Giuliano Santoro, “Un grillo qualunque. Il Movimento 5 Stelle e il populismo digitale nella crisi dei partiti italiani” (2012)

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Grillo-Casaleggio_metafora

“Senza di me torna il fascismo” (Grillo)

“CasaPound? Perché no se hanno le nostre idee” (Grillo)

Il leader di Forza Nuova, Roberto Fiore: «[Grillo] non si è mischiato con il potere e sullo ‘ius sanguinis’ la pensiamo allo stesso modo. Non si può escludere un’alleanza».

CasaPound: «E’ il catalizzatore di un dissenso in virtù di alcuni suoi messaggi politici che condividiamo»

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“Sì, nel movimento c’è razzismo e ignoranza, ma”

“Sì, molti temi sono affrontati in maniera superficiale e confusa, ma”

“Sì, Benetazzo è disprezzabile, ma”

“Sì, Grillo sull’immigrazione si appiattisce sulla vulgata dominante, ma”

“Sì, c’è il rischio di diventare una Lega Nord ecologista, ma”

“Sì, c’è un problema di verticismo, ma”

Wu Ming 1, gennaio 2012

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A) La Casaleggio Associati detta tutto ciò che Grillo fa e dice, espelle, caccia, accetta, dirige, e il comico obbedisce.

B) La Casaleggio Associati è un’impresa con legami a 360 gradi nel mondo bancario internazionale, delle Telecom, della speculazione in equities, ha un fatturato e deve rispondere a quello.

C) Il M5S è il primo partito italiano nella storia del Paese che è interamente controllato da un’azienda privata specializzata in massificazione e massmanipolazione di massa. Assai più radicalmente del PDL. Neppure negli USA questo è mai stato possibile.

D) Alle primarie del M5S potevano partecipare come votanti gli iscritti al movimento “che devono però essere controllati da noi su chi sono e cosa fanno” (Grillo). Neppure la Stasi aveva questa regola.

F) Il M5S deve sgobbare gratis per anni perché “noi non abbiamo soldi”, dice Grillo, che dichiara 4 milioni di euro all’anno. Per non parlare del fatturato di Casaleggio.

G) Grillo dice “io non ti devo dimostrare di essere onesto, o ti fidi o non ti fidi”, proprio come in Scientology, o come nelle dittature.

http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=11309

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Quante volte, nella storia, a partire dai giacobini, i movimenti che si autodefinivano ultra-democratici si sono dimostrati antidemocratici?

Il M5S è una macchia di Rorschach: ognuno ci vede quel che è portato a vederci. Per questo non sarà mai un qualcosa di definito: solo così può continuare a catturare consensi a destra, centro e sinistra. Per la stessa ragione non avrà mai un progetto politico di governo e dei candidati in grado di ricoprire incarichi di governo.
Scomparirà spontaneamente quando ci sarà una sinistra in grado di governare.

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GAIA – THE FUTURE OF POLITICS (i nuovi Conquistadores Cosmici)
“Nel corso di una terza guerra mondiale tra i buoni e i cattivi che accelererà i cambiamenti climatici nella direzione prevista da Al Gore, si verificherà la riduzione della popolazione mondiale ad un 1 miliardo di persone. Un nuovo Movimento Ambientalista risolverà tutti i problemi mondiali. Chi non è su Earthlink non esisterà (sic!). Sarà introdotta un’Intelligenza Artificiale Planetaria, chiamata BRAIN TRUST, che spiegherà a tutti come risolvere i problemi quotidiani, condividendo tutti i dati online. Ci sarà l’elezione in rete di un governo mondiale chiamato GAIA che abolirà partiti, ideologie e religioni. La conoscenza collettiva sarà la nuova norma”.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/01/totalitarismo-cosmico-grillo-gaia-casaleggio/

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Giuliano Santoro, “Un grillo qualunque. Il Movimento 5 Stelle e il populismo digitale nella crisi dei partiti italiani” (Castelvecchi, 2012) 

Stralci dal libro

Il gergo di Grillo e dei grillini comprende un lungo elenco di soprannomi degli avversari politici. È una scuola, quella dei nomi storpiati, che vanta molti antenati, un albero genealogico tutto schierato a Destra che coinvolge anche il fondatore dell’Uomo Qualunque Guglielmo Giannini, che chiamava il padre costituente Pietro Calamandrei «Caccamandrei» o l’azionista Luigi Salvatorelli, additato in quanto sostenitore delle epurazioni dei fascisti dalle istituzioni, «Servitorelli». Dopo di lui, ci fu Emilio Fede, che infastidito dal consenso dilagante alla contestazione al G8 di Genova, nel 2001, decise di storpiare i nomi di due dei portavoce di quel movimento, Luca Casarini e Vittorio Agnoletto, chiamandoli «Casarotto» e «Agnolini». In quel caso, sbagliare i nomi deliberatamente equivaleva a dire: «Non pensiate di essere diventati noti al grande pubblico, io ad esempio non ricordo mai i vostri cognomi». (…)

Nel mondo di Beppe Grillo il passato non esiste. Esiste solamente il futuro della «nuova era», della Rete, della mutazione antropologica. Le idee senza parole sono costituite prevalentemente da una costruzione mitologica che non ha certo inventato Grillo ma di cui il comico genovese si nutre a piene mani. I politici (riuniti nella «Casta») sono vecchi, la scuola che frequentano i vostri figli è vecchia, le ideologie sono vecchie. Nuova è la Rete, come mondo mitologico, organico, a-conflittuale, nel quale ogni cosa assume il suo ordine naturale. «Nel salotto di casa, collegandosi alla Rete, si potrà creare qualsiasi oggetto da una penna a un fischietto», scrivono Grillo e Casaleggio in Siamo in guerra. «La possibilità di comunicare in Rete attraverso il pensiero da ipotesi di fantascienza è diventata realtà». La tecnologia non viene descritta per quello che è, cioè un complesso campo di forze, uno spazio di tensione tra diversi interessi. Al contrario, la tecnologia diventa una sorta di panacea. Sono concetti che vengono ripetuti continuamente, mai spiegati fino in fondo, fino a rappresentare un elemento identitario, un universo di segni di riconoscimento cui attingere.

È quella che Wu Ming 1, in un articolo molto dibattuto sul «feticismo digitale» ha definito «narrazione tossica»: «La tecnologia come forza autonoma, soggetto dotato di un suo spirito, realtà che si evolve da sola, spontaneamente e teleologicamente». L’approccio alla «Rete» dei grillini, dice in un’altra occasione Wu Ming 1, «vede nella tecnologia una forza autonoma, trascendente le relazioni sociali e le strutture che invece la plasmano, determinandone sviluppo e adozione. La Rete diventa una sorta di divinità, protagonista di una narrazione escatologica in cui scompaiono i partiti (nel senso originario di fazioni, differenze organizzate) per lasciare il posto a una società mondiale armonica, organicista. L’utopia di un uomo è la distopia di un altro».

http://comune-info.net/2012/10/i-salti-del-grillo-tra-tv-rete-e-politica/

«I post critici sul forum del Movimento 5 Stelle spesso vengono cassati», racconta il consigliere ferrarese (epurato) Valentino Tavolazzi: «Ci sono tantissimi esempi di cancellazione di commenti “scomodi”. E poi ci sono troll che disinformano o infamano. A me ne hanno dette di tutti i colori. Per fortuna non ho niente da nascondere, altrimenti sarei già morto da un pezzo. È proibito criticare Grillo, se lo fai non ti danno tregua. Che sia una strategia precisa o una reazione spontanea dettata dal fanatismo, o forse entrambe le cose».

http://pubblicogiornale.it/politica/grillo-e-tavolazzi-storia-di-unepurazionesantoroqualunque/

Santoro, il suo libro racconta Beppe Grillo dalle origini, dai tempi del cabaret e della televisione, e offre così una prospettiva lunga sul personaggio. Un parallelismo che emerge con forza, dal rapporto con Antonio Ricci (che è stato un suo autore) al fiuto mediatico, è, in fondo, quello con Silvio Berlusconi. Viene da pensare: davvero dopo la fine del berlusconismo siamo destinati a rivivere ancora una volta il brutto film degli anni Ottanta?

Piccola premessa di metodo. “Un Grillo Qualunque” non è un libro dettato dall’urgenza del momento, serve a muoversi nello scenario attuale ma al tempo stesso affonda su più livelli e si muove su molti piani, a cavallo tra studi culturali, sociologia dei media e politologia. Ricostruendo la genealogia del grillismo parto dal Beppe Grillo personaggio dello spettacolo. Questo ci consente di comprendere due elementi.
Primo: che Grillo ha imparato il linguaggio televisivo, della televisione mainstream, da Antonio Ricci, cioè da quello che molti hanno indicato come vero ideologo del pensiero debole berlusconiano, dall’uomo che ha inventato il tg satirico “Striscia la notizia” per Berlusconi, facendo credere agli italiani che il Gabibbo e L’Uomo Ventosa erano giornalisti di inchiesta e mettendo davanti alle tavole imbandite per cena le Veline, cioè la donna-oggetto per eccellenza. Tra un tormentone e una scollatura, Ricci ha persino preteso di apparire come un “situazionista”, un uomo “contro”. Per questo non bisogna stupirsi se, dopo anni di colonizzazione berlusconian-ricciana, tanti pensano che davvero il grillismo sia addirittura una “rivoluzione”. Del resto, non bisogna stupirsi: c’era gente in questo paese che pensava che Calderoli avrebbe fatto la secessione!

Secondo elemento: Grillo non è affatto espressione della Rete. Al contrario è la prova conclamata del fatto che da qualche anno la Rete è stata colonizzata dalla televisione, ne ha assunto tic, gerarchie e strutture linguistiche. Avete mai visto Grillo confrontarsi con qualcuno, online oppure nella vita reale? Ovviamente no. Ecco perché parlo di “populismo digitale”. Si usa la Rete per reinvestire il proprio capitale di fama acquisito tramite la televisione e per portarvi logiche televisive.

[…].

Grillo sfonda in Veneto e in tutto il Nord. Ciò accade principalmente perché lucra sulla crisi delle destre. Il suo boom elettorale corrisponde con precisione millimetrica al crollo del Pdl e della Lega. Non voglio semplificare troppo, la questione è complessa e ci sono delle eccezioni, ma tutti gli indicatori al momento ci dicono che Grillo prende i voti dei delusi da Bossi e Berlusconi. In Veneto è la stessa cosa: gli orfani della Dc hanno fatto la fortuna della Lega e adesso, in attesa di nuovi equilibri, gli orfani di Silvio e gli elettori disillusi da Umberto votano per il Movimento 5 Stelle. Non è un caso che Grillo negli anni abbia usato toni molto simili quelli della destra contro gli immigrati, dimostrando in questo caso di essere davvero poco alternativo ai canoni dominanti.

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Grillo fa un gioco di rappresentazione e rappresentanza delle istanze di cambiamento. Come altre volte è successo nella storia del nostro paese, canalizza l’attenzione dei frustrati, di gente che – sia chiaro – ha tutto il diritto e tutte le ragioni di questo mondo per mandare a quel paese la classe politica. Il problema è che questa rabbia viene canalizzata dentro un progetto confuso e tutto dentro le logiche dello spettacolo, in cui si sostiene tutto e il contrario di tutto. Cose giuste e vere si mescolano a proposte assurde.

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Mi sono chiesto: che cos’è oggi il Movimento 5 Stelle? Lavorando a questo libro ho scoperto che opera praticamente solo quando si tratta di votare. È una macchina acchiappa-voti, che svuota le piazze e fa illudere la gente che soltanto andando a votare contro la cosiddetta “Casta” verrà il cambiamento, che basta sostituire una classe politica con un’altra per ottenere qualcosa. In questo contesto, è importante verificare come l’azione del movimenti sociali veri tolga spazio al Movimento spettacolare di Grillo.

Sono stato a Vicenza negli anni scorsi e ho assistito da vicino alla straordinaria emersione del movimento No Dal Molin, ho visto come le due culture presenti sul vostro territorio – schematizzando un po’, quella dei centri sociali e quella del pacifismo radicale – hanno messo in piedi un’esperienza in grado al tempo stesso di radicarsi nel locale e porre questioni globali, universali. Quando i movimenti veri mordono, Grillo ha meno spazio perché la delusione e la rabbia trovano ricettori più pronti e meno virtuali.

http://www.nuovavicenza.it/2012/10/un-grillo-qualunque-ecco-perche-i-5-stelle-sfondano-in-veneto/

Come spiega Giuliano Santoro in un libro acuto sul “populismo digitale” del Movimento 5 Stelle (Un grillo qualunque, Castelvecchi, pp.176, euro 16), rispetto al situazionismo il grillismo usa l’invisibilità, il silenzio, l’idea del candidato senza volto (televisivo) come arma per alimentare l’attesa di un messaggio messianico, creando una suspense narrativa che esalta la connessione diretta (“sentimentale” direbbe Gramsci) tra il leader-attore e il suo “popolo“.

[…].

Grillo fonda la sua impresa politica su attivisti che vivono nelle città piccole e grandi, detengono risorse immateriali in termini di tempo, istruzione e competenze.

Sono precari e freelance del lavoro della conoscenza e sono stati investiti da quel processo di proletarizzazione del ceto medio che condanna all’inoccupazione generale, oltre che al “disallineamento” tra la formazione dei plurititolati con lauree e master e la loro occupabilità sul mercato del lavoro. E’ questo il dramma della crisi del terziario avanzato che non ha voce in Italia. Oggi Grillo sembra offrire una sponda a questi nativi digitali, ai nuovi poveri, ai non rappresentati, ai “neet” disprezzati dal governo dei professori, agli esclusi dalla democrazia rappresentativa costruita sulla violenza della cooptazione, la corruzione, il corporativismo di una società all’ultimo stadio della decomposizione. Chiaramente non offre soluzioni, ma esalta il discorso della rete come elemento salvifico che si risolve in un individualismo esasperato. 

Il suo movimento non è interessato ad una proposta costituente alla ricerca di una forma comune della vita politica, ma conferma l’idea che l’individuo ritrova il suo protagonismo nella democrazia diretta, cioè nell’illusione della partecipazione senza filtri al reality messo in scena dal leader contro il mondo cattivo delle caste. Questa ricetta farà piazza pulita di ciò che resta dei partiti tradizionali dell’opposizione, a partire dalla sinistra “radicale” e del suo infimo spettro che barcolla ancora sulla scena. Ma questo è meno interessante rispetto alla ricetta di Grillo contro la crisi. Il comico genovese e il suo guru telematico Casaleggio riabilitano il dogma del libero mercato al tempo del fallimento del neo-liberismo.

“Nè di sinistra, né di destra”

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Grillo viene percepito come anti-tutto e per questo prende voti sia a sinistra sia a destra. In un paese dove i nuovi assunti sono all’80 per cento precari, dove i “neet” sono 2,2 milioni, la disoccupazione giovanile è al 35,1 per cento (terza dopo Spagna e Grecia che sono ad oltre il 50%), mentre il governo Monti ha escluso ogni speranza di integrazione sociale e lavorativa, anche uno spazzino viene visto come membro della Casta – cioè della cittadella del lavoro garantito mediante raccomandazioni o cooptazione – in quanto dipendente pubblico a tempo indeterminato.

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Scriveva tempo fa Wu Ming 1: il «grillismo» mi appare sempre più come un movimento di destra: diversivo, poujadista, sovente forcaiolo, indifferente a ogni tradizione (anche recente) culturale e di lotta, noncurante di ogni provenienza politica […] Il modo in cui il movimento descrive se stesso trasuda di quella retorica dei «processi dal basso» che il grillismo ha avuto in dote dai movimenti altermondialisti di inizio secolo e si è adoperato a ricontestualizzare. Per molti versi, il grillismo è un prodotto della sconfitta dei movimenti altermondialisti: ha occupato lo spazio lasciato vuoto da quel riflusso.

Roberto Ciccarelli, Manifesto

http://furiacervelli.blogspot.it/2012/11/grillo-la-precarieta-diventa-un-reality.html?spref=tw

«Beppe Grillo non incarna né il padre permissivo, cioè la figura della sinistra, né quello responsabile, della destra. Piuttosto è lo zio che ti fa divertire e ti lascia nei guai».

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La tv resta però il suo modello. «A Genova Grillo faceva spettacoli per il partito liberale, è scoperto da Alfredo Biondi, poi chiamato da Pippo Baudo in tv, dove fa dei monologhi, e quando gliene chiedono di nuovi lui chiama l’amico Antonio Ricci per scriverli. Dopo verranno Serra e Benni, ma è Ricci che lo caratterizza, e che al tempo del crac Parmalat, quando ancora Grillo è senza rete, gli offre spazio su Striscia la notizia». In tv nasce il Grillo politico («che costruisce un’ideologia prêt-à-porter, in cui ognuno vede quel che vuole»), e nel web porta la tv.

E arriva alle urne. Ma per Wu Ming 2, ripartendo dal libro, si scopre che «il risultato elettorale del M5S è in realtà scarso laddove sono candidati volti non associabili all’establishment, come dimostrano i casi Pisapia e De Magistris»; e soprattutto che «il successo si gioca nella relazione con le lotte locali, con i movimenti preesistenti». Qui bisogna fare attenzione, perché «in Sicilia la retorica dei meetup, del movimento di movimenti, è risultata falsa. Là esistono pochi meetup, e l’affermazione del M5S è stata una sorta di delega per mandar via i vecchi volti». Inoltre «il M5S ha una visione schiacciata del passato, i grillini pensano che le lotte siano sempre partite da loro, da Grillo, come per l’acqua pubblica… non sanno che esistevano comitati radicati nei territori da decenni». «E se in effetti Grillo è stato il primo in Italia a parlare di ogm, e se firmava appelli con Alex Zanotelli – aggiunge Marco Trotta – ora sono spariti dalla sua agenda sfruttamento e ridistribuzione delle ricchezze».

http://caffeletterario-bologna.blogautore.repubblica.it/2012/12/09/un-grillo-qualunque-nella-crisi-politica/

Movimento 5 Stelle, ma il programma dov’è?

di Marco Trotta | 12 dicembre 2012

Ma soprattutto non si sa che programma e proposte andranno a portare in Parlamento. Il sito dove si prometteva di scrivere il programma elettorale insieme ai cittadini non è mai partito. Alle persone che mi dicono che voteranno il M5S alle prossime elezioni, contribuendo al 20% pronosticato dai sondaggi, chiedo: ma oltre a sapere sulla fiducia autocertificata da loro o dallo staff di Grilo che sono incensurate, sai come la pensano del Fiscal Compact? Cosa vogliono fare della legge Fornero che ha abolito, tra gli altri l’articolo 18? Cosa pensano delle missioni all’estero, delle spese militari? Cosa pensano del sistema sanitario nazionale? Della scuola pubblica?

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/12/12/movimento-5-stelle-ma-il-programma-dove-2/417409/

INTERVISTA A GIULIANO SANTORO

Lo scarto di cui parli è uno dei tanti paradossi del grillismo. Provo a descriverlo: nell’era della crisi della rappresentanza politica, e della sua incapacità – diciamo così – di far da contrappeso al mercato, ecco che spunta un movimento carismatico che in nome della “democrazia diretta” (concetto che, come spiego nel libro, viene utilizzato come feticcio ideologico) punta tutto sulle elezioni per costruire il rinnovamento. È una contraddizione non da poco: Grillo all’inizio degli Anni Zero affrontava i grandi temi della globalizzazione, del global warming e della guerra spiegandoci che contava di più il modo in cui si faceva la spesa che la scheda che si metteva nell’urna. Era un modo per ribadire che il vero potere si trovava altrove, nel mercato e nelle multinazionali, e che i partiti erano solo sovrastruttura. E invece, negli ultimi due anni, siamo arrivati al punto che il Movimento 5 Stelle non fa altro che organizzare campagne elettorali permanenti, compilare liste di candidati, polemizzare con gli altri partiti. Paradosso nel paradosso: Grillo – capo carismatico, trascinatore di masse e fondatore del Movimento – almeno per il momento non si candida e anzi trae forza da questo non mescolarsi con “la politica”. Ciò forse avviene perché in questo modo è come se tutti i candidati fossero Grillo. A meno che qualcuno non sia così ingenuo da pensare che i voti li prendono i cittadini che spauriti compaiono a fare da scenografia ai comizi-spettacolo del comico-leader.

Ho trovato molto interessante la tua analisi di alcune sconfitte elettorali del M5S. Dalla Vicenza dei No Dal Molin, alla Milano di Pisapia alla Napoli di De Magistris, appare chiaro che i Cinque Stelle si trovano in grave imbarazzo di fronte a due componenti: un movimento territoriale forte e la candidatura di outsider che rompono il frame “Grillo contro La Casta”.

[…]

in tutta Europa, e anche negli Stati Uniti per certi versi, la gente protesta contro le politiche di austerità, tenta di organizzarsi dal basso per rompere la gabbia dei sacrifici. In Italia, dove pure abbiamo una certa tradizione quanto a movimenti sociali, tantissime delle persone che potrebbero mobilitarsi si limitano ad aspettare il giorno delle elezioni, per poter sostituire quelli della “Casta” con altri eletti, che peraltro non si sa come vengano scelti e messi in lista. Come se questo davvero potesse cambiare la situazione.

Anche a questa contraddizione è legata l’urgenza di scrivere questo libro, che si rivolge a tutti quelli che orientano la loro rabbia verso obiettivi sbagliati e alla ricerca di soluzioni inesistenti. Grillo non è la risposta giusta perché risponde ad una domanda erronea in partenza. Grillo non risponde alla domanda “Come facciamo a costruire altre relazioni di potere e di produzione?”. Oppure, non si chiede: “Come si fa a ottenere una più equa distribuzione della ricchezza?”. La domanda alla quale risponde Grillo è “Come si fa ad andare nei palazzi del potere al posto di quelli là?”.

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Intanto una premessa. Grillo dice: “Ringraziate che ci sono io, altrimenti ci sarebbero stati i neonazisti”. Ora, a parte il fatto che non ci vuole molto ad essere “meglio dei neonazisti”, e su questo concorderebbe chiunque appartenga al consesso civile, questa è più un’affermazione minacciosa che rassicurante. Come a dire “Li tengo a bada io, questi disperati”. Se fossi un elettore dei 5 Stelle mi incazzerei.

Il Partito Pirata ha molte analogie con il Movimento 5 Stelle. C’è la grossa differenza della struttura proprietaria e verticistica messa in piedi dallo Zio Beppe. Ma li accomuna un’ideologia profondamente liberista. Sia i grillini che i piraten, in fondo, pensano che la Rete serva a ristabilire la libera concorrenza, che in questo spazio virtuale si possa realizzare l’utopia liberale della “mano invisibile” che premia i più meritevoli e fa vincere la “verità”. Ancora una volta: non esistono classi, rapporti di forza, conflitti. Esistono solo individui che finalmente avrebbero opportunità di realizzarsi. Quelli del Partito Pirata, ad esempio, sono a favore del reddito minimo garantito perché sostengono che questo permetterebbe a chiunque di concorrere sul mercato in maniera più efficace. Il reddito non è un diritto, è uno strumento per perfezionare il funzionamento della libera concorrenza.

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Il libro contiene una specie di disamina dello schema argomentativo (che si ripete sempre uguale) del troll grillista. È uno schema che ha dato vita anche a un gruppo su Facebook che parodizza le campagne emozionali di Grillo e che si chiama “Siamo la gente, il potere ci temono”. Il blogger (e giapster) Jumpinshark ha scritto una vera recensione di Un Grillo Qualunque utilizzando questo linguaggio.

Proprio ieri ho partecipato ad un dibattito televisivo su Beppe Grillo. In studio c’era anche un grillino, un imprenditore del varesotto ex leghista e forzitaliota che ora aveva scelto la causa del Movimento 5 Stelle. Quando la conduttrice gli ha chiesto cosa del programma di Grillo lo convincesse particolarmente, lui ha risposto (cito a memoria): “Ci ha fatto vedere la luce. Per noi Grillo è una luce in fondo al tunnel”. Pochi minuti fa, invece, una elettrice grillina mi ha scritto su Facebook che “La democrazia partecipata è un concetto unitario e unificante”. Ecco degli esempi di “idee senza parole” dei grillini. Alla radice della loro ideologia pret-a-porter c’è qualcosa di inspiegabile, inesprimibile, irrazionale. Altro che intelligenza collettiva: Grillo muove emozioni, dà vita ad un impasto di politica, spot pubblicitari e sentimenti.

http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=10112

FILIPPO CECCARELLI – la Repubblica | 31 Ottobre 2012

Ma «zitelle acide», in realtà, ci stava benissimo. I seguaci di Grillo fanno proprio questo effetto. In un libro appena uscito e davvero molto interessante, «Un Grillo qualunque» (Castelvecchi), Giuliano Santoro si sofferma anche sul perché e quindi sulla paura dei dirigenti M5S di perdere la purezza mescolandosi con gli «altri». Per i grillini infatti il passato non esiste, condizione che rappresenta al tempo stesso un vantaggio e un limite, enorme autonomia e scarsa conoscenza delle male arti del potere.

Da uomo di spettacolo, in compenso, Grillo saprà che l’archetipo delle «zitelle acide» è il motore di un’opera di Shakespeare, nientemeno. La protagonista de La bisbetica domata, Caterina, single di cattivo carattere e ricca dote, assomiglia moltissimo al movimento in ascesa. Scontrosa, impaziente e linguacciuta, ella sa che opporsi è l’unico modo per salvare la sua integrità arrivando pure alla minaccia di «pettinare la cocuzza con uno sgabello a tre zampe» a chiunque le giri intorno. Con il che ogni possibile pretendente «Da simili diavole Dio ci scampi! » – si ritrae.

http://www.dirittiglobali.it/home/categorie/21-politica-a-istituzioni/38131-le-zitelle-a-5-stelle-e-la-purezza-in-pericolo-nella-babele-politica.html

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[ironica contro-recensione spettacolare!]

LA KA$TA COLPISCE ANCORA!!11!!!1! SENZA VERGOGNA ORA SI FA SCRIVERE PURE I LIBRI!!

CHE PROVE C’ABBIAMO???? A PARTE CHE NON CE N’E’ BISOGNO, CMQ: QUESTO LIBROè STATO PRESENTATO DAL CORRIERE DELLA SERA, IL CORRIERE DELLA SERA E’ I POTERI FORTI, QUESTO è UNL IBRO DEI POTERI FORTI!!1!!!

BASTA LEGGERE 2PAGINE (SE NON T’ADDORMENTI AHAHAHAHA) X CAPIRE CHE è UN LIBRO MATTONE DEL SOLITO PROFESSORONE PECORONE DI SINISTRA, CHE VUOLE SPIEGARE ALLA GENTE QUELLO CHE FA COMODO A LUI MENTRE LA GENTE SA GIA’ DA SOLA LA VERITA’. PERCHE’ C’HA IL WEB E LA CONTRINFORMAZIONE.

http://jumpinshark.blogspot.it/2012/10/un-grillo-qualunque-di-giuliano-santoro.html

Heiliges Land Tirol / Fratelli d’Italia

 

Estratto da Stefano Fait e Mauro Fattor, “Contro i miti etnici: alla ricerca di un Alto Adige diverso“, Raetia, 2010, 224 pagine.

Ti sei mai chiesto cosa sia questa patria, questa nazione? Pure invenzioni di un piccolo gruppo di sciagurati che vogliono governare sui popoli! Quando la Terra venne creata non fu suddivisa in nazioni! …poi vennero gli uomini, con le loro strampalate idee di possedere il territorio, dimenticando, inoltre, che su questa Terra, mentre lei permane, noi veniamo e ce ne andiamo.

Mario Martinelli

 

Dopo lo spettacolare fallimento della moralità convenzionale (di stampo comunitario) nel corso del secolo scorso, la mansueta, meccanica identificazione dell’individuo ad una collettività, sia essa un’etnia, una patria o una corporazione, è estremamente problematica e va trattata come ogni altra forma di idolatria o tribalismo, ossia con il più lucido scetticismo. L’Heimat è un territorio dell’immaginario, non un’entità naturale. Gli esseri umani fanno già abbastanza fatica a non fuggire da se stessi per paura di essere inadeguati e a non essere prevenuti nei confronti degli sconosciuti per paura di scottarsi l’anima: indurli ad amare una finzione che esalta le differenze verso l’esterno ed annulla l’unicità di ciascuno di noi è irresponsabile.

Dunque il valore dell’Heimat/Patria non solo non esercita effetti virtuosi sulla società civile, ma addirittura la danneggia, sia a livello morale sia a livello pratico. Vediamo meglio come e in che misura ciò avvenga nel contesto altoatesino. C’è una significativa testimonianza di Bernhard Pircher che fu intervistato dalla rivista “UnaCittà” quando aveva 19 anni ed era membro della compagnia di Schützen venostana di Glurns/Glorenza (Pircher 1997). Illustrando le ragioni che lo avevano indotto a diventare uno Schütze, Pircher spiega che “Quello che mi affascinò di più era questo essere dalla parte della Heimat, delle tradizioni, della religione e anche del bisogno di coesione, il fatto cioè che ci si raduni per le celebrazioni pubbliche e per marciare insieme. L’ammissione nella compagnia degli Schützen di un nuovo membro deve essere unanime”. Questa scelta fu resa più facile da un evento particolarmente spiacevole, una rissa con degli italiani per futili motivi. Così Pircher confessava di essere stato per lungo tempo anti-italiano: “Adesso però la vedo diversamente. Anche gli italiani sono esseri umani e hanno quindi molto in comune con noi”. Una frase che chiarisce meglio di dozzine di saggi la natura disumana e de-umanizzante, per entrambi i gruppi etnici, della separazione etnica in vigore nella Heimat altoatesina, specialmente per i giovani, inesperti e quindi estremamente influenzabili. E l’Heimat? Cos’era l’Heimat per quel giovane Schütze della Val Venosta? “Heimat è quel luogo in cui ci si sente “a casa”. Qui da noi ci si conosce tutti. Ci si saluta anche se non ci si conosce e si ha fiducia negli altri…Heimat è per me lì dove si sta volentieri. Io nella mia terra posso fare le cose che amo fare…Nella mia Heimat io ho l’aria pura e un ambiente quasi incontaminato, che rispetto”. Per Pircher l’Heimat non è chiusa ai forestieri: “Essa è per tutti, questo lo voglio ben sperare. Anche per quegli italiani che sono nati qui. Io vorrei anche che ognuno si prendesse cura di questa Heimat, anche delle sue tradizioni. Quando ad esempio si preparano i fuochi per il “Sacro Cuore di Gesù”, è bello perché vecchi e giovani si incontrano, salgono insieme sulla montagna e condividono il piacere di queste tradizioni. Si ascoltano storie di tempi passati, e quando poi bruciano i falò, si sente dentro di sé una gioia e un senso di comunione così unico e profondo. Tutti aiutano, tutto il paese si dà da fare affinché queste feste riescano bene. È anche un modo per incontrare persone che altrimenti non si incontrerebbero. È un’alternativa al solito bar, e magari pure alla discoteca in cui i più vecchi in ogni caso non vanno. Anche questi incontri sono Heimat”. O forse no. Forse l’idea di Heimat è una sovrastruttura del tutto superflua. Tant’è che in italiano basta dire – “sentirsi a casa” – senza tanti fronzoli mistici politicamente manipolabili. Heimat non è l’unica risposta, o la migliore, allo spaesamento da globalizzazione. Il paesaggio emotivo tedesco non è poi così diverso da quello latino o slavo. Così in Trentino si possono fare le stesse cose e provare le stesse sensazioni senza che la mente chiami in causa come un automatismo del tipo “stimolo-risposta” la nozione di patria/Heimat. C’è chi si è chiesto come mai una parte del mondo germanico sia così fermamente aggrappata a questa idea di Heimat. Ad esempio Peter Blickle, docente di germanistica presso l’Università del Michigan, ritiene (Blickle 2002) che essa nasca dalla fusione di Romanticismo ed anti-Illuminismo e che il bisogno psicologico derivi in primo luogo dal desiderio di ricavarsi uno spazio idealizzato e protettivo, un’appartenenza di tipo neo-tribale percepita come naturale nella quale perdersi. È una provincia dello spirito che è emanazione di una spiritualità provinciale, locale e che impregna una “individualità collettiva” che “rassicura i germanofoni circa il loro valore, identità e unicità” (Blickle, op. cit., 50). Il sé, come detto, si perde nell’Heimat e diviene un sé diverso da quello descritto da Freud, un sé “preconscio, dipendente dal gruppo e sociale…bisognoso di radici. Un sé sradicato è percepito come sminuito o guastato” (ibidem, 69) che confonde persone e cose, l’errore ontologico del pensiero magico-superstizioso che un tempo si chiamava idolatria pagana.In passato quest’invenzione del pensiero umano è servita a tenere in piedi un sistema di valori, poteri e rapporti umani fortemente lesivo della dignità delle donne e discriminatorio nei confronti dei bambini e delle minoranze.

Inoltre l’aura di innocenza che spira attorno all’Heimat è saldamente legata alla semplice e perniciosa equazione di bello e buono. Se l’Heimat è un idillio di bellezza, innocenza e purezza, allora chi la ama è buono ed irreprensibile per definizione. Anzi, è un eletto. Non è quindi per nulla sorprendente che l’Heimat sudtirolese attiri le personalità narcisistiche. Tutti, anche se in misura diversa, siamo affetti da narcisismo. Il militante etnicista o patriottico va oltre, dando libero sfogo alla sua immaginazione ipertrofica. In talune circostanze la discrepanza tra realtà e immaginazione è tale che questo tipo di narcisista inveterato trova arduo non provare disgusto per ciò che stona, fosse pure una certa classe di esseri umani. Dimostra povertà di spirito e scarsa empatia, tratta gli altri come oggetti utili ad alimentare il proprio bisogno narcisistico, si chiude autisticamente nel suo bozzolo di certezze, nel suo personale universo di riduzionismi che lo deresponsabilizzano e spostano la colpa sui difetti congeniti degli altri. Necessita di ordine e chiarezza e li può trovare nella superstizione del gene onnipotente, della tradizione ordinatrice, dell’identità totalizzante e neo-tribale, cioè nell’idea in quanto tale, immacolata ed omogenea. Il Südtirol o l’Italia come filo a piombo dell’anima (Stecher 2008). Un’idolatria che è anche un terribile auto-inganno e che bolla come minaccia tutto ciò che contamina la purezza dell’idea, arrivando a negare la realtà, come nel risibile “no a un’Italia multi-etnicadi Berlusconi. Se questa minaccia non è opportunamente neutralizzata la condanna è all’alienazione. Un inconscio processo di alienazione è già comunque in atto, perché il narcisista immaginifico è già schiavo delle sue idee fisse. I totalitarismi altro non sono che manifestazioni su vasta scala del medesimo fenomeno, vere e proprie epidemie di narcisismo. Ciò potrà sembrare strano per chi è abituato, erroneamente, a pensare al narcisismo in termini di egocentrismo ed eccessivo amor proprio. In realtà il narcisista, se privato della sua sorgente di conferme e rassicurazioni, si sente vuoto e depresso, inutile, senza scopo, amorfo, ansioso ed insicuro. Soffre di considerevoli oscillazioni nell’autostima e può arrivare a credere che la vita non sia degna di essere vissuta. Per evitare questo tragico epilogo sente l’impulso di aggrapparsi ad una qualche figura o idea dominante che fornisca un sostegno solido. Anela la fama e l’ammirazione, perché queste portano con loro l’universale approvazione. Se non può conseguirla si attacca al culto della celebrità. Molti binomi padrone-servo potrebbero essere tranquillamente invertiti, perché entrambi sono narcisi ed hanno bisogno di quel tipo di rapporto patologico più di quanto necessitino di un certo status. È il vuoto interiore, l’inautenticità, la perdita di senso, l’incertezza del futuro che paventano più di ogni altra cosa. La superficialità non è un problema, il narcisista è in ogni caso antropologicamente pessimista, il suo pensiero non è mai profondo – è arendtianamente banale –, né lo è la sua stima nei confronti degli altri esseri umani, che non sono mai davvero suoi simili e per questo possono essere ordinatamente incasellati in categorie arbitrarie. Il feticismo, l’illusionismo nella sua accezione più ampia è il vizio caratteristico del narcisista. Non potendo contare su una vita ultraterrena, esorcizza lo spettro della morte concentrandosi sull’immagine e sull’idea – la Patria, l’Etnia –, rendendole immortali, e si autoipnotizza, dissipando il suo potenziale. Il suo amor proprio è dunque fragilissimo e la concentrazione su di sé in realtà è molto precaria e può mutarsi molto facilmente in attaccamento fanatico ad un movimento e ad un leader che incarnino le idee fisse che danno senso alla sua esistenza, almeno provvisoriamente. Insomma il narcisista non è autonomo ed indipendente, non ha alcun serio controllo sulla sua esistenza. Al contrario è eterodiretto, e si lascia facilmente assimilare da fazioni, sette, tribù, razze, campanilismi, integralismi e militanze varie, riflessi distorti della realtà. Si intossica di lusinghe, vezzeggiamenti, adulazioni, apprezzamenti di un sé illusorio, falso e privo di valore, che ha bisogno di ripetute conferme e le trova nella grandezza del Gruppo. È una comparsa nella sua vita, non il protagonista, anche se non se ne rende conto e profonde impegno e risorse per rinsaldare ancora di più questo stato di cose.

Oggi, in Alto Adige come in gran parte dell’Europa, la logica etnarchica, – essenzialmente narcisistica – che antepone il particolare all’universale sacrificando il motto Liberté, Égalité, Fraternité sull’altare della Cultura e dell’Identità, è sopravvissuta alla sconfitta del nazismo e del comunismo. Si è tornati a parlare di identità naturali, anche se nessuno ha saputo ancora spiegare cosa ci sia di naturale e di univoco in queste identità. D’altronde quello identitario non è un appello alla ragione, ma alle emozioni, ai sensi di colpa ed alla paura di chi, sentendosi in dovere di appartenere “anima e core” ad un insieme più ampio, non si sente di poter affrontare il giudizio altrui e l’ostracismo degli altri membri del gruppo. La moda etnarchica non va però affrontata in modo sbrigativo. Non è un atavismo incontrollabile ma piuttosto un nobile stimolo umano primordiale (quello al raggruppamento ed alla condivisione di sforzi ed aneliti) che può essere male indirizzato, nel qual caso trova pretesti e razionalizzazioni eminentemente moderne quando il modello universalista segna il passo, cioè ad ogni seria crisi internazionale o sotto la spinta dell’immigrazione di massa.

Essa rimane una strategia fallimentare sotto ogni punto di vista. A livello etico perché non rispetta la dignità intrinseca e l’autonomia delle persone e dissimula la loro unica, comprovabile appartenenza, quella alla specie umana. A livello pratico perché non esiste alcun modo per tenere sotto controllo le forze centrifughe ed atomizzanti messe in moto da una politica della differenziazione identitaria. Ci sarà sempre una minoranza che pretenderà il pieno autogoverno se non riceverà un’adeguata compensazione. Pensiamo a quel che sta avvenendo in Bosnia, dove la Republika Srpska a forte maggioranza serba sta già meditando di seguire l’esempio del Montenegro e Kosovo, distruggendo quindi ogni sforzo pacificatore ed unitario della comunità internazionale in Bosnia. Oppure pensiamo alla contrapposizione tra Scozia ed Inghilterra, tra Catalogna ed Andalusia, tra Fiandre e Vallonia, tra Padania e Meridione. In caso di separazione, il paradigma etnico che la giustifica sarebbe nel contempo il maggiore ostacolo alla realizzazione di una società equa, giusta, e solidale. La maggioranza etnica sarebbe autorizzata a decidere in funzione dell’interesse primario della conservazione della sua egemonia. E non è precisamente quel che avviene in Alto Adige – e in Italia –, con la ben remunerata connivenza di quasi tutti i partiti? Cosa succederebbe in Alto Adige se si arrivasse al distacco dall’Italia? Cosa farebbe la maggioranza italofona di Bolzano e dell’Oltradige-Bassa Atesina? E come si può evitare che degli standard etici locali logorino la coesione dell’Unione Europea attorno ai principi universalistici ereditati dall’ecumenismo cristiano, dall’Umanesimo e dall’Illuminismo? Il separatismo localistico ed il differenzialismo identitario non sono né assennati né moralmente giustificabili. Non possono costituire una risposta ai problemi dell’autogestione territoriale né possono mitigare l’impatto della globalizzazione a livello socio-economico, se non altro perché i movimenti etnopopulistici europei sono sempre ed invariabilmente libertari (di destra), in quanto il loro bacino elettorale si concentra soprattutto nella piccola e media impresa, cioè tra elettori che troppo spesso sono più propensi a pretendere tutele per sé stessi, anche se a discapito del resto della popolazione e degli immigrati che pure loro stessi assumono in gran numero (Tamás 2000). Quel che è scandaloso è che una parte della sinistra, in nome dell’anti-imperialismo, si sia sentita in dovere di combattere la destra su un campo come quello delle identità collettive, che è il terreno naturale della destra stessa.

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