La perniciosa influenza planetaria delle fondazioni e think tank degli Stati Uniti

 

Le fondazioni…esercitano un’influenza corrosiva sulla società democratica; rappresentano concentrazioni di potere e ricchezza relativamente incontrollate e che non devono rispondere delle proprie azioni, che comprano i talenti, promuovono cause e, di fatto, determinano che cosa meriti l’attenzione della società…un sistema che…ha operato a svantaggio degli interessi delle minoranze, dei lavoratori e dei popoli del Terzo Mondo

Robert F. Arnove, “Philanthropy and Cultural Imperialism. The Foundations at Home and Abroad”.

Un enorme potere, senza paragoni è concentrato nelle mani di un gruppo di persone, perfettamente coordinato e con la tendenza a perpetuare se stesso. Diversamente dal potere nelle aziende, non è controllato dagli azionisti; diversamente dal potere del governo, non è sottoposto al controllo popolare; diversamente dal potere nelle chiese, non è controllato da alcun canone consolidato di valori.

Conclusioni di un’indagine conoscitiva sulle fondazioni statunitensi effettuata da un comitato del Congresso americano nel 1952

Non ci si dovrebbe aspettare che ingenti patrimoni privati siano donati in maniera tale da innescare nella società redistribuzioni delle ricchezze e trasformazioni politiche.

Ruth Crocker, in“Charity, Philanthropy, and Civility in American History”

Il miglior programma in assoluto di educazione alla democrazia si chiama “Esercito degli Stati Uniti”

Michael Ledeen, American Enterprise Institute for Public Policy Research (AEI), collaboratore di Matteo Renzi

 

I think tank, pensatoi che dovrebbero partorire soluzioni per i grandi problemi di una comunità, sono armi a doppio taglio, perché danno alla luce idee e simboli, che sono il cibo della mente umana, ma anche la sua droga ed il suo veleno. Come le api sono nate per fare il miele ed i castori per costruire dighe, gli esseri umani sono nati per trasmutare simbolicamente tutto ciò che li circonda. Sono fatti per attingere al sublime, ma anche per cadere nella trappola dei miti politicizzati (Fait/Fattor 2010).

La ragion d’essere delle principali fondazioni e think tank (pensatoi, gruppi di riflessione ed approfondimento, reti di esperti) è quella di migliorare il mondo in accordo con le preferenze di chi le crea e le finanzia, ossia, in genere, dei magnati o dei politici, cioè a dire di persone che esercitano già una considerevole influenza sulla società, ma intendono esercitarne ancora di più. Queste organizzazioni, in termini pratici, servono a giustificare la permanenza di rapporti di poteri vantaggiosi per chi è già economicamente e politicamente egemone, pensando al posto nostro. Dato il loro profilo così prominente nella contemporaneità, sono stati oggetto di innumerevoli studi sociologici. Usando un gioco di parole, possiamo dire che il think tank è un carro armato (tank, in inglese) nella guerra delle idee che mira al controllo delle menti di 7 miliardi di persone.
Stephen Boucher e Martine Royo (2006) definiscono i “think tank” degli organismi permanenti non pubblici che hanno l’incarico di formulare soluzioni su scala nazionale o internazionale che possano essere tradotte in politiche pubbliche. Quasi tutte le fondazioni si sono dotate di uno o più think tank, perciò è pressoché inutile cercare di separarli. La loro missione li rende inscindibili. La fondazione si occupa della parte strategica, il think tank di quella tattica. Alcune fondazioni esistono da oltre un secolo, come ad esempio il trittico Ford, Rockefeller e Carnegie, dai nomi dei magnati che hanno fatto la storia dell’economia e dell’industria americana moderna. Un altro gigante si è aggiunto di recente, la Gates Foundation di Bill Gates, il fondatore di Microsoft, e di sua moglie. In Germania, la Friedrich Ebert Stiftung è vicina ai socialdemocratici, la Konrad Adenauer Stiftung è nella sfera democristiana.

Anche se ufficialmente i loro think tank dovrebbero produrre ricerca seria e rigorosa, non conosco nessuno studio accademico (ossia non promosso da un qualche think tank e quindi apologetico) che non li consideri delle vere e proprie macchine ideologiche al servizio di un qualche specifico interesse e/o ideologia. Boucher e Royo parlano di “pensiero mercenario”, un eufemismo per quello che altri chiamerebbero, meno sottilmente, “prostituzione intellettuale”.

Con questo non si vuol dire che tutti i think tank e tutte le fondazioni siano da mettere sullo stesso piano e demonizzare. Ma è indubbio che all’intensificarsi dei legami con la politica ed il capitale l’indipendenza di giudizio e l’integrità morale dei componenti di un think tank subiscono un inevitabile processo involutivo e la loro attività finisce per rassomigliare sempre più al marketing ed al lobbismo, con un impatto mediatico rapido e massiccio nel mercato delle idee (Boucher/Royo, ibidem). Gli intellettuali e gli stessi scienziati sono degli esseri umani come gli altri, né peggiori né migliori degli altri, anche se loro, non-ufficialmente, sono inclini a ritenersi migliori ed esenti da certe influenze corruttrici. Non citerò la cospicua produzione di studi sociologici che smentiscono le loro più intime convinzioni. Per questo sarebbe meglio che le politiche pubbliche fossero formulate da commissioni pubbliche temporanee, allo stesso modo in cui si sottopongono periodicamente al voto i rappresentanti parlamentari che poi le vaglieranno. A meno che non si creda, con Mandeville, che i vizi privati sono alla base delle virtù pubbliche, uno slogan screditato da millenni di storia umana ma che piace molto ai neoliberisti.

L’influenza dei think tank è poderosa in una molteplicità di settori: dall’ecologismo alla bioetica ed alle biotecnologie, dagli studi sulla pace alla geopolitica, dalle risorse energetiche alle politiche socio-economiche, carcerarie e monetarie, dalla Guerra al Terrore alla globalizzazione, all’arte ed alla cultura, al razzismo, al federalismo ed alla tutela delle minoranze etno-linguistiche.

Gli esempi della loro egemonia culturale non si contano, ma due sono forse i più eclatanti. Il primo è quello delle politiche di sterilizzazione involontaria di decine di migliaia di donne nel mondo occidentale e di milioni di donne nel Terzo Mondo a fini eugenetici prima e di controllo della popolazione non-bianca (ad esempio i quechua ed aymara del Perù) poi (Connelly, 2008). L’altro è il “Progetto per un nuovo secolo americano”, una strategia neoconservatrice imperialista statunitense che risale alla fine degli anni Novanta e che ha condotto all’invasione dell’Iraq nel 2003. È notorio perché al centro delle teorie del complotto riguardo all’11 settembre 2001, in quanto un suo rapporto del settembre del 2000, intitolato “Rebuilding America’s Defenses: Strategies, Forces, and Resources for a New Century” (“Ricostruire le difese dell’America: strategie, forze e risorse per un nuovo secolo”), auspicava il verificarsi di un evento del tipo Pearl Harbor che autorizzasse gli Stati Uniti a prendere il controllo dell’Asia Centrale, considerata la chiave per mantenere in una posizione subalterna Russia, India e Cina e quindi per conservare lo status di unica superpotenza egemone. Altri casi degni di menzione sono l’amministrazione Reagan, che selezionò lo staff presidenziale (150 specialisti!) nel vivaio della Hoover Institution, della Heritage Foundation e dell’American Enterprise Institute, tutte fondazioni ultraconservatrici, con relativi think tank.

Tra gli studiosi che hanno approfondito il ruolo delle fondazioni e dei think tank nella formazione della percezione della realtà da parte dei cittadini delle democrazie occidentali figura anche il celebre Pierre Bourdieu, che anche dopo la morte, avvenuta nel 2002, resta il più influente sociologo francese. Nel 1998, assieme al collega francese (docente a Berkeley) Loïc Wacquant, riconosciuto specialista nel campo del razzismo e dei sistemi carcerari, pubblicò un saggio dagli effetti dirompenti, intitolato “Sulle astuzie della ragione imperialista” (“Sur les ruses de la raison impérialiste”), in cui si argomentava la tesi che le grandi fondazioni americane che si occupano di razzismo, in particolare la Rockefeller e la Ford, cerchino deliberatamente di incoraggiare i leader delle minoranze etno-razziali al di fuori degli Stati Uniti ad adottare le stesse tecniche di autoaffermazione identitaria, oggettivamente fallimentari, impiegate negli Stati Uniti. Tecniche, per intendersi, che sono state ripudiate dallo stesso Martin Luther King, un uomo dall’enorme perspicacia ed onestà, e che non sono mai state prese in seria considerazione da Aung San Suu Kyi o da qualunque attivista che rivendichi i diritti umani e civili per tutti e non solo per una fazione.

Bourdieu e Wacquant sono finiti al centro di una vigorosa polemica non tanto per aver denunciato il carattere fallimentare dell’identitarismo particolaristico e settario, ma per aver affermato che la contrapposizione tra neri e bianchi, che volutamente cancella l’esistenza dei meticci/mulatti, fa parte di una strategia globale neocolonialista all’insegna del divide et impera che, insistendo sulla componente somatica (il colore della pelle), conduce ad una guerra tra poveri che avvantaggia chi teme che le classi subordinate possano creare una piattaforma di rivendicazioni comuni che metta in difficoltà lo status quo. Le loro conclusioni sono in linea con quanto si apprende dalle ricerche di Anthony W. Marx (nessuna relazione con il più celebre Karl) su Stati Uniti, Sudafrica e Brasile, Livio Sansone sul Brasile (2002, 2003), Mark Clapson sul Regno Unito (2006), Donald E. Abelson (1996), Yves Dezalay & Brian G. Garth (2002), Noliwe Rooks (2006), Inderjeet Parmar (2012) e Thomas Medvetz (2012) sugli Stati Uniti e le loro relazioni interrazziali ed internazionali, Rafael Loayza Bueno ed Ajoy Datta sulla Bolivia (2011).

A dire il vero, Bourdieu e Wacquant non sono stati dei pionieri. Già negli anni Quaranta il giornalista e storico statunitense Joel A. Rogers lamentava il fatto che gli attivisti neri per i diritti civili fossero usati dai filantropi delle maggiori fondazioni per diffondere un’immagine omogenea, omologata, monolitica e caricaturale dei neri che sarebbe servita a “tenerli al loro posto” e a “mettere in cattiva luce quei pochi neri in grado di ragionare con la propria testa” (cit. in Plummer, 1996, p. 228). Uno dei più ammirati sociologi americani, C. Wright Mills, aveva gettato le basi per un’analisi scientifica di questo fenomeno già a cavallo degli Cinquanta e Sessanta, ma scomparve prematuramente prima di riuscire a portare al termine il suo ambiziosissimo progetto sociologico di studio delle élite e delle loro strategie. Solo negli anni Ottanta, grazie ad Edward Berman ed al suo magnifico e scrupoloso saggio (“The Ideology of Philanthropy”) e, più recentemente, Sally Covington (1998), Frances Stonor Saunders (1999, ed. it. 2004) e Joan Roelofs (2003) sono riusciti a mettere in luce i legami tra le fondazioni filantropiche, le militanze identitarie, gli architetti della politica estera americana e la CIA. Centinaia di milioni di dollari investiti in una guerra di idee e per il controllo dei media, di interi dipartimenti universitari e della lealtà di membri del Congresso (Saunders, op. cit., p. 122):

L’uso delle fondazioni filantropiche si rivelò il modo più efficace per far pervenire consistenti somme di denaro ai progetti della CIA, senza mettere in allarme i destinatari sulla loro origine…Nel 1976, una commissione d’inchiesta nominata per indagare le attività dell’intelligence statunitense riportò i seguenti dati relativi alla penetrazione della CIA nella fondazioni: durante il periodo 1963-1966, delle 700 donazioni superiori ai 10.000 dollari erogate da 164 fondazioni, almeno 108 furono totalmente o parzialmente fondi della CIA. Ancor più rilevante è che finanziamenti della CIA fossero presenti in quasi metà delle elargizioni, fatte da queste 164 fondazioni durante lo stesso periodo nel campo delle attività internazionali durante lo stesso periodo.

Sempre negli anni Ottanta, Robert Arnove, oggi professore emerito all’Università dell’Indiana, allora un insider con accesso ad informazioni riservate, curò la pubblicazione di un volume collettaneo (“Philantropy and cultural imperialism: the foundations at home and abroad”, 1980) in cui puntava il dito contro le fondazioni Ford, Rockefeller e Carnegie e la loro “corrosiva influenza sulla società democratica”, resa possibile da una concentrazione di potere e capitali non adeguatamente regolamentata, in grado letteralmente di comprare la lealtà degli esperti e di promuovere certe cause secondo certe modalità in modo tale da indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica in certe direzioni piuttosto che in altre. Lo stesso Arnove, in seguito, assieme alla collega sociologa Nadine Pinede (“Revisiting the Big Three Foundations”, 2003), ha potuto confermare la validità dei precedenti giudizi sulle politiche di deradicalizzazione (leggi: castrazione e frammentazione) del movimento per i diritti civili attuate dalle suddette fondazioni in nome dell’ideologia dell’identitarismo culturale che sottrasse al più vasto movimento le importanti energie di una larga porzione di attivisti afro-americani, non più disposti a condividere la lotta con esponenti di altre culture ed etnie (si veda anche Roelofs 2003).

Il povero Martin Luther King non poté sfuggire a questo gorgo e ne finì risucchiato, lui che contrastava ogni tentativo di spezzare il movimento dei diritti civili in fazioni concorrenti. Nel febbraio del 1967 prese la decisione di opporsi alla politica americana in Vietnam, pur sapendo che così facendo avrebbe causato l’interruzione del flusso di erogazioni da parte di varie fondazioni e in particolare della Ford Foundation. Aveva ben chiaro in mente che, com’era più che logico, le politiche di finanziamento delle maggiori fondazioni favorivano le valvole di sfogo, ossia quelle organizzazioni che davano voce alla protesta ma senza mai mettere in discussione l’establishment nel suo complesso (Walker, 1983).

Molte persone fanno fatica ad immaginare che delle fondazioni possano realmente cambiare il corso della storia di un’intera nazione. Ma si considerino le somme a loro disposizione. Nel 2011 il valore del patrimonio complessivo delle fondazioni americane ammontava a quasi 622 miliardi di dollari. Se fossero una nazione, sarebbero al ventesimo posto nella classifica del PIL, poco dietro la Svizzera. Nel 2010 decine di migliaia di fondazioni filantropiche hanno distribuito finanziamenti per un valore totale che eccede i 46 miliardi di dollari (valore raddoppiato rispetto al 1999). Ciò significa che, in questi anni, solo negli Stati Uniti, le fondazioni movimentano l’equivalente di una manovra finanziaria italiana importante o del PIL della Tunisia o dell’Uruguay. Nel 2000 il solo “Programma per la pace e la giustizia sociale” della Ford Foundation ha devoluto 26 milioni di dollari per i “diritti delle minoranze e la giustizia razziale”, su un totale di 80 milioni di dollari di finanziamenti a livello globale. La Bill e Melinda Gates Foundation distribuisce annualmente almeno 3 miliardi di dollari ad organizzazioni ed individui che ritiene meritevoli e dispone di un patrimonio del valore di oltre 33 miliardi di dollari (poco meno del PIL del Kenya, più di quello della Lettonia). Era a 37 miliardi nel 2010. Ford Foundation, Paul Getty Trust, Robert Wood Johnson Foundation dispongono tutte di circa 10 miliardi di dollari di beni: in termini di PIL, si collocherebbero davanti all’Armenia. In termini pratici, non devono rispondere del loro operato né ai mercati, né alla stampa, né tantomeno all’elettorato.

Con queste cifre e questo potere in ballo, non è sorprendente che i saggi dedicati a questo argomento così cruciale siano, globalmente, poche decine e tutti o quasi tutti ad opera di accademici non dipendenti da sovvenzioni private. Non sono molti i giovani ricercatori disposti a sputare nel piatto in cui sperano di mangiare e ancor meno quelli, più maturi, pronti a farlo in quello in cui stanno già mangiando. La falsa coscienza fa il resto: si razionalizza il proprio comportamento e quello di chi ci sovvenziona e ci si convince che l’utile giustifica i mezzi. D’altronde, stante il feroce antistatalismo americano, quasi tutte le organizzazioni per i diritti civili, la giustizia sociale e la difesa dell’ambiente, per poter restare in vita, sono costrette a rivolgersi alle fondazioni “filantropiche” ed alla loro per nulla disinteressata filantropia. Lo stato non è quindi in grado di assicurarsi che l’elaborazione e discussione delle questioni pubbliche non vengano monopolizzate da interessi privati. È un fenomeno che si sta verificando anche in Europa, specialmente ora che la crisi e l’austerità hanno prosciugato le casse degli stati europei.

Ora, limitatamente alle fondazioni maggiori, emanazioni del capitale finanziario-industriale, alla luce degli studi summenzionati, possiamo dire che quelle di destra sono anti-democratiche e non fanno molto per nasconderlo; quelle “progressiste” sembrano più orientate a provare a migliorare la situazione, ma solo per poter mantenere le cose come stanno. Queste ultime sono espressioni di centri di interesse che non disprezzano apertamente la democrazia, ma preferiscono gestirla in modo accentrato e tecnocratico, a causa della scarsa stima che nutrono nei confronti delle masse. Ciò che accomuna le fondazioni di destra (es. praticamente tutte quelle legate agli interessi delle multinazionali farmaceutiche e petrolifere, o il Pioneer Fund) e i think tank di destra da un lato (es. Freedom House, Council on Foreign Relations, Hudson Institute) e quelle di sinistra (es. Open Society di George Soros, Gates Foundation) con i rispettivi think tank (es. la New America Foundation vicina a Zbigniew Brzezinski, una delle figure più influenti nelle scelte di politica estera dell’amministrazione Obama) dall’altro è, a grandi linee, il rifiuto del principio della pari dignità e il trionfo dell’elitismo e dell’oligarchismo più o meno benevolo (o malevolo, a seconda dei punti di vista, naturalmente). Come documentano Robert Arnove e Nadine Pinede, tutte le grandi fondazioni “progressiste” sono ispirate ai principi del conservatorismo sofisticato ed appoggiano dei cambiamenti che assicurano una maggiore efficienza del sistema esistente ed una minore frizione con i privilegi già acquisiti. In questo modo, però, perpetuano le dinamiche che generano quelle disuguaglianze ed ingiustizie alle quali ufficialmente desiderano porre rimedio.

George Soros al festival dell’economia di Trento: perché?

George Soros sarà ospite del Festival dell’Economia di Trento, sabato 2 giugno, alle ore 15, al Teatro Sociale.
http://www.uffstampa.provincia.tn.it/CSW/c_stampa.nsf/0/035158E7F1E8EDEBC1257A0900462F7B

Le attività di Soros attraverso gli articoli di Repubblica, notoriamente amichevole nei confronti del finanziere “filantropo”.

Alla Banca d’ Inghilterra continuano ad arrivare proteste per il ruolo degli speculatori che tanto hanno contribuito – durante la tempesta valutaria che a ondate successive si è svolta nel mese scorso – alla svalutazione della lira, della sterlina e della peseta, facendo traballare le fondamenta del Sistema monetario monetario europeo. Le immagini delle dealing rooms della City, dove gli yuppies con le loro leggendarie bretelle rosse al grido “kill, kill, kill” liquidavano colossali posizioni in valute europee deboli, sono presentate a ripetizione persino nei programmi televisivi inglesi….

Il re della speculazione della City è un uomo che in pochi giorni ha guadagnato oltre un miliardo di sterline, pari a circa 2 mila 200 miliardi di lire, guadagnandosi la prima pagina del Daily Telegraph ed un “ritratto” che apparirà sul numero di novembre della prestigiosa rivista economica Forbes. Si chiama George Soros…la soddisfazione di entrare nel Guinness dei primati per aver guadagnato più di qualsiasi altra persona in uno spazio limitato di pochissimi giorni, con le sue operazioni sui mercati delle valute.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/10/25/londra-il-re-degli-speculatori-fa-un.html

George Soros, il finanziere d’ assalto che conquistò fama mondiale alcuni mesi fa guadagnando l’ equivalente di alcune migliaia di milioni di dollari nelle sue speculazioni sulla possibile svalutazione della sterlina, della lira e della peseta, è tornato a far tremare i mercati delle valute. Questa volta nel suo mirino c’ è addirittura il potentissimo marco.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/06/10/soros-parla-il-marco-trema.html

Proprio qualche settimana fa è stato da me un rappresentante del gruppo Soros e mi aveva detto che, ad esempio, il suo gruppo era pronto a fare grossi acquisti di Stet, ma a patto che fossero chiare due cose: libertà di tariffe e nomina “non politica” degli amministratori.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/02/fate-lo-sconto-chi-compra-lo-stato.html

“Non ho mire sul franco, non voglio distruggere lo Sme”, si difende, sul Figaro, il “principe degli speculatori” George Soros, ma pochi gli credono.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/07/27/lo-sme-nelle-mani-della-bundesbank.html

“Sono molto preoccupato per il futuro dell’ Europa. Non è facile uscire da crisi come questa”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/08/03/bene-cosi-lo-sme-era.html

Re Mida Soros vende lingotti e il mercato dell’oro trema

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/08/19/re-mida-soros-vende-lingotti-il-mercato.html

Qualcuno, particolarmente informato, sostiene che George Soros, mitico gestore dei fondi americani Quantum, avrebbe dimezzato i suoi investimenti in Italia.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/11/11/un-altra-giornata-nera-per-titoli-stet.html

Tra i “derivatives” ci sono contratti a termine di ogni tipo e su ogni prodotto, futures sulle valute, options sui tassi di interesse, operazioni dai nomi esotici come “forwards”, “caps”, “collars”, “swaps”, “swaptions”. Sono nati come polizza di assicurazione per importatori di petrolio o esportatori di granaglie, per banche che finanziavano industrie nel Terzo mondo o investitori in mercati esteri che volevano garantirsi rispetto al mutamento dei cambi. Ma presto i “derivatives” sono diventati il veicolo della speculazione internazionale e il pane quotidiano degli “hedge funds” di George Soros o Michael Steinhardt.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1994/04/05/wall-street-un-passo-dall-inferno.html

Quando a fine gennaio George Soros ha dichiarato al Forum di Davos di paragonare l’ Italia al Messico, non ha forse commesso un’ azione di aggiotaggio finanziario nei confronti della lira?

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/03/14/strilli-irresponsabili-lasciate-lavorare-dini.html

L’ uomo che ha sconfitto la Banca d’ Italia e quella di Inghilterra, che ha più soldi di quanti ne abbiano quarantadue stati del mondo, che è conosciuto – e temuto – come il più grande speculatore della storia del capitalismo

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/09/21/soros-vuol-comprare-un-posto-nella-storia.html

Ecco Prodi, a fianco di Soros, presentarne l’ ultimo libro, riprenderne la necessità di “regole” nel mercato finanziario mondiale. “Le contestazioni sono incoerenti. Fanno ridere. Non hanno letto il libro”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/10/31/soros-laureato-tra-le-proteste.html

“La gente – afferma Soros – finirà per dirigere tutto il risentimento legato alla disoccupazione sulla moneta unica”. “E’ possibile che si finisca per assistere a un sollevamento popolare – soprattutto in Francia, nota per questi moti di ribellione – che potrebbe prendere un orientamento nazionalista anti-europeo”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/08/23/soros-per-la-moneta-unica-rischiate-rivolte.html

“La Conferenza intergovernativa dovrebbe convocare un’ Assemblea costituente; gli europei dovrebbero essere mobilitati per dare vita a questa assemblea. Un’ Assemblea costituente non avrebbe il potere di appropriarsi di ulteriori fette della sovranità nazionale senza prima ottenere l’ approvazione di ciascuno Stato membro. La nuova costituzione entrerebbe in vigore solo dopo l’ approvazione di, diciamo, tre quarti dei parlamenti nazionali, mentre nei paesi in cui dovesse essere rifiutata, verrebbe indetto un referendum. Non ci sarebbe alcuna delegazione di poteri senza autorizzazione, ma l’ Assemblea costituente sarebbe in grado di risolvere i problemi che la Conferenza intergovernativa non può risolvere e coinvolgerebbe i cittadini europei in tale processo. Solo un provvedimento forte, che chiarisca la natura e l’ identità dell’ Unione europea, può fermare la graduale disintegrazione dell’ Europa e prevenire un ritorno alle condizioni che hanno prevalso durante le due guerre mondiali” (George Soros).

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1996/09/01/una-nuova-europa.html

“Negli ultimi dieci anni il finanziere-filantropo ha investito più di un miliardo di dollari per promuovere opere di sviluppo nell’ Europa orientale, compresi una stampa libera e un pluralismo politico. Ma ora diversi leader di questi paesi gli si stanno rivoltando contro: in Albania, Kirgizstan, Serbia e Croazia le fondazioni Soros sono accusate di essere centrali spionistiche in incognito e di infrangere leggi valutarie“.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/07/15/opinioni-dal-mondo.html

“la povera gente di questo paese soffre, ed è la stessa gente che George Soros ha protetto, lui che ha tanti soldi e potere ma è del tutto privo di giudizio. Abbiamo lavorato tra i 20 e i 40 anni per sviluppare i nostri paesi fino a questo livello ed ecco che arriva un uomo con un po’ di miliardi di dollari, e nel giro di due settimane manda all’aria il nostro lavoro

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/07/27/soros-uccide-il-miracolo-asiatico.html

a mezzogiorno è cominciato il sell off, la corsa alla vendita. Vi hanno contribuito una serie di fattori: un improvviso crollo dei titoli delle società di assicurazione malattia (le quotazioni della Oxford hanno perso 40 dollari, quasi due terzi del valore); movimenti strani, dovuti probabilmente alle speculazioni degli hedge funds di George Soros, dei titoli di stato americani; un nuovo pessimismo sulle conseguenze sull’ export Usa di una recessione tra le tigri asiatiche. Subissato da ordini di vendita, il Dow Jones è tracollato, tirandosi dietro gli altri indici: anche per il Nasdaq, dove sono quotate la Microsoft, l’ Intel e altre industrie dell’ informatica, è stata la seduta più nera della storia.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1997/10/28/wall-street-la-grande-paura.html

Gli investitori più speculativi e più specializzati, tra cui figura anche il “mago” George Soros, hanno scommesso quindi sul fatto che la “bomba del millennio”, cioè il problema legato al cambiamento di data tra il 31 dicembre 1999 e il 1 gennaio 2000, paralizzerà il sistema creditizio,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1998/03/17/wall-street-gioca-sul-millennio.html

La magistratura francese ha rinviato a giudizio per insider trading il finanziere americano George Soros. Ne hanno dato notizia fonti giudiziarie. Il caso risale al 1988: secondo quanto scrive il quotidiano “Le Monde”, Soros è sospettato di avere beneficiato di informazioni riservate durante un’ operazione per acquisire parte del capitale della banca Societè Generale, privatizzata nel 1987.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2000/12/23/insider-trading-soros-rinviato-giudizio.html

Mikhail Saakashvili ha trionfato ieri alle elezioni presidenziali anticipate in Georgia. Il giovane avvocato di 35 anni, leader della «rivoluzione delle rose» che lo scorso 23 novembre costrinse il settantacinquenne Eduard Shevardnadze a rassegnare le dimissioni dopo undici anni di potere assoluto, avrebbe ottenuto l’ 85,8% dei voti. Il resto è andato agli altri quattro candidati, penalizzati in campagna elettorale. Il risultato è stato annunciato un istituto internazionale, tra cui figurano la Fondazione Soros e il British Council, che ha effettuato un exit-poll. Non sono stati diffusi altri dati.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/01/05/georgia-saakashvili-presidente-il-nostro-obiettivo.html

Per inquadrare questa notizia è opportuno leggere questo post:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Ruolo per interpreti di rango, Shylock – l’ ebreo che pretende in pagamento una libbra della carne di Antonio, qualora questi non riuscisse a restituirgli il denaro avuto in prestito – trova in Corrado Pani un attore di grande temperamento e di magnetico carisma. Pani, chi è secondo lei lo Shylock dei nostri giorni? «Penso a George Soros, il settantenne finanziere ungherese di origini ebraiche, un autentico re della finanza, spregiudicato nel modo con cui ha investito nel denaro».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/07/09/ora-di-shilock.html

Oggi, scavando un po’ , si scopre che la lista delle Ong ucraine è sostenuta dall’ American National Endowment for Democracy, la fondazione di George Soros a Kiev, e così via…Ho di fronte un rapporto della fondazione Soros in Ucraina, datato ottobre 2004, che dichiara finanziamenti per 1.201.904 dollari ad Ong per “progetti legati alle consultazioni elettorali”. I donatori sostengono che questo denaro occidentale era destinato a creare le condizioni per elezioni libere e regolari, non direttamente all’ opposizione. Anche questo aspetto dovrebbe essere accuratamente verificato.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/12/21/il-metodo-piu-giusto-per-esportare-democrazia.html

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Anche in Kirghizistan, come in Ucraina e in Georgia, l’ opposizione ha lanciato la protesta dopo un voto apertamente manipolato, chiedendo nuove elezioni e un cambio al vertice. E anche qui sembra aver ottenuto la consulenza dallo stesso ufficio di pubbliche relazioni che ha gestito la “rivoluzione arancione” a Kiev e quella “delle rose” a Tbilisi. è difficile non notare che i bracciali e le bandiere colorate – giallo e rosa, stavolta – e i riferimenti ai tulipani sono frutto della stessa tattica. In Georgia e in Ucraina erano stati gli strateghi del movimento studentesco serbo Otpor, apertamente sostenuti da fondazioni americane come Freedom House o la fondazione Soros, o da istituzioni governative come UsAid, ad indicare all’ opposizione obiettivi e soprattutto metodi, non violenti e sicuramente molto efficaci dal punto di vista mediatico. Consulenti privilegiati, almeno in quelle due occasioni, erano ex ufficiali della Cia come Robert Helvi, o teorici delle università Usa come Gene Sharp (autore di “Dalla dittatura alla democrazia”) o Jack DuVall (“Come si rovescia un dittatore”).

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/03/25/dai-posti-di-potere-alla-rivolta-gli.html

Per inquadrare questa notizia è opportuno leggere questo post:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Ospite di George Soros, il leader del club dei miliardari anti-Bush, per la prima volta Francesco Rutelli, accompagnato dalla delegazione della Margherita che ha concluso con questo incontro ad effetto la missione negli Usa.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/07/01/rutelli-intesa-con-democratici-venezia-un-convegno.html

Haleh Esfandiari è accusata di far parte di una rete di organizzazioni culturali americane che ha l’ obiettivo di far cadere il regime islamico in Iran con l’ appoggio del miliardario George Soros. Con una rivoluzione simile a quelle “colorate” avvenute in alcune ex Repubbliche sovietiche.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/05/23/esfandiari-accuse-di-complotto-con-george-soros.html

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2007/08/22/teheran-libera-la-spia-americana-presto-negli.html

Per inquadrare questa notizia è opportuno leggere questo post:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/rivoluzioni-colorate-e-primavere-araba-preludio-alla-terza-guerra-mondiale/

Quello che interessa il pm Giorgio Orato sono le oscillazioni del titolo [AS Roma] in Borsa, strettamente collegate a quanto viene fatto trapelare dai giornali. Non è quindi escluso che possa essere presto aperto un fascicolo processuale, proprio come accaduto lo scorso anno in seguito alle oscillazioni legate alla trattativa con il magnate americano, George Soros (indagine ancora non chiusa).

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2009/05/21/trattative-ora-indaga-la-procura-nel-mirino.html

I “pesi massimi” della speculazione, i maggiori hedge fund americani, sono impegnati in un massiccio attacco concertato contro l’ euro. Mossi dalla convinzione che la crisi della Grecia è solo la punta dell’ iceberg, i potenti investitori arrivano a scommettere che l’ euro precipiterà fino alla parità col dollaro, cioè un ulteriore ribasso del 26% rispetto al valore attuale. Il volume di capitali investiti su queste puntate “ribassiste” contro la moneta europea ha raggiunto il record storico che fu toccato nel 2008 quando gli stessi hedge fund scommettevano sul crac di Lehman Brothers. Lo rivela il Wall Street Journal, che ricostruisce i retroscena di un’ azione comune fra i maggiori gestori di hedge fund, incluso George Soros. Un momentochiaveè una cena organizzata l’ 8 febbraio scorso in una dimora privata di Manhattan da una piccola banca d’ affari specializzata, Monness, Crespi, Hardt & Co. Nella stessa settimana della cena, il numero di contratti futures legati alla previsione di un ribasso dell’ euro è schizzato al rialzo, fino a 60.000 operazioni… George Soros, che è a capo di un fondo da 27 miliardi di dollari, vi ha partecipato ugualmente. Soros ha preso posizione anche in modo pubblico: ha avvertito che se i paesi dell’ Eurozona non prendono misure immediate per il risanamento delle finanze pubbliche, “l’ unione monetaria può andare in frantumi”.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/02/27/grandi-hedge-fund-usa-vanno-all.html

Un’ inchiesta del Department of Justice accusa i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Grenlight, Sac capital) di aver concordato un attacco simultaneo all’ euro, in una cena segreta l’ 8 febbraio a Wall Street. Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell’ euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Con Goldman Sachs e Barclays in buona vista nelle cronache su quelle grandi manovre.

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2010/04/29/la-speculazione-dei-soliti-noti.html

PRIMA UNA CRISI GENERATA, POI LA SOLUZIONE PROPOSTA: GLI STATI UNITI D’EUROPA (poliziotto cattivo, poliziotto buono, il gatto e la volpe): «Possibile mai che siano i banchieri a invocare gli Stati Uniti d’ Europa mentrei governi sanno solo tentennare e prendere tempo?». Emma Bonino, vicepresidente del Senato, non ha perso la passione europeista che ha animato i suoi anni come membro della Commissione a Bruxelles. E, di fronte alla crisi che stringe l’ Europa, lancia l’ idea di una «federazione leggera» che metta in comune una serie di politiche, in primo luogo quella di bilancio e fiscale. I banchieri sono diventati improvvisamente federalisti? «Per forza di cose. George Soros, Jean Claude Trichet, Mario Draghi, Jacques Attali, ma perfino Gordon Brown, l’ Economist e lo stesso Fondo Monetario Internazionale hanno cominciato a dire, di fronte alla profondità di questa crisi dell’ euro, che bisognerebbe affiancare alla Banca Centrale Europea un ministero delle Finanze dell’ Unione».

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/09/18/un-governo-federale-europeo-per-economia-difesa.html

Rivoluzioni colorate e primavere arabe – preludio alla terza guerra mondiale

 

 

IL QUADRO GEOSTRATEGICO COMPLESSIVO

Una “coalizione cinese-russo-iraniana” – che costituisce la base di una contro-alleanza globale – sta emergendo. USA e Gran Bretagna piuttosto che optare per una guerra diretta, potrebbero scegliere di cooptare Iran e Siria attraverso una manipolazione macro-economica e le rivoluzioni di velluto.

La guerra contro l’Iran e la Siria, tuttavia, non può essere esclusa. Ci sono preparativi di guerra reali sul terreno in Medio Oriente e nell’Asia centrale. Una guerra contro l’Iran e la Siria avrebbe conseguenze di vasta portata in tutto il mondo.

Mahdi Darius Nazemroaya, 2007

http://www.eurasia-rivista.org/lalleanza-sino-russa-una-sfida-alle-ambizioni-statunitensi-in-eurasia/13638/

Alfredo Macchi, “Rivoluzioni S.p.A.: chi c’è dietro la Primavera Araba”, Alpine studio, 2012.

Alfredo Macchi, pluripremiato inviato di Mediaset

 

RIVOLUZIONI COLORATE IN EURASIA

pp. 78-80: “Si comincia in Serbia nell’ottobre del 2000. è ormai documentato dagli storici che alcune ONG statunitensi, in particolare Open Society [Soros], Freedom House e il NED, abbiano sostenuto “Otpor!” e le grandi manifestazioni di piazza a ridosso delle elezioni presidenziali, senza attendere il risultato definitivo delle urne, che vedeva i due candidati andare verso un probabile ballottaggio…Dopo l’assalto della folla alla sede del Parlamento e alla tv di Stato, Slobodan Milosevic è costretto a lasciare il potere. In seguito sarà arrestato e consegnato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja, dove morirà prima di essere giudicato. Sotto il nuovo governo le truppe americane realizzano la gigantesca base militare di Bondsteel, in Kosovo, e rendono l’ex provincia serba uno stato indipendente nel 2008, in un tripudio di bandiere a stelle e strisce.

In Georgia, nel 2003, si ripete lo stesso schema. L’opposizione guidata dal movimento “Kmara!” denuncia brogli elettorali nelle elezioni legislative. A migliaia scendono in piazza sostenendo che i risultati del voto sono quelli indicati dal ISFED, una società di sondaggi e monitoraggio elettorale vicina a Open Society Georgian Foundation, NED, IRI e NDI. È la cosiddetta “rivoluzione delle rose”, con la quale i manifestanti costringono il presidente Edward Shevarnadze a dimettersi. Il suo successore, Mikhail Saakashvili, apre il paese agli interessi economici americani e si muove in direzione dell’entrata della Georgia nella NATO e nell’UE, mentre raffredda i rapporti con il vicino russo. Cinque anni più tardi, nell’agosto del 2008, Sakashvili bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud. Mosca risponde all’offensiva militare georgiana con l’invio delle forze speciali, arrivando a un passo da un possibile conflitto diretto con Washington.

Nel 2004 è la volta dell’Ucraina e della rinomata “rivoluzione arancione”. I due sfidanti alle elezioni presidenziali sono Viktor Yanoukovitch (filorusso) e Viktor Iouchenko (con il sostegno degli Stati Uniti e della comunità internazionale). Alla chiusura dei seggi e ai primi risultati sfavorevoli, migliaia di giovani, guidati dal movimento “Pora!”, si raggruppano nella piazza centrale di Kiev indossando indumenti color arancione, per sostenere Viktor Iouchenko. Dopo due settimane di manifestazioni, sotto una forte pressione mediatica e internazionale esercitata da OCSE, NATO, Consiglio d’Europa e Parlamento europeo, il risultato delle elezioni viene annullato e si torna alle urne. Nella nuova votazione vince Iouchenko..Una volta alla guida del paese, il nuovo leader stringe forti rapporti con la Georgia e stipula accordi sulle forniture di gas favorevoli agli Stati Uniti. Nel 2010 viene però clamorosamente eliminato al primo turno delle elezioni da Viktor Yanoukovitch che si prende la rivincita.

Anche in Kirghizistan nel 2005 l’opposizione contesta il risultato delle elezioni legislative e porta nella capitale Bichkek i manifestanti del sud del paese per rovesciare il presidente Askar Akaiev: è la “rivoluzione dei tulipani”. L’assemblea nazionale elegge come presidente il candidato filo-americano Kourmabek Bakaiev, che occuperà contemporaneamente il posto di presidente e di primo ministro. Stabilizzatasi la situazione, Bakaiev vende le poche risorse del paese a società statunitensi e installa una base militare USA a Manas, prima di essere allontanato dal potere da una nuova rivoluzione popolare nel 2010.
L’esito delle rivoluzione colorate, insomma, sembra essere stato quasi sempre quello di rafforzare la politica americana e della NATO ai confini di Mosca, assicurando a Washington importanti basi militari in posizione strategica e l’accesso ai corridoi energetici nel cuore dell’Eurasia”.

“PRIMAVERA ARABA”

pp. 215-217: “I miliziani che hanno combattuto per rovesciare Gheddafi in Libia, si sarebbero spostati in Siria a combattere Al Assad. Le prime indiscrezioni su questa milizia araba vengono da siti israeliani. Nel corso dei mesi alcuni giornalisti entrati in Siria hanno detto di aver visto soldati libici tra le file dei guerriglieri ribelli. Si tratterebbe di centinaia di uomini che hanno raggiunto l’Iraq e la Turchia in aereo per poi da lì entrare in Siria. Dietro l’operazione, sostiene il sito israeliano Debkafile, fonte ben informata su terrorismo, servizi segreti e ambienti militari, ci sarebbe il Qatar. L’emirato, in accordo con Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, avrebbe preparato una sorta di forza militare islamica da impegnare ove necessario, a cominciare dalla Siria; una piccola e agguerrita armata, formata da duemilacinquecento miliziani libici ed iracheni soprattutto, che si sarebbe unita ai disertori siriani nel Free Syrian Army, l’esercito ribelle in guerra con il regime di Damasco. […] Nell’autunno 2011 sarebbe avvenuto l’arruolamento di un migliaio di combattenti del Libyan Islamic Fighting Group [al-Qaedisti], reduci dalla guerra a Gheddafi, e di centinaia di miliziani del Ansar al-Sunna, il gruppo salafita iracheno protagonista della guerra contro gli americani. I volontari si sarebbero riuniti nella città meridionale turca di Antakya, non distante dal posto di frontiera di Hatay, dove ha sede il centro di comando dell’esercito dei ribelli siriani”.

RICAPITOLANDO

pp. 261-263: “Gli attivisti hanno quasi sempre ricevuto sostegni finanziari dall’estero, in particolare da Washington, attraverso la galassia “quango” e in nome della “democrazia”, dalle capitali del Golfo Persico tramite organizzazioni caritatevoli e in nome dell’”Islam sunnita”.

Diverse fondazioni e organizzazioni private a Washington, a Belgrado e a Doha, hanno offerto assistenza agli attivisti. Alcuni di loro sono stati addestrati da associazioni dietro le quali si possono intravedere la CIA o altri servizi segreti. Quasi tutte le rivolte sono state precedute da un’intensa attività di blogging sul web e sui social network: un mondo virtuale…dietro cui si può nascondere chiunque.

Alcune insurrezioni hanno seguito lo schema tattico della non violenza, quello teorizzato da Gene Sharp, Robert Helvey e Peter Ackerman, altre sono degenerate in guerre civili. In quel caso le forze speciali inglesi, francesi e americane hanno addestrato e aiutato i ribelli, soldati e mercenari hanno combattuto sul campo, sostegno logistico e armamenti sono stati offerti dai servizi segreti di mezzo mondo.

[…]

Una partita che raramente si gioca con le armi, ma quasi sempre attraverso il soft power, con quei metodi che una volta la CIA chiamava di “destabilizzazione” e che possono comprendere politiche commerciali ostili, campagne mediatiche per creare isolamento internazionale e sostegno a rivolte interne fino all’appoggio dei ribelli per il rovesciamento dei paesi “scomodi”.

[…]

Barack Obama, dopo il suo ingresso alla Casa Bianca, nel gennaio 2009, ha corretto e affinato il progetto, da un punto di vista di metodo, ma l’obiettivo strategico è rimasto immutato”.

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