“Stare insieme è un’arte. Vivere in Alto Adige/Südtirol”, di Lucio Giudiceandrea e Aldo Mazza

978-88-7223-206-4

Insomma, alla fine me lo sono letto, come promesso, e mi è piaciuto.

Non ci ho trovato nulla di rivoluzionario, ma è un bel libro e, soprattutto, un libro che infonde fiducia; e Dio solo sa quanto ce n’è bisogno in questi tempi così cupi, dominati dalla paura, dal sospetto, dalla paranoia, dall’aggressività, dal rancore, dall’esasperazione, dall’egoismo, dalla tracotanza, dalla prevaricazione.
C’è un gran bisogno di libri che uniscano le persone, non nel senso che deve regnare la concordia e l’uniformità – senza conflitto/tensione la vita non sarebbe possibile – ma nel senso della coincidentia oppositorum, cioè a dire quella condizione in cui nessuno degli opposti desidera far scomparire l’altro e restare padrone del campo, ma rispetta il suo diritto ad esistere (unità nella diversità – “E dai discordi bellissima armonia” diceva Eraclito, un aforisma che piaceva molto a R.W. Emerson).

La parte che credo sia stata scritta da Lucio Giudiceandrea è molto chiara e condivisibile. [N.B. Nel suo commento a questo post Giudiceandrea ha precisato che il libro non è separabile in due porzioni]

La parte di Aldo Mazza è molto dettagliata e precisa.

Il contributo di Gabriele Di Luca è importante perché ribadisce un concetto – tradimento autocritico – che se anche fosse ripetuto 1000 volte non sarebbe mai sufficiente (e lo ribadisce bene).

Confesso però che è stato lo scritto di H.K. Peterlini ad impressionarmi di più. Una narrazione che è personale, psicologica ed antropologica, una testimonianza che scava nell’interiorità: è facile sedurmi con questo tipo di cose ;o)

Non ho letto il testo originale in tedesco ma la traduzione in italiano (sempre di Gadilu) scorre via piacevolmente.

Di Peterlini ho letto solo “Freiheitskämpfer auf der Couch” e non era una lettura facile, anche se l’ho trovata preziosa – e infatti l’ho citata molte volte nel mio prossimo libro. Tradurre il tedesco in italiano è comunque un’arte, un’arte necessaria.

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Note a margine di “Stare insieme è un’arte. Vivere in Alto Adige/Südtirol”, di Lucio Giudiceandrea & Aldo Mazza, Merano: alphabeta, 2012

di Stefano Fait, co-autore di “Contro i miti etnici. Alla ricerca di un Alto Adige diverso“, Bolzano: Raetia, 2010.

“La famosa convivenza non è un fatto naturale, non viene da sola. Essa va imparata. È come fare il falegname, se il paragone è lecito. Intanto quel mestiere dovrà effettivamente interessarmi; poi dovrò conoscere le caratteristiche dei vari tipi di legno, saper usare gli strumenti adatti, preparare i piani di lavoro, provare, sbagliare, riprovare. Solo così arriverò a dei risultati apprezzabili” (p. 11).

La metafora del falegname è bella ma non sono sicuro che sia calzante. Chiunque abbia osservato dei bambini giocare avrà notato che lo fanno con certi bambini e non con altri, per una questione di affinità personale che va ben al di là del colore della pelle, della lingua o dell’accento, dei vestiti indossati e dei cibi consumati. Con alcuni c’è intesa, con altri non c’è. Inoltre, in genere, i figli sembrano avere una soglia di tolleranza alla diversità mediamente più alta rispetto ai loro genitori. I cinici la chiamano beata ingenuità, altri ribattono che è proprio il cinismo a corrompere un’innocenza che renderebbe il mondo adulto meno crudele e doloroso.

In ogni caso, mentre ciascuno nasce interattivo e dipendente dal prossimo, nessuno nasce falegname. Falegnami si diventa con l’aiuto di qualcuno che ti insegna i rudimenti del mestiere. Quando una società valorizza la separazione al di sopra della condivisione, della comunanza e dell’unione, vengono a mancare maestri di convivenza (es. Alexander Langer) e proliferano i maestri di distanziamento (es. Anton Zelger). In Veneto, al sindaco leghista di Tarzo, nel trevigiano, Gianangelo Bof, che, avendo subito sulla sua pelle la condizione di immigrato (in Germania) è diventato un maestro di comunione e simbiosi, corrisponde il sindaco leghista di Adro, nel bresciano, Oscar Lancini, che si è dimostrato maestro di separazione ed entropia.

Quando esiste una lingua ponte che permetta di comunicare, gli esseri umani hanno sempre dimostrato di essere disposti a socializzare. Sono “animali” sociali, in fondo, è la loro natura. Per quanto ne so, non esiste un solo dato etnografico, storico o prodotto dalle scienze cognitive che corrobori la tesi che “vivere in contatto con un’altra cultura non è qualcosa di naturale ma di artificiale”.

Se le cose stessero così esisterebbero le razze (mentre l’umanità è meticcia) e non sarebbero praticati l’esogamia (matrimonio all’esterno del proprio clan, un’opzione che favorisce lo scambio, l’incontro e l’alleanza) ed il commercio; esisterebbe invece uno stato per ogni lingua parlata nel mondo (c. 6500), mentre in realtà gli stati sono circa 200 e la futura nascita di uno stato europeo o di una federazione araba ridurrebbe di molto questo numero.

Perciò non è corretto asserire che istintivamente ognuno sta con i suoi simili e non con chi è diverso. Vale certamente per una maggioranza di persone per la gran parte della loro vita e per tutte le persone in diversi periodi della loro vita, ma la curiosità è una forza irresistibile per quasi tutti gli esseri umani ed il desiderio di allontanarsi quanto più possibile da parenti serpenti, conoscenti scocciatori e comunità soffocanti non è certo un’anomalia nella storia. Non è corretto fingere che questa dimensione dell’umanità non sia significativa, stabilire che la norma sia quella della separazione naturale e volontaria e quindi dare ragione ad Anton Zelger (“più ci dividiamo, meglio ci comprendiamo”) e torto ad Alex Langer (“più ci uniamo, meglio ci comprendiamo”).

Il timore è che sottolineando le componenti “sacrificio” ed “eccezionalità” si finisca in qualche misura per magnificare l’eccellenza di chi ce l’ha fatta (un’impresa quasi “eroica”, in questa prospettiva – il che mi sembra francamente eccessivo, per esperienza personale) e scoraggiare tanti altri dal tentare di uscire dal proprio orticello. Quello della convivenza è un processo arduo solo se tra due gruppi umani manca la fiducia, il rispetto e la stima e questo troppo spesso succede perché certi potentati economici e politici godono di una rendita di posizione derivante dal dividere invece che dall’unire. La componente del potere è sempre al centro dell’agire umano e non deve essere oscurata da un riferimento esclusivo alla sfera culturale. Che ci piaccia o meno, ogni cultura è comunque e prima di tutto espressione di certe relazioni di potere.

È questa, e non delle ipotetiche inamovibili costanti della natura umana, la ragione per cui Giudiceandrea e Mazza sono costretti ad ammettere che “sotto una calma apparente il conflitto [l’Alto Adige] è pronto a riaccendersi” (p. 15).

Non a caso, nel testo tedesco della “dichiarazione di appartenenza ad un gruppo linguistico”, che conta i residenti in relazione alla lingua parlata per determinare la titolarità di certi diritti, non si parla di “consistenza” ma di “Stärke” (forza). Il che ci riporta alle disfide demografiche tra gli stati europei negli anni che precedettero la Grande Guerra: “chi ha la popolazione più grossa?”. Schermaglie viriliste tra potenze con conseguenze deleterie per le persone comuni.

Il potere e la sua distribuzione è sempre il primo fattore da considerare nell’esaminare una società.

Una questione di equilibri di potere ha fatto sì che il modello di convivenza (sarebbe meglio dire “coesistenza”) che è stato scelto per l’Alto Adige fosse quello del Nebeneinander (vivere l’uno a fianco dell’altro), per evitare lo sbocco nel Gegeneinander (l’uno contro l’altro) o nell’Ohneeinander (l’uno senza l’altro). Questa scelta ha sacrificato, o comunque rinviato a data da destinarsi, il Miteinander (l’uno assieme all’altro).

Quando un assessore dei Verdi (partito politico erede di Langer e della sua battaglia per l’incontro e la reciproca contaminazione), Patrizia Trincanato, dichiara che “questa è una terra delicata e complessa dove tutti dobbiamo fare attenzione a muoverci per non pestare i piedi e le sensibilità altrui ed il pentolone dove butti dentro di tutto mi fa paura”– riferendosi al progetto di un maxipolo culturale post-etnico – è difficile non concludere che le cose stanno andando maluccio e che il prosciugamento delle risorse pubbliche non potrà fare altro che peggiorare la situazione. Infatti il timore dell’assessore è che quest’iniziativa faccia parte di un preciso piano della SVP che sfrutti la necessità di compiere dei tagli per affidare la regia della cultura nella provincia di Bolzano alla supervisione del partito di governo, l’SVP: “Secondo me i passi che il presidente Luis Durnwalder ha fatto sono molto chiari. Penso alla toponomastica ed a tutta la questione dei cartelli sui sentieri di montagna, penso alla volontà di creare un Museo unico “Il Landesmuseum”, penso alla creazione di un Polo bibliotecario unico “La Landesbibliothek” magari sotto la direzione di un direttore unico, penso ai colpi che sono stati inferti all’autonomia della scuola e penso adesso alla volontà di andare verso la gestione unica degli spettacoli…. Sarà ma tutto questo non mi piace”. Una privatizzazione della cultura, insomma: “Vogliamo mettere un bavaglio alla cultura? Vogliamo che l’Svp ci spieghi quale spettacolo è bene vedere e quale sarebbe meglio di no? Vogliamo questo in questa nostra meravigliosa terra che ha fatto della convivenza e dell’assoluto rispetto dell’idea altrui la sua bandiera? Vogliamo tenerci una pluralità culturale solo di facciata o la vogliamo reale? Vorrei tanto saperlo” (Alto Adige, 19 agosto 2012).

Hanno perfettamente ragione, i due autori, a paventare che l’unico fattore di integrazione, a questo punto, potrebbe diventare il nemico comune, ossia gli ultimi arrivati, gli immigrati.

Al centro dell’analisi di Giudiceandrea e Mazza si situa, molto giustamente, l’enunciato che “il conflitto ha dalla sua parte gli automatismi, i pregiudizi, i “pensieri semplici”; esso può contare sul fatto che dividersi, riconoscersi come nemici è la reazione più immediata. Stare insieme invece richiede la fatica dei “pensieri complessi” (op. cit., p. 30).

Ma non è forse esattamente questo quello che siamo chiamati a fare in quanto esseri umani? Il dominio dei pensieri semplici è quello dell’infanzia e degli altri primati, di tanti mammiferi, non degli adulti. Senza contare che certi bambini ci stupiscono già in tenera età con intuizioni maestose, pensieri profondi, sintesi che ci lasciano senza fiato (Roehlkepartain et al., 2006). Perché accontentarsi di automatismi, di ragionamenti e comportamenti meccanici quando in noi c’è il potenziale per ben altro? Se uno ha una Ferrari e la guida come se fosse al volante di una Panda difficilmente godrà di un’alta considerazione tra i suoi conoscenti.

Proprio i due autori, tra l’altro, ribadiscono che siamo noi gli artefici del nostro destino. A maggior ragione, quindi, dovremmo sentirci chiamati a vincere le nostre paure, pigrizie, piccinerie, egoismi e pregiudizi e dare una mano al nostro prossimo, per il bene comune, in una prospettiva di coralità che beneficia tutti quanti e non solo una minoranza di privilegiati.

Personalmente io vedo la storia come un tiro alla fune tra chi interpreta il progresso come la realizzazione dell’inscindibile unità di libertà, uguaglianza e fratellanza e chi invece, cinicamente, non scorge nulla al di fuori della relazione pastore-pecora/padrone-servo/élite-massa. L’era della globalizzazione ha reso ancora più netta questa distinzione, polarizzando le coscienze in un senso o nell’altro, in funzione della scelta tra controllo e libertà, gerarchia ed uguaglianza, divisione ed unità.

Di conseguenza, il Nebeneinander non è più sostenibile: alcuni desiderano più muri e più lealtà rispetto alla compattezza etnica ed alla propria civiltà; altri desiderano più ponti, più traditori del proprio gruppo, maggiore autocritica. La via di mezzo non trova più spazio.

C’è bisogno di un Alto Adige diverso, spiega molto bene Hans Karl Peterlini (cf. Giudiceandrea/Mazza 2012, p. 173): “un Sudtirolo non come programma politico o esercizio di sopravvivenza etnica, come esperimento culturale o esempio statale, ma come spazio vitale, campo di possibilità, terreno creativo per coltivare dei sogni”. Recuperando il sogno (che non è utopia, ma lavoro in corso) di Alexander Langer: “Ciò che in lui come visione, come predilezione per l’essere umano al di là di ogni costrutto, come fede nel bene e nell’onestà, come fame e sete di giustizia, appariva nelle edizioni dei suoi scritti, era la summa di tutto quello che doveva sembrare possibile, se soltanto lo si fosse voluto, se non si fosse preferito e si preferisse tenersi abbarbicati a tutte le barriere che sono nella nostra testa, perché tanto si sa che l’altro è fatto così e potrebbe rappresentare per me una minaccia e io sono quello che sono e non posso fare altrimenti (cioè, non è che non vorrei, ma non ho il coraggio di farlo, per usare le parole di Karl Kraus)” (ibidem). Che, poi, sono anche le parole di Paolo di Tarso: “Non riesco a capire ciò che faccio: infatti io faccio non quello che voglio, ma quello che detesto…in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio (Romani 7, 15-19).

Credo che moltissimi abitanti dell’Alto Adige/Südtirol desiderino un Alto Adige diverso. Non sono però pochi quelli che vorrebbero avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ossia vogliono le identità forti ma anche la concordia, il particolarismo ma anche l’universalismo, vogliono gli Schützen ma anche Langer, la separazione ma anche l’unione, il cambiamento ma anche l’identità e la stabilità.

Malauguratamente per loro, però, l’indispensabile unità nella diversità richiede dei sacrifici, richiede agli ego (miti, golem) personali e collettivi di fare un passo indietro, richiede di pagare un prezzo – e il prezzo da pagare per un Alto Adige diverso è la scomparsa dell’Alto Adige in cui sono cresciuti.

Monti, Ambrosetti, la Repubblica e lo smantellamento del sistema sanitario nazionale

Ambrosetti e Monti, amici da 35 anni

Monti ha parlato di un sistema che avrà difficoltà a resistere. I ricercatori di Ambrosetti, nella pubblicazione “Meridiano sanità”, si sono spinti oltre. Hanno infatti ipotizzato che entro il 2050, cioè in meno di 40 anni, la spesa sanitaria italiana sarà più che raddoppiata, e salirà a 260 miliardi di euro”.

La Repubblica del 28/11/2012.

Cos’è Ambrosetti e perché la Repubblica lo cita come fonte autorevole a sostegno delle dichiarazioni di Monti?

“Ambrosetti – Europe House” è uno di quei club in cui si decidono (a porte chiuse) le sorti di milioni di persone. Fa parte della stessa schiatta di Gruppo Bilderberg, Trilaterale, CFR, Aspen, Bruegel, ecc.

http://www.informarexresistere.fr/2012/09/08/the-european-house-ambrosetti-una-s-p-a-che-detta-lagenda-mondiale-2/#axzz2DQlEDeu5

Ne è Presidente onorario Alfredo Ambrosetti, “il padre del seminario che dal 1975 riunisce sulle rive del Lago di Como chi fa leggi e chi dirige le aziende, i pensatori più brillanti e i ministri attuali o futuri, in Italia come a Bruxelles…. «Con Napolitano c’è sempre stata una forte corrente di simpatia e di stima reciproca, per quel che posso testimoniare. Il presidente è stato un ospite assiduo del seminario e Monti ha sempre curato di persona le sessioni che lo hanno riguardato». Già, perché il neopremier è, fin dalle origini, uno dei «fabbri» più preziosi di quella fucina di idee che è da sempre il workshop di Cernobbio. A lui si deve in buona parte il merito di avere dato forma all’«Ambrosetti», molto di più di un convegno o di un luogo di discussione libera….

come si fa a non partecipare a quella kermesse cui ogni anno Monti, forte della sua rete di contatti e di relazioni internazionali ad altissimo livello, presenta i protagonisti del mondo che verrà? «È stato lui a segnalare Christine Lagarde» rivela Ambrosetti «prima che venisse nominata nel governo francese».

«Monti è arrivato da noi nel ’77, quando il seminario era alla sua terza edizione» ricorda Ambrosetti. «È stato l’anno del salto di qualità, quando il seminario ha preso una fisionomia più precisa e internazionale, grazie alla collaborazione di Franco Modigliani, non ancora premio Nobel. In quell’occasione spuntò quel giovane economista così serio e preciso, mi colpì subito per la sua competenza e la proprietà di linguaggio: mai un aggettivo fuori posto, mai una sbavatura. Da quel momento decisi che la sua sarebbe stata una  collaborazione preziosa».

Mai decisione fu più felice, visto che, 34 anni dopo, l’entusiasmo è più vivo che mai. Anzi. «Monti è semplicemente perfetto» assicura Ambrosetti. Inutile tentare di scalfire l’ammirazione di Ambrosetti, che pure ha visto sfilare i grandi della Terra, per il suo amico prestato alla politica. Emerge il ritratto di un uomo schivo, amante della natura e della solitudine, ma capace di grandi gesti d’affetto, come congedarsi da un vertice di altissimo livello in Polonia per correre al matrimonio della figlia dell’amico Alfredo, come è successo il 22 ottobre scorso.

«Non l’ho mai visto arrabbiato» continua Ambrosetti. «Ha una capacità di autocontrollo ai limiti dell’umano». E ancora: «È misurato nelle parole, puntuale negli appuntamenti». Difficile che uno così se la possa cavare in un ambiente difficile e complicato come la politica. «Non credo» replica Ambrosetti «che la sfida di Bruxelles fosse più agevole. Anche lì non mancavano difficoltà ambientali o nemici potenti.

Lui ha un’arma preziosa: è assolutamente incorruttibile. Non solo, come è ovvio, dal punto di vista materiale. Ma anche sul piano ideologico. Ha convinzioni profonde e quando si sente nel giusto non cede ai compromessi».

http://economia.panorama.it/Alfredo-Ambrosetti-vi-dico-io-come-Mario-Monti-e-arrivato-qui

La trentottesima edizione del tradizionale appuntamento di Cernobbio, il workshop Ambrosetti, si è chiusa ieri con l’incoronazione di Mario Monti. Anzi, del ‘Monti bis’. A decretare l’assoluta necessità di affidare all’agenda del professor Monti il futuro del Paese sono stati gli ospiti del forum. Amministratori delegati, industriali e banchieri ci mettono la faccia, e spiegano che “il governo che uscirà dalle urne dovrà proseguire il lavoro di Monti”. Un messaggio alla politica, dunque. Perché candidarsi è lecito, ma per quanto riguarda il programma, quello dell’illustre bocconiano basta e avanza. Unica nota stonata, il pollice verso di Giulio Tremonti. “I banchieri sono contenti”, spiega l’ex ministro del Tesoro, “sicuramente non lo sono i cittadini”. Ma l’ultima parola l’ha avuta il padrone di casa e presidente onorario di The European House Ambrosetti. “Stimo Monti infinitamente”, dichiara il cavaliere Alfredo Ambrosetti, che proietta ‘Super Mario’ ben oltre la presidenza del Consiglio. “Nutro un sogno”, confessa alle telecamere de ilfattoquotidiano.it, “vorrei che Mario Monti diventasse Presidente della Repubblica”

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/09/10/cernobbio-elegge-monti-ambrosetti-sogno-premier-colle/204700/

Basta prendersela coi Tedeschi! Siamo tutti sulla stessa barca

 

a cura di Stefano Fait

Un giornalista svizzero ha scritto che l’euro è il terzo tentativo tedesco in cento anni di sottomettere l’Europa [“der Euro ist der dritte Versuch Deutschlands innerhalb von 100 Jahren, Europa zu unterwerfen”].

Un’interessante constatazione, che però ritengo sia falsa e non solo per il fatto che non tiene conto della manovre della Banca Centrale del Regno Unito (Bank of England) negli anni antecedenti allo scoppio della Grande Guerra.

 

È un fatto inoppugnabile – per qualunque osservatore razionale – che diverse nazioni europee (e non solo) hanno ormai perso ogni speranza di beneficiare di una pur minima ripresa economica perché i loro rispettivi governi hanno imposto draconiane misure di austerità che hanno cancellato ogni possibilità di ripagare il proprio debito nazionale con la crescita.

Pare che l’intenzione di questi governanti sia quella di ripagare l’indebitamento con i risparmi privati, ossia di effettuare un trasferimento di ricchezze dal basso verso l’alto (anti-Robin Hood), anche e soprattutto attraverso la privatizzazione delle risorse pubbliche. Le agenzie di rating, dal canto loro, hanno buon gioco nello spolpare le carcasse di queste facili prede.

Gli stessi politici che hanno sempre ottemperato alle richieste dell’alta finanza e della grande industria hanno avviato le loro pecorelle al macello, promettendo che tutto sarebbe andato bene e che la crescita ed il progresso erano irreversibili. La crisi globale ha fatto arrivare tutti i nodi al pettine.

Una grossa fetta del debito greco è stata generata per sostenere le banche greche, come in altri paesi. Ma le nazioni creditrici non sono messe molto meglio. Sono state introdotte misure di austerità in Germania e Francia e quelle imposte al Regno Unito dal proprio governo sono quasi paragonabili a quelle delle nazioni fortemente debitrici (PIGS), con la motivazione che occorre salvare i PI(I)GS dalla bancarotta.

Ciò tuttavia non corrisponde al vero, come dimostra il caso greco. I Tedeschi non stanno soccorrendo i Greci per solidarietà paneuropea ma perché se la Grecia fallisce il sistema bancario tedesco riceverà un colpo terribile, forse fatale, essendo particolarmente esposto sia con l’amministrazione pubblica greca nei suoi vari gangli, sia con le banche greche. Dunque i fatti indicano che i Tedeschi stanno soccorrendo le proprie banche, non la Grecia. Lo stesso vale per il Regno Unito nei confronti dell’Irlanda e della Francia nei confronti del Portogallo e in particolar modo della Grecia. In pratica i soldi escono dalle tasche dei contribuenti delle nazioni “ricche” per affluire nelle banche delle loro nazioni, con una piccola, rapida deviazione attraverso i PIGS. ANTI-ROBIN HOOD, appunto.

Ci viene detto che la colpa è dei PIGS, che hanno speso più di quello che si potevano permettere e questo è certamente in parte vero. Ma la colossale omissione è che le banche anglo-franco-tedesche-italiane (ed extra-europee) sapevano che quei debiti non potevano essere ripagati – sono stati usati tutti i trucchi contabili possibili per nascondere la reale entità dell’indebitamento dei PIGS, fino a che non è emersa la verità in tutta la sua evidenza –, ma hanno comunque deciso di concedere i prestiti, alimentando un circolo vizioso, come uno spacciatore con i suoi clienti, presumibilmente nella certezza che, essendo “troppo grandi per fallire” (e che molti politici sono al loro servizio e non del bene comune), i governi sarebbero intervenuti per salvarle, a spese dei contribuenti, a beneficio dei consigli di amministrazione. Così i Tedeschi hanno pagato molto di più per salvare le proprie banche di quanto abbiano pagato per salvare la Grecia (senza averla salvata, peraltro) e, in ogni caso, quel che daranno alla Grecia finirà nelle tasche dei loro banchieri.

Dunque si tratta di capire quanto costerà ai cittadini salvare il sistema finanziario-bancario, che non intende pagare lo scotto delle proprie azioni. È presto detto: il costo per i cittadini è la perdita della sovranità nazionale a beneficio di piani di austerità draconiana (uso questo termine avvedutamente: Dracone applicava la pena di morte o la schiavitù ai debitori). È quel che è successo in questi mesi, sotto la supervisione della Commissione Europea, della Banca Centrale Europea e del Fondo Monetario Internazionale.

Le misure contenute nei pacchetti di riforme “energicamente raccomandate” comprendono l’aumento dell’IVA e la riduzione delle imposte progressive – ossia la soppressione dei meccanismi perequativi che stanno alla base di una democrazia –, la diminuzione del costo del lavoro – ossia la contrazione del tenore di vita dei lavoratori –, il taglio delle pensioni, la riduzione del salario minimo e dei sussidi di disoccupazione e la revisione delle norme per la tutela dei diritti dei lavoratori. In questo modo chi paga il conto della crisi sono lavoratori dipendenti, pensionati e consumatori. I ricchi pagano meno tasse e il resto della popolazione si ritrova con i generi di prima necessità a costo maggiorato.

Non è un fenomeno nuovo. È già successo a molti paesi in via di sviluppo:

http://fanuessays.blogspot.com/2011/11/shock-economy-il-capitalismo-del.html

e sta succedendo negli Stati Uniti:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/22/il-tiranno-di-chicago-e-la-stupidita-del-bene/#axzz1mLNsw14z

Quel che prima è accaduto ai paesi in via di sviluppo ora succede ai “pezzi grossi”, alle economie “avanzate”. Siamo giunti alla resa dei conti:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/16/golpe-psicopatico/#axzz1mLNsw14z

In buona sostanza, quel che sta accadendo è che i sacrifici imposti alla Grecia servono a giustificare agli occhi dei Tedeschi lo svuotamento delle loro tasche. È una ruberia legalizzata ai danni di Greci e Tedeschi e per di più questi ultimi vengono definiti nazisti dai Greci e tiranni dagli altri popoli europei: cornuti e mazziati. Quando capiremo che i Tedeschi di oggi non sono quelli di Auschwitz? Quando la finiremo di usarli come un capro espiatorio, gli Ebrei d’Europa? I Tedeschi sono vittime di questo complotto quanto lo sono tutti gli altri popoli europei. Un complotto che vede la partecipazione di élite europee che non hanno alcuna lealtà nazionale ed antepongono il loro interesse personale e castale a quello nazionale ed europeo. Un complotto che, a mio modo di vedere, presuppone la liquidazione dell’Unione Europea come era stata concepita dai suoi fondatori, ossia l’antitesi del Nuovo Ordine Europeo del Terzo Reich.
Sì, sto affermando che le attuali élite europee sono nemiche dell’Europa antinazista, sto affermando che le oligarchie che comandano l’Unione Europea sono congenitamente anti-democratiche e quindi in diretta contrapposizione con l’Unione Europea dei sogni dei cittadini ordinari. Sono oligarchie che sanno che si sta preparando un conflitto mondiale ed hanno scelto di collaborare, indebolendo la classe media europea come si sta già facendo da tempo con la classe media nordamericana. L’obiettivo è quello di infliggere un tale livello di sofferenza alla popolazione “che conta” che questa sarà disposta a chiedere a gran voce una soluzione definitiva e rassicurante, cioè a dire un governo planetario che prenda in mano tutto, dalla gestione del cambiamento climatico a quella dell’ordine pubblico:

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/31/breve-storia-del-nuovo-ordine-mondiale/#axzz1mLNsw14z

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/11/nel-nuovo-ordine-mondiale-non-ce-nulla-di-nuovo-di-ordinato-o-di-mondiale-cosa-ce-di-sbagliato/#axzz1mLNsw14z

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/26/la-pedagogia-nera-del-nuovo-ordine-mondiale/#axzz1mLNsw14z

 

 

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