, ma un libero mercato in tutto e per tutto – uranio arricchito, ricino, antrace – comporterà la morte della democrazia. L’armageddon è diventato un affare privato e se non riusciamo a bloccare questi mercati, la fine del mondo sarà messa in vendita. L’11 settembre con tutto il suo orrore, rimane un attacco convenzionale. Abbiamo le migliori ragioni per avere paura del fuoco, la prossima volta. Una democrazia può consentire ai suoi governanti un errore fatale – che è quel che molti osservatori considerano sia stato l’11 settembre – ma gli Americani non perdoneranno un altro errore. Una serie di attacchi su vasta scala strapperebbe la trama della fiducia che ci lega a chi ci governa e distruggerebbe quella che abbiamo l’uno nell’altro. Una volta che le aree devastate fossero state isolate ed i corpi sepolti, potremmo trovarci, rapidamente, a vivere in uno stato di polizia in costante allerta, con frontiere sigillate, continue identificazioni e campi di detenzione permanente per dissidenti e stranieri. I nostri diritti costituzionali potrebbero sparire dalle nostre corti, la tortura potrebbe ricomparire nei nostri interrogatori. Il peggio è che il governo non dovrebbe imporre una tirannia su una popolazione intimidita. La domanderemmo per la nostra sicurezza. E se le istituzioni della nostra democrazia fossero incapaci di proteggerci dai nostri nemici, potremmo andare anche oltre e farci giustizia da soli. Abbiamo una tradizione di linciaggi in questa nazione e quando la paura e la paranoia ci saranno entrati nelle ossa, potremmo finire per ripetere i peggiori episodi del nostro passato, uccidendo i nostri vicini, i nostri amici.

Michael Ignatieff, New York Times Magazine, il 2 maggio 2004

C’è chi non si ritrae con spavento di fronte all’idea di un potere con licenza di tortura. Forse è perché, consciamente o inconsciamente, è persuaso che ciò non potrà riguardare se stesso, i suoi figli, i suoi cari o quelli del suo ceto, ma solo gli “altri”, individui come loro ma di altre etnie, fedi, situazioni sociali o convinzioni politiche. Solo a questa condizione si possono fare discorsi “freddi” sulla violenza e la sua utilità. Se così fosse, dovremmo constatare che alla base dell’apologia della tortura c’è un discorso falso: non è tanto questione di sicurezza, quanto di discriminazione razzista, religiosa, classista o ideologica. E così s’accenderebbe una luce ulteriormente sinistra.

Gustavo Zagrebelsky

Assieme allo spauracchio del terrorismo nucleare, riappare immancabilmente anche l’apologia della tortura che ora può avvalersi di un film davvero pessimo sotto ogni punto di vista, “The Unthinkable” (“L’inconcepibile”), ma sufficientemente spettacolare e manipolatore da servire da strumento propagandista. Il protagonista è un torturatore freelance, H, interpretato da Samuel L. Jackson. La tecnica giustificatoria è quella consueta della bomba atomica ad orologeria: o torturi il terrorista e, eventualmente, i suoi cari, oppure milioni di persone moriranno. L’idea che ci possano essere dei terroristi che, dopo essere riusciti a sfuggire agli inseguitori, si permettano di procrastinare l’esplosione, giusto per dare un’altra chance ai loro avversari. Quando mai il topo si permette di giocare con il gatto?

È chiaro che questo film, come la serie “24”, incentrata su Jack Bauer, è stato pensato unicamente per convertire la popolazione al verbo del torturatore, ovvero per nazificare la democrazia americana, e non solo quella. Jackson e Kiefer Sutherland dovrebbero vergognarsi di farsi pagare per servire fini così mostruosi, ma è possibile che il loro intelletto e la loro coscienza siano già abbastanza corrotti da concordare con il messaggio che inviano; messaggio che, peraltro, scardina lo stato di diritto e fa a pezzi la morale comune.

Che la tortura non funzioni lo dimostra il fatto che i nazisti si sono lasciati sorprendere innumerevoli volte, dagli Alleati come dai partigiani delle nazioni occupate. Ma non è l’approccio utilitaristico che ci deve spingere a rigettarla.

La tortura è una crudeltà estrema che condanna un’altra persona, inerme, ad una sofferenza terribile. È un atto non solo crudele ma anche codardo, perché il prigioniero non può sfuggire, non può difendersi e non può restituire le sofferenze che gli vengono inferte. Il torturato è un “morto vivente”.

Chi ancora si avvale del baricentro morale costituito dalla sua coscienza e non è stato reso sociopatico dalla propaganda, accetterà l’intuizione morale che la tortura sia sbagliata e che se non è sbagliata la tortura, allora nulla è sbagliato. La tortura è un male assoluto.

I relativisti possono interrompere la lettura qui, oppure sostare a questi link:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/io-credo-nella-verita.html

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/contro-il-relativismo-morale.html

La tortura è una menzogna così oggettiva che persino le società schiaviste ponevano dei limiti alla tortura degli schiavi (non lasciando semplicemente che i limiti ultimi fossero la menomazione e la morte, ossia una perdita economica secca per lo schiavista torturatore).

La tortura è diventata di nuovo popolare con la Guerra al Terrore – l’Iraq è stato attaccato perché un torturato ha rivelato i presunti legami tra Saddam Hussein e Osama Bin Laden, poi smentiti –, è successivamente stata condannata dall’amministrazione Obama, secondo il quale il waterboarding è tortura, “e questa non è una cosa che noi facciamo. Punto e basta”. Ora sta riprendendo voga con la campagna elettorale repubblicana, ancora una volta “grazie” a Osama Bin Laden. Tutti i candidati repubblicani alle presidenziali, salvo Ron Paul, approvano la tortura, sostenendo che ha permesso di catturare ed eliminare il capo di Al-Qaeda. David H. Petraeus, già comandante dello U.S. Central Command, che prevede la responsabilità strategica di tutto il teatro medio-orientale, e attuale direttore della CIA, la pensa come loro. Per diversi osservatori, grazie ai suoi agganci negli ambienti militari e dell’intelligence, Petraeus è l’unico concorrente credibile per Obama ed era dato per sicuro candidato alle primarie repubblicane. Se Obama perderà l’appoggio delle élite, sarà Petraeus, in un modo o nell’altro, ad entrare nella stanza dei bottoni. Questa è una cosa preoccupante, dato che Petraeus è un ammiratore di Thomas P. M. Barnett:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/lo-stratega-che-piace-tanto-david-h.html

In definitiva, pare che, tra i Repubblicani, per poter essere un valido candidato alla presidenza degli Stati Uniti, si debba per forza essere favorevoli alla tortura.

Poco importa che sia un reato per il diritto internazionale e per il diritto americano (per questo gli Americani torturano nelle basi militari fuori dal territorio americano). In cambio non è un reato in Italia, la culla delle giurisprudenza.

L’ARGOMENTO DELLA BOMBA AD OROLOGERIA È UN ESTETISMO IRRILEVANTE

L’argomento della bomba ad orologeria ha esercitato un’enorme influenza in pubblicazioni, film, serie tv, quotidiani, conferenze, corsi universitari e persino dibattiti presidenziali (per la verità unicamente negli Stati Uniti). È probabile che una maggioranza di persone sia favorevole alla tortura nello scenario della bomba ad orologeria, usato già in passato per giustificare i torturatori francesi in Algeria e israeliani nei Territori Occupati. Tuttavia non esiste alcun caso comprovato in cui una tale situazione – se non si tortura non sarà possibile sventare un attentato terroristico imminente – si sia verificata o possa avere luogo (Darius Rejali, “Torture and democracy”, 2008).

Questo scenario prevede che il prigioniero da torturare sia effettivamente complice di un piano terroristico, pienamente informato di ciò che serve per bloccarlo e che non abbia preparato una plausibile menzogna per dirottare le indagini quel tanto che basta per permettere agli altri terroristi di completare l’opera e magari, per sopramercato, indurre gli investigatori a compiere una qualche atrocità gratuita. Pensiamo ad esempio all’invasione dell’Iraq del 2003, che fu in buona parte motivata dalle informazioni strappate sotto tortura a Ibn al-Shaykh al-Libi che “dimostravano” il famigerato legame Osama Bin Laden – Al-Qaeda e che sono costate la vita a centinaia di migliaia di iracheni e non-iracheni. D’altronde, se le forze di sicurezza fossero nella posizione di poter verificare che la confessione del torturato è vera, perché allora avrebbero dovuto torturarlo? Se lo torturi è perché sai già abbastanza informazioni su di lui da poter estrarre le informazioni senza torturarlo, se non lo sai, allora diventa necessario torturare qualunque sospettato, per evitare di perdere per strada delle informazioni importanti. L’intero scenario non ha il minimo senso e può essere credibile solo per chi già gode nel sapere che i suoi nemici sono torturati, pur non avendo gli attributi di farlo in prima persona, devastando la sua psiche al punto da trasformarsi in un sociopatico/psicopatico, se già non lo è.

Questi scenari ipotetici hanno due enormi limiti.

Il primo è che esagerano l’efficacia della tortura e minimizzano le controindicazioni. Idealizzano la situazione, rendendola verosimile quando non lo è; l’astraggono, cancellando tutto quel che interferisce con lo scenario idealtipico che prediligono i fautori della legalizzazione della tortura.

Il secondo è che generano confusione e corruzione morale, perché discutendone astrattamente perdiamo di vista la realtà atroce di questo atto, la sua natura perversa. Ci desensibilizziamo, ci abituiamo all’idea, diventa meno impensabile, il tabù si erode progressivamente, riusciamo a mascherare le forti emozioni che motivano le nostre posizioni dietro una cortina di parole. La questione della tortura si riduce ad un gioco intellettuale, una partita tra retori, che serve solo a far circolare idee imprecise o sbagliate riguardo ad una pratica che dovrebbe invece essere destinata all’oblio, proprio come è successo alla schiavitù o alla segregazione di bianchi e neri. Quanto a questo, vale la pena di notare che la tortura viene vista più favorevolmente se è un islamico a subirla, meno se è un proprio connazionale, meno ancora se sono stranieri che torturano un proprio connazionale.

La più prosaica realtà è quella di un gran numero di innocenti torturati e nessun risultato concreto che non potesse essere raggiunto con altri mezzi:

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/in-italia-la-tortura-non-e-un-reato-e.html

Una fantasia iperattiva, ipercinetica genera una realtà fittizia dove la tortura è l’unica scelta giusta e simultaneamente oblitera la realtà effettiva delle cose. Una fantasia ipoattiva, letargica, impedisce invece di mettersi nei panni degli altri e di riflettere su ciò che si sta facendo e sulle conseguenze di ciò che si intende fare. Entrambe permettono di compiere il male sentendosi innocenti.

L’estetica maligna e l’utilitarismo fioriscono rigogliosi nelle condizioni emergenziali, giustificano la sospensione dei diritti civili e umani, la loro rivedibilità, la loro provvisorietà. L’intera popolazione diventa un ostaggio, uno strumento nelle mani di questi “fini” esteti e freddi calcolatori, che in realtà hanno soprattutto paura di affrontare la putredine che li divora.

MEMORANDUM (TRADOTTI) DEL DIPARTIMENTO DI GIUSTIZIA STATUNITENSE SUL WATERBOARDING

Su Lsdi e Giornalismo e democrazia la traduzione integrale dei memorandum del Dipartimento della giustizia Usa sui metodi ‘’duri’’ di interrogatorio della Cia resi pubblici da Obama.

I quattro pareri legali sono introdotti da un articolo di Matteo Bosco Bortolaso, che da New York ha seguito tutta la vicenda, e corredati da una scheda sugli ultimi sviluppi politico-giudiziari e dall’ articolo del New York Times che nell’ aprile scorso aveva accompagnato la pubblicazione dei documenti spiegandone genesi e taglio. La traduzione dei memorandum è stata curata da Valentina Barbieri, Matteo Bosco Bortolaso, Barbara Di Fresco, Andrea Fama e Anna Martini:

http://www.lsdi.it/2010/ma-che-torture/

PER APPROFONDIRE IL TEMA DELLA TORTURA IN ITALIA

http://insorgenze.wordpress.com/

Perché proprio ora? Riguardo alla pubblicazione di uno studio sull’impatto di un attacco terroristico nucleare a Washington

Forse è una coincidenza, o forse no. Quel che mi pare certo è che Randy Larsen ragiona come uno psicopatico.

Questo è ciò che il governo degli Stati Uniti immagina sarebbe successo se i terroristi avessero fatto esplodere una bomba nucleare a pochi isolati dalla Casa Bianca: l’esplosione avrebbe distrutto tutto nel raggio di un miglio e mezzo. Un’intenso flash accecherebbe gli automobilisti a diverse miglia di distanza. Una nube radioattiva potrebbe spingersi verso Baltimora.

Ma c’è una conclusione sorprendente: una bomba da 10 chilotoni fatta esplodere da dei terroristi a Washington non  spazzerebbe via la metropoli: “Non è la fine del mondo”, ha detto Randy Larsen, un colonnello in pensione dell’Aeronautica Militare e fondatore dell’Institute for Homeland Security. “Non è uno scenario da guerra fredda”.

Il Campidoglio (United States Capitol), la Corte Suprema, i monumenti a Washington, Lincoln e Jefferson, nonché il Pentagono, si troverebbero in aree caratterizzate da “danni leggeri” e lievi lesioni.

Lo studio intitolato “I fattori chiave di una risposta pianificata ad un attentato terroristico nucleare,” è stato realizzato nel mese di novembre dal Dipartimento della sicurezza nazionale (Homeland Security) e dalla National Nuclear Security Administration.

Martedì scorso, la Casa Bianca ha rivelato che la minaccia del terrorismo nucleare è stata una delle questioni centrali nei recenti colloqui tra il presidente Barack Obama e il primo ministro del Pakistan.

C’è un precedente importante.

Il 27 maggio del 2004 il Washington Post pubblicò un articolo dal titolo “Haig disse che Nixon aveva ironizzato sull’idea di far esplodere una bomba atomica sul Congresso”. Era il marzo del 1974, alcuni mesi prima del suo impeachment, il capo di stato maggiore era il generale Alexander Haig, il segretario di stato era Henry Kissinger. Haig rivelò a Kissinger che Nixon gli aveva chiesto di “portargli la palla”, che nel gergo significava i codici per ordinare degli attacchi nucleari, e che intendeva usarla contro la Collina, ossia il Congresso – un messaggio in stile mafioso per chi intendeva farlo destituire. La scelta del quotidiano principe dell’establishment di riesumare la notizia in piena Guerra al Terrore forse non fu casuale.

Webster Tarpley ha ipotizzato che in quei mesi che fosse in preparazione un superattentato che sarebbe servito a provocare una guerra con l’Iran, per sventare il fallimento dell’occupazione dell’Iraq, con una disperata fuga in avanti. L’attacco si sarebbe verificato verosimilmente nell’ottobre del 2004. Lo temevano anche Jacques Chirac e Dominique de Villepin  che si spesero in prima persona per scongiurarlo e si meriterebbero il Nobel per la Pace di Obama. Invece hanno ricevuto fango:

http://www.serendipity.li/wot/tarpley/tarpley.htm

http://www.meforum.org/772/the-chirac-doctrine
http://dust.it/articolo-diario/la-strategia-del-fango/

http://www.eurasia-rivista.org/silvia-coattori-intervista-giorgio-s-frankel-israele-non-cedera-mai-i-territori-occupati/9570/

Il piano prevedeva un bombardamento preventivo israelo-statunitense dei siti nucleari iraniani ed un possibile attacco terroristico con uso di armi di distruzione di massa sul suolo americano di cui i media avrebbero incolpato l’Iran. Per mesi si era parlato dell’imminente conflitto con l’Iran, giudicato responsabile del vigore con cui la resistenza irachena resisteva agli occupanti e, secondo Webster Tarpley, non si procedette con il piano solo perché una fazione ostile ai neocon e vicina alle forze armate americane, anch’esse contrarie a quest’azione, spifferò tempestivamente il nome di un sospetto agente del Mossad invischiato con i neocon.

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