La politica — quella vera, quella alta, quella nobile — dovrebbe creare visioni di futuro, finalità, comunità di destino che ci trascendono e tirano fuori il meglio di noi.
La fede in un destino comune per l’umanità, nella profonda unità delle azioni e aspirazioni umane è la precondizione per la cooperazione internazionale e quindi per un mondo migliore, una civiltà umana più adulta.
Al momento, però, prevalgono la brama di dominio, il paradigma del comando e controllo, le teorie della superiorità etnica-razziale, l’intolleranza religiosa, il darwinismo sociale.
Con che visioni di futuro ci ritroviamo? Per cosa ci battiamo? Per cosa ci alziamo dal letto? (Il Trentino che attende di essere creato).
- Ai musulmani è rimasto il concetto di comunità islamica, che alcuni interpretano fascisticamente.
- Ai cinesi si prospetta l’esplorazione spaziale, sottomarina e polare: il sogno cinese.
- Agli indiani un futuro di prosperità, dignità e abolizione delle caste.
- Ai russi la fine delle umiliazioni e del collasso demografico e un rilancio del ruolo di ponte tra Estremo Oriente ed Europa.
Noi che visioni di futuro abbiamo? Dolce&Gabbana? La conquista dello scudetto? La crescita del PIL?
Trattare una società e i suoi membri come unità economiche e di consumo da contabilizzare non unifica, ma atomizza ed è la conseguenza della capitolazione della politica agli interessi delle multinazionali (grande capitale globalizzato) che sono quasi sempre inconciliabili con quelli dell’umanità.
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