Autonomia patriarcale – uomini che ignorano le donne

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Come i pesci danno per scontata l’acqua, così i maschi non si rendono conto di nuotare in un ambiente ferocemente maschilista. Se trascorressero qualche mese da donna forse lo capirebbero…
Per costruire una reale autonomia serve una reale sovranità
http://www.futurables.com/2015/08/30/star-trek-la-giornata-dellautonomia-e-il-tridentum-la-futura-valuta-trentina/
e la morte dell’assetto patriarcale, che si è dimostrato estremamente funesto per il genere umano e contraddice il principio di uguaglianza che dovrebbe ispirare le repubbliche.

E’ arrivato il momento di affidare l’organizzazione dell’evento a una donna (consapevole) e di avere una donna (consapevole) come presidente della provincia autonomia di Trento e di Bolzano.
Peggio degli uomini non potranno fare. Provare per credere!

Donne zero. Era già successo l’anno scorso, Sara Ferrari e Donata Borgonovo Re l’avevano fatto notare in giunta. «Ormai è organizzata, per l’anno prossimo vedremo di rimediare», fu la risposta. Alla festa 2015 nulla è cambiato, e questa volta l’assessora alle pari opportunità Sara Ferrari (Pd) ha deciso di farsi sentire: «Ho scritto la scorsa settimana, nel mio ruolo di assessora, ai tre presidenti Dorigatti, Rossi e Gianmoena, dicendo che trovo discutibile che su nove relatori non abbiano trovato neanche una competenza femminile, dentro o fuori le istituzioni, in grado di parlare dell’autonomia. E ce ne sono». «L’autonomia – incalza Ferrari – si difende anche con il contributo delle cittadine trentine, è un patrimonio di tutti, questa assenza è irrispettosa e non sensata. Per questo ho deciso di non essere presente, per segnalare la distanza da una scelta di questo tipo». «Nessuno ci ha coinvolto nell’organizzazione, io ho appreso del programma dall’invito. E l’impressione è che l’autonomia sia considerata appannaggio maschile».

Ha declinato l’invito anche l’ex assessora Donata Borgonovo Re, che ha preso carta e penna e ha scritto al presidente Dorigatti: «Non parteciperò a questi due momenti perché ignorano totalmente il fatto che l’autonomia è un patrimonio di uomini e donne», spiega la consigliera Pd. «Già l’anno scorso io e la collega Ferrari l’avevamo fatto presente, questa volta c’è bisogno di stigmatizzare. Trovo sconcertante che non sia stata invitata nemmeno la presidente del consiglio regionale Chiara Avanzo, ma è possibile che chi organizza due momenti istituzionali non abbia individuato nemmeno un profilo femminile in grado di dire qualcosa di interessante? Abbiamo un giudice di Corte Costituzionale, per dire. Invece sembra che l’autonomia sia una cosa da uomini».
http://trentinocorrierealpi.gelocal.it/trento/cronaca/2015/09/02/news/autonomia-di-soli-uomini-le-donne-disertano-la-festa-1.12021356

«Il patrimonio dell’Autonomia appartiene alle trentine e ai trentini. Non si capisce se per leggerezza o in maniera del tutto intenzionale, visto che è il secondo anno che ciò accade, si sia scelto di ritagliare un ruolo solo di spettatrici alle donne per le cerimonie in programma venerdì e sabato, 4 e 5 settembre».

Claudia Loro, responsabile delle politiche di genere della Cgil del Trentino e Giovanna Weber, responsabile del coordinamento donne delle pensionate di via Muredei, ritengono assolutamente ingiustificabile la scelta compiuta dalla Provincia di escludere donne dal tavolo dei relatori e dalla cerimonia per la festa nella Giornata dell’autonomia.

«Non è certo in questo modo che si costruisce un Trentino in cui donne e uomini hanno uguali diritti e uguale possibilità di intervento. Auspichiamo che s’interrompa questo modo di fare, soprattutto in considerazione delle importanti partite che andranno definite in questa legislatura».
https://www.ladige.it/news/politica/2015/09/02/giornata-autonomia-senza-donne-cgil-attacca-provincia-ingiustificabile

GUARDIAMO AL LATO POSITIVO DELLA QUESTIONE: 10-20 anni fa non ci sarebbe stata alcuna ribellione di due politiche di primo piano (Sara Ferrari e Donata Borgonovo Re), che hanno deciso di disertare le celebrazioni come forma di protesta.
L’Adige non avrebbe neppure menzionato la cosa.

IL MONDO STA CAMBIANDO. PERFINO IL TRENTINO CAMBIA!

La storia dello zombie che fu bruciato vivo dalla polizia (Stati Uniti, 2013)

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Non mi importa più sopravvivere. Non ho paura della morte, giacché sono già morto molto tempo fa, il 2 gennaio del 2009. Dal febbraio del 2005 al gennaio del 2009, in qualità di agente di polizia a Los Angeles, ho visto alcune delle cose più vili che degli esseri umani possano infliggere ad altri esseri umani. Non le ho viste nelle strade di Los Angeles, le ho viste nelle stazioni di polizia.

Christopher J. Dorner

Sta succedendo quel che era facilmente prevedibile: la violenza negli Stati Uniti è ormai fuori controllo e presto si trasformerà in guerriglia:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/23/ora-sono-diventato-la-morte-il-distruttore-dei-mondi-100-1000-waco/

Questa è la storia di un guerrigliero, Christopher Jordan Dorner, poliziotto a LA, e delle sue “ragioni”.

Ciò che vi hanno raccontato i media italiani:

L’ex poliziotto da giorni ricercato in California dopo aver ucciso tre persone sarebbe stato coinvolto in una sparatoria avvenuta nella zona in cui nasconde. Christopher Dorner ha sparato dei colpi contro alcuni agenti federali dopo aver svaligiato una casa e aver legato la coppia che vive nell’abitazione. Uno dei due poliziotti è morto in ospedale, riporta il Los Angeles Times.

Dorner è fuggito a bordo del pick up Dodge rubato alla coppia dell’abitazione in cui aveva fatto irruzione. Per precauzione tutte le scuole della zona di Big Bear Lake, nella contea di San Bernardino, sono state sbarrate e messe sotto protezione.

L’ex poliziotto si è poi barricato in un’abitazione, uno chalet sulle montagne nel sud della California. La caccia all’uomo è seguita in diretta tv con riprese dagli elicotteri delle principali emittenti.

In fiamme la casa in cui Dorner si è barricato – La casa in cui si è barricato l’ex poliziotto da giorni ricercato dalla polizia è in fiamme. Le immagini televisive mostrano chiaramente come il fuoco avvolga l’abitazione dove si trova Cristopher Dorner”.

http://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/articoli/1081561/usa-sparatoria-con-lex-agente-ricercato-christopher-dorner-si-e-barricato-in-una-casa.shtml

È morto il 13 febbraio in quella capanna di legno, bruciato vivo dopo un brevissimo assedio. Accanto al suo corpo bruciato, un portafogli con documenti identificativi “miracolosamente” intatti. Un “altro” suo portafogli era stato recuperato dalla polizia di San Diego il 7 febbraio.

Qui di seguito, quel che c’è da sapere per capire.

Nel suo “manifesto”, Christopher Dorner, denuncia la corruzione all’interno della polizia di Los Angeles, visceralmente razzista e pronta a premiare con promozioni ad incarichi di responsabilità o addirittura di supervisione ed indagine sulle violazioni del regolamento interno proprio gli agenti responsabili dei più infami abusi di potere (es. il caso Rodney King) punendo invece chi, come lui ed altri, aveva segnalato episodi di violenza ingiustificata, di bullismo nei confronti di cittadini e di altri agenti, nonché canti nazisti e l’uso di terminologie apertamente razziste nei confronti delle minoranze.

Christopher Dorner dichiara guerra ai poliziotti neri che tormentano i novellini bianchi per vendicarsi dei maltrattamenti subiti e così alimentano il ciclo dell’odio; dichiara guerra ai poliziotti bianchi che credono nella supremazia bianca; dichiara guerra ai poliziotti latinos che trattano come feccia altri latinos, solo per farsi accettare dai colleghi bianchi, come se non sapessero che i loro genitori o nonni arrivarono in America allo stesso modo, con scarsa conoscenza della lingua e dei loro diritti; dichiara guerra alle poliziotte pseudo-femministe che usano la carta del sessismo per ricattare e manipolare i colleghi maschi; dichiara guerra ai poliziotti di origine asiatica che restano a guardare le ingiustizie senza fare nulla perché “nella mia cultura non amiamo il conflitto”.

Si rivolge ai cittadini: “Perché dare valore alla loro vita quando chiaramente non danno alcun valore a quella vostra e dei vostri familiari?…Perché versare una lacrima per loro quando sorridono davanti al vostro lutto pensando ai soldi che guadagneranno con gli straordinari per essere stati sulla scena del crimine per 6 ore? Quando fotografano i corpi dei vostri cari con i loro cellulari e fanno a gara con i poliziotti di altri distretti per vedere chi ha il corpo più maciullato di quella notte?”.

Specialmente per queste ragioni, Christopher Dorner ha deciso di morire portando con sé quanti più poliziotti potesse ammazzare e magari anche i loro famigliari, “colpevoli” di aver coperto o ignorato la corruzione del coniuge o genitore. Si è dato alla guerriglia in America.

http://ktla.com/2013/02/12/read-christopher-dorners-so-called-manifesto/#axzz2Kpn8PcSG

Per questo motivo la caccia all’uomo ha portato alla sua uccisione deliberata (se spari 7 fumogeni in una baracca di legno sai che molto probabilmente prenderà fuoco, inoltre le TV locali hanno trasmesso le registrazioni di poliziotti che esortano a “bruciare il figlio di puttana”) e barbara (ma comprensibile, date le intenzioni del fuggitivo-guerrigliero).E’ stato mandato un messaggio agli altri cittadini: chi si fa giustizia da solo finisce così, non come Rambo.

La caccia all’uomo ha anche portato all’assalto di tre civili, sopravvissuti per miracolo a decine di pallottole sparate dalla polizia contro i loro veicoli, somiglianti a quello usato dal ricercato (una di loro ha ancora due pallottole nella schiena). 

Ora il manifesto sta circolando viralmente in rete, ma con quali conseguenze?

Poliziotti innocenti che fanno il loro dovere diventeranno dei bersagli, poliziotti fascisti che usano l’uniforme per dare sfogo alle loro peggiori pulsioni si sentiranno autorizzati ad usare la violenza per “autodifesa”.

D’altronde, è quello che hanno imparato dalle amministrazioni Bush e Obama (Dorner definiva i poliziotti corrotti e razzisti “combattenti nemici”, usando una classica, orwelliana formula della Guerra al Terrore):

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/14/amerikarma-obamamania/

Ci saranno altri casi come questo, sempre più frequenti, perché la società americana si sta disgregando sotto il peso dell’iniquità, del materialismo, del razzismo e del culto della violenza. Non ci dev’essere spazio per alcun compiacimento: il loro fallimento è il fallimento del genere umano e della sua civiltà. Abbiamo permesso ai peggiori di guidarci come un gregge sulla cattiva strada, sicuri che la democrazia ci avrebbe preservati da ogni degenerazione.

O cambiamo rotta, o finiremo male.

Femminicidio

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La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine – maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria o anche istituzionale – che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia

Marcela Lagarde, antropologa

“Il termine sembra astratto ma se si legge ognuna di queste vite si capisce come siano diverse e come siano simili i loro assassini”

http://temi.repubblica.it/micromega-online/femminicidio-la-spoon-river-delle-donne/

“Ricordo che ero ragazzina quando mia madre mi spiegò che quel giorno veniva abolito il delitto d’onore, ed era solo il 1981. Ed era ancora come fosse ieri, che mia nonna materna si infilò guanti e cappello, guardò il marito in poltrona e gli comunicò: “Io vado a votare”. Era il 1946 ed era la prima volta che era autorizzata a farlo. Da poco, veramente da pochi anni, noi donne stiamo faticosamente cercando di autodeterminare la nostra vita, sia nel lavoro sia nel privato e questo cambiamento epocale ha alterato in modo irreversibile la relazione tra uomini e donne, portando un comprensibile disorientamento tra chi per anni aveva goduto di un potere di scelta totale all’interno della coppia”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/21/siamo-persone-non-beni-di-proprieta/388866/

Massimo Gramellini, La Stampa del 15/11/2012: Savita è una giovane dentista indiana che abita in Irlanda con il marito Praveen, ingegnere. Aspetta un bambino da quattro mesi quando si presenta in ospedale. Ha dolori atroci alla schiena e la possibilità concreta di perdere, insieme col figlio, la vita. Al termine di una notte di scelte non facili, chiede ai medici di interrompere la gravidanza. Le rispondono che l’Irlanda è un Paese cattolico dove, finché si sente battere il cuore del feto, non è possibile interrompere niente. Savita non è irlandese e non è cattolica, ma deve stare alle regole. Soffrire. Aspettare. Il 23 ottobre il cuore del feto si ferma e i medici lo asportano, ma è troppo tardi. Il 28, a una settimana esatta dal ricovero, Savita muore di setticemia nell’ospedale universitario di Galway: in piena Irlanda, in piena Europa, in pieno ventunesimo secolo.  

Mi ostino a sperare che questa storia sia falsa o almeno incompleta. Che fra il comportamento dei medici cattolici e il decesso della dentista indiana non ci sia il nesso che traspare dalla denuncia dell’Irish Times, confermata dal marito della vittima e ripresa dai principali network del mondo. Ma l’idea che le religioni – associazioni di uomini mosse dal più nobile degli afflati, quello spirituale – possano ispirare comportamenti fanatici, superstiziosi e sostanzialmente ottusi non ha purtroppo bisogno di conferme: è sotto i nostri occhi ogni istante, in ogni angolo del mondo. Mai come oggi abbiamo bisogno di spiritualità. Mai come oggi non abbiamo bisogno di fanatici, questi esseri sfocati che vivono di testa e di viscere, avendo dimenticato che in mezzo c’è un cuore.

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È morta la giovane 23enne vittima di uno stupro di gruppo, che ha suscitato un’ondata di reazioni in tutta l’India: ricoverata in un ospedale di Singapore, le sue condizioni erano disperate. Era stata violentata, picchiata e torturata su un autobus di New Delhi lo scorso 16 dicembre. A causa della violenza subita, aveva riportato un arresto cardiaco, infezioni ai polmoni e all’addome, oltre a un grave trauma cranico. Ieri una ragazza di 17 anni si è tolta la vita, dopo aver subito uno stupro di gruppo il 13 novembre scorsoi genitori sperano che la morte della figlia porterà un futuro migliore per le donne a New Delhi e in tutta l’India

http://www.repubblica.it/esteri/2012/12/28/news/india_in_fin_di_vita_ragazza_stuprata_da_branco-49555220/

Questa povera ragazza non solo è stata brutalmente violentata da 6 uomini. È stata picchiata in testa con una sbarra di ferro e le hanno danneggiato irreparabilmente gli organi interni con la suddetta sbarra. Un abominio, un abominio non ignoto nel “civile” Occidente, dove si sono usate anche bottiglie di vetro rotte.

[In India] è la vittima che deve subire l’onta e l’ostracismo sociale”, ha dichiarato Ranjana Kumari, direttore del Centro di Delhi per la Ricerca Sociale e membro della commissione nazionale per i diritti delle donne. “Non può sposarsi, per esempio. Questo farà in modo che lo stupratore si vergogni [sic!]. Non gli sarà possibile ottenere un posto di lavoro, o un posto dove vivere e sarà tagliato fuori dalla società. Si tratta di un potente deterrente”.

[…].

All’inizio di questa settimana, Abhijit Mukherjee, un parlamentare figlio del presidente, è stato costretto a chiedere scusa dopo aver definito le manifestanti “donne dipinte” che “hanno pochi legami con la realtà concreta” e non “hanno niente di meglio da fare”. L’incidente ha messo in luce spaccature profonde all’interno della società indiana. Descritte come “provocazioni femminili”, le molestie sessuali è endemico e la colpa dello stupro ricade sistematicamente sulle donne, considerate irresponsabili e inclini ad un comportamento “non-indiano”.

http://www.guardian.co.uk/world/2012/dec/28/india-name-shame-sex-offenders#comment-20281341

Questa è anche la ragione per cui molte donne indiane vittime di stupro “scelgono” di suicidarsi piuttosto che continuare a vivere con lo stigma dell’ “impurità”, dell’essere state “contaminate”, che è parte integrante della mentalità patriarcale che incolpa la vittima in luogo dell’aggressore. È questa mentalità, la mentalità fascista che divide le donne in angeli o puttane, ma comunque sempre strumenti, giocattoli e proprietà dell’uomo. Una mentalità che non sarebbe mai dovuta essere tollerabile, e non solo in India.

Quante prostitute in Italia subiscono violenze perché sono considerate Untermenschen; e non possono difendersi e ben pochi sono pronti a credere che siano state violentate, visto il mestiere che fanno?

Perché la notizia che un noto conduttore televisivo inglese ha violentato 400 bambine e bambini non ha scatenato una furiosa autoanalisi nella società inglese e in tutto l’Occidente?

https://versounmondonuovo.wordpress.com/category/pedofilia-2/

Come si inserisce in questa problematica il noto bestseller “Cinquanta sfumature di grigio” che rende “appetibile” la relazione morbosa tra un “vampiro” sociopatico ed una “crocerossina”?

http://www.diariodipensieripersi.com/2012/07/cinquanta-sfumature-di-nero-quando-la.html

Il marito dell’autrice pubblicherà un’opera analoga, ma per adolescenti (i consumatori vanno allevati)

http://www.joplinglobe.com/enjoy/x1483812486/Lee-Duran-Erotic-literature-fuels-publishing-world

Mi sembra sempre più chiaro che questa società, che si crede così avanzata, emancipata, progressista, illuminata, sia tragicamente retrograda. Non volendo però affrontare il suo degrado, cerca dei comodi capri espiatori. Come il famigerato prete misogino, molto probabilmente una persona che necessita di cure specialistiche, tali sono le ossessioni che affliggono i suoi discorsi, i suoi pensieri, persino le sue interviste giornalistiche.

C’è un problema più vasto: noi uomini facciamo fatica ad accettare la diversità femminile quando non ci torna comoda. Troviamo spiacevole dipendere da una donna, essere considerati inferiori rispetto ad una donna.

Se una donna si candida per una carica importante, non è quasi mai presa davvero sul serio

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/14/donata-borgonovo-re-presidente-del-trentino-nel-2013-la-mia-scelta-per-un-mondo-nuovo/

A meno che non abbia dato prova di essere inflessibile (lady di ferro) come la Thatcher, o una spietata valchiria come la Merkel, o una figura semi-angelica come Aung San Suu Kyi. Il modo in cui l’establishment indiano tratta Arundhati Roy è particolarmente emblematico, ma anche la trasformazione subita da Hillary Clinton, che con gli anni è diventata un superfalco ed ha perso la sua umanità, fino ad arrivare alla salacità psicopatica con cui ha commentato il linciaggio di Gheddafi.

Il fatto è che non c’è un luogo del mondo in cui donne e uomini sono uguali o sono percepiti come tali (figuriamoci i bambini!). Eppure l’umanità, la nostra civiltà, se vuole sopravvivere, ha bisogno di società eque, dove le risorse, le energie, la dignità siano riconosciute equamente a uomini e donne. Più di tutto, dobbiamo costruire società in cui la violenza – psicologica e fisica e non solo verso le donne – sia tenuta sotto controllo, società in cui l’aggressività possa trovare sbocchi costruttivi e creativi (come succede nell’arte o nella ricerca tecnologica e scientifica, se non è pensata per applicazioni belliche) in ogni ambito della vita.

Iside cerca Osiride, come lo yin cerca lo yang. Dovrebbero trovarsi, in equilibrio.

Scrive il sociologo Marco Deriu, sul Manifesto (“La tv e l’uomo che non c’è“, 7 marzo 2012): “Insistere sulla vittima, lasciando sullo sfondo l’autore, permette infatti di “demonizzare” o “disumanizzare” l’uomo violento. “Chi picchia una donna non è un uomo”, taglia corto una pubblicità sociale. Sospetto che per molti sia meno problematico mantenere un’immagine disumana o bestiale di questi individui piuttosto che prendere atto della profonda ambivalenza presente in molti uomini, compagni o padri nei quali possono convivere e alternarsi affetto e risentimento, protezione e minaccia, fragilità e violenza, bisogno e negazione dell’alterità.

Nei pochi casi in cui nella comunicazione sociale sul problema della violenza ci si rivolge apparentemente (anche) agli uomini, spesso lo si fa riattivando stereotipi e contribuendo a rendere più difficili le cose. “Gli uomini picchiano le donne” sentenziava senza tanti distinguo un manifesto politico qualche tempo fa. Un’altra pubblicità mostrava “Mario e Anna” un bambino e una bambina di pochi anni, nudi, con ai piedi la didascalia “Carnefice” e “Vittima”, come se fossero già predestinati a diventare persecutori e prede. Si tratta di generalizzazioni che rischiano paradossalmente di “naturalizzare” la violenza maschile e di impedire invece di domandarsi in profondità perché alcuni (molti) uomini sono violenti e (molti) altri no. D’altra parte affermare, come fanno molte campagne, “I veri uomini non stuprano”, “I veri uomini non picchiano” ecc… non rischia di riconfermare l’idea di virilità unica e assiomatica anziché aiutare gli uomini a rivendicare la loro soggettività e la loro responsabilità aprendo un confronto tra forme di maschilità differenti?

E ancora, molte campagne insistono sulla violenza compiuta, sugli effetti fisici e psicologici più evidenti, mettendo in primo piano lividi, tumefazioni, ossa rotte, umiliazioni. Che effetto dovrebbero avere simili campagne sugli uomini? Siamo sicuri di riuscire a stabilire una comunicazione in questo modo? O non creiamo l’effetto inverso di presa di distanza e di allontanamento?

Occorre immaginare una forma di comunicazione che abbia il coraggio di assumere gli uomini come interlocutori reali, nel bene e nel male. Perché senza un loro impegno non è possibile affrontare il problema della violenza maschile sulle donne”.

http://maschileplurale.it/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=533:mar-2012-qla-tv-e-luomo-che-non-ceq-di-mderiu&catid=16:25-novembre&Itemid=18

Romano Màdera (Milano Bicocca) sul Mondo Nuovo

PREMESSA MIA

Il fatto è che il montismo non è nulla più che una forma collettiva della Sindrome di Stoccolma.

Gli ostaggi fraternizzano con il rapitore (che diventa il salvatore) per non dover affrontare psicologicamente l’orrore della propria situazione.

In questa versione, come suggerisce Debora Billi, molti lo vedono come l’aguzzino buono che li protegge da aguzzini peggiori.

S’incrociano dunque due dinamiche psicologiche che inducono alla sottomissione: la sindrome di Stoccolma e la tecnica del poliziotto buono e di quello cattivo, che però, come spiega la voce di wikipedia, pur essendo utile con soggetti “giovani, impauriti o sprovveduti”
comporta un certo grado di rischio, se infatti è riconosciuta dal soggetto esso può considerarsi offeso ed insultato e rendere meno probabile una sua collaborazione“.

È “facile” guarire: basta guardare in faccia la realtà e sfuggire a chi ci tiene in ostaggio, verso un Mondo Nuovo.

Romano Màdera (che confesso di non aver mai sentito nominare prima, purtroppo), mi pare una buona guida.

Questa è una sua intervista.

INTERVISTA SUA

…Nell’epoca del pensiero unico neoliberista intravede ancora degli spiragli per immaginare altrimenti il futuro dell’umanità?

Credo che sia un’esagerazione pensare che il pensiero neoliberista sia davvero unico. E’ il pensiero egemone, solo questo. E un’egemonia sgangherata, perché l’egemonia americana, oggi, è ormai da tempo in declino. Non sappiamo se ci sarà, o quale sarà, la forza egemonica nel futuro prossimo, o se, invece, entreremo in un’epoca di confusa competizione fra diverse aree geopolitiche che incorporano grandi gruppi capitalistici. Una delle possibili prospettive, relativamente nuova, è quella di una sovrapposizione di diverse sfere di giurisdizioni e d’influenza non più riconducibili a sfere istituzionali esclusive, come sono state quelle degli stati nazionali o dei blocchi internazionali.

Ma nella pancia del mondo ci sono anche milioni di piccoli esperimenti, come ben sapete, che moltiplicano le sfaccettature di un altro mondo possibile. Non cambieranno la sorte complessiva, a breve, ma sono laboratori di alternative di ogni genere, pronte a tornare utili nella lunga fase di transizione della crisi generale del nostro modello di vita. Una crisi che riguarda, come si sa, fonti di energia, materie prime e risorse alimentari, distribuzione mondiale del lavoro e della popolazione per classi di età, divaricazione fra istruzione e mercato del lavoro, servizi alla persona, assenza di istituzioni sovranazionali forti e credibili.

 

[…].

 

Nel suo Il nudo piacere di vivere (2006) lei sottolinea la necessità di recuperare il senso del limite e della misura per scardinare la logica dell’accumulazione infinita e i suoi effetti patologici sulla vita delle persone. Qual è la sua opinione sul tema della «Decrescita»? In che modo pensa che possa diffondersi una nuova cultura del limite capace di incidere sia sul versante degli stili di vita individuali che su quello della macroeconomia?

Milioni di microesperimenti in questa direzione, semplicemente perché in modo più o meno confuso l’assenza di limite è radicalmente insoddisfacente, radicalmente angosciante. E la sempre più acuta percezione che stiamo arrivando al capolinea dello sviluppo, uno sviluppo che, ormai è sempre più chiaro, non è conquista di maturazione umana. Il disgusto crescerà insieme alla crisi. Il disagio psichico delle popolazioni sopra il livello di sussistenza si specchierà nel rovescio della disperazione dei poveri del mondo, scatenando ancora più depressione e rabbia espulsiva, ma anche preoccupazione e stimolo a convertire le nostre abitudini di vita. Certo non basterà. Noi umani siamo testoni, ancora impariamo solo dalle catastrofi. Penso che ci saranno passaggi molto duri, tremendi, le convulsioni del vecchio mondo possono durare secoli, e non è detto che sorga poi il sole dell’avvenire. Ma avere in mente una meta di patto di equilibrio e di pace può orientare le azioni e iscrivere la propria vita nella sensatezza. Serve la crescita consapevole di una nuova avanguardia.

Non di un nuovo partito, ma di una avanguardia spirituale, capace di sperimentare su di sé una disciplina spirituale (con spirituale intendo l’unità dello psichico, del corporeo e della cultura sociale di un dato tempo), una cultura della cooperazione e della competizione non distruttiva e non espulsiva.

La cellula virale capace di iniettare la possibilità di un esito positivo alla grande crisi di civiltà che stiamo attraversando. Sperimentare su di sé e con gli altri forme di comunicazione e di cooperazione solidale, esercitarsi quotidianamente per rendersi capaci e degni di questo compito, utilizzando in modo eclettico, sincretico ed ecumenico – sulla base della propria esperienza biografica di vita – lo sconfinato patrimonio di saggezza che ci è stato consegnato da filosofie, religioni, spiritualità e arti di tutte le culture.

Confesso però che il termine di Decrescita – non l’idea che condivido nella sua ispirazione di fondo – mi suona, comunicativamente, troppo legata a una negazione, ancora troppo polemica. Preferisco parlare di patto dell’equilibrio e della pace. Equilibrio e pace nel rapporto con la casa comune che è costituita dagli altri, dal lavoro di tutti e dalla natura. Voglio dire, ovviamente, che il punto non è in sé crescere o decrescere, ma come, rispetto a che cosa. So che questo è ben presente nella teoria, ma lo slogan che la traduce non mi convince e rischia di dare un’immagine falsata di quello che si propone. Bisogna dire che vogliamo che crescano, crescano immensamente, attività sensate, consumi attenti, tempi di riflessione, di contemplazione, di gioco, di cura…

Infine, chi volesse superare la dicotomia fra destra e sinistra per produrre un’alternativa credibile all’attuale totalitarismo capitalistico, quali forze simboliche dovrebbe mettere in campo per riconquistare i cuori dei delusi dalla politica?

Le forze simboliche non si inventano, si raccolgono e si re-inventano sulla base di una memoria capace di creazione, come sempre è in realtà la memoria. Abbiamo possibilità meravigliose: possiamo mettere in sintonia e in sincronia (cf. sincronicità, Jung) la concordia di tutto ciò che di saggio, di buono e di bello hanno creato le culture della storia del mondo. Il criterio può appunto essere ciò che contribuisce a costruire un patto di equilibrio e di pace fra i popoli e nell’interiorità di ciascuno.

Ma non serve neppure basarsi soltanto su ciò che forma la grande concordia della saggezza universale, sui punti di coincidenza che pure sarebbero più che sufficienti e di stupefacente capacità trasformativa.

Con un metodo adeguato di comunicazione che rispetti la singolarità biografica e la faccia vivere nella fecondità dello scambio comunitario, possiamo, senza urtarci, far tesoro delle più fini diversità, senza pretendere di imporle. Uno dei milioni di microesperimenti è anche quello che conduciamo in piccoli gruppi di pratiche filosofiche da quindici anni, pratiche fra le quali, appunto, c’è anche la sperimentazione di regole di comunicazione biografico-solidali.

Questo per dire cosa tento di fare personalmente. Facciamo invece un esempio in grande: prendiamo uno dei temi più scottanti di scontro e di incomprensione di universi simbolici, usati spesso a rinforzo di politiche fondamentaliste, contrappositive, sostanzialmente succubi, peraltro, agli interessi della civiltà dell’accumulazione. Quali tesori simbolici sono da snidare nelle convergenze fra le religioni del Libro – Ebraismo, Cristianesimo e Islam – quali forze simboliche possono essere evocate a vantaggio della fratellanza e della cooperazione, della trasformazione interiore e della condivisione sociale e materiale, quali spinte generose verso la comunità universale dell’umano !

Certo, bisogna impegnarsi in un processo di purificazione, di vera e propria catarsi, liberando le religioni – queste e tutte le altre – dalle loro incrostazioni complici di mentalità oggi inaccettabili: bisogna liberarle dall’etnicismo, dal classismo, dal sessismo, dall’autoritarismo, farle passare da questo setaccio, trattenendo solo le perle che vincono il tempo.

Romano Màdera è filosofo, psicoanalista di formazione junghiana e professore ordinario presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, dopo aver insegnato all’Università della Calabria e all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra i suoi libri più significativi: L’alchimia ribelle (Palomar, 1997), L’animale visionario (Il Saggiatore, 1999), La filosofia come stile di vita (con L.V. Tarca, Mondadori, 2003) e Il nudo piacere di vivere (Mondadori, 2006).

http://www.megachip.info/component/content/article/32-pensieri-lunghi/5782-lanimale-visionario-intervista-al-filosofo-romano-madera.html

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