La democrazia perduta e la democrazia riconquistata (note e aforismi)

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L’umanità è la stessa, a ogni latitudine, e i suoi desideri e sogni sono grosso modo gli stessi (pace, amore, prosperità, sicurezza, felicità, libertà), ma il destino ultimo dell’umanità non è quello di un’evoluzione convergente verso un unico modello socioculturale e politico, perché le vie per realizzare le suddette ambizioni sono molteplici.

Nella pratica di bilancio partecipativo troppo spesso il decoro urbano prevale sulla giustizia sociale (Bilancio partecipativo 2015, Parigi tira le somme, L’Indro, 13 marzo 2015).

La democrazia partecipata permette alla gente comune di capire che amministrare la cosa pubblica non è uno scherzo (People’s panel pitches in to advise Melbourne City Council where it should spend $5 billion, The Age, 2 dicembre 2014).

Superata una certa soglia di astensionismo, non è più moralmente legittimo parlare di mandato pienamente democratico.

La “società civile” deve diventare adulta, ossia civile, assumendosi le responsabilità degli adulti, pensando e agendo conformemente a quello che ci si dovrebbe attendere dalle persone che hanno raggiunto l’età adulta e non necessitano di tutele paternalistiche. Non è più ammissibile delegare tutto ad altri e poi lamentarsi infantilmente tutto il tempo per le cose che non vanno.

Bisogna creare occasioni e luoghi in cui diversi punti di vista siano messi a confronto, in cui le persone imparano ad ascoltare e a raggiungere compromessi che non siano al ribasso.

Solo la partecipazione democratica sembra in grado di restituire dignità alla politica e a chi fa politica (Making local government engaging, The Boston Globe, 12 aprile 2015).

La regione alpina ama essere avanguardia del cambiamento, ma i cinesi ci stanno battendo al “nostro gioco”, da anni, con iniziative dal basso e dall’alto, ispirate e supervisionate dai pionieri australiani e nordamericani della democrazia deliberativa (How Can a Democracy Solve Tough Problems? Time, 2 settembre 2010; The Continued Search for Deliberative Democracy in China, 2012; Consultation and Deliberating in China: The Making of the Recent Healthcare Reform, 2012; China’s Experiment with Democracy, Huffington Post, 28 maggio 2014; Discourses on Chinese-Style Democracy in China, 2014; Online Consultation and Governance Reform in Chinese Ministries and Provinces, 2014).

La competizione a sostegno della cooperazione (egoismo illuminato) genera un equilibrio dinamico. La cooperazione a sostegno della competizione produce un’escalation compulsiva con effetti entropici.

Quel che invece serve è che la “società civile” divenga adulta, si assuma le responsabilità degli adulti, pensi ed agisca come fanno gli adulti, invece di delegare tutto ad altri e poi lamentarsi infantilmente tutto il tempo delle cose che non vanno.

Bisogna creare occasioni e luoghi in cui diversi punti di vista vengono messi a confronto, in cui le persone imparano ad ascoltare e a raggiungere compromessi che non siano al ribasso.

Bisogna che per la metà del secolo la gente pensi a noi come dei bamboccioni pieni di buone intenzioni ma ancora immaturi. Questo serve, perché l’umanità abbia un futuro dignitoso.

Non possiamo continuare a credere che tutto il genere umano ragioni come ragioniamo noi, in una specifica e breve fase della nostra storia. Siamo diversi da come eravamo, saremo diversi da come siamo, e la curiosità nei confronti del prossimo, il rispetto per la dignità delle sue declinazioni dell’umano è una necessità in un mondo globalizzato. L’ignoranza dell’altro è un’automutilazione; la curiosità è un accrescimento, un potenziamento. Non saranno i droni a salvarci, ma il dialogo profondo.

Se si fa democrazia deliberativa, lo si deve fare sul serio. Questo significa fare in modo che le minoranze non siano schiacciate dalle maggioranze, che l’interesse di una parte non sia fatto passare per interesse generale, che i cittadini attivi non constatino che il loro impegno era vano perché le decisioni erano comunque già state prese e serviva solo una qualche forma di legittimazione [Cf. Archon Fung (Harvard University), Putting the Public Back into Governance: The Challenges of Citizen Participation and Its Future, 2015].

L’evoluzione procede a partire da forme di vita e modalità di interazione semplici, che diventano sempre più complesse, ricche di sfumature e che, assieme, si dimostrano capaci di operazioni quantitativamente e qualitativamente superiori rispetto a quando erano separate: è allora che il comportamento egoista dei singoli finisce promuovere il benessere della rete di cui fanno parte, il beneficio reciproco [Cf. Mae-Wan Ho genetista britannica]

Una decisione saggia tiene conto dell’impatto atteso sulle future generazioni e sul resto del mondo; considera punti di vista esterni e diversi da quelli a cui siamo abituati nel nostro piccolo mondo universale e collettivo; riflette sulle esigenze più profonde e universali dell’umanità. Una decisione saggia è il frutto di un dialogo a 360 gradi, anche con chi non è ancora nato e non vive nei paraggi, perché siamo tutti sulla stessa barca e un evento locale può innescare impressionanti ripercussioni globali.

Diversità è resilienza. La natura, come gli investitori, cerca di diversificare e bilanciare il proprio portafoglio. Se anche qualcosa non va per il verso giusto, qualcos’altro andrà in porto e la vita continua. Per questo è saggio evitare di dipendere da monopoli di conoscenza, produzione e distribuzione di energia, cibo, ecc. (Fame a Dublino, il genocidio negato). Un mondo multilaterale, plurale, unito sinergicamente nella diversità è un mondo resiliente.

Se il rischio è che dei gruppi si separino rancorosamente, è meglio facilitare la rottura, nell’ottica di poter successivamente ricostruire uno spirito di comunità. Separazioni ed esclusioni sono soluzioni provvisorie. Ogni esclusione permanente dell’altro è disfunzionale e irrobustisce tribalismi ed egotismi personali che possono solo produrre conseguenze spiacevoli per tutte le parti coinvolte.

Non è saggio diventare schiavi del futuro. Le probabilità sono astrazioni, non fatti accertati; gli orizzonti sono per definizione remoti e indistinti; una previsione non è una presa di visione. Pessimismo e ottimismo avvelenano o condizionano il presente, impedendoci di osservare la realtà oggettivamente. La descriviamo sempre alla luce delle nostre anticipazioni. Una conversazione che includa una pluralità di voci scongiura l’egemonia di una visione monocola di ciò che ci attende, un fattore di distrazione che ci rende inefficaci, fatalisti, spettatori passivi, non co-creatori di realtà. Meglio andare incontro al futuro sapendo che il viaggio resta più importante della destinazione.

La democrazia non è una cosa, non è un’istituzione. È un processo, un rituale, una capacità acquisita che va costantemente esercitata e perfezionata. Si impara la democrazia come si impara a nuotare. Qualcuno diventa un campione, altri si tengono a galla, ma più facciamo esperienza e tocchiamo con mano i nostri miglioramenti, maggiore sarà l’entusiasmo e ogni fallimento sarà solo un passaggio a vuoto in un percorso di perfezionamento personale e collettivo.

Per essere democratici bisogna saper Ascoltare. Ascoltare aiuta gli altri e noi stessi a pensare e capire le proprie circostanze e a risolvere i propri problemi. È una prassi riconciliativa (hoʻoponopono, nella Polinesia).

Per essere democratici bisogna accettare l’idea che un conflitto creativo è un’opportunità di esaminare le questioni da prospettive inattese e più promettenti. Senza conflitti creativi saremmo condannati a vedere la realtà in modo drasticamente semplificato, in funzione dei nostri preconcetti e pregiudizi. Si può fare chiarezza su una questione anche senza tagliarla con l’accetta, imparando a tollerare la complessità e ad apprezzare l’apprendimento continuo.

Essere democratici non significa tendere sempre a compromessi al ribasso per raggiungere comunque un consenso. Occorre prendersi il tempo e ingegnarsi creativamente per identificare, laddove esistono, delle soluzioni che soddisfino gli interessi di tutte le parti. Per vedere delle possibilità che esistono ma non sono facili da scorgere serve immaginazione, umiltà, flessibilità, acume e quanta più conoscenza si possa mettere sul tavolo di una discussione.

Peter Elbow (University of Massachusetts) ha adottato questa strategia. Se qualcuno pensa che un’idea non è stata compresa dagli interlocutori, può chiedere che, per 5 minuti, tutti sospendano il loro giudizio critico o di chiusura nei confronti dell’idea e si sforzino di scovare delle virtù, come se ne fossero dei genuini sostenitori. Una ginnastica della mente utile quotidianamente in un mondo che non è statico e che conosciamo così poco. Così diventa più facile immaginare futuri possibili.

http://www.futurables.com/2015/04/21/come-il-pastore-separa-le-pecore-dalle-capre-e-dai-babbuini-psicopatie-e-democrazie-nel-ventunesimo-e-ventiduesimo-secolo/

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Mario Raffaelli sulle primarie del centrosinistra in Trentino e su Ugo Rossi, che le ha vinte

mario_raffaelli

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Ecco la riprova di un Pd che, soprattutto nelle città, dove il voto è meno “tifoso”, paga la sua non-credibilità nazionale, di partito ormai sempre più moderato e meno socialista nei valori. Peccato, altra occasione sprecata!

Vladimiro Forlese, commento a un articolo del Trentino

Hanno votato più di 23.000 persone, con un boom del voto di valle e un calo netto del voto nelle città. Se questo è il dato definitivo delle primarie del centrosinistra autonomista in Trentino qualche riflessione di fondo s’impone, sulle primarie e su tutto il resto.

Michele Nardelli (che è tendenzialmente contrario alle primarie – io invece la penso come Mario Raffaelli)

Scrive Raffaelli, sull’Adige di ieri (13 luglio):

“Ha ragione Luciano Azzolini quando enfatizza l’inadeguatezza di ciò che è finora emerso dalle primarie del centro-sinistra in confronto all’entità della sfida che il Trentino ha oggi di fronte. Del resto, è noto che, di per sé, le primarie sono solo uno strumento la cui utilità dipende dal tipo di uso fatto. Vi possono essere, infatti, primarie puramente simboliche (come quelle che servirono a incoronare Prodi e Veltroni), oppure realmente competitive (come quelle fra Bersani e Renzi), o sostanzialmente fittizie come quelle che ci apprestiamo a svolgere in Trentino.

Nel nostro caso, infatti, per essere realmente utili, le primarie avrebbero dovuto svolgersi fra candidati portatori di visioni programmatiche diverse (ovviamente nell’ambito dei valori comuni) e con tempi e procedure tali da consentire realmente sia un’articolata partecipazione di candidati, interni ed esterni agli attuali partiti, che un vero coinvolgimento dei cittadini. Solo così, infatti, si sarebbe potuto realmente selezionare un programma costruito insieme alla gente e, allo stesso tempo, definire un nuovo gruppo dirigente. Così come sono state confezionate, invece, le primarie rischiano di tradursi in una semplice competizione fra i tre assessori e le loro rispettive tifoserie.

Questo risultato è il frutto della stucchevole telenovela cui abbiamo assistito negli ultimi due mesi (gli innumerevoli quanto inconcludenti vertici di coalizione), una telenovela che ha certamente visto Lorenzo Dellai fra i più importanti sceneggiatori ma, allo stesso tempo, anche una sostanziale incapacità di iniziativa da parte del Pd. È questa, del resto, la metafora di questi ultimi quindici anni e sbaglia, a mio avviso, Azzolini quando imputa al solo «Governatore» la responsabilità, nel bene e nel male, di tutto quanto è successo in Trentino. Non v’è dubbio, infatti, che Dellai è stato il dominus quasi assoluto delle vicende politiche locali per un lungo periodo, ma va pure detto che ciò è gli è stato possibile anche grazie alla subalternità di chi aveva la possibilità e il dovere di essere competitivo, fungendo da contraltare. Sono i partiti, infatti, che dovevano contrastare la propensione di Dellai a concentrare il potere nelle sue mani. Come ha fatto, ad esempio, nell’ultima legislatura, ritagliando le deleghe degli assessori in maniera tale che nessuno fosse totalmente autonomo e su tutti potesse avere l’ultima parola. Approccio, questo, che, unito alla selezione di una dirigenza «fedele» (magari richiamata, a questo fine, dalla pensione) e alla costruzione delle «Agenzie esterne» ha creato la situazione denunciata da Azzolini.

Il tema, infatti, non è affatto nuovo. Proprio su questo giornale, ancora dieci anni fa, scrivevo che «il problema non è uccidere il Principe ma costituzionalizzarlo», intendendo con ciò la necessità di bilanciare con dei contrappesi un potere che, così come si configura oggi, è certamente eccessivo. E proprio per questo, nel documento «Trentino33», abbiamo risollevato il problema, fornendo anche qualche indicazione su come affrontarlo. Bisogna quindi interrogarsi su quali sono state le ragioni che hanno prodotto questa prolungata subalternità del centro-sinistra a Dellai, chiedersi come sia stato possibile che partiti pur dotati di un consistente peso elettorale abbiano consentito le tante scorrerie che il «Governatore» ha potuto impunemente compiere al loro interno.

Senza di che, paradossalmente, a Lorenzo Dellai resteranno i meriti delle cose buone fatte e, agli altri, il demerito di aver consentito la costruzione di un potere totalizzante con i conseguenti aspetti negativi che ne sono derivati. La radice vera di tutto ciò, com’è evidente, sta nella crisi della «forma partito», come attualmente concepita, e nell’incapacità dei partiti attuali di elaborare ed esprimere, in maniera incisiva, una vera cultura politica.

Se il problema non sarà affrontato da questo versante le speranze che Azzolini ripone sui possibili successori di Dellai resteranno ampiamente frustrate. Come ha dimostrato il confronto durante le primarie, tranne qualche spunto di Ugo Rossi (per questo immediatamente represso) e le coraggiose prese di posizione di un outsider come Alexander Schuster, tutto è avvenuto all’insegna di una piatta continuità, sia per quanto riguarda i contenuti sia per quanto concerne la concezione circa il modo di governare. Con il conseguente rischio di avere un nuovo Presidente che, senza nemmeno avere le qualità di Dellai, erediterà gli stessi poteri formali e la stessa struttura di potere (coesa e impenetrabile) messa in piedi in questi anni. Con l’inevitabile tentazione di comportarsi, quindi, allo stesso modo.

Per questo, dopo aver utilizzato al meglio, pur nei limiti dati, il nostro voto alle primarie, sarà necessario riprendere un’azione politica e civile perché i temi accantonati tornino a far parte integrante del dibattito preelettorale. Adesso, e non dopo le elezioni, il candidato Governatore e i partiti che lo sosterranno devono dirci cosa pensano della riforma istituzionale (e dei ritocchi necessari perché, nella legge statutaria, siano riequilibrati i poteri del Presidente, della Giunta e del Consiglio).

Adesso, e non dopo le elezioni, devono dirci cosa intendono fare delle tante Agenzie «esternalizzate» e delle misure per assicurare una gestione efficace e trasparente. Adesso, e non dopo le elezioni, devono garantirci che la nuova negoziazione con lo Stato, necessaria nonostante «l’accordo di Milano», sarà preceduta da un ampio dibattito pubblico e non si svolgerà, come già successo, all’insaputa perfino del Consiglio (visto che si tratta di affrontare il drammatico problema delle risorse calanti a partire dal 2017). Adesso, e non dopo le elezioni, devono dirci cosa intendono per «revisione delle Comunità di valle» e come intendono affrontare i principali (ed innumerevoli) nodi che dovranno essere sciolti nei prossimi anni. Adesso, e non dopo le elezioni, devono spiegarci quale nuovo modello per lo sviluppo del Trentino hanno in mente, con quali alleanze sovra-provinciali, sovra-regionali e sovra-nazionali.

Augurandoci che, nel corso di questa discussione, possa realmente emergere (o essere costituito unendo forze già esistenti e altre disponibili) un soggetto politico ed elettorale capace di assumere fino in fondo i temi della sfida, non facile e non tradizionale, che il Trentino sarà chiamato ad affrontare nei prossimi anni. E sapendo, però, che senza ricostruire i «luoghi della politica», le sedi cioè dove i cittadini possono in via permanente, e non solo alle elezioni, partecipare alla determinazione delle scelte, nessuna sfida potrà essere vinta.

Mario Raffaelli
Già deputato e sottosegretario agli Esteri,
è presidente di Amref Italia

http://www.ladige.it/articoli/2013/07/13/potere-principe-l-ignavia-pd

Donata Borgonovo Re e Luca Zeni ritirano la loro candidatura: perché?

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Un, dos, tres, cuatro:
¡Tierra, Cielo!
Cinco, seis:
¡Paraíso, Infierno!
Siete, ocho, nueve, diez:
Hay que saber mover los pies.

*****

Entriamo nel parlamento per munirci, nell’arsenale della democrazia, delle sue stesse armi. Se la democrazia è così stupida da darci biglietti gratuiti e stipendi per farlo, sono affari suoi. Non veniamo da amici e nemmeno da neutrali. Veniamo come nemici. Noi entriamo nel Reichstag come il lupo entra nell’ovile.
Joseph P. Goebbels

Come si previene questo tipo di evento catastrofico?
Con 68 persone che decidono quale sarà il candidato che dovranno (dovrebbero) votare gli elettori del partito (top down), oppure lasciando che gli elettori ascoltino le ragioni degli uni e degli altri – ragioni nuove, “inaudite”, perché nessuno dei candidati si era mai proposto prima per guidare la Provincia di Trento – e si sentano PARTE IN CAUSA nella campagna elettorale, partecipanti, protagonisti già nella fase che precede il voto (bottom up, come raccomanda Fabrizio Barca)?

Il PD locale (del Trentino) ha deciso di andare controcorrente, invece di venire incontro alla crescente coscientizzazione ed indignazione dei cittadini. Se riuscirà ad evitare una sonora sconfitta sarà solo per la pochezza degli avversari, ossia per mancanza di alternative, che si tradurrà in un alto tasso di astensione. Ma ha comunque dato un pessimo esempio a livello nazionale e l’elettorato locale, invece di votare per una brutta copia dei centristi, finirà per votare per dei centristi veri.

Non solo, se anche Olivi vincesse le primarie di coalizione (che saranno disertate in massa da un elettorato indifferente), la debolezza della legittimazione popolare sarà un’enorme zavorra nelle attività della futura giunta, che si troverà ad affrontare questioni enormemente complicate senza godere di un solido appoggio da parte della società, come invece accade con le primarie di partito per le elezioni presidenziali statunitensi.

Il PD trentino sta mandando l’inesperto Olivi al massacro e un po’ mi dispiace per lui.  Ma, se ha fortuna, vincerà Schelfi, cioè Dellai, e quindi non si brucerà.

*****

Le considerazioni di Luca Zeni e Donata Borgonovo Re

“Siamo arrivati al termine di un percorso durato quattro mesi e, dopo tante discussioni, è stato deciso che le primarie per la Presidenza della Provincia – quelle vere, dove i cittadini scelgono tra diverse proposte in quale direzione far andare il Trentino del futuro – non ci saranno. Forse perché considerate troppo rischiose, dato che il loro esito non è né prevedibile né controllabile. Potrebbe vincere una proposta diversa da quella precostituita, come insegnano le esperienze di Milano con Pisapia a Milano, di Firenze con Renzi, o di Genova con Doria.

Noi però crediamo in un partito Democratico di fatto, oltre che di nome: un partito aperto, inclusivo, nel quale le persone possano riconoscersi ed appassionarsi al di là della loro provenienza sociale e della loro specifica competenza. Crediamo in un partito di centrosinistra che sia davvero al servizio del Trentino (e del Paese), che costruisca in modo partecipato e trasparente il bene comune, che non si chiuda nel rappresentare gli interessi di qualche categoria soltanto ma che scelga di rappresentare democraticamente tutta la società, fornendo una visione complessiva nella quale possano riconoscersi attivamente donne e uomini, giovani e anziani, deboli e forti, lavoratori e imprenditori, tutti egualmente portatori di dignità, di idee e di proposte significative.

Per questo primarie aperte – capaci di coinvolgere, di aprire una discussione sul futuro, sulle politiche di sviluppo sostenibile, sulla formazione e sulla istruzione, sull’innovazione, sul turismo, sul ruolo delle strutture pubbliche, sulle politiche di accompagnamento sociale, sull’autonomia che crea autonomie – sarebbero state non solo importanti, ma essenziali: sia per dare forza e respiro alla proposta politica offerta dal Pd, sia per coinvolgere effettivamente i cittadini nella scelta del futuro che vorrebbero per il loro, per il nostro Trentino.

Alla fine il candidato del Partito Democratico sarà scelto dall’assemblea provinciale, un organismo di 68 persone, certamente rappresentativo ma che non può sostituirsi alla ben più ampia platea dei 72.000 elettori del PD o degli oltre 500.000 trentini. La scelta non sarà dunque affidata ai cittadini, come previsto dalle regole fondamentali che hanno ispirato la nascita del Partito Democratico e che ne guidano il funzionamento, e questo rappresenta per noi un limite del quale prendiamo atto e che ci costringe ad assumere una decisione chiara. Abbiamo deciso di rimanere coerenti con quelle regole e quello spirito, e quindi oggi annunciamo di non presentare la nostra candidatura: riteniamo di non poter partecipare ad un confronto che si esaurisce all’interno di un organo di partito e che non consente in alcun modo di superare la separazione e la distanza che nel tempo si è creata tra gli apparati dei partiti ed i cittadini. Una distanza che le primarie aperte avrebbero accorciato, se non colmato.

Il nostro impegno è comunque quello di continuare a lavorare perché anche dentro il PD del Trentino diventi maggioranza – come già lo è tra i cittadini – la posizione di chi desidera costruire un Trentino capace di guardare in avanti, partendo dai tanti punti di forza che ci sono ma senza nascondersi né le criticità, né le difficoltà. In un mondo che cambia è dovere di una politica responsabile avere il coraggio di innovarsi e di proporre sempre nuove soluzioni, perché limitarsi a guardare all’indietro, rivendicando le cose buone fatte, non è sufficiente. Quindi pur ritenendo un errore grave quello fatto dalla dirigenza del PD, non potremo che rimetterci alle decisioni che prenderà il partito in ordine al percorso di avvicinamento alle prossime elezioni provinciali, ed a possibili primarie chiuse di coalizione, con la forte speranza che ancora una volta gli elettori sapranno essere capaci di procedere con tenacia e fiducia nel difficile cammino di costruzione della democrazia, dimostrando di avere uno sguardo più aperto e coraggioso.

In conclusione, vogliamo ringraziare con tutto il cuore le tantissime persone che hanno lavorato e stanno lavorando insieme a noi e quelle che in questi giorni ci hanno manifestato il loro sostegno. Comprendiamo la delusione per la scelta di chiusura che è stata fatta, ma siamo certi che sta a noi trasformare questo momento difficile in una utile tappa nel nostro comune cammino per la costruzione di una politica più aperta e semplicemente inclusiva e per la edificazione di un Trentino sempre migliore, nel quale sia per tutti una gioia ed un impegno vivere”.

http://donataborgonovore.com/

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