Denunciare e basta ingenera fatalismo. Servono soluzioni alternative e concrete

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Trascrizione giornalistica dell’intervento di Preparata.

Ci viene sempre detto che non ci sono soldi per questo e per quello. Le banche non prestano. È un classico e qui già si capisce che c’è sotto qualcosa. Ci sono queste banche che hanno di fatto diritto di vita e di morte e questo non lo dico in senso sinistro, ma perché è un dato di fatto. E poi c’è questa carenza di risorse e questo senso di precarietà quasi apocalittica: non ci si può fare niente, il ciclo è governato da forze che ci sovrastano. Il problema principale non è il capitalismo in quanto tale (che va criticato), ma la gestione della moneta: quanto circola va tutto bene, quando si blocca (la bloccano) crolla tutto.

La migliore critica al sistema monetario esistente è quella di Silvio Gesell, un commerciante tedesco che lavorava molto in Argentina prima della prima guerra mondiale. Ebbe un’illuminazione e poi capì che non era un’idea inedita. Ma ebbe il merito di scrivere un opuscolo che ebbe un successo straordinario negli ambienti di chi voleva veramente cambiare il mondo.

La questione del perché siamo costretti a pagare un interesse non è una questione accademica, è una questione di rilevanza quotidiana. Gesell lo considera un tributo. La radice del male sta sì nell’avidità e nel desiderio di sfruttamento, ma si estrinseca nella moneta e nell’imposizione di un interesse da parte di chi la crea (banche private).

Tradizionalmente si è usato l’oro perché conserva la ricchezza, in quanto non è deperibile. In ogni momento puoi seppellirlo in un luogo nascosto e recuperarlo più avanti. Platone chiama l’oro “moneta greca”, mentre all’interno di ciascuna città in guerra con le altre si usano standard diversi, che possono essere metalli meno preziosi o anche materiali quasi privi di valore. E non è chiaro perché ci possa essere una moneta nobile e una moneta ignobile.

E il problema, osservava Gesell, è che la moneta come viene concepita classicamente viola una legge fondamentale della vita: tutto muore, perché tutto ha un ciclo di vita. Ma il denaro non ha un ciclo naturale di vita e di morte, non ha una data di scadenza come i prodotti che si comprano con il denaro. Il denaro è un’espressione simbolica, uno strumento convenzionale che accompagna lo scambio di cose che sono tutte moriture, pur non essendo esso stesso soggetto a deperimento. Inoltre il denaro è un simbolo, nel contempo è una merce immarcescibile ed è sottoposto a tributo in virtù dell’interesse.

Com’è possibile? Ha senso? È giusto? È inevitabile? Solo perché è un sistema in vigore dai tempi biblici è legittimato a persistere anche se favorisce chi crea il denaro e poi lo noleggia e sfavorisce chi non si vede riconosciuto il diritto di farlo e deve noleggiarlo (a interesse-tributo), indebitandosi?

Tu agricoltore sei costretto a tornare dopo un anno e ripagare il prestito…più l’interesse. Questo ti costringe a raggiungere un tasso di profitto quanto più alto possibile perché c’hai la fretta e l’onere finanziario di ripagare il debito. E quindi che fai? Se sei una città riduci i parcheggi per farci stare più auto a pagamento. Se sei un produttore cerchi di eliminare la concorrenza e di stabilire un sistema il più vicino possibile alla condizione di oligopolio (e tanti saluti al libero mercato!) che ti permetta di mentire sull’abbondanza di una risorsa (es. petrolio) convincendo i mercati che è scarsa, in modo da alzare i prezzi e ricavare maggiori profitti.

L’interesse sulla creazione di una moneta non deperibile è il peccato originale che scarica in un effetto domino sull’intera catena produttiva e sociale l’impatto dell’indebitamento.

È giusto che non si usi più l’oro e che la moneta sia un simbolo perché, come diceva Gesell, la moneta deve avere il minimo numero di proprietà fisiche, in quanto ha il compito di rappresentare il libero scambio. Ma tu non puoi possedere un simbolo. I numeri sullo schermo sono immarcescibili e gli impulsi magnetici dietro a questi numeri circolano su una rete privata che è la rete bancaria.

La loro potenza sta lì: nel monopolio concesso dallo Stato e in una griglia di rapporti costruita nel corso di moltissime generazioni che consente loro di detenere un potere di vita e di morte su economie e società.

Il che non vuol dire che sia giusto demonizzare le banche. L’alternativa avrà comunque bisogno di banche, anche se banche diverse da quelle prevalenti. Ci dovranno comunque essere carte di credito (moneta virtuale): va benissimo così. La differenza rispetto al presente è che le griglie dovranno essere aperte a tutti. Ci dovranno essere dei guadagni per i banchieri, ma non in un regime monopolistico di accentramento totale. E senza cicli artificiali spacciati per naturali, da accettare fatalisticamente.

Quand’è che le banche prestano denaro? Quando vedono prospettive di reddito -> boom (fase di euforia e di aspettative). Poi giunge il crollo e le banche smettono di prestare -> mancano i soldi.

Con la svolta neoliberista il tutto si è ridotto alla creazione di bolle da far esplodere per poter fare man bassa a saldo dei beni delle vittime del crollo. E poi si ricomincia. Queste bolle non succedono a caso. Rispondono a una precisa strategia volta ad attrarre capital negli Stati Uniti a fini egemonici per sanare bilanci e coprire le spese militari. Qui non c’è niente di casuale e non è solamente avidità. C’è anche una forte dimensione politica.

La dinamica a spasmi è innaturale, deleteria e comunque non è inevitabile. Quando esplode la bolla il sistema è oberato di debiti e si attende l’introduzione della nuova idea che dovrebbe servire a gonfiare la bolla successiva, intanto la gente è senza lavoro e le banche se ne stanno lì con le braccia conserte distribuendo bonus.

La soluzione a questo impasse è far sì che la moneta muoia come tutto il resto. Tasso negativo significa che tu c’hai sto pezzo di carta che, con il passare del tempo scompare perché a fronte di esso corrisponde tutta una serie di beni che hanno un ciclo di vita e stanno morendo.

Questa riforma è già stata sperimentata con successo (usando monete complementari locali, come si fa a Volos, in Grecia) in Baviera, Austria e Svizzera (l’arco alpino, essendo maggiormente svincolato dagli oligopoli, in quanto periferia remota, ha storicamente il compito di fungere da laboratorio sperimentale, NdR), finché le rispettive capitali non hanno soppresso questi tentativi pionieristici.

La “banconota” che hai in tasca in un anno e mezzo sarà morta (es. ci devi mettere uno stampino/francobollo al mese, finché non esaurisci lo spazio: a quel punto l’hai persa) e perciò non te la tieni nel salvadanaio, la devi investire, generando una spirale virtuosa di investimenti e prosciugando i paradisi fiscali.

NOTA DEL REDATTORE > La logica di fondo è quella del ciclo dell’acqua: la deperibilità è un incentivo a far circolare le risorse senza poter erigere delle dighe e inaridire intere regioni. Il flusso di ricchezza non si blocca mai e feconda l’intero spettro dell’economia, organicamente, senza inondazioni e siccità programmate dall’alto per poter accentrare le risorse e quindi il potere. FINE DELLA NOTA DEL REDATTORE.

La rete cooperativa locale, comunitaria, aggira e rende superflua per una serie di operazioni (lavori pubblici, compravendita di beni di prima necessità) la griglia bancaria e i suoi tassi di interesse, all’interno di un dato microcosmo socio-economico.

  • È un sistema rispettoso di Madre Natura perché è legato direttamente alla produzione di base, non alla generazione di bisogni superflui.
  • È un sistema decentrato perché la comunità sovrana si assume la responsabilità della gestione delle proprie finanze.
  • Consente comunque di usare carte di credito parallelamente alla carta moneta.
  • Non richiede l’abolizione delle valute standard come l’euro per gli scambi internazionali (sul sopracitato modello platonico: oro pan-greco e valute locali a livello locale): ogni regione potrebbe avere una sua moneta (sposalizio di bio-regionalismo ed eco-regionalismo) semplicemente impostando dei tassi di cambio che permettano a una moneta trentina di essere spesa in Veneto se uno non ha sotto mano degli euro. Una rete di banche locali federate potrebe tranquillamente gestire questo sistema.
  • Favorisce un’economia del dono in cui tutti sono spinti a investire in tutto quel che normalmente viene trascurato dai privati ma che misura la prosperità di una comunità e garantisce la dignità di ogni suo membro (es. reddito di cittadinanza, scuole materne, università, ricerca & sviluppo, sanità, biblioteche, cultura, igiene ed estetica urbana, sicurezza, opportunità di democrazia deliberativa, assistenza allo sviluppo, ecc.).

http://www.futurables.com/2015/08/30/star-trek-la-giornata-dellautonomia-e-il-tridentum-la-futura-valuta-trentina/

https://plus.google.com/+StefanoFaitFuturAbles

Emilio L.: un punto di vista “scomodo” su eurozona ed economia italiana

Mi sembrano considerazioni degne di essere dibattute, ma non hanno ricevuto l’attenzione che secondo me meritavano. Sono “scomode” perché contraddicono alcune mie convinzioni e mi sembrano più solide delle medesime. Le condivido nella speranza che qualcuno accetti la sfida di Emilio L.

“Buongiorno.
Ho letto il lavoro del Prof. Bagnai “Crisi finanziarie e governo dell’economia” e desidero condividere con l’Autore e con i Lettori alcune considerazioni, con l’auspicio di proporre spunti utili a stimolare l’approfondimento ed il confronto su tematiche così importanti per il futuro del nostro paese e scusandomi della lunghezza dell’intervento (spezzata in due post).

Facendo uno sforzo di estrema sintesi, la tesi esposta nel paper potrebbe essere così riassunta:

• Nonostante la lezione ricevuta con la crisi finanziaria del 1992, l’Italia ha perseverato nell’errore di entrare nella moneta unica, per motivazioni politiche che nulla hanno a che fare con il benessere della gente.

• Purtroppo l’Italia è meno competitiva della Germania e degli altri paesi dell’area marco, ed avendo perso ogni possibilità di riequilibrio delle ragioni di scambio attraverso la svalutazione, questo riequilibrio può avvenire solo sulla pelle dei lavoratori, attraverso moderazione salariale e flessibilità. Né la politica fiscale può più essere utilizzata liberamente in funzione anticiclica, a causa dell’introduzione di criteri di convergenza che hanno posto un tetto al disavanzo pubblico.

• In queste circostanze il nostro deficit delle partite correnti ha finito per ampliarsi, anche a causa della politica “sleale” attuata dalla Germania di contenimento del tasso di crescita dei propri prezzi e salari, al di sotto del livello degli altri paesi.

• Questa nuova crisi finanziaria trae dunque origine proprio dal deficit strutturale delle partite correnti, piuttosto che dal debito pubblico, che anzi negli anni pre-crisi si era ridotto.

• Per concludere, la moneta unica è uno strumento di dominio e sopraffazione della Germania: l’unica, inevitabile soluzione è uscirne al più presto!

Seguono adesso alcune considerazioni.

• Come scrive l’Autore, la crisi finanziaria c’è perché qualcuno ha preso in prestito dei soldi che non riesce a restituire ed è internazionale perché creditore e debitore risiedono in paesi diversi. Nella crisi italiana, esplosa nella seconda metà del 2011, i debitori sono lo Stato e le banche nazionali, l’insolvenza non si è ancora verificata, ma il rischio percepito ha fatto schizzare in alto il premio che i creditori pretendono per continuare a rifinanziare il debito.
• I problemi di affidabilità delle banche sono in realtà riconducibili a quello dello Stato: fino a metà dello scorso anno ci si compiaceva che le nostre banche fossero uscite praticamente indenni dalla crisi in quanto, a differenza di quelle degli altri paesi, non avevano finanziato grosse bolle immobiliari e non avevano investito in titoli tossici o di paesi a rischio. La credibilità delle banche italiane è iniziata a colare a picco insieme a quella dello Stato, quando gli investitori internazionali si sono resi conto che esse avevano in portafoglio ingenti quantità di titoli di stato e che in caso di avversità lo Stato non avrebbe trovato facilmente le risorse per ripatrimonializzarle.

• Il debitore in crisi è dunque lo Stato italiano, ma l’Autore sembra non volerlo ammettere.

È vero che le evidenze non hanno permesso agli economisti di sviluppare una teoria universalmente accettata della sostenibilità del debito pubblico, ciò non di meno il problema della sostenibilità del debito pubblico italiano esiste nel concreto. È vero che negli anni precedenti la crisi il debito pubblico si è ridotto in rapporto al PIL, ma considerato il livello da cui si partiva esso si è comunque mantenuto troppo elevato (forse non per gli economisti, ma sicuramente per i creditori).

• Il ragionamento dell’Autore sulla sostenibilità del debito sembra essere questo: trattandosi del rapporto tra due grandezze, l’entità del debito pubblico al numeratore e la capacità del paese di creare ricchezza al denominatore, misurabile dal PIL, non sarebbe il debito ad essere troppo elevato, bensì il PIL troppo basso, in quanto la sua crescita sarebbe stata minata dal deficit strutturale delle partite correnti verso l’estero provocato dalla moneta unica.
• La causa della crisi finanziaria italiana sarebbe dunque da ricondurre non tanto all’entità del debito pubblico in sé, bensì ai vincoli della moneta unica imposti dai perfidi tedeschi, che ci hanno impedito di ricorrere ancora una volta alla svalutazione per rendere i nostri prodotti più convenienti e riequilibrare il deficit della bilancia commerciale, che è alla base del saldo delle partite correnti.

• Tale situazione sarebbe poi esasperata dal fatto che la Germania opera per rendere i propri prodotti ancora più competitivi attraverso il controllo dell’inflazione ed una crescita salariale contenuta entro i limiti della produttività, attuando così un’odiosa politica di svalutazione reale competitiva (beggar-thy-neisurplusghbour) che andrebbe punita dagli altri paesi.

• Il primo dubbio è di natura etica: se si depreca la Germania per la sua svalutazione reale non è chiaro il motivo per il quale la svalutazione del cambio che l’Autore propone per l’Italia dovrebbe risultare invece più legittima e meno odiosa per i paesi vicini…

• Venendo alla tesi centrale, che la crisi del nostro debito pubblico sia da attribuirsi non tanto alla sua dimensione bensì alla particolare debolezza delle nostre ragioni di scambio con l’estero, non si comprende allora perché gli investitori avrebbero dovuto colpire proprio l’Italia, una delle poche economie a livello mondiale che presenta ancora un surplus negli scambi di prodotti industriali non alimentari, lasciando invece indenne la Francia che presenta una bilancia commerciale strutturalmente peggiore rispetto alla nostra!

• Né si comprende perché l’indebolimento della nostra bilancia commerciale, che pure c’è stato ma non solo per l’Italia, debba essere attribuito alla concorrenza tedesca, quando in gran parte esso è dipeso dall’espansione commerciale della Cina, che hanno sottratto quote di mercato alle nostre produzioni più tradizionali (tessile, abbigliamento, mobili, etc.).

• Se si hanno a cuore le sorti delle imprese che si confrontano quotidianamente con la competizione internazionale, si provi a chiedere ai diretti interessati quali siano i fattori di freno: carico fiscale sul lavoro e sulle imprese, alto costo dell’energia, risorse insufficienti per la politica industriale, giustizia inefficiente. Tutti problemi che chiamano in causa l’entità delle spesa pubblica e l’efficacia delle politiche attuate. Nessuno parla di euro e di svalutazione competitiva.
• Volendo concludere, la personale opinione è che abbiamo più che mai bisogno della lucidità e coesione necessari ad affrontare tre grandi nodi rimasti irrisolti: 1) la riqualificazione della spesa pubblica ed il reperimento delle risorse da destinare allo sviluppo; 2) una riforma del sistema fiscale, che contemperi l’obiettivo di incentivare nuovi investimenti produttivi, con quello di ridistribuire il carico su redditi evasi e patrimoni; 3) un approccio cooperativo tra lavoratori e imprese, basato sulla programmazione di obiettivi comuni di competitività, investimento e compartecipazione ai risultati.
• Per raggiungere questi obiettivi non sembra utile addossare ad altri la responsabilità dei nostri malanni e proporre fughe indietro nel tempo, ad un “età dell’oro” che non c’è mai stata (altrimenti, chi ci avrebbe potuto costringere ad abbandonarla per cercare nuove strade ?).

Cordiali saluti.

Emilio L.

DIALOGO IMMAGINARIO CON IL PROF. ALBERTO BAGNAI

Gentile Professore,

ho iniziato a frequentare con interesse il suo blog per comprendere ragioni e prospettive della proposta di abbandono dall’euro, che sta alimentando tanta parte del dibattito a sinistra.

A tale fine, ho letto con attenzione il suo paper e ne ho tratto spunto per alcune considerazioni che mi piacerebbe poter condividere con Lei e con i Lettori del blog, nell’auspicio che possano essere di stimolo per ulteriori approfondimenti e confronti di opinione.

Ho inviato tali mie considerazioni nella mattina di domenica 23, in risposta al suo post “Liquidità o compensazione: quale Bretton Woods?”. Ma non avendo finora visto la pubblicazione, ne ho desunto che sicuramente si doveva essere verificato un problema tecnico e mi sono permesso di inviarLe la presente per riproporre nuovamente quanto sopra.

Nel ringraziare per l’attenzione e lo spazio che vorrà riservarmi, desidero esprimerLe apprezzamento per lo sforzo di ricerca e divulgazione di nuove linee di pensiero, nonché il mio augurio per l’esercizio equilibrato della sua responsabilità di accompagnare crescita culturale e apertura mentale dei giovani studenti che le sono affidati.

Un cordiale saluto.

RISPOSTA
Guardi, nel mio blog mi sono dato la regola di non pubblicare commenti a puntate, come lei saprebbe se avesse letto le istruzioni. Trovo molto significative le sue considerazioni e le pubblicherò in un post, in tempi direttamente proporzionali all’insistenza dei suoi solleciti (cosa altresì chiarita nelle istruzioni).
Cordialmente.

REPLICA
La ringrazio, non era mia intenzione forzarle la mano.

Cordiali saluti.

RISPOSTA
Non si preoccupi, è che sono molto preso dal libro del quale lei ha praticamente scritto la recensione. Mi interesserà molto vedere su quali dati e competenze la appoggia, ma prima occorre che la pubblichi, è inutile che ne parliamo in privato.

A presto.

REPLICA
Buonasera,
spero stia bene.

Ieri verso le 14.00 ho inviato un contributo sul post “Catalano alla riscossa”. In sintesi: la tesi da lei sostenuta nel post è che l’esplosione del debito pubblico negli anni Ottanta sia stata causata dalla crescita dei tassi di interesse, conseguente la svolta in senso restrittivo delle politiche monetarie a livello internazionale, piuttosto che dai disavanzi pubblici (eccesso di spesa rispetto alle entrate fiscali o viceversa).

La mia osservazione era circa questa

• tra 1980 e 1992 il debito pubblico italiano è esploso dal 58 al 116% del PIL (+60 p.p.);

• nello stesso periodo il debito pubblico delle altre grandi economie industriali con cui siamo usi confrontarci (ger, fra, uk, us, jpn) è cresciuto molto meno;

• come si spiega questa divergenza, considerato che il tasso di interesse reale sul debito pubblico italiano, sebbene in forte crescita rispetto ai valori negativi degli anni Settanta, si manteneva comunque inferiore a quello degli altri paesi?

• Hanno forse sbagliato gli altri paesi … ?

Salvo che non sia dipeso da un problema tecnico (nel qual caso la prego di non considerare quanto segue) riterrei che la sua decisione di non dare visibilità al mio punto di vista possa essere interpretata in uno dei modi seguenti:

1.sta valutando la risposta più opportuna, in quanto non ne ha una immediatamente pronta;

2.non ha intenzione di rispondere, in quanto la risposta potrebbe instillare nella sua piccola corte la sensazione che la realtà è sempre più complessa dell’interpretazione data secondo schemi ideologici predefiniti (sia ortodossi che eterodossi).

Se invece ritiene che la mia osservazione sia basata sull’errore e vuole evitarmi il pubblico ludibrio, beh! la ringrazio, ma ho le spalle grosse e in fondo “sbagliando si impara”.

Per concludere, so bene che si tratta di casa sua e che lei può farci entrare chi vuole … ma non conoscendola di persona desideravo solo comprendere di che pasta è fatto veramente. Capire se lei, che dimostra così tanta passione e capacità nel denunciare il pensiero unico, i condizionamenti del potere, etc. etc. … nel suo piccolo usa poi le stesse odiose strategie per creare e difendere il piedistallo su cui si è issato.

Un cordiale saluto.

ALESSIO

@Emilio L.
Secondo me ha fatto benissimo il prof. Bagnai a non risponderti. D’altronde perché dovrebbe perdere tempo con una persona che non conosce la differenza tra la bilancia commerciale dei beni industriali e la bilancia dei pagamenti? E poi, ti è mai venuto in mente che usare la svalutazione attraverso la flessibilità del cambio della moneta serva semplicemente per difendersi dalla svalutazione reale attuata da un paese che, in un regime di cambi fissi, ha violato i trattati non rispettando il tetto del 2% dell’inflazione? Delle due, l’una, o sei ignorante, per cui ti mancano le conoscenze basilari per fare una ricostruzione cronologica dei fatti che hanno scatenato la crisi dell’eurozona, oppure sei in malafede.

Gentile Alessio,

ti ringrazio per la risposta. Personalmente mi sento ancora “in ricerca”: desidero capire, non ho risposte pronte e verità incontrovertibili in tasca. Apprezzo taluni aspetti della democrazia che purtroppo sono stati persi nel dibattito politico, quali il confronto basato sui fatti ed il rispetto delle persone. Io apprezzo il Prof. Bagnai e ne seguo costantemente il blog, quello che mi ha ferito è stato appunto il vedere applicate su di me quelle stesse forme di censura che si erge a denunciare. Da questo punto di vista, è più apprezzabile un blog come questo che mi concede liberamente spazio e mi permette di entrare in contatto e confrontarmi con persone come te. Quanto ai contenuti, ti faccio solo alcune domande:

1) Se trovi odiosa la svalutazione reale della Germania, come pensi che i tedeschi abbiano reagito alle continue svalutazioni nominali cui l’Italia è dovuta ricorrere dagli anni Settanta fino al 1992-94 ? Credi che sia politicamente possibile mantenere una zona di libero scambio senza stabilità valutaria?

2) Cosa o chi credi che abbia generato la maggiore inflazione che l’Italia ha sperimentato dall’entrata dell’euro in poi e che ne ha rivalutato il cambio reale? Credi tale fenomeno sia stato un bene per i lavoratori ? Credi che uscendo dall’euro le cause di questo zoccolo di inflazione si risolvano?

3) Da ultimo, in un mondo che è radicalmente cambiato rispetto a quello della grande svalutazione 1992-94, credi che svalutare risolva tutti i nostri problemi: saremo in grado di riprenderci le produzioni che sono state progressivamente trasferite in Cina e nell’Europa dell’est (tessile, abbigliamento, mobili, etc.) ? Saremo all’altezza di fare concorrenza alle produzioni ad elevata intensità di capitale/ricerca su cui la Germania ha costruito il suo export e che le permettono alle aziende tedesche di pagare già oggi un costo del lavoro superiore del 40% rispetto all’Italia ? L’unica certezza è che pagheremo di più petrolio e materie prime (70 mld di import netto nel 2011) e tutte le altre cose che non siamo più in grado di realizzare in Italia (chimica fine, farmaceutica, elettronica, aeromobili, etc.).

Un cordiale (e democratico) saluto.

Emilio L.

http://www.sinistrainrete.info/europa/2288-alberto-bagnai-tecnica-e-politica.html

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