Uscita dall’eurozona = rivoluzione + guerra civile

Bruno Tabacci (economista ed esperto di politiche industriali, oltre che politico) ha ragione e mi spiace che l’abbiano tagliato per dare spazio solo a Bagnai.

Bagnai dovrebbe leggere quel che cita, cosa che io ho fatto e dovrebbe rendersi conto che gli hedge fund stanno attaccando l’eurozona per distruggere l’Unione Europea e l’élite europea li sta aiutando.

Il responsabile principale della crisi dell’eurozona non è l’euro ma sono il sistema finanziario globale e la classe dirigente europea. Tsipras ha ragione da vendere a voler restare nell’euro creando una coalizione di paesi PIIGS (e non solo) che spingano con determinazione per delle riforme strutturali radicali, salvando l’Unione Europea. Chi preme per la sua frantumazione sta facendo il gioco di oligarchie interessate unicamente ad addivenire ad una separazione tra Europa di serie A (teutonica) e quella di serie B (le merdacce private di pressoché ogni margine di sovranità), che per di più provocherebbe la disgregazione di Italia e Spagna (Padania e Alto Adige chiederebbero di andarsene al più presto, la cosa non avverrebbe pacificamente ed il Trentino, una provincia complessivamente lealista, si troverebbe presa in mezzo)

E’ scandaloso che Messora e Bagnai, pur di restare fedeli alle loro posizioni, siano disposti a non investigare su chi siano i loro compagni di viaggio.
Ecco chi sono.

A luglio del 2012 l’equipe di analisi diretta da Roger Bootle, economista neoliberista (ex HSBC), ha vinto le 250,000 sterline del Premio Wolfson per l’Economia con uno studio su come spezzare l’eurozona conservando un euronucleo forte e riesumando le vecchie valute di Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e Grecia.

Secondo l’analisi la riconfigurazione economicamente ottimale della zona euro vedrebbe il mantenimento di un nucleo nordico (neo-carolingio, NdR) che incorpori Germania, Austria, Paesi Bassi, Finlandia e Belgio, paesi che hanno strutture economiche compatibili e possono formare un’area valutaria ottimale. La Vallonia potrebbe però essere sacrificata e la Francia verrebbe accettata solo per ragioni di opportunità politica. Non ci sarebbe un’eurozona di serie B perché i paesi esclusi non avrebbero interesse a coordinarsi e non hanno rapporti economici tali da giustificare una qualche sorta di unione. In alternativa, il nucleo neocarolingio potrebbe abbandonare l’attuale eurozona, dotandosi di un proprio euromarco.

Sempre secondo il parere di questi analisti finanziari neoliberisti, i divari sono tali che è altamente improbabile che il nuovo assetto possa essere provvisorio. Nessun escluso potrà rientrare dal retro, neppure dopo le più drastiche “terapie” di austerità.

L’evento, che viene definito paragonabile al collasso dell’Impero Austro-Ungarico o dell’Unione Sovietica, avverrebbe all’insaputa dei cittadini dei suddetti paesi (!!!) per “evitare il caos” (fuga di capitali, corse agli sportelli bancari) e non è prevista la consultazione referendaria dei cittadini. Cittadini che non sarebbero troppo felici di vedere un crollo del PIL del 10-20%, un analogo balzo dell’inflazione (con il costo dell’energia alle stelle), la massiccia riduzione dei salari e del potere d’acquisto, l’evaporazione dei propri risparmi (con il blocco dei bancomat per evitare che possano tirar fuori quanti più euro sia possibile finché sono in tempo) e l’umiliazione di essere trattati come dei paria dalle altre nazioni europee.

Questi sono piani che sembrano ideati da “intelligenze artificiali” prive di compassione, umanità e radicalmente utilitaristiche.
In questo scenario, entro non più di un anno, io e milioni di altri cittadini dei paesi PIIGS saremmo costretti a rubare per vivere o a sfasciare tutto (= rivoluzione).

http://www.policyexchange.org.uk/images/WolfsonPrize/wep%20shortlist%20essay%20-%20roger%20bootle.pdf

Questo è lo studio che, criminalmente, Bagnai cita a sostegno della sua tesi che i PIIGS dovrebbero abbandonare l’euro! Bagnai ha riserve d’argento e oro nascoste da qualche parte? Lo sa che sono metalli non  commestibili?

Il premio Wolfson, dell’ammontare di 250mila euro, assegnato a chi avesse trovato il modo di smantellare l’eurozona nel modo meno doloroso possibile, è stato indetto da un barone e finanziere inglese neoliberista che l’ha intitolato a se stesso, per il tramite del più influente think tank di destra in Gran Bretagna (Policy Exchange)! Tra i 5 valutatori: FRANCESCO GIAVAZZI (iperliberista consulente del FMI), un ex consulente della Banca d’Inghilterra, un ex consulente della Bundesbank e del governo tedesco, un ex consigliere di Tony Blair, il criminale di guerra.

A Bagnai va bene tutto questo? E’ in sintonia con GIAVAZZI e la Bundesbank? Ha letto quello studio prima di citarlo favorevolmente? Con che coscienza propone agli Italiani di prendere decisioni drammatiche, potenzialmente catastrofiche, contestando i suoi critici con questo tipo di supporti teorici, non a caso divulgati ampiamente dal Financial Times e dall’Economist, che fin dall’inizio si sono schierati dalla parte degli avvoltoi degli hedge fund? Non gli è squillato un campanello d’allarme in testa?

Il premio Wolfson è assegnato dall’élite a chiunque compiaccia le aspettative dell’élite. Era davvero così difficile dedicare 5 minuti del proprio tempo sulla rete per capire chi lo assegna e a chi è stato assegnato? Perché proprio i politici bavaresi e Wolfgang Schäuble, che sono i più accesi fautori dell’euromarco, non hanno fatto altro che perorare la causa dell’espulsione della Grecia? Vogliono il bene dei Greci?

Oppure poteva informarsi sulle ragioni per cui Tsipras, invece di guadagnare migliaia di voti facili, ha insistentemente rifiutato di inserire nel suo programma l’uscita della Grecia dall’eurozona. Gli economisti greci che hanno formulato il programma economico di Syriza sono dei fessi o dei mostri che se ne infischiano delle sofferenze dei loro concittadini e delle loro famiglie? Come mai Syriza e Tsipras sono detestati da tutti i maggiori quotidiani finanziari internazionali e demonizzati dalla troika se in effetti sono i massimi responsabili della continua presenza della Grecia nell’eurozona, che in teoria dovrebbe incontrare i loro favori?

Bagnai (e Messora e gli altri) avrebbe anche potuto chiedersi come mai oltre tre quarti dei Greci, nonostante tutto quel che stanno patendo da anni, siano ancora intenzionati a restare nell’eurozona. Tutti fessi? E perché allora sostenere che hanno impedito ai Greci di votare per l’uscita dall’eurozona? Il referendum avrebbe visto il trionfo del no all’uscita. Perché queste cose Bagnai non le dice? Dov’è l’onestà intellettuale? A che gioco sta giocando il Fatto Quotidiano?

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Ettore Livini, “Grecia, il ritorno della dracma costerebbe 11mila euro all’anno per ogni europeo”

Il ritorno della dracma, se mai succederà, “non sarà indolore né per la Grecia né per la Ue”, ha garantito Per Jansson, numero due della Banca di Svezia (che non è parte in causa, NdR).

IL PRIMO ATTO

Il primo atto del possibile Calvario è già scritto: un fine settimana, a mercati chiusi, Atene formalizzerà a Bruxelles la sua uscita dalla moneta unica. Poi sarà il caos. La Banca di Grecia convertirà dalla sera alla mattina depositi, crediti e debiti in dracme, agganciandoli al vecchio tasso di cambio con cui il Paese è entrato nell’euro nel 2002: 340,75 dracme per un euro. Si tratta di un valore virtuale: alla riapertura dei listini, prevedono gli analisti, la nuova moneta ellenica si svaluterà del 40-70 per cento. Per evitare corse agli sportelli (i conti correnti domestici sono già calati da 240 a 165 miliardi in due anni), Atene sarà costretta a sigillare i bancomat, limitare i prelievi fisici allo sportello e imporre rigidi controlli ai movimenti di capitali oltrefrontiera.

IL PIL GIU’ DEL 20%

L’addio all’euro costerà carissimo ai greci: il Prodotto interno lordo, calcolano alcune proiezioni informali del Tesoro, potrebbe crollare del 20 per cento in un anno. I redditi andrebbero a picco, l’inflazione rischia di balzare del 20 per cento. Il vantaggio di competitività garantito dal “tombolone” della dracma sarà bruciato subito. La Grecia – che a quel punto non avrebbe più accesso ai mercati – sarà costretta a finanziare le sue uscite (stipendi e pensioni) solo con le entrate (tasse) senza potersi indebitare. E non potrà più contare né sui 130 miliardi di aiuti promessi dalla Trojka, nei sui 20,4 miliardi di fondi per lo sviluppo stanziati da Bruxelles. Di più: i costi delle importazioni (43 miliardi tra petrolio e altri beni di prima necessità nel 2011) schizzerebbero alle stelle mettendo altra pressione sui conti pubblici. Un Armageddon che rischia di far passare il memorandum della Trojka per una passeggiata. Il colpo di grazia per una nazione in ginocchio, reduce da cinque anni di recessione che hanno bruciato un quinto della sua ricchezza nazionale e con la disoccupazione al 21,7 per cento.

TORNANO I DAZI

In questa tragedia greca, l’Europa non avrà solo il ruolo di spettatore. Il pedaggio a carico del Vecchio continente – che un minuto dopo il ritorno della dracma potrebbe imporre dazi alle merci elleniche – è salatissimo. L’effetto contagio, tanto per cominciare, si tradurrà in una Caporetto per i mercati e una via crucis per Italia e Spagna. Gli spread, calcolano gli algoritmi di Sungard, potrebbero salire del 20 per cento, le borse scendere del 15 per cento. Ma è solo l’antipasto. La Grecia – dove le banche saranno nazionalizzate – smetterà di pagare i debiti anche ai privati e così lo tsunami della dracma travolgerà diversi istituti di credito e molte imprese continentali. Una matassa inestricabile (anche legalmente), molto peggio di quella della Lehman che nel 2008 ha mandato in tilt il mondo.

I CALCOLI DI UBS

Italiani e spagnoli, ha calcolato Ubs un anno fa, pagherebbero tra i 9.500 e gli 11.500 euro a testa all’anno per l’addio all’euro di Atene. I tedeschi poco meno. Le cifre vanno aggiornate al rialzo: il debito di Atene a fine 2009 (301 miliardi) era tutto controllato da privati. Ora, grazie alla ristrutturazione, è sceso a 266 miliardi. E ben 194 sono in mano a paesi Ue, Bce e al Fondo Monetario. Se la Grecia non onorerà i suoi impegni come ha fatto l’Argentina, l’Apocalisse europea è belle e servita.

http://www.repubblica.it/economia/2012/05/15/news/grecia_il_ritorno_della_dracma_costerebbe_11mila_euro_all_anno_per_ogni_europeo-35060321/

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PREVISIONI DI NOMURA

http://www.forexinfo.it/Grecia-fuori-dall-euro-Nomura-fa

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“La mancanza di un processo costituzionale (o permesso da un trattato) per uscire dalla zona euro ha una solida logica solida alle spalle. Il punto di creare la moneta comune era quello di convincere i mercati che si trattava di un’unione permanente che avrebbe assicurato perdite enormi per chiunque avesse osato scommettere contro la sua solidità. Una singola uscita basta ad abbattere questa solidità percepita. Come una piccola crepa in una possente diga, un’uscita greca porterà inevitabilmente al collasso l’edificio…Nel momento in cui la Grecia viene spinta fuori accadranno due cose: una massiccia fuga di capitali da Dublino, Lisbona, Madrid, ecc, seguita dalla riluttanza della BCE e di Berlino ad autorizzare liquidità illimitata alle banche e stati. Questo comporta il fallimento immediato di interi sistemi bancari, nonché dell’Italia e della Spagna. A quel punto, la Germania dovrà affrontare una terribile dilemma: mettere a repentaglio la solvibilità dello stato tedesco (devolvendo alcune migliaia di miliardi di euro per salvare ciò che resta della zona euro) o salvare se stessa, abbandonando la zona euro. Non ho alcun dubbio che sceglierà la seconda. E poiché questo significa strappare una serie di trattati e carte dell’UE e della BCE, l’Unione Europea, di fatto, cesserà di esistere”.

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/31/interviewed-by-fxstreet-com-on-grexit/

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L’uscita dall’eurozona sarebbe una catastrofe pazzesca e, soprattutto, è esattamente quel che vogliono gli hedge fund, che puntano proprio a quell’esito per spolpare le carcasse degli stati lasciati dietro. Non per altro hanno cominciato attaccando proprio quelli. È quel che fanno i predatori: separano le prede più deboli dal branco e poi le aggrediscono assieme.

Bagnai & co sbagliano e se la gente li prenderà sul serio ci porteranno alla catastrofe.

La troika va combattuta dall’interno dell’eurozona e le riforme strutturali si dovranno fare assieme, con i PIIGS che finalmente fanno fronte comune, dopo essersi liberati delle attuali classi dirigenti corrotte ed incompetenti, e pretendono i cambiamenti necessari.

Yanis Varoufakis: “Questo significa che la Grecia dovrebbe sorridere e sopportare la misantropa idiozia del pacchetto di salvataggio-austerità imposto dalla troika (UE-BCE-FMI)? Certo che no. Dovremmo certamente fare il default. Ma all’interno della zona euro. (Vedi qui  per questo argomento.) E utilizzare la nostra disponibilità al default come una strategia di contrattazione con la quale realizzare un New Deal per l’Europa (nel modo che ho descritto qui )”.

http://vocidallestero.blogspot.it/2012/05/per-varoufakis-la-grecia-non-puo.html

Qui la sua proposta di soluzione (eminentemente ragionevole)

IN ITALIANO (ACCENNI): https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/11/04/la-modesta-proposta-per-superare-la-crisi-delleuro-di-yanis-varoufakis/

IN INGLESE (TESTO COMPLETO):

http://yanisvaroufakis.eu/2012/05/15/the-modest-proposal-for-overcoming-the-eurozone-crisis-version-3-0/

Se seguiremo i consigli di Bagnai ci sarà una rivoluzione (con relativa contro-rivoluzione) entro pochi anni e tutte le peggiori tipologie umane si sfideranno per arrivare al potere.
http://fanuessays.blogspot.it/2012/01/se-incontrate-questo-tipo-di.html

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UNA POSTILLA

Qualcuno che conosce Alberto Bagnai (goofynomics) può spiegargli che trattare come sterco tutto quello che non è in linea con il suo pensiero e come degli imbecilli quelli che non la pensano come lui diminuisce il potere persuasivo dei suoi articoli?

Mi rendo conto che, in una certa misura, sia un rischio che corriamo (e una trappola in cui caschiamo) tutti noi che ci troviamo a combattere contro un paradigma dominante palesemente errato e criminale ma tenuto in vita dai media; tuttavia su goofynomics si esagera e c’è davvero pochissimissimo spazio e rispetto per visioni alternative.

Quando gli amici FB mi chiedono di leggerlo mi domandano un vero e proprio sacrificio, perché davvero faccio fatica ad esaminarlo obiettivamente, mi mette subito a disagio e mi irrita. Sono sicuro di non essere il solo. Non saprei dire se Bagnai sia peggiorato o sia io ad essere diventato sempre più sensibile, ma sta diventando un problema.

Questo sfogo nasce dalla lettura del seguente articolo:

http://goofynomics.blogspot.ch/2012/11/piccoli-prodi-friniscono.html

Anch’io, come lui, ho poca pazienza per diversi aspetti del grillismo, però qui mi pare ci sia cattiveria gratuita (anche nel dibattito che segue), un livore che eccede i limiti della disputa e che comincia davvero a mostrare dinamiche da cultismo, da inquisizione puritana. La cosa non mi piace per niente perché lo vedo succedere sempre più spesso in diverse sedi e mi spaventa l’idea di finire così.

 

GAME OVER – consigli su come salvare ciò che c’è di più prezioso

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

Web Caffè Bookique [Facebook]

 

Quando il diavolo vuole servirsi della nostra mancanza di carattere, la chiama tolleranza, quando invece vuole stroncare il nostro primo sforzo verso la tolleranza, la chiama mancanza di carattere….Facile essere gentili anche con il nemico, per mancanza di carattere…La tua posizione non ti dà mai il diritto di comandare. Solo il dovere di vivere in modo tale da permettere agli altri di seguire il tuo ordine senza esserne umiliati…Spesso la massima serietà si esprime solo con parole allegre, divertenti, distaccate; puoi aspettartelo da chi, nonostante sia profondamente coinvolto in tutto ciò che è umano, non ha nulla da conquistare e nulla da difendere.

Dag Hammarskjöld, mistico, segretario delle Nazioni Unite tra il 1953 ed il 1961 (quando fu ucciso da un complotto britannico nel Congo), premio Nobel per la Pace (postumo)

Questo è il mio consiglio e non è detto che sia il miglior consiglio. Lasciate perdere Giannino, Barnard & co.

Non sovrainvestite in oro, argento, franchi svizzeri e specialmente dollari. Questa, come potrete constatare leggendo oltre, non è una di quelle cose del tipo “ha da passa’ ‘a nuttata”.

La prima cosa da fare è saldare i debiti e non indebitarsi. Fate in modo che ciò che possedete sia interamente VOSTRO. Vestiti caldi (per la glaciazione), case ben isolate, tetto sistemato, cucina in ordine. Abbandonate gli investimenti sui mercati e convertiteli in contante (finché non lo aboliranno) con cui pagare i debiti. Chi è venuto prima di noi sapeva bene che l’indebitamento è una forma di asservimento. “Wes Brot ich eß, des Lied ich sing” = “Canto la canzone preferita di chi mi dà il pane” [obbedisco a chi mi paga affitto e vitto]. Emancipatevi il prima possibile. La casa è il vostro investimento principale, la seconda cosa più importante che avete dopo il sapiente impiego dell’intelletto. Le case sono anche il boccone più goloso per le banche e per chi le tassa (quindi tenete da parte i soldi anche per l’IMU). Poi, una volta saldati i debiti e messo da parte i soldi per l’IMU per diversi anni, se avete ancora risparmi (riccastri bastardi ;o) puntate sul fatto che l’Italia onorerà i suoi debiti con gli investitori se vuole evitare una rivoluzione (quindi obbligazioni).

Ma il miglior investimento in assoluto che potete fare è la conoscenza, intesa sia nell’accezione di “sapere”, sia in quella di “rete di persone conosciute”. Quel che servirà in futuro sono idee nuove per un mondo nuovo, da inventarsi, e tanta solidarietà, spirito di collaborazione, affidabilità, senso di responsabilità, compassione, consapevolezza del fatto che siamo esseri interdipendenti e non monadi egoiste come vorrebbero farci credere psicopatici e neoliberisti.

Fate attenzione a quel che vi succede attorno, a quel che dicono le persone, a quel che fate, alle reazioni che producete. Leggete letteratura “alta”, ascoltate musica “alta”, guardate film “alti”, cercate relazioni umane non superficiali, circondatevi di persone non superficiali, vivete abbondantemente e profondamente, mettete sempre a confronto tante fonti, non fidatevi di un’unica fonte e di un’unica versione dei fatti, non seguite nessun pastore/guru, non fidatevi di chi fa calare dall’alto le soluzioni a tutti i vostri problemi (moneta unica, chip sottocutaneo, Stati Uniti d’Europa, governo mondiale, ecc.) fate gruppo, fate comunità, ricordatevi sempre che siamo tutti sulla stessa barca, non siate mansueti/remissivi ma neppure tracotanti, non fate agli altri quel che non vorreste fosse fatto a voi, fate agli altri solo quello che questi desiderano sia fatto loro.

Se solo avessero voluto:
http://www.futurables.com/2014/02/07/e-possibile-porre-fine-alle-crisi-finanziarie-una-volta-per-tutte/

L’abolizione delle province è una fesseria che destabilizzerà il Paese (e Di Pietro cavalca l’antipolitica)

Un governo centralista che cancella senza problemi una provincia come quella di Belluno…il grido di dolore che viene dai nostri cugini bellunesi s’infrange di fronte alla soppressione forzosa delle province (e rivendicata a gran voce dalla furia di questo tempo) e alla possibilità stessa di un’autogoverno improntato al principio di solidarietà e di sussidiarietà.

Michele Nardelli, 6 maggio 2012

In tutti i paesi europei c’è un’istituzione geograficamente intermedia tra Regioni e Comuni e persino la Grecia per risparmiare “sui costi della politica” ha ridotto il numero delle Regioni, Province e Comuni tramite accorpamenti ma non si è sognata di abolirle. Le Province soffrono di mancanza di poteri e di altri mali, sono anche diventate un po’ troppe, ma sono mediamente la dimensione geografica ideale per politiche territoriali e ambientali moderne. E, comunque la si pensi in proposito, non si possono abolire né svuotare senza un confronto pacato, razionale ed approfondito, lontano da linciaggi.

Paolo Hutter, giornalista ed ambientalista, lettera a Repubblica, 15 dicembre 2011

La gente deve cominciare ad usare la testa, invece di farsi prendere dalle smanie dell’antipolitica. Non è possibile essere democratici e voler eliminare i corpi intermedi tra cittadini e potere centrlea, non è possibile essere federalisti ed approvare un maggiore accentramento statalista.
Accorpare sì, eliminare no!

Carlo Rapicavoli, “I cittadini di 8 province privati del loro diritto di voto… è così che si salva l’Italia?”, 5 maggio 2012

“Il delitto è finalmente consumato.

E’ arrivata la scadenza elettorale amministrativa, per molti ma non per tutti.

I cittadini di otto Province italiane – in virtù di quanto disposto da un decreto legge, in considerazione della straordinaria necessità ed urgenza di “salvare l’Italia” – non potranno esercitare il loro diritto di elettorato per il rinnovo dei propri rappresentanti nella Province.

I “fortunati” pionieri di questa riforma “salva Italia” sono i cittadini di Vicenza, Ancona, Ragusa, Como, Belluno, Genova, La Spezia e Caltanissetta.

In Sardegna, anziché votare per il rinnovo degli amministratori della Provincia di Cagliari, i cittadini saranno chiamati ad esprimersi su 5 referendum abrogativi regionali e i 5 referendum consultivi regionali relativi alla soppressione delle nuove Province e ad una consultazione su alcuni temi relativi all’organizzazione amministrativa della Regione.

Finalmente!

Finalmente i tanti sostenitori della “grande” riforma possono ritenersi soddisfatti!

I cittadini delle Province interessate potranno verificare direttamente quanti benefici deriveranno loro da questa rivoluzione.

Sui costi-benefici della soppressione delle Province e sull’esigenza di una riforma organica, che superi gli slogan, abbiamo già detto e rinviamo ai precedenti interventi sull’argomento.

[http://blog.panorama.it/economia/files/2012/01/11-12-06-upi-proposta-riassetto-province.pdf]

Su un punto vogliamo porre oggi l’attenzione.

Cosa accade oggi nelle otto Province private del diritto di elettorato?

[…]

La soluzione adottata nel ddl al contrario non riesce a dare una risposta equilibrata alle esigenze di rappresentanza di tutto il territorio provinciale che oggi hanno un punto di riferimento nel sistema elettorale provinciale basato su collegi territoriali, né riesce a tenere conto in modo adeguato della rappresentanza delle diverse forze politiche nei territori e dei necessari equilibri fra maggioranze e minoranze”.

Dunque: incertezza sulla scadenza degli organi in carica; incertezza sulla nomina dei Commissari; incertezza sul futuro e sulle nuova modalità di elezione.

Era proprio necessario tutto questo?

Era proprio necessario creare un conflitto istituzionale di tale portata?

Contro l’articolo 23 del decreto Salva Italia fanno ricorso, per evidente vizio di incostituzionalità, 8 Regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Campania, Molise, Sardegna.

Contro la mancata convocazione dei comizi elettorali della prossima tornata elettorale hanno presentato ricorso al TAR le Province di: Ancona, La Spezia, Vicenza e Como oltre ad un gruppo di cittadini organizzato della provincia di Belluno.

Un primo risultato è stato raggiunto: nasce una palese disparità nella rappresentanza di alcuni territori.

I cittadini di otto Province – a differenza delle altre – non avranno più una rappresentanza politica portatrice dei loro interessi in tutte le sedi istituzionali, ma saranno rappresentanti da un Commissario – non eletto ma nominato – che non risponde delle proprie scelte agli elettori ma al Ministro dell’Interno che l’ha nominato.

Con quale mandato un commissario potrà decidere se approvare un no ad esempio un piano urbanistico comunale?

Sulla base di quale autorità rappresentativa potrà stabilire le priorità negli investimenti ad esempio su scuole o su viabilità?

Sulle priorità nella destinazione delle risorse? Sulle scelte in merito al futuro assetto istituzionale nei tavoli di coordinamento?

E’ possibile che non ci renda conto del grave vulnus al sistema democratico ed al diritto di elettorato attivo si sta determinando in questo modo?

Ci sarà un motivo se solo nel periodo fascista si registra, nella storia d’Italia, la sospensione del sistema elettivo degli Enti Locali: la legge 237 del 4 febbraio 1926 che sopprimeva, nei comuni con meno di 5000 abitanti (ma il provvedimento fu esteso nel settembre dello stesso anno a tutti i comuni), l’elezione di consiglio e sindaco, sostituito dal podestà, unico organo deliberante del Comune, nominato con decreto regio; la legge 6 aprile 1926 attribuiva poteri politici ai prefetti, che diventavano rappresentanti del governo nelle province (circolare del 5 gennaio 1927) e infine la legge n. 2960 del 27 novembre 1928, che sanciva infine un nuovo ordinamento per le amministrazioni provinciali: veniva anche qui abolito il sistema elettivo: un “preside” avrebbe sostituito le funzioni del presidente della Deputazione e della Deputazione stessa, un “rettore” il Consiglio provinciale.

Era proprio necessario anteporre una decisione di tale portata ad una revisione ponderata di riordino istituzionale e di riassetto delle competenze?

La discussione avviata in Parlamento è auspicabile in ogni caso che riesca a superare e modificare radicalmente i contenuti di un provvedimento affrettato, confuso, dettato esclusivamente dalla necessità di offrire al dibattito mediatico quel “taglio” tanto invocato, ma purtroppo altrettanto poco ponderato, da chi, cavalcando le indubbie e gravissime difficoltà del nostro sistema politico ed economico, propone soluzioni devastanti per l’intero assetto costituzionale dello Stato ed in particolare per le Autonomie Locali, che andrebbero al contrario rafforzate e tutelate nell’erogazione dei servizi essenziali, in quanto oggi, molto più che il ritorno al centralismo, da sole possono riuscire a tentare di interpretare e gestire le aspettative e i bisogni dei cittadini.

La “grande riforma”, infatti lungi dal consentire risparmi – come indicato espressamente dalle relazioni tecniche della Camera e del Senato, che non hanno ritenuto di potere quantificare alcuna cifra dai risultati delle misure stesse – produce notevoli costi aggiuntivi per lo Stato e per la Pubblica amministrazione, ingenera caos nel sistema delle autonomie e conseguenze pesanti per lo sviluppo dei territori e sta già producendo effetti devastanti sulle economie locali, poiché produce il blocco degli investimenti programmati e in corso delle Province.

Se dunque è ormai chiaro che il Governo Monti difficilmente vorrà o potrà retrocedere dalla scelta di vedere nelle Province il capro espiatorio e che quindi una riforma dovrà essere attuata, occorre finalmente procedere al riordino dell’organizzazione delle istituzioni, in modo da razionalizzarne funzioni e costi, però in modo organico e complessivo, attraverso una revisione costituzionale del nostro ordinamento e non certo con decretazione d’urgenza.

Da tempo l’UPI chiede un confronto su una proposta organica di riforma su questi punti fondamentali:

Ciascuna provincia deve avere una dimensione adeguata dal punto di vista demografico, territoriale ed economico, per l’esercizio delle funzioni fondamentali previste dalla Legge sul federalismo fiscale.

Per razionalizzare le circoscrizioni territoriali, lo Stato e le Regioni a Statuto speciale procedono alla riduzione del numero delle Province e alla ridefinizione delle circoscrizioni provinciali, anche in conseguenza dell’istituzione delle città metropolitane.

Conseguentemente alla nuova delimitazione delle circoscrizioni provinciali e metropolitane, vengono accorpati gli uffici territoriali del governo.

Si prevede che le funzioni amministrative siano esercitare dai Comuni, dalle province e dalle città metropolitane: si eliminano quindi tutti gli enti o le agenzie statali, regionali e degli enti locali.

Si prevede l’istituzione delle Città metropolitane. Il territorio della città metropolitana coincide con il territorio di una o di più province. La città metropolitana acquisisce tutte le funzioni della provincia e le funzioni del comune capoluogo.

La città metropolitana prende il posto della provincia e del comune capoluogo e si articola al suo interno in comuni metropolitani.

Dall’attuazione di una riforma organica con tali contenuti ci si può attendere un risparmio di almeno 5 miliardi.

Vorrà finalmente il Governo aprire un confronto serio sull’argomento?”

http://www.leggioggi.it/2012/05/05/i-cittadini-di-8-province-privati-del-loro-diritto-di-voto-e-cosi-che-si-salva-litalia/

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