Fukushima – è realmente possibile che Tokyo debba essere evacuata?

Il 70% dei giapponesi vorrebbe ridurre la dipendenza dall’energia nucleare, mentre il 25% rimane favorevole all’uso del nucleare. Solo il 4% dei giapponesi vorrebbe che il paese aumenti l’uso dell’energia nucleare. Un anno fa, a poche settimane dall’inizio della crisi nucleare di Fukushima, i giapponesi erano più divisi su questo tema: il 44% era per una diminuzione dell’energia nucleare, il 46% voleva mantenere le cose come stavano, mentre l’8% si dichiarava favorevole ad un incremento del nucleare.

“Japanese Wary of Nuclear Energy. Survey Report”. Pew Research Center, 5 giugno 2012.

http://bywo.wordpress.com/

Il governo giapponese ha deciso di riavviare i due reattori della centrale nucleare di Oi nella prefettura di Fukui, ma il 71 per cento degli intervistati in un sondaggio condotto da Mainichi Shimbun dice che il governo non dovrebbe avere fretta nel riavviare i reattori fermi, mentre il 23 per cento è favorevole al riavvio immediato.

“71 percent against hastily restarting Oi nuclear plant: Mainichi poll”. The Mainichi Shimbun, 4 giugno 2012.

http://bywo.wordpress.com/

Masashi Goto, già ingegnere della Toshiba specializzato nella progettazione antisismica delle centrali nucleari, ha progettato il reattore nucleare di contenimento, riguardo alla solidità della struttura del reattore n° 4: “Anche se ci sono le pareti, non esistono modi semplici di verificarne la stabilità. In che misura è stata compromessa la loro stabilità dalla temperatura dell’incendio? È essenziale avere tutti i dati quando si esegue un calcolo strutturale. Ogni volta che Tepco pubblica i dati, dice sempre: “Abbiamo calcolato questo, ecco il risultato di ciò che abbiamo fatto, quindi non c’è pericolo”. Ma non hanno mai pubblicato un dato che un analista esterno possa utilizzare per verificare le loro conclusioni”.

Yukiteru Naka, direttore della Tohoku, ha lavorato come ingegnere presso la General Electric. Specializzata in sistemi di tubazioni, è stato coinvolto direttamente nella costruzione della centrale Fukushima Daiichi (reattore 1, 2 e 6). Attualmente è impegnato nel lavoro di smantellamento. Essendo a conoscenza del reale stato della costruzione del reattore 4, ha ammesso che ci sono dei pericoli di una fuoriuscita d’acqua dalla piscina di raffreddamento del combustibile: “Devo dire che c’è un rischio per l’unità 4. La piscina è attualmente raffreddata da un sistema temporaneo. Ma i condotti si estendono per decine di chilometri e poiché questa è una struttura temporanea, non è stata pensata per resistere a terremoti. Non c’è manutenzione sufficiente. I tubi attraversano le macerie. Penso che ci vorrà del tempo per svuotare la piscina, se i tubi sono stati danneggiati e causano una perdita. Le emissioni di materiale radioattivo sarebbe così alta che nessuno potrebbe avvicinarsi. (…) Vorrei che il governo e la Tepco si preparassero consapevolmente all’idea di una crisi incombente. (…) Se la piscina si svuota, nessun lavoratore potrà avvicinarsi al reattore 4 o agli edifici 1, 2 e 3”.

Hiroaki Koide, professore presso l’Istituto di Ricerca Nucleare dell’Università di Kyoto, è particolarmente preoccupato per lo stato dell’unità 4: “Se la piscina arrivasse al collasso a causa di un nuovo terremoto di grandi dimensioni, l’emissione di materiale radioattivo sarebbe enorme: una stima conservativa dà una radioattività pari a 5000 volte la bomba di Hiroshima”.

Per Robert Alvarez, ex consigliere del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, il problema riguarda il mondo intero: “Se un terremoto o un altro evento colpisse questa piscina [del reattore 4], potrebbe provocare un incendio radiologico catastrofico, con quasi dieci volte la quantità di cesio-137 che si è diffuso dopo l’incidente di Chernobyl”.

http://fukushima.over-blog.fr/article-fukushima-et-l-avenir-du-monde-106326840.html

Ho incontrato Robert Alvarez a Washington ed abbiamo parlato per diverse ore. L’ho ringraziato per il suo calcolo del Cs-137 nel sito di Fukushima Daiichi, un semplice numero che ha contribuito a richiamare l’attenzione del pubblico sulla questione. Alvarez ha detto che il dato di dieci volte il Cs-137 (nel reattore 4) rispetto a Chernobyl è basso, ma è utile ad evitare dispute scientifiche; una cifra più realistica potrebbe essere 50 volte…Ma poco importa, ha aggiunto, se la quantità è di 10 o 20 volte superiore. L’intero territorio giapponese diventerebbe una zona di evacuazione e la forte radioattività colpirebbe l’Asia orientale ed il Nord America. La ricaduta (fall-out) di materiale radioattivo durerebbe per diverse centinaia di anni.

http://akiomatsumura.com/2012/06/what-is-the-united-states-government-waiting-for.html

Il governo giapponese aveva già programmato l’evacuazione della metà settentrionale dell’isola di di Honshu (Tokyo compresa: fino a circa 40 milioni di persone) in caso di aggravamento della situazione a Fukushima:

http://ajw.asahi.com/article/0311disaster/fukushima/AJ201201070039

In una conferenza stampa il ministro Hosono ha affermato che il reattore numero 4 potrebbe sopportare un terremoto di magnitudo 6. Ma uno studio geologico sino-giapponese ha stimato un 90% di probabilità che un terremoto di magnitudo 7 colpisca quell’area entro tre anni:

http://www.solid-earth.net/3/43/2012/se-3-43-2012.pdf

Tre giorni fa c’è stato un terremoto da 6,4 nei paraggi, fortunatamente molto profondo.

“Dobbiamo far capire il concetto di after heat, vale a dire la generazione di calore da frammenti di fissione che durerà per settimane e mesi, e che deve essere continuamente rimosso. Non è facile comunicare questo concetto alla gente, per la quale qualsiasi incendio può essere domato in poco tempo. Per il nucleare purtroppo non è così”.

Robert Socolow, fisico della Princeton University, Bullettin of Atomic Scientist

http://thebulletin.org/web-edition/op-eds/reflections-fukushima-time-to-mourn-to-learn-and-to-teach

 

IL NUCLEARE IN ITALIA ED IL MITO DELL’EFFICIENZA GIAPPONESE

di Roberto Vacca (ingegnere favorevole al nucleare)

“…Il Giappone era al terzo posto nel mondo (dopo USA e Francia) per potenza installata e numero di centrali. Di 54, ne funzionano solo due. Molte sono ferme per manutenzione e le popolazioni circostanti si sono opposte con successo alla loro riaccensione. Al Giappone manca così un terzo dell’energia elettrica prodotta fino a un anno fa. Il risparmio forzoso è imponente: condizionatori spenti d’estate, illuminazione pubblica e privata al minimo e nuovo deficit della bilancia commerciale dopo tre decenni. Si aggravano localmente gli effetti della crisi economica. Sembra che i giapponesi si avviino a lasciare l’energia atomica. Le discussioni sulla sicurezza sono decisive – e peculiari. Ogni tecnologia presenta rischi. Per uccidere un uomo basta che il suo corpo sia attraversato da una corrente elettrica di circa un decimo di Ampere – meno di quella che passa in una lampadina. La sicurezza, però, è facile da capire e da assicurare (con limitatori e salva-vita). I morti per elettrocuzione sono pochissimi specie in Europa ove le protezioni sono più stringenti. Anche le automobili sono rischiose e, nel mondo, muoiono ogni anno 1.200.000 persone in incidenti di traffico. I movimenti per abolire le auto, però, sono scarsi e deboli. Molto più energici i verdi anti-nucleari con slogan, marce e propaganda, sebbene nel mezzo secolo da quando c’è l’energia nucleare i morti siano stati poche decine di migliaia. È arduo calcolarli: le radiazioni agiscono a distanza di tempo e spazio e si sommano alla radiazione naturale (da minerali, radon e raggi cosmici).
[quel che è certo è che le migliaia di test atomici della Guerra Fredda hanno ucciso un numero enorme di persone inquinando il pianeta irrimediabilmente, NdR]

Che conclusioni trarre per l’Italia? Il CIRN, Comitato Italiano per il Rilancio del Nucleare, conduce una campagna ispirata da esperti del settore. Sostengono che il nucleare sicuro è possibile. Questo è vero, se esistono accertati prerequisiti di competenza e rigore. In Italia certo esistevano nei pochi anni in cui funzionarono le nostre poche centrali nucleari. Discutere di competenza è difficile. Occorrono dati: non facilmente disponibili e compresi solo da chi ha studiato. Anche qui la trasparenza talora è scarsa, come in Giappone su Fukushima. Ci vogliono valutazioni espresse da esperti sulle prestazioni e i record di altri esperti. Spesso sono opinabili.

Molte delle opinioni espresse sono poco meditate e talora viscerali. Già un anno fa pubblicai su La Stampa un pezzo per controbattere chi diceva:”Perfino i giapponesi tecnicamente perfetti hanno avuto Fukushima: figuratevi che succederebbe da noi!” Spiegavo che la rete elettrica nipponica è spaccata in due: la metà orientale alla frequenza di 50 Hertz [come in Europa, NdR]e l’altra a 60 Hertz [come negli USA, NdR]. Solo una piccola frazione della potenza producibile può essere trasmessa da una regione all’altra. È una madornale inefficienza sistemica – altro che perfezione tecnica!

Come dico da anni, gli aspetti sistemici sono vitali: non basta essere perfetti, sia pure in alta tecnologia. Le quarantenni centrali di Fukushima erano di buon livello tecnico, ma i progettisti ignorarono il rischio degli tsunami. In quella zona sono fenomeno antico e ben documentato. Ce ne furono di più grossi: nel 1933 con un’onda alta 27 metri e nel 1890 con un’onda di 38 metri. Un recente studio commenta le statistiche sui 70 tsunami che colpirono la regione negli ultimi 12 secoli (vedi in figura: il segmento a destra indica un’onda di 10 metri). Nell’869 un’onda di 70 metri colpì Jorgan e distrusse tutto fino a 4 chilometri entro terra. I progettisti di Fukushima non tennero conto di questi precedenti.

L’ingegneria della sicurezza impone di considerare ogni possibile eventualità e predisporre difese adeguate. Queste mancavano nell’intera struttura della rete elettrica giapponese, nella scelta della località della centrale e nel progetto delle difese contro il mare. Avvenuto il disastro, i tecnici non potevano entrare nelle centrali per non subire gli effetti di radiazioni nucleari pericolose. Si poteva rimediare facendo entrare nei fabbricati robot radiocomandati muniti di telecamere. Anche questi, però, non erano stati predisposti.

Il costruttore americano iRobot mise gratuitamente a disposizione due robot Packbot e due robot Warrior 710 muniti anche di braccia meccaniche per rimuovere ostacoli e manipolare oggetti. I tecnici giapponesi dovettero essere addestrati a usarli. L’impiego pratico poté iniziare solo un mese dopo il disastro. Le difficoltà incontrate erano documentate dal diario di un operatore giapponese, noto solo con le sue iniziali S.H. I diari erano intitolati “Dico tutto quel che voglio”.  Le note di S.H. sono state scaricate da Web (prima che fossero cancellate) da un redattore del mensile SPECTRUM dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers [e.guizzo@ieee.org]. Ne risultano situazioni gravine critiche. S.H. racconta che dopo una lunga operazione in cui aveva dovuto avvicinarsi molto al robot (data la scarsa portata della connessione radio) l’allarme del dosimetro che misurava il livello di radiazioni che aveva assorbito cominciò a suonare. Il suo supervisore gli disse che il dosimetro era difettoso e che continuasse a lavorare.

Solo dopo tre mesi arrivarono alcuni moderni robot giapponesi. Erano modelli in cui i circuiti integrati erano vulnerabili alle radiazioni e avevano dovuto essere schermati opportunamente. Nell’ottobre 2011 uno di questi tranciò il proprio cavo e dovette essere abbandonato.

Le strategie energetiche e i problemi di sicurezza non si risolvono con discorsi (anche se “paiono assai fondati”), né su principi ideologici, né su astratti principi di precauzione. Dobbiamo analizzare i fatti, studiare, addestrare tecnici eccellenti, finanziare ricerca e scuole avanzate.

http://www.internauta-online.com/2012/02/energia-nucleare-tsunami-robot-politica-e-competenza/

I pro-Tav sono fanatici, i no-Tav sono realisti

a cura di Stefano Fait

 

Che cosa è giusto fare quando si sa e si crede fermamente di avere ragione e si sente che il proprio avversario, dalla parte del torto – in buona fede o cattiva fede – è disposto a tutto pur di non smettere la strada intrapresa? […]. Se si stesse “serenamente” ai fatti, bisognerebbe riconoscere…che i fautori della Tav appartengono a quel partito trasversale e ingordo che si chiama Partito Preso. Il loro avverbio è: Ormai. Ormai, non si può che continuare. Lo ripetono, come per convincersene meglio. Lo direbbero, con la stessa inesorabilità, a proposito del nucleare, se non ci fosse stato l’incidente di Fukushima, e aspettano solo di ricominciare.

Adriano Sofri, “La Val di Susa e l’assimmetria delle ragioni”, Repubblica, 29 febbraio 2012

 

Avanti con i lavori!

Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti

 

Deus lo volt

(“Dio lo vuole”)

Grido di battaglia dei crociati

Luca Mercalli, “Alcune domande sul TAV/TAC Torino-Lione”:

http://areeweb.polito.it/eventi/TAVSalute/presentazioni/TAV%20e%20Salute%20Mercalli.pdf

Confronto tra modelli predittivi che dovevano comprovare la necessità della TAV Torino Lione e i flussi di traffico reali:

http://www.lsmetropolis.org/2011/07/bignamino-no-tav-per-non-valsusini/

Studio di Paolo Beria e Raffaele Grimaldi, del Politecnico di Milano: «Difficile da giustificare, dato il calo continuo dei traffici negli ultimi 10 anni».

http://www.ilsole24ore.com/art/economia/2012-01-31/promossa-solo-milanoroma-064241.shtml?uuid=AaI0IskE

“TAV in Valle di Susa. Problemi di radioprotezione e impatto ambientale per la presenza di uranio e radon”

Massimo Zucchetti [Professore di I fascia di Impianti Nucleari, Dottore in Ingegneria Nucleare, Docente del Politecnico di Torino], Lucia Bonavigo [Laureata in Ingegneria Energetica presso la I Facoltà del Politecnico di Torino]

http://staff.polito.it/massimo.zucchetti/Seconda_Relazione.pdf

“Una analisi costi-benefici sulla linea ferroviaria Torino-Lione riesce a dimostrare la redditività dell’opera. Un risultato sorprendente considerati i costi altimissimi e lo scarso traffico. Lo si ottiene però sorvolando su alcune prescrizioni previste dalle migliori prassi internazionali e senza considerare per esempio l’impatto ambientale del cantiere. Mentre le previsioni di domanda sono eccessivamente ottimistiche. Ciononostante la redditività è marginale e basterebbe abbassare una delle tante sovrastime per rendere non fattibile il progetto.

La controversa linea ferroviaria Torino-Lione è stata recentemente oggetto di una analisi economica (costi-benefici sociali) commissionata dai promotori dell’infrastruttura: tra il quasi unanime stupore – considerati gli altissimi costi dell’opera e lo scarso traffico – mostra risultati positivi. Qualunque studioso del settore ne dedurrebbe che, se risulta fattibile un’opera con questi numeri, probabilmente non esiste alcun investimento infrastrutturale non fattibile. In ogni caso, la priorità di questa specifica opera risulterebbe bassissima se fosse confrontata con altre. Ma l’analisi in questione, come d’altronde accade sempre nel nostro paese, non è stata fatta in termini comparativi con altri progetti e nemmeno con possibili alternative tecniche dello stesso progetto”.

http://www.lavoce.info/articoli/pagina1002454.html

Angelo Tartaglia, docente di scienze fisiche, fisica teorica, modelli e metodi matematici al Politecnico di Torino

“Sintesi dei risultati dello studio sulla convenienza economica dell’ipotizzata nuova linea ferroviaria Torino-Lione”

Lo studio ha preso in considerazione i dati ufficiali relativi ai costi di realizzazione del nuovo collegamento ferroviario a standard di Alta Velocità tra Torino e Lione. Includendo i costi di manutenzione/gestione della nuova linea e gli oneri finanziari, da un lato, e valutando in termini economici i benefici ambientali, dall’altro, è emerso che per raggiungere una soglia minima di economicità il nuovo collegamento dovrebbe ospitare flussi di traffico decine di volte superiori a quelli correnti ed anche alla punta massima lungo la direttrice, verificatasi nel 1997. […]. Anche il solo pareggio di gestione, non considerando il recupero dell’investimento, richiederebbe flussi di passeggeri e merci da 5 a 10 volte superiori a quelli correnti.

[…].

Nell’ipotesi di realizzazione parziale, la linea risulterebbe necessariamente in perdita in ogni caso.

[…]

il flusso di merci attraverso la frontiera francese, mettendo insieme tutte le modalità (strada e ferrovia) e tutti i valichi (dal Monte Bianco a Ventimiglia), è in calo da una decina d’anni;

il traffico su rotaia cala in modo molto più marcato che sulla strada;

nello stesso tempo si riscontra una crescita dei flussi lungo la direttrice Nord-Sud (frontiere svizzera e austriaca), con un consistente aumento del traffico per ferrovia. Analizzando il contesto si vede che le ragioni di questi andamenti sono strutturali, in quanto sono legate alla dislocazione delle aree di produzione, come anche di smercio, delle merci di massa verso Est e in particolare verso il lontano oriente asiatico. Partendo dalle tendenze in atto e dalle prospettive di evoluzione del mercato delle merci atte al trasporto ferroviario è possibile valutare i flussi attendibili per il futuro lungo l’asse della Valle di Susae, per la verità, attraverso l’intero arco alpino occidentale. Le valutazioni si basano sull’osservazione che le economie dai due lati della frontiera italo-francese sono mature, con mercati di beni di consumo di massa sostanzialmente saturi. Viceversa i mercati in espansione si trovano in aree il cui tenore di vita è più basso di quello della media dell’Europa occidentale e l’economia è (e potrà essere) in crescita. Ne emerge che incrementi significativi dei traffici sono prevedibili lungo l’asse Nord-Sud e quindi in corrispondenza dei porti, non lungo l’asse Est-Ovest attraverso le Alpi.

Quello che emerge, in sostanza, è che è del tutto immotivata e irragionevole l’ipotesi di un aumento dei traffici tra Italia e Francia nella misura che sarebbe necessaria per giustificare la nuova linea Torino-Lione.

Il flusso di merci attraverso la frontiera italo-francese potrebbe verosimilmente, in condizioni economiche globali migliori di quelle di oggi, risalire ai livelli del 1997 o poco più in alto senza però cambiare di ordine di grandezza. Questa conclusione collima con le valutazioni espresse in un documento della Direction des Ponts et Chaussées predisposto per il Parlamento francese nel 2003. Da quanto sopra consegue che è del tutto infondata la previsione di una saturazione della linea esistente nei prossimi decenni.

Schematizzando, le conclusioni sono che:

1. l’economicità di una nuova linea ferroviaria tra Torino e Lione richiede flussi, in particolare di merci, che sono più di un ordine di grandezza superiori a quelli verificatisi nell’ultimo decennio (fino a 40 volte e più);

2. Il volume di traffico, tanto di passeggeri che di merci, lungo il corridoio della Valle di Susa è da tempo tendenzialmente in calo e non ha motivo di crescere in maniera rilevante nei prossimi decenni;

3. Non vi è alcuna ragionevole prospettiva di saturazione della linea esistente entro tale arco di tempo;

4. Una nuova linea non potrebbe far altro che essere fonte continua di passività;

5. L’opera sarebbe, di conseguenza, del tutto ingiustificata anche in una situazione economica molto migliore di quella presente;

6. I benefici non direttamente economici ipotizzabili non sono tali da modificare la valutazione negativa;

7. In caso di realizzazione parziale della nuova linea con utilizzo della linea storica tra Susa e a piana delle Chiuse l’esercizio risulterebbe comunque in passivo anche se la linea funzionasse in condizioni di saturazione.

Torino, 21/06/2011

http://www.scribd.com/sarti42/d/59819873-Relazione-Prof-AngeloTartaglia

Replica del Prof. Tartaglia alle teorie a favore del TAV Torino-Lione esposte dall’Onorevole Esposito nel suo sito web

Angelo Tartaglia è docente di scienze fisiche, fisica teorica, modelli e metodi matematici al Politecnico di Torino; da molti anni consulente per il TAV della Comunità montana della Valle di Susa, di cui è stato rappresentante nelle diverse commissioni tecniche e, per il periodo 2007-2009, anche nell’Osservatorio sulla Torino-Lione.

Stefano Esposito del Partito Democratico, è ex consigliere provinciale e dal 2008 Deputato del Piemonte; si è sempre distinto per iniziative, spesso dalla carica provocatoria, a favore della realizzazione del TAV Torino-Lione: autore di proposte quali l’espulsione dal proprio partito degli amministratori valsusini contrari all’opera e per l’impiego dell’esercito nell’imporre i cantieri sul territorio.

http://www.notavtorino.org/documenti/tartaglia-smonta-esposito-25-11-10.pdf

Mirco Federici, “Analisi termodinamica integrata dei sistemi di trasporto in diversi livelli territoriali”, Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Siena

La TAV ha impatti ambientali paragonabili al trasporto individuale in auto e addirittura superiori al trasporto merci su gomma. Non migliora l’impatto dovuto alle emissioni, ed anzi peggiora la qualità ambientale con l’invasività delle sue infrastrutture… la TAV non ha ragione di esistere né dal punto di vista dell’offerta di trasporto (troppo bassa) né dal punto di vista dell’efficienza… Inutile e oltretutto dannoso investire risorse e soldi su una tipologia di trasporto che non offre miglioramenti ambientali nel caso del trasporto passeggeri e che addirittura peggiora la situazione per il trasporto merci. Sottolineiamo che se il trasporto merci sulle TAV venisse abbandonato, allora il trasporto passeggeri diverrebbe assolutamente insostenibile, perché l’allocazione dei materiali e dell’energia delle infrastrutture verrebbe imputata interamente su un volume di traffico, che per quanto ottimistico, porterebbe ad una sotto utilizzazione della linea. Se questi risultati venissero integrati dagli altri impatti ambientali relativi alla cantierizzazione della TAV (come le falde acquifere deviate, infiltrazioni e contaminazione di terreni e falde sotterranee, impatto paesaggistico, inquinamento acustico etc.), il giudizio finale delle TAV diverrebbe ancora più negativo:

http://www.notav-valsangone.eu/index.php?option=com_docman&task=doc_details&gid=28&Itemid=93

Appello a Monti sottoscritto da 360 professori universitari, ricercatori e professionisti convinti che il problema della nuova linea ferroviaria ad alta velocità/alta capacità Torino-Lione rappresenti “una questione di metodo e di merito sulla quale non è più possibile soprassedere, nell’interesse del Paese”.

“Il progetto della nuova linea ferroviaria Torino-Lione…non si giustifica dal punto di vista della domanda di trasporto merci e passeggeri, non presenta prospettive di convenienza economica né per il territorio attraversato né per i territori limitrofi né per il Paese, non garantisce in alcun modo il ritorno alle casse pubbliche degli ingenti capitali investiti (anche per la mancanza di un qualsivoglia piano finanziario), è passibile di causare ingenti danni ambientali diretti e indiretti, e infine è tale da generare un notevole impatto sociale sulle aree attraversate, sia per la prevista durata dei lavori, sia per il pesante stravolgimento della vita delle comunità locali e dei territori coinvolti. […]. L’applicazione di misure di sorveglianza di tipo militare dei cantieri della nuova linea ferroviaria Torino-Lione ci sembra un’anomalia che Le chiediamo vivamente di rimuovere al più presto, anche per dimostrare all’Unione Europea la capacità dell’Italia di instaurare un vero dialogo con i cittadini, basato su valutazioni trasparenti e documentabili, così come previsto dalla Convenzione di Aarhus. Per queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in discussione in modo trasparente ed oggettivo la necessità dell’opera”:

http://www.notav-valsangone.eu/documenti/letteraMonti9_2_12.pdf

TAV Torino-Lione e ‘ndrangheta piemontese:

http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com/2011/09/tav-lione-torino-e-ndrangheta-piemontese-loperazione-minotauro-scopre-che-i-binari-sono-paralleli.html

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