Monti, Marchionne, Montezemolo, Mussolini – feudalesimo e libertà

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http://www.giornalettismo.com/archives/679613/feudalesimo-e-liberta-il-partito-che-aspettavi/

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Ancora non è chiaro cosa significhi, nelle parole di Monti, il centrismo radicale proposto come Agenda di una futura unità nazionale: un ordine nuovo, addirittura, dove le classiche divisioni fra destra e sinistra sfumerebbero.

Barbara Spinelli, la Repubblica, 27 dicembre 2012

I movimenti fascisti hanno sempre rappresentato un estremismo di centro.

Seymour Lipset, sociologo statunitense, “Political Man”, 1959

Lo stato è oggi ipertrofico, elefantiaco, enorme e vulnerabilissimo, perché ha assunto una quantità di funzioni di indole economica che dovevano essere lasciate al libero gioco dell’economia privata. […] Noi crediamo, ad esempio che il tanto e giustamente vituperato disservizio postale cesserebbe d’incanto se il servizio postale, invece di essere avocato alla ditta stato, che lo esercisce nefandemente in regime di monopolio assoluto, fosse affidato a due o più imprese private. […] In altri termini, la volontà del fascismo è rafforzamento dello stato politico, graduale smobilitazione dello stato economico.

Benito Mussolini. Opera Omnia., XVI, p. 101

Lo stato deve esercitare tutti i controlli possibili immaginabili, ma deve rinunciare ad ogni forma di gestione economica. Non è affar suo. Anche i servizi cosiddetti pubblici devono essere sottratti al monopolio statale.

Benito Mussolini, cf. Sternhell, “Nascita dell’ideologia fascista”, 2008, p. 315.

Una dittatura può essere un sistema necessario per un periodo transitorio. […] Personalmente preferisco un dittatore liberale ad un governo democratico non liberale. La mia impressione personale – e questo vale per il Sud America – è che in Cile, per esempio, si assisterà ad una transizione da un governo dittatoriale ad un governo liberale.

Friedrich von Hayek, nume tutelare dei neoliberisti, intervistato da Renée Sallas per El Mercurio”, il 12 aprile 1981.

La mano invisibile del mercato non funzionerà mai senza un pugno invisibile. McDonald’s non può prosperare senza McDonnell Douglas e i suoi F-15. E il pugno invisibile che mantiene il mondo sicuro permettendo alle tecnologie della Silicon Valley di prosperare si chiama US Army, Air Force, Navy e Marine Corps.

Thomas L. Friedman, “A Manifesto for the Fast World”, New York Times, 28 marzo 1999

Io sono liberale nel senso economico del termine…Il termine americano “liberale” significa qualcuno che pensa che si dovrebbe permettere a tutti di svilupparsi a proprio piacimento e fare quel che gli pare.

Lee Kuan Yew, ex despota di Singapore

[Il liberismo] si fonda sull’idea che solo una ristretta cerchia di eletti meritino le opportunità offerte dall’individualismo e che la società esiste idealmente allo scopo di consentir loro di sviluppare al meglio le proprie potenzialità e di farsi valere impunemente, tipicamente ma non esclusivamente a spese degli altri.

George Kateb, “On liberty”, 2003, p. 289

Ci dobbiamo chiedere come mai i liberali siano stati in prima fila, assieme alla sinistra, nella lotta per l’abolizione della schiavitù, nella decolonizzazione e nella conquista dei diritti costituzionali (liberale era la classe dirigente dell’Italia unificata; liberale era una parte importante della classe dirigente dell’Italia post-fascista), mentre ora i cosiddetti liberali sono in realtà neoliberisti. Si è tanto parlato della cattura cognitiva della sinistra da parte della destra – con il PD che ha ripudiato la sua vocazione social-democratica per abbracciare la sua antitesi, il liberismo – ma non si è parlato abbastanza della morte della destra migliore, quella liberale appunto, pugnalata alle spalle dai neoliberisti, che poi ne hanno assunto machiavellicamente l’identità.

In linea generale, la differenza tra anarchismo di destra (libertarismo/liberismo/neoliberismo) e liberalismo consiste in questo: (a) il liberista privilegia la propria libertà a spese di quella altrui, mentre il liberale è attento alle libertà di tutti ed alla loro attuazione concreta; (b) il neoliberismo avversa l’intervento statale nell’economia e favorisce la difesa dei rapporti gerarchici nella natura e nella società, mentre il liberalismo approva l’intervento statale nell’economia al fine di consentire ad un crescente numero di cittadini di porre in essere i propri progetti di vita, nella prospettiva della loro emancipazione – per quel che è lecito attendersi – dall’assistenza delle istituzioni.

La loro visione del mondo non ha nulla ha che vedere con un genuino liberalismo. Infatti, storicamente, come ha sottolineato il filosofo politico Samuel Freeman (cf. Illiberal Libertarians. Why Libertarianism is not a liberal view, in Philosophy and Public Affairs, 30(2), pp. 105-151, 2002), il liberalismo è emerso in contrapposizione al libertarismo, che invece condivide molti attributi della “dottrina del potere politico privato alla base del feudalesimo”. Come il feudalesimo, il libertarismo si appoggia a “un reticolo di contratti privati” e si oppone all’idea liberale che “il potere politico è un potere pubblico, esercitato con imparzialità per il bene comune”.

Per questo il libertarismo tende al populismo ed all’autoritarismo: è la pretesa del forte di stabilire autonomamente le proprie regole (tirannia privata) e di convincere il maggior numero possibile di persone che queste regole vanno a vantaggio di tutti, ossia che il suo volere beneficerà, indirettamente, la collettività.

In pratica il liberismo è una difesa filosofica e politica dell’egoismo, mentre il liberalismo è una difesa filosofica e politica dell’autonomia all’interno di una comunità. Il liberismo è secessionista, il liberalismo è autonomista. Il liberismo è anti-universalista ed anti-comunitario, privilegiando l’interesse privato (privatismo, monopolismo), il liberalismo privilegia l’interesse generale (individualità democratica).

In sintesi, il neoliberismo è un’ideologia neo-feudale, è un feudalesimo aggiornato, adattato all’era del capitalismo globalistaNon della servitù della gleba si avvale, ma della servitù del debito “sovrano” (N.B. neolingua orwelliana).

Ogni diritto ha un costo ed ogni libertà richiede un vigoroso intervento statale che la sancisca e la protegga.

L’intervento statale contemplato dai neoliberisti è di tutt’altro genere. Tanto ostili al gigantismo statale, una volta al governo (es. Reagan, Pinochet, Thatcher, Cameron) sono quasi sempre riusciti a far crescere lo stato nei seguenti settori:

– difesa;

– forze dell’ordine;

– apparato tecno-burocratico.

Guarda caso proprio quei settori che servono ai pochi per difendere i propri immeritati privilegi dai molti.

Un articolo del Giornale – quotidiano allineato alla dottrina neoliberista – fa luce sulla questione:

“Si può dire che il liberalismo sia quell’ideologia che, avendo come radice la libertà stessa, si presta meno di qualsiasi altra ad essere codificata in un’unica formulazione? Considerazione, questa, pressoché banale, che però non sembra essere condivisa dal curatore e da alcuni collaboratori dell’ultimo numero della rivista Paradoxa, che porta come titolo “Liberali davvero!” Secondo costoro, in modo particolare, Gianfranco Pasquino, Salvatore Veca e Francesca Rigotti, una parte dell’esiguo mondo del liberalismo italiano sarebbe popolata da «sedicenti liberali» che avrebbero fornito in questi ultimi anni – sull’onda del berlusconismo – un’interpretazione molto distorta dell’idea liberale. Le colpe dei «sedicenti liberali» – ricorrono alla rinfusa i nomi di Piero Ostellino, Angelo Panebianco, Dino Cofrancesco, Giuliano Ferrara, Giuseppe Bedeschi, Marcello Pera e altri – sono quelle di aver avallato la credenza secondo cui il liberalismo va inteso come una concezione estremista della libertà tendente a relegare in un angolo lo Stato, tanto da sconfinare non solo nel liberismo, ma addirittura nellanarchismo (troppa grazia!). A tale inclinazione permissivista, che in sostanza decreterebbe la libertà come assenza di regole, farebbero da contrappeso taluni provvedimenti legislativi di grave limitazione della libertà individuale, ad esempio nel campo bioetico.

Ai «sedicenti liberali», il curatore e gli autori di Paradoxa contrappongono quello che ritengono il vero liberalismo, riconducibile al costituzionalismo, concepito come limitazione, separazione e bilanciamento dei poteri. All’interno di questa prospettiva, volta a collocare la libertà in un quadro normativo molto preciso (si può dire angusto?), viene assegnato al potere politico un ruolo primario, che non sembra però contemplare quei princìpi formulati dal padre del liberalismo, John Locke, per il quale, prima di tutto, vanno affermati i diritti individuali; diritti, a cominciare da quello di proprietà e di libero scambio, che lo Stato ha il dovere di difendere, non essendo, di per sé, produttore di diritto. Linterpretazione del liberalismo come costituzionalismo è sacrosanta. Unilaterale ci pare invece l’esclusione del liberismo dal liberalismo. Ad esempio, considerando la nota polemica fra Croce ed Einaudi, dove quest’ultimo aveva rivendicato la libertà economica quale condizione imprescindibile della libertà politica, dovremmo concludere per l’esclusione dello stesso Einaudi dal novero del liberalismo!”

È bene precisare che Einaudi era ostile al liberismo (anarchismo oligopolista), infatti, nel 1948, scriveva sul ” Corriere della Sera”: “A che serve la libertà politica a chi dipende da altri per soddisfare i bisogni elementari della vita? Fa d’ uopo dare all’ uomo la sicurezza della vita materiale, dargli la libertà dal bisogno, perché egli sia veramente libero nella vita civile e politica…La libertà economica è la condizione necessaria della libertà politica...Vi sono due estremi nei quali sembra difficile concepire l’ esercizio effettivo, pratico, della libertà: all’un estremo tutta la ricchezza essendo posseduta da un solo colossale monopolista privato; ed all’altro estremo della collettività. I due estremi si chiamano comunemente monopolismo e collettivismo: ed ambedue sono fatali alla libertà

Il liberismo ( = mors tua vita mea, il forte schiaccia legittimamente il debole, dispotismo) è, non a caso, la dottrina preferita dagli oligopoli finanziari e dai CEO delle multinazionali.

Il liberalismo, come spiegava Norberto Bobbio, è contrario alla concentrazione dei poteri in mani pubbliche o private, essendo una dottrina politica che aspira a realizzare una piena “garanzia di diritti di libertà (in primis libertà di pensiero e di stampa), la divisione dei poteri, la pluralità dei partiti, la tutela delle minoranze politiche”.

Gianfranco Pasquino, rispondendo ai critici citati dal Giornale, scrive: “Non capisco perché Cofrancesco e altri ci accusino di anti-berlusconismo, un tema assolutamente marginale nei nostri capitoli. Giusto, invece, lo ribadisco, criticare coloro che non criticano le caratteristiche illiberali del berlusconismo: conflitto di interessi, interpretazione della sovranità popolare, uso strumentale della religione, insistita sfida alla separazione dei poteri, duopolio televisivo… Sappiamo che neppure la democrazia è una perfetta allocatrice di “beni”, ma ha meccanismi, come l’alternanza, e limiti al potere delle maggioranze, proprio come voluti dai liberali classici, che impediscono le degenerazioni possibili nei mercati sregolati. La mia non-condivisione non significa che Cofrancesco non abbia la facoltà di continuare a definirsi liberale e a sentirsi in buona compagnia con coloro che del liberalismo, politico, etico, culturale, fanno un disinvolto uso à la carte. Che è esattamente quello che abbiamo criticato ricevendo astiose repliche, non su quello che abbiamo scritto, ma sulle nostre persone. Quanto di più illiberale, meglio di quasi stalinista, si possa immaginare”.

http://www.novaspes.org/paradoxa/detArticolo.asp?id=470

Troppi fra loro credono che essere antisocialisti sia sufficiente per definirsi liberali. Anche i conservatori e i reazionari sono antisocialisti ma questo non serve loro per comprarsi il biglietto d’ingresso nel giardino del liberalismo politico e del costituzionalismo. Poiché i liberali sanno che «provando» si può anche sbagliare e che la storia impartisce dure repliche, concluderò suggerendo a Ostellino di «provarci» ancora a confutare il liberalismo dei liberali classici da Montesquieu a Kant, da Tocqueville a Mill, magari dopo avere letto anche soltanto gli articoli loro dedicati da Paradoxa”.

Gianfranco Pasquino, Corriere della Sera, 19 aprile 2012

Ora, siete liberi di scegliere di chi fidarvi.

Potete dare più peso al parere di alcuni tra i massimi politologi italiani del nostro tempo [Pasquino, Veca e Rigotti; ma anche Norberto Bobbio], oppure a quello della redazione del Giornale, di Ferrara, Ostellino, Panebianco, Marcello Pera e Silvio Berlusconi (ma anche di Mario Monti e Sergio Marchionne, che si sentono così in sintonia http://www.gadlerner.it/2012/12/21/monti-marchionne-insieme-sono-gia-un-programma-elettorale).

A voi la scelta.

“È liberale il liberismo?” [Con il Patrocinio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati]

Stati Uniti d’Europa – i dubbi dei costituzionalisti e delle persone di buon senso

Tutto il popolo tolse i pendenti che ciascuno aveva agli orecchi e li portò ad Aronne. Egli li ricevette dalle loro mani e li fece fondere in una forma e ne ottenne un vitello di metallo fuso. Allora dissero: «Ecco il tuo Dio, o Israele, colui che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto!». Ciò vedendo, Aronne costruì un altare davanti al vitello e proclamò: «Domani sarà festa in onore del Signore». Il giorno dopo si alzarono presto, offrirono olocausti e presentarono sacrifici di comunione. Il popolo sedette per mangiare e bere, poi si alzò per darsi al divertimento.

Esodo 3-6

Solo il federalismo sarà capace di evitare il fallimento dell’Euro e le sue conseguenze disastrose sulla vita di tutta l’Unione europea. Esso aprirà agli Europei la via verso un’Europa giusta, solidale e democratica in grado di garantire il suo spazio centrale nel mondo.

Giuliano Amato, Jacques Attali, Emma Bonino, Romano Prodi,Il federalismo che può salvare l’Europa”, La Repubblica, 9 maggio 2012

Un’Europa che potrebbe rivelarsi uno dei pilastri essenziali di un più ampio sistema euroasiatico di sicurezza e cooperazione sponsorizzato dagli americani. Ma, prima di ogni altra cosa, l’Europa è la testa di ponte essenziale dell’America sul continente euroasiatico. Enorme è la posta geostrategica americana in Europa…l’allargamento dell’Europa si traduce automaticamente in un’espansione della sfera d’influenza diretta degli Stati Uniti. In assenza di stretti legami transatlantici, per contro, il primato dell’America in Eurasia svanirebbe in men che non si dica. E ciò comprometterebbe seriamente la possibilità di estendere più in profondo l’influenza americana in Eurasia…Un impegno americano in nome dell’unità europea potrebbe scongiurare il rischio che il processo di unificazione segni una battuta d’arresto per poi essere addirittura gradualmente stemperato.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale –“La grande scacchiera”,  Milano : Longanesi, 1998, pp. 83-85

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Zbigniew Brzezinski, intervista rilasciata al Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012

Leggendo il suo articolo mi pare che per lei il federalismo sia una soluzione finale. Io credo che sia un mezzo: uno dei mezzi. Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che il potere oppressivo non è soltanto prerogativa degli Stati nazionali. Una grande impresa oggi ha la possibilità di abusare del potere più dello stato stesso. Le nostre costituzioni accordano garanzie contro l’abuso di potere da parte degli organi dello Stato. Non ne accordano contro l’abuso di potere da parte dei grandi gruppi capitalistici. Il superamento dello Stato nazionale è una faccia del problema del potere. O i federalisti credono che sia una soluzione totale? Io non ne sono del tutto convinto.

Norberto Bobbio ad Altiero Spinelli, 15 dicembre 1957

Nessuno degli esempi della storia, siano essi una federazione di stati o un’unione di nazioni, può servire come modello per plasmare l’unione politica. L’Unione europea è sempre stata, e resterà, un impegno unico per il quale non ci sono modelli che possono essere facilmente adottati. È importante consentire un processo evolutivo, che è aperto a ulteriori iniziative di integrazione, ma salvaguarda ciò che è già in atto e funziona bene, e che assegna le competenze agli Stati nazionali o addirittura alle regioni a seconda dei casi.

Otmar Issing, capo degli economisti della BCE, 24 marzo 2006.

Il modello burocratico che vige a Bruxelles è il modello francese, in cui la burocrazia decide quanto cacao vi deve essere in un impasto di cioccolata oppure il raggio di curvatura che deve avere una banana. La Svizzera per contro rappresenta ancora oggi lo spirito di regionalismo, d’identità locale che non vuole cedere alla pressione dell’Unione Europea. E secondo me con diritto. Perché io sono democratico, e per me l’esistenza di una comunità come Bellinzona, che andrà alle urne per decidere di un credito per la pavimentazione di una piazza, è una parte importante della democrazia mondiale. […]. I singoli Stati americani sono molto più simili tra loro che non i 26 cantoni svizzeri. Quando si attraversano le frontiere in America non si nota nessuna differenza. Tutto è uguale, che sia Pennsylvania o New Jersey o Virginia. La diversità americana, che tanto ho amato, non esiste più. […]. Lì il federalismo è più una finzione: in realtà quello americano è un governo centralizzato.

Jonathan Steinberg, docente di storia moderna europea all’Università della Pennsylvania, Corriere del Ticino, 31 Luglio 2003

È nell’interesse di tutti addivenire ad un’Europa politicamente unita, ma dovrebbe essere evidente a tutti che l’Europa è sostanzialmente diversa dagli Stati Uniti d’America, per storia, lingue e cultura. I suoi popoli e comunità non possono essere trattati alla stregua degli ospiti della leggendaria locanda di Procuste, che venivano amputati oppure “allungati” per poterli adattare alle misure dei letti. È più che realistico attendersi che proprio la mancanza di rispetto per le specificità locali e le sensibilità particolari, oltre ad una fretta ingiustificata, produrranno reazioni violente e l’affondamento del sogno europeista.

Tra l’altro, è piuttosto curioso che si caldeggi una maggiore integrazione europea mentre oltreoceano, per tre soli voti (e grazie ad uno scaltro emendamento inserito all’ultimo minuto), non è passata una proposta di legge del Wyoming (HB 0085, 2012) per l’istituzione di un gruppo di studio che intraprenda l’analisi delle conseguenze di una potenziale interruzione del governo federale degli Stati Uniti, di un eventuale rapido declino del dollaro, di una situazione in cui il governo federale non ha alcun potere effettivo o autorità sul popolo degli Stati Uniti, di una crisi costituzionale e dell’ipotetica interruzione nel settore della distribuzione alimentare e dell’energia.

In un libro molto bello e sincero, intitolato “Il mito d’Europa” (Monti, 2000) Luciano Monti, docente di Politica Regionale europea presso la Luiss Guido Carli, dà testimonianza di come certe perplessità siano assolutamente motivate. Carli rileva che l’Europa è diventata un fine in sé e che il mito rischia di diventare un idolo. Sottolinea la modesta potestà legislativa del Parlamento europeo ed il suo scarso coinvolgimento nel processo decisionale della politica europea, stigmatizza il prevalere della burocrazia e l’inamovibilità dei suoi vertici, il proliferare di normative sempre più complesse ed il decentramento a livello regionale che indebolisce gli stati come corpi intermedi che possono anche tutelare le regioni stesse, le quali, sono comunque troppo deboli e mal coordinate. Infine, un’élite distante dai cittadini, isolata nella sua torre eburnea, persuasa di essere, sola, in grado di decretare i destini di centinaia di milioni di cittadini (p.235): “Vi sono anche numerosi potentati, che a differenza delle tradizionali strutture di governo, legate ad un territorio, sono piuttosto incardinati su una fitta rete di relazioni. Non si tratta in realtà di una casta determinabile, ma, per dirla con Herman Hesse, delle Castalie, vale a dire dei gruppi circoscritti di soggetti isolati dal resto della società civile. Dove l’isolamento è il prodotto non già dell’emarginazione ma piuttosto dell’elevazione“.

Perciò non sorprende constatare che le corti costituzionali dei paesi europei, specialmente in Francia, Germania e Regno Unito, abbiano assunto un atteggiamento difensivo e critico verso l’architettura istituzionale dell’Unione Europea (Zagrebelsky/Portinaro/Luther, 1996; Zagrebelsky, 2003). In particolare, il costituzionalista tedesco Dieter Grimm ha argomentato in modo molto persuasivo una serie di contestazioni all’iter integrativo europeo che si coniugano a quelle che ho menzionato in precedenza. Grimm osserva che, come non si possono costruire degli edifici a partire da tetto, ma servono delle solide fondamenta, così l’edificio europeo non può prescindere da una società civile europea, una lingua-ponte europea sufficientemente diffusa, partiti europei, media europei, una memoria sufficientemente condivisa, ossia di tutti quei trait d’union e soprattutto corpi intermedi che, fin dai tempi di Montesquieu, sono considerati elementi basilari ed irrinunciabili per un’organizzazione statuale stabile ed efficiente ed una cittadinanza che possa prendere parte attiva al processo decisionale. Senza la possibilità di comunicare in modo più agevole, di scambiare opinioni e valutazioni, come sarà possibile che mezzo miliardo di persone trovi punti di accordo, raggiunga compromessi e regoli i suoi rapporti con i paesi extra-europei, anche in tempi di crisi?

Una valutazione sottoscritta, tra gli altri, da Ralph Dahrendorf e Gian Enrico Rusconi nei loro commenti ad una sentenza della Corte Costituzionale Federale Tedesca del 12 ottobre 1993, la prima di una serie di sentenze, non solo tedesche, che hanno intralciato i piani delle autorità europee di addivenire al più presto ad uno Stato federale. Sentiamo il parere, al riguardo, di Andreas Vosskuhle, presidente della corte costituzionale tedesca, intervistato dalla Frankfurter Allgemeine („Mehr Europa lässt das Grundgesetz kaum zu“, 25 settembre 2011):

La Costituzione consente un’ulteriore integrazione europea?

Penso che i margini di manovra si siano in gran parte esauriti.

E se la politica volesse procedere oltre?

La costituzione tedesca garantisce l’inviolabilità della sovranità statuale. Essendo ancorata alla Costituzione, essa non potrebbe essere accantonata neppure per mezzo degli emendamenti costituzionali. Le modifiche della Costituzione concernenti i principi strutturali – democrazia, stato di diritto, stato sociale, federalismo – sono inammissibili.

La sovranità di bilancio del Parlamento potrebbe essere parzialmente trasferita alle istituzioni europee?

Non c’è più molto spazio per una cessione di ulteriori competenze all’Unione Europea. Se si volessero varcare questi limiti – il che può anche essere politicamente legittimo e desiderabile –, in quel caso la Germania dovrebbe darsi una nuova costituzione. Ma allora si renderebbe necessaria una consultazione referendaria. Non si possono fare queste cose senza il popolo.

È curioso che molti analisti politici, accecati dalla loro fede europeista, si dimentichino della differenza tra democrazia formale (la scatola) e democrazia sostanziale (il contenuto) e che debbano essere dei costituzionalisti a rammentarglielo (cf. per esempio Antonio Cantaro). Una democrazia senza una società civile vigorosa e corale (voci distinte ma armonizzate, come in un coro, appunto) è come quelle pagnotte che sembrano belle esternamente ma quando le spezzi scopri che è quasi tutta crosta e poca mollica (sostanza). Un vinaccio scadente ed un vino di alta qualità sono entrambi vini, ma sfido chiunque a dire che sono la stessa cosa: uno intossica, l’altro gratifica.

Ciò che è forse paradossale, ma molto significativo, è che questa agognata società civile europea, questo popolo sovrano europeo, sta effettivamente sbocciando, con fatica, solo ora, tra gli indignati, ma come atto di protesta contro le istituzioni europee e globali. La sensazione è che, per molti Europei, l’Unione stia diventando un problema, piuttosto che una soluzione, a dispetto del diverso parere di una larga fetta dell’intellettualità europea.

Come giustamente lamenta Giuseppe Guarino (2008, p. 160): “Bisogna andare avanti, si dice. Completare un processo glorioso che si è svolto con successo per oltre cinquanta anni. Andare avanti, certo. È indispensabile. Ma sempre che la strada prosegua diritta e sicura. Se diventa accidentata e va inoltrandosi in luoghi non chiari, se sorge anche un minimo dubbio se continui ad essere quella giusta, la più elementare prudenza suggerisce di fermarsi e chiedere informazioni…Non c’è ragione per discostarsi da quanto in analoghe condizioni farebbe una comune persona, mediamente saggia. Solo di questo si tratta“.

Vorrei concludere questo capitolo riproponendo alcuni passi salienti di un dibattito avvenuto in seno alla famosa, o famigerata, Commissione Trilaterale (Crozier, Huntington, Watanuki, 1977), un’organizzazione che è soprattutto nota per il suo elitismo e che quindi non ci si aspetta che possa manifestare posizioni contrarie all’accentramento del potere nelle mani di pochi selezionati. Ebbene, verso la fine degli anni settanta, le proposte di tre relatori che andavano, appunto, nella direzione di una revisione in senso tecnocratico e centralistico della democrazia come rimedio per la presunta crisi in cui versavano le società democratiche, ricevettero una bordata di critiche da diversi membri della Commissione. Ci fu chi sottolineò che i padri fondatori degli Stati Uniti non avrebbero mai anteposto la “governabilità” al rispetto dei diritti dei cittadini, chi denunciò gli eccessi dei governanti e della burocrazia, piuttosto che quelli dei governati, chi definì i rimedi raccomandati “errati, deludenti, fatali”, chi invocò più democrazia, non meno democrazia, chi lamentò il restringimento del pluralismo nei media e chi constatò che, essendo gli esseri umani così deboli, in una situazione di monopolio sarebbero inclini ad abusare del potere loro conferito. Posizioni assolutamente coincidenti con quelle degli indignati dei nostri giorni. Quel che più ci interessa è invece la valutazione che i membri canadesi diedero del federalismo canadese, uno dei possibili modelli per quello europeo (pp. 184-185): “Si fece rilevare che l’espansione e la proliferazione della burocrazia a livello federale, provinciale e comunale hanno contribuito, a causa della sempre minore chiarezza di direzione e responsabilità, alle tensioni cui è sottoposto il sistema politico canadese. Si registra una tendenza sempre più forte – si disse – della burocrazia ad assumere ruoli che tradizionalmente erano di pertinenza prevalente degli uomini politici – ad esempio quei ruoli che hanno per oggetto il “bene pubblico”. In ciò si potrebbe vedere uno sviluppo pericoloso, specie alla luce della vocazione della burocrazia federale a “imperniarsi su Ottawa”, senza più esprimere un’adeguata rappresentanza delle altre regioni del paese“.

Citazioni per un Mondo Nuovo (1)


a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

“Chi sei? Donde sei? Della Terra sono figlio e del Cielo stellato”
Frammento orfico

“Da noi, niente va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi”
Italo Calvino, “Il Sentiero dei Nidi di Ragno”

“Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buona fede, più idealista, c’ erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l’Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c’ era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, perché di queste non ce ne sono. Non ce ne importa nulla che i bravi “ragazzi di Salò” non sapessero cosa difendevano, insieme con l’onore della patria. Capita, talvolta, nella storia di trovarsi dalla parte sbagliata”.
Alberto Asor Rosa

“Nessun rischio calcolato, all’insaputa delle vittime o delle cavie, giustifica l’esistenza di un potere che tutela dall’alto, che detiene e nasconde informazioni che riguardano la collettività. Un popolo adulto non può dare a nessun tutore una delega in bianco su questo. L’esercizio del potere di controllo dal basso è faticoso e poco gratificante, ma non è barattabile”
Marco Paolini

“Se la “rivoluzione dell’eguaglianza” era stato il connotato della modernità, la “rivoluzione della dignità” segna un tempo nuovo, è figlia del Novecento tragico, apre l’era della “costituzionalizzazione” della persona e dei nuovi rapporti che la legano all’innovazione scientifica e tecnologica.  “Per vivere  –  ci ha ricordato Primo Levi  –  occorre un’identità, ossia una dignità”. Solo da qui, dalla radice dell’umanità, può riprendere il cammino dei diritti. E proprio la forza unificante della dignità ci allontana da una costruzione dell’identità oppositiva, escludente, violenta, che ha giustamente spinto Francesco Remotti a scrivere contro quell'”ossessione identitaria” che non solo nel nostro paese sta avvelenando la convivenza civile. La dignità sociale, quella di cui ci parla l’articolo 3 della Costituzione, è invece costruzione di legami sociali, è anche la dignità dell’altro, dunque qualcosa che unifica e non divide, e che così produce rispetto e eguaglianza. Le manifestazioni di questi tempi, e quella di domenica con evidenza particolare, rivendicano il diritto a “un’esistenza libera e dignitosa”. Sono le parole che leggiamo nell’articolo 36 della Costituzione che descrivono una condizione umana e sottolineano il nesso che lega inscindibilmente libertà e dignità. Più avanti, quando l’articolo 41 esclude che l’iniziativa economica privata possa svolgersi in contrasto con sicurezza, libertà e dignità umana, di nuovo questi due principi appaiono inscindibili, e si può comprendere, allora, quale lacerazione provocherebbe nel tessuto costituzionale la minacciata riforma di quell’articolo, un vero “sbrego”, come amava definire le sue idee di riforma costituzionale la franchezza cinica di Gianfranco Miglio. Intorno alla dignità, dunque, si delinea un nuovo rapporto tra principi, che vede la dignità dialogare con inedita efficacia con libertà e eguaglianza. Questa, peraltro, è la via segnata dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Qui, dopo aver sottolineato nel Preambolo che l’Unione “pone la persona al centro della sua azione”, la Carta si apre con una affermazione inequivocabile: “La dignità umana è inviolabile”.
Stefano Rodotà, “La bandiera della dignità”, Repubblica, 15 febbraio 2011

“Tre cose differenziano il vivere con l’anima di contro al vivere solamente con l’Io: la capacità di sentire e apprendere modi nuovi, la tenacia per percorrere una strada impervia, la pazienza di apprendere nel tempo l’amore profondo. L’Io, tuttavia, ha la tendenza naturale e la propensione a evitare l’apprendimento. La pazienza non è una sua dote”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”

“Conoscere sé stessi è studiarsi mentre si agisce con l’altro”
Bruce Lee

“L’attenzione estrema è ciò che costituisce nell’uomo la facoltà creatrice e non vi è attenzione estrema se non religiosa. La quantità di genio creatore in un’epoca è rigorosamente proporzionale alla quantità di attenzione estrema, dunque di religione autentica, in quell’epoca”.
Simone Weil, “Dell’attenzione”

“Una vita senza esame è indegna di essere vissuta”
Socrate, Apologia.

“Il Regno è invece dentro di voi e fuori di voi. Quando vi conoscerete, allora sarete conosciuti e saprete che voi siete i figli del Padre che vive. Ma se non vi conoscerete, allora dimorerete nella povertà, e sarete la povertà”
Vangelo di Tommaso, 3

“Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov’è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore”.
Matteo 6, 19-21

“E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?”
Luca 12, 57

“La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi”.
David Foster Wallace, “Infinite Jest”

“Non è una misura di buona salute l’essere ben adattato ad una società profondamente malata”.
Jiddu Krishnamurti

“La società di oggi non accetta facilmente la mia esistenza…Se mi guardo attorno, non c’è un luogo dove mi senta accettato. Non c’è qualcuno con cui poter parlare della domanda filosofica più importante: ‘Perché viviamo?’. Le menti dei miei compagni di scuola sono troppo impegnate a preparare i test d’ingresso alle scuole superiori e non si possono permettere di parlare delle apprensioni del cuore. Nell’educazione contemporanea si pone l’accento sul come realizzare l’obiettivo di passare il test d’ingresso piuttosto che discutere di questioni relative alla dignità umana. Non si capisce quanto importante sia pensare e parlare dei problemi della vita”.
Studente giapponese

“Gli oppressori non sentono il loro avere di più come privilegio che disumanizza gli altri e loro stessi”.
Paulo Freire

“Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”.
Alessandro Manzoni

“Quasi nessuno a Thalburg afferrò in quei giorni quel che stava accadendo; mancò la comprensione vera di quello a cui la città sarebbe andata incontro quando Hitler avesse conquistato il potere; mancò la capacità di capire realmente quel che fosse il nazismo”
W.S. Allen, “Come si diventa nazisti”

“Dall’inizio della rivoluzione industriale ha preso piede, e continua ad essere perpetrato, il sacrificio della coscienza di sé, degli altri e della realtà che ci circonda. Coscienza senza la quale nulla differenzierebbe la società umana da un’immensa colonia di laboriosi castori”.
Roberto Castaldi, Il fascino del potere, 1999, p. 79

“Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo”.
Matteo 22, 30

“Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù”.
Paolo, Lettera ai Galati 3, 28

«Nous ne voyons pas les choses comme elles sont, mais comme nous sommes ».
“Non vediamo le cose come sono, ma come siamo”.
Anais Nin

“È incontestabile che solo chi crede nella verità può dubitare, anzi: dubitarne. Chi crede che le cose umane siano inafferrabili, non dubita affatto, ma sospende necessariamente ogni giudizio…L’astensione dall’affermare di ogni cosa ch’essa sia vera o falsa, buona o cattiva, giusta o ingiusta, bella o brutta significa che tutto è indifferente a questo genere di giudizi. Come forma estrema di scetticismo, è incompatibile con il dubbio. Il dubbio, infatti, al contrario del radicale scetticismo, presuppone l’afferrabilità delle cose umane, ma, insieme, l’insicurezza del carattere necessariamente fallibile o mai completamente perfetto della onoscenza umana, cioè ancora la coscienza che la profondità delle cose, pur se sondabile, è però inesauribile. Onde, di ogni nostra conoscenza deve dirsi ch’essa è non fallace o impossibile, ma sempre, necessariamente, superficiale. […]. Così, l’etica del dubbio non è contro la verità, ma contro la verità dogmatica, che è quella che vuole fissare le cose una volta per tutte e impedire o squalificare quella cruciale domanda: “sarà davvero vero?”. […] Essere per l’etica del dubbio non significa dunque affatto sottrarsi al richiamo del vero, del giusto, del buono e del bello, ma, propriamente, cercare di rispondere alla chiamata, in liberà e responsabilità verso sé e verso gli altri”.
Gustavo Zagrebelsky, “Contro l’etica della verità”

“Ciò che mi ha sempre colpito degli occidentali è il loro ardente desiderio di imparare. Ogni volta che presenzio a una conferenza sul buddismo, per esempio, tirate subito fuori carta e penna per prendere appunti, oppure il registratore portatile, mentre ho notato che tra i tibetani, i cinesi o gli indiani, anche se mi guardano con estrema devozione, nessuno tira fuori la penna; stanno lì, tranquilli, come se sapessero già tutto. La stessa cosa vale per i mongoli: credono che più si spingeranno in mezzo alla folla, più la benedizione sarà forte – apparentemente anche dei tibetani la pensano così! Ho sempre ammirato l’atteggiamento autenticamente scientifico nella ricerca, in cui l’imparzialità, l’apertura mentale e anche lo scetticismo hanno un ruolo importante”.
Dalai Lama, “Oltre i dogmi”.

“Le astrazioni monetarie, la prospettiva spaziale e il tempo meccanico formarono la cornice che racchiudeva la nuova vita. L’esperienza fu progressivamente ridotta proprio a quegli elementi che avevano in sèè la possibilità di essere divisi dall’insieme e misurati separatamente: computi convenzionali preseo il posto di organismi. […] uomini e donne, corporazioni e città, nella loro realtà concreta erano considerati dalle leggi e dai governi quasi fossero creature immaginarie; mentre artificiose finzioni pragmatiche quali il Diritto Divino, il Governo Assoluto, lo Stato, la Sovranità erano considerati realtà concrete”.
Lewis Mumford, “La cultura delle città”

“Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete; 3 chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri. Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio? Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio”.
Lettera di Giacomo (I secolo)

“I bambini non hanno colore, basta guardarli quando sono tra di loro, non sanno cosa sia la differenza e allora vuol dire che la differenza non c’è”.
Gianangelo Bof, 35 anni, sindaco leghista di Tarzo in provincia di Treviso.

“Non possiamo identificarci con le nostre idee. Le idee hanno importanza, ma una importanza relativa. Chi non sa superare la dicotomia tra l’essere e il pensare, tra ciò che uno è e ciò che uno pensa, diventa schiavo del proprio pensiero e in ultimo termine perde il senso cristiano dell’esistenza”.
Raimon Panikkar

“A immagine del mare, la filosofia elude e polverizza il solido, il radicato, il pregiudizio, l’imperturbabile, il conformismo e la comodità. […] Moltiplicare i punti di vista ci libera dai pensieri imperialisti, unilaterali, dalle monomanie, da una coscienza esaltata o sentenziosa. è la scuola della modestia, della conoscenza giusta. Dilatandoci, ci semplifichiamo. Il mondo si alleggerisce quando non siamo trincerati in noi stessi. Non essere più inchiodati a se stessi permette paradossalmente di sentirsi vivere. Di affermarsi, di dimenticarsi!”
Cécile Guérard, “Piccola filosofia del mare”

“Men are not prisoners of their fate, but only prisoners of their own mind”.
F.D. Roosevelt.

“Questa è la stessa logica dei survivalisti, coi loro bunker e i loro allenamenti in vista del peggio, e le scatolette di fagioli impilate in cantina. Ibernarsi non significa davvero sopravvivere, perché poi arriva il disgelo e il mondo intorno può essere tutto diverso, e l’atmosfera talmente rarefatta da ucciderti in pochi secondi. Sopravvivere significa migliorarsi, accettare la mutazione. Per questo la lotta per l’identità non è – in ultima analisi – un modo per sopravvivere, ma soltanto un modo per invecchiare più in fretta e avvicinarsi più in fretta al decesso”.
Giovanni Cattabriga, Wu Ming 2.

“A giudicare dalle tendenze culturale ed ideali della nostra epoca, la disumanizzazione procede in due direzioni, verso il naturalismo e verso il tecnicismo. L’uomo è soggetto a forze cosmiche o alla civiltà tecnologica…si dissolve e svanisce nella vita cosmica, oppure nella tecnica onnipotente. Assume l’immagine della natura o della macchina. In entrambi i casi perde la sua e si disperde nei suoi costituenti. L’uomo come essere integrale, come creatura centrata in sé stessa, scompare; cessa di esistere come essere dotato di un centro spirituale, capace di mantenere una sua continuità ed unità intrinseca. Alle sue frazioni e componenti sono offerti non solo il diritto all’autonomia, ma anche la supremazia nella vita”
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Il pensiero borghese”, 1934.

“Good and ill have not changed since yesteryear; nor are they one thing among Elves and Dwarves and another among Men”.
Aragorn, “Lord of the Rings”

“Bandita la giustizia, che altro sono i regni se non grandi associazioni di delinquenti? Le bande di delinquenti non sono forse dei piccoli regni? Non sono forse un’associazione di uomini comandati da un capo, legati da un patto sociale, e che si dividono il bottino secondo una legge accettata da tutti? Se questa compagnia recluta nuovi malfattori, se occupa un paese, stabilisce proprie sedi, se si impadronisce di città e soggioga popoli, prende il nome di regno; titolo che le viene conferito non perché sia diminuita la sua cupidigia, ma perché a questa si aggiunge l’impunità. Così disse un pirata, fatto prigioniero, con arguzia e verità ad Alessandro Magno. Interrogato da questo sovrano con quale diritto infestasse il mare, egli con audace franchezza rispose: “Per lo stesso diritto con cui tu infesti tutta la terra. Perché non ho che una piccola nave, sono chiamato corsaro, e perché tu hai una grande flotta sei chiamato imperatore!”
Agostino, De Civitate Dei, libro IV, cap. 4

“I popoli, più o meno, sono rappresentati dagli Stati che formano; e gli Stati dai governi che li guidano. In questa guerra, il singolo cittadino può verificare con sgomento ciò che già in tempo di pace aveva talora intravisto: e cioè che ho Stato ha interdetto al singolo la pratica dell’illecito, non perché voglia abolirla, ma solo perché intende averne il monopolio.
Dai suoi cittadini, lo Stato pretende il massimo di obbedienza e di spirito di sacrificio, ma “li tratta come dei minorenni”, esagerando nella segretezza ed esercitando nei confronti di ogni comunicazione ed espressione di pensiero una censura tale da rendere tale lo stato d’animo di coloro che ha così represso intellettualmente del tutto privo di difese nei confronti di qualsiasi situazione sfavorevole che possa determinarsi o di una qualunque confusa diceria. Recede da tutti gli accordi e il cittadino deve approvare tutto questo per patriottismo”.
Sigmund Freud, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, Roma, Editori Riuniti, 1982, pp. 56-57

“Quando lo Stato si prepara ad assassinare, si fa chiamare patria”
Friedrich Dürrenmatt

“A sense of humor always withers in the presence of the messianic delusion, like justice and truth in front of patriotic passion”
H.L. Mencken

“Tutti i nazionalismi hanno il potere di non vedere alcuna rassomiglianza fra due serie simili di fatti. […] Il nazionalista non solo non disapprova le atrocità commesse dalla sua fazione, ma ha la notevole capacità di non sentirne nemmeno parlare. […]. Nel pensiero nazionalista esistono fatti che sono contemporaneamente veri e non veri, conosciuti e non conosciuti. Un fatto conosciuto può essere così insopportabile da essere abitualmente accantonato e non ammesso ad entrare nei processi logici o, altrimenti, può entrare in ogni valutazione senza esser accettato come fatto, perfino nella proprio mente. […]. Ogni nazionalista è perseguitato dalla convinzione che il passato può essere alterato […]. I fatti materiali sono soppressi, le date alterate, le citazioni estrapolate dal loro contesto e alterate in modo da cambiarne il significato. Eventi che si sente non avrebbero mai dovuto accadere non sono menzionati e sono infine negati […]. L’indifferenza alla verità obiettività è incoraggiata isolando una parte del mondo dall’altra, cosa che rende sempre più difficile scoprire cosa stia effettivamente accadendo […]. Per qualcuno che in un qualunque angolo della mente nutra lealtà nazionalistiche od odio, alcuni fatti – sebbene in un certo senso si sappia siano veri – sono inammissibili”.
George Orwell, Notes on Nationalism

“Non siamo riusciti a creare una tradizione intellettuale in cui le persone pensino con la propria testa. Operiamo solo collettivamente. Parliamo al plurale, come Serbi. È spaventoso, specialmente tra i giovani. Ci vorranno anni prima di potersi liberare di questo virus”.
Obrad Savic

“Seguire un sistema di valori così privo di vita provoca una grave perdita del collegamento con l’anima. …la nostra sfida…è di non amalgamarci in nessuna collettività, è di distinguerci d quelli che ci circondano, gettando eventualmente per loro dei ponti dietro di noi..E le collettività che saranno da noi favorite con rapporti saranno quelle che offrono il massimo sostegno alla nostra anima e alla nostra vita creativa”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”

“Nel circo, gli esseri umani sono rappresentati come liberi dall’abbraccio della morte. Nel circo una persona cammina su un cavo a cinquanta piedi dal suolo…un’altra rimane sospesa in aria per il tallone, qualcuno sostiene dodici persone in una piramide umana, qualcun altro è un proiettile umano. L’artista circense è l’immagine della persona escatologica – emancipata dalla fragilità e dall’inibizione, briosa ed eccitante mentre trascende la morte, ormai né confinata né conforme ai dettami della paura di morire. Il circo perciò ridicolizza la morte e, così facendo, ci mostra che l’unico nemico in vita è la morte, un nemico che dobbiamo fronteggiare tutti, in ogni circostanza, in ogni momento…Il servizio che ci rende – più di quello che ci rendono le chiese, malauguratamente – è quello di illustrare esplicitamente, drammaticamente ed umanamente la morte in seno alla vita. Il circo è una parabola escatologica e una parodia sociale: segnala la possibilità di trascendere il potere della morte, rivelando il mondo così com’è mentre apre al strada al Regno”.
William Stringfellow, “A Simplicity of Faith”

“Conformismo, opportunismo, grettezza e debolezza: ecco dunque, della libertà, i nemici che l’insidiano “liberamente”, dall’interno del carattere degli esseri umani. Il conformista la sacrifica all’apparenza; l’opportunista, alla carriera; il gretto, all’egoismo; il debole, alla sicurezza. La libertà, oggi, più che dal controllo dei corpi e delle azioni, è insidiata da queste ragioni d’omologazione delle anime. Potrebbe perfino sospettarsi che la lunga guerra contro le arbitrarie costrizioni esterne, condotta per mezzo delle costituzioni e dei diritti umani, sia stata alla fine funzionale non alla libertà, ma alla libertà di cedere liberamente la nostra libertà. La libertà ha bisogno che ci liberiamo dei nemici che portiamo dentro di noi. Il conformismo, si combatte con l’amore per la diversità; l’opportunismo, con la legalità e l’uguaglianza; la grettezza, con la cultura; la debolezza, con la sobrietà. Diversità, legalità e uguaglianza, cultura e sobrietà: ecco il necessario nutrimento della libertà”.
Gustavo Zagrebelsky, Repubblica, 16 giugno 2011

“Il valore del viaggio è nella paura. E’ nel fatto che, a un certo momento, così lontani dal nostro paese e dalla nostra lingua (un giornale francese assume un valore inestimabile. E quelle ore serali trascorse al caffé cercando di stabilire un contatto con altri uomini), un vago timore ci coglie, e l’istintivo desiderio di ritrovare il rifugio delle vecchie abitudini. E’ l’apporto più evidente del viaggio. In quel momento siamo febbrili ma porosi. La minima emozione ci scuote sino al fondo dell’essere. L’incontro con una cascata di luce ci mette in presenza dell’eternità. Per questo non bisogna dire che si viaggia per piacere. Non esiste piacere nel viaggiare, ma piuttosto, mi sembra, un’ascesi”.
Albert Camus, “Alle Baleari, l’estate scorsa” –  Taccuini, 1935-1942

“Perché ci sia democrazia basta il consenso della maggioranza. Ma appunto il consenso della maggioranza implica che vi sia una minoranza di dissenzienti. Che cosa facciamo di questi dissenzienti una volta ammesso che il consenso unanime è impossibile e che là dove si dice che vi sia, è un consenso organizzato, manipolato, manovrato e quindi fittizio, è il consenso di chi, per ripetere il famoso detto di Rousseau, è obbligato ad essere libero? Del resto, che valore ha il consenso dove il dissenso è proibito? I dissenzienti li sopprimiamo o li lasciamo sopravvivere? E se li lasciamo sopravvivere, li recintiamo o li lasciamo circolare, li imbavagliamo o li lasciamo parlare, li espelliamo come reprobi o li teniamo fra di noi come liberi cittadini?”.
Norberto Bobbio, “il futuro della democrazia”, Einaudi, Torino 1984

“Ecco i principi cardine della democrazia: la fede in qualcosa, la cura dell’individualità, lo spirito del dialogo, il senso dell’uguaglianza, l’apertura verso la diversità, la diffidenza verso le decisioni irrevocabili, l’atteggiamento sperimentale, la responsabilità di essere maggioranza e minoranza, l’atteggiamento altruistico, la cura delle parole”.
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”

“Conosco tutti gli argomenti utilizzati per giustificare le legislazioni dettate dall’emergenza. Cioè quando la difesa dei diritti, e quindi della libertà, per alcuni diventa un lusso superfluo. Io ero in Parlamento negli anni di piombo. E chi difendeva le garanzie era indicato come un fiancheggiatore dei terroristi. In quel momento, e per lungo periodo, in Italia cambiò la percezione della libertà. Di fatto si disse: il fermo di polizia, la perquisizione di abitazioni per blocchi di edifici si possono fare. E nella media la gente fu d’accordo. […]. In simili casi può cominciare un processo di mitridatizzazione: a piccole e progressive dosi, si abbassa la soglia di percezione della tua libertà”.
Stefano Rodotà, “Intervista su privacy e libertà”

“È la possibilità di ricattare moralmente e indicare alla riprovazione dei cittadini chi manifesta disaccordo (non violento) con il governo, ed equiparare eventuali violenze verbali con la violenza armata”.
Umberto Eco, “A passo di gambero. Guerre calde e populismo mediatico”

“Un essere umano è dotato di libero arbitrio. Può usarlo per scegliere tra il bene ed il male. Se può solo fare il bene oppure il male, allora è un’arancia meccanica, nel senso che ha l’apparenza di un organismo di bell’aspetto, colorato e succoso, ma in effetti è solo un giocattolo a molla che può essere caricato da Dio o dal Diavolo o, visto che ormai sta progressivamente rimpiazzando entrambi, dallo stato onnipotente”.
Introduzione di Anthony Burgess all’edizione americana di “Arancia Meccanica” del 1986

“Per umiliare qualcuno si dev’essere in due: colui che umilia, e colui che è umiliato e soprattutto: che si lascia umiliare. Se manca il secondo, e cioè se la parte passiva è immune da ogni umiliazione, questa evapora nell’aria. […] Dappertutto […] cartelli che ci vietano le strade per la campagna. Ma sopra quell’unico pezzo di strada che ci rimane c’è pur sempre il cielo, tutto quanto. Non possono farci niente, non possono veramente farci niente. […] Siamo noi stessi a privarci delle nostre forze migliori col nostro atteggiamento sbagliato: col nostro sentirci perseguitati, umiliati e oppressi, col nostro odio e con la millanteria che maschera la paura […] Siamo soprattutto noi stessi a derubarci da soli”.
Etty Hillesum

“La libertà umana non è una pretesa, ma un dovere. Non è ciò che richiede l’uomo, ma ciò che gli è richiesto. L’uomo deve essere libero. Dio lo esige e se lo aspetta da lui”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Cristianesimo e guerra di classe”, 1931

“In realtà, la libertà è aristocratica, non democratica. Dobbiamo riconoscere, sconfortati, che la libertà è cara solo a chi pensa creativamente. Non è necessaria per chi non dà valore al pensiero. Nelle cosiddette democrazie, che si fondano sul principio della sovranità popolare, una proporzione considerevole della cittadinanza non possiede ancora la consapevolezza di essere libera, di recare con sé la dignità della libertà”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951

“Ama davvero la libertà solo chi la riafferma per il suo prossimo”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Regno dello Spirito e Regno di Cesare”, 1951

“L’uomo veramente libero non vuole dominare, ma neppure essere dominato”
Khalil Gibran

“Cosa sarebbe l’essere umano senza immaginazione? Un automa, uno strumento. Lo sviluppo dell’immaginazione è accrescimento di vita, mentre la sua limitazione è una riduzione di vita, un impulso di morte”.
Stefano Fait, “Il Trentino”, 3 febbraio 2010

“L’idea della congiunzione degli opposti – la coincidentia oppositorum – che accomuna tanto il pensiero di Jung quanto quello di Eliade alla tradizione orientale e al pensiero mistico – non solo anima una più vasta concezione dell’essere umano in quanto unità psico-soma e unità microcosmo-macrocosmo ma diventa anche uno dei motivi che ritornano con forza all’interno della cultura del Novecento, sia come forza di un archetipo che si impone autonomamente, sia come fascinazione di un’idea che permette di riscoprire e attivare l’archetipo operante in ogni individuo”.
Aldo Carotenuto, “Jung e la cultura del XX secolo”

“È noto che gli uomini che agiscono in seguito a comandi sono capaci delle azioni più orribili. Quando l’autorità che li comandava viene abbattuta e li si costringe a guardare da vicino ciò che hanno fatto, essi non si riconoscono. «Io non ho fatto questo», dicono, e non è affatto vero che siano sempre consapevoli di mentire. Quando poi si portano dinanzi a loro dei testimoni, quando cominciano a vacillare, continuano a dire: «Io non sono così, io non posso averlo fatto». Cercano dentro di sé le tracce di quell’azione e non possono trovarle. È sorprendente: ne sono rimasti intatti. La loro vita successiva è davvero diversa, per nulla improntata dalla azione che commisero. Essi non si sentono colpevoli, non si pentono di nulla. Quell’azione non è entrata in loro. Sono uomini perfettamente capaci, in altre circostanze, di valutare il proprio comportamento. Ciò che fanno di loro iniziativa lascia in cui tracce che non dimenticano. Si vergognerebbero di uccidere una creatura sconosciuta e indifesa che non li ha provocati. Proverebbero disgusto a torturare qualcuno. Non sono migliori ma neppure peggiori degli altri fra cui vivono. Alcuni che quotidianamente li frequentano da vicino sarebbero pronti a giurare che li si accusa ingiustamente. Quando poi avanza la lunga fila dei testimoni, delle vittime, che sanno benissimo di cosa parlano, -quando l’uno dopo l’altro riconoscono il colpevole e gli richiamano alla memoria, in ogni particolare il suo comportamento, allora ogni dubbio diviene assurdo e ci si trova dinanzi a un enigma inesplicabile. Ma per noi non c’è in ogni caso nessun enigma, giacché conosciamo la natura del comando. Per ogni comando che il colpevole ha eseguito, è rimasta in lui una spina. La spina è però estranea così come lo era il comando stesso nell’istante in cui veniva impartito. Per quanto a lungo la spina resti confitta nell’uomo, continua ad essere un corpo estraneo: egli non l’assimila mai. È anche possibile –  come in precedenza abbiamo mostrato – che più spine si adunino insieme, costituendo un complesso mostruoso in chi le porta in sé; ma esse restano sempre nettamente isolate dall’organismo in cui stanno infisse. La spina è un intruso che non può mai acquistare diritto di cittadinanza; è indesiderata: ci si vuol sempre liberare di essa. Essa è ciò che si ha commesso: ha esattamente la forma del comando. La spina continua a vivere come istanza estranea in chi ricevette il comando, e gli toglie ogni senso di colpa. Il colpevole non accusa se stesso ma la spina, l’istanza estranea, il vero colpevole – per così dire –, che egli porta sempre con sé. Quanto più il comando fu estraneo, tanto meno ci si sente colpevoli per averlo eseguito, tanto più esso resta separato – come spina – dal suo esecutore. Il comando è dunque testimone perenne del fatto che non fu quella certa persona il colpevole dell’uno o dell’altro delitto, Chi eseguì il comando considera se stesso la vittima, e perciò generalmente non prova alcun sentimento per la vittima vera e propria. È dunque vero che uomini che abbiano agito in seguito a comandi si considerino perfettamente innocenti. Posti in grado di aprire gli occhi sulla loro condizione, essi possono restare stupefatti constatando in quale misura furono in balìa del comando. Ma anche questo giusto moto dell’animo è senza valore, poiché giunge troppo tardi, quando tutto è ormai finito da tempo. Ciò che è accaduto potrà accadere di nuovo, in essi non si costituisce alcuna difesa contro situazioni che siano identiche a quelle trascorse. Essi restano esposti senza difese al comando, solo molto oscuramente coscienti dei suoi pericoli. Nel caso più esplicito, che per fortuna è raro, essi riconoscono nel comando una fatalità e ripongono il loro orgoglio nel fatto d’esserne stati ciechi strumenti, quasi fosse una peculiarità della condizione umana arrendersi a tale cecità. Da qualunque parte lo si consideri, il comando nella sua forma compatta, compiuta, che oggi gli è propria dopo secoli di storia, è divenuto l’elemento singolo più pericoloso della vita collettiva degli uomini. Bisogna avere il coraggio di opporvisi e di spezzare la sua sovranità. Si devono trovare mezzi e vie per liberare da esso la maggior parte degli uomini. Non gli si può permettere altro che di scalfire la pelle. Le sue spine devono diventare solo più lappole di cui ci si sbarazza con un gesto”.
Elias Canetti, “Masse e potere”

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.
Italo Calvino, “Le città invisibili”

“L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno. Le profezie scompariranno; il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà. La nostra conoscenza è imperfetta e imperfetta la nostra profezia. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Ma, divenuto uomo, ciò che era da bambino l’ho abbandonato. Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto”.
Lettera ai Corinzi 13: 4-10

“Nella giustizia delle favole come nella psiche profonda, la gentilezza verso ciò che sembra di poco conto viene premiata con il bene, e il rifiuto di fare del bene a chi non è bello viene punito. Lo stesso accade nei grandi sentimenti come l’amore. Quando ci espandiamo per toccare il non-bello, siamo ricompensati. Se lo disprezziamo, siamo separati dalla vita vera e lasciati fuori al freddo. Per alcuni, è più facile pensare pensieri superiori e bellissimi e toccare le cose che positivamente ci trascendono, che toccare, aiutare ed assistere il non-così positivo. Come la storia illustra, è facile cacciare il non-bello e sentirsi falsamente nel giusto”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”.

“tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro” (Mt 7,12; Lc 6,31)
“quel che non desideri per te, non farlo neppure ad altri uomini” (Confucio, Dialoghi)
“non fare ad altri ciò che non vuoi che essi facciano a te” (rabbi Hillel, Sabbat)
“Nessuno di voi è un credente, fintanto che non desidera per il proprio fratello quel che desidera per sé” (al-Nawawi, Hadith)
“L’uomo dovrebbe comportarsi con indifferenza verso le cose mondane e trattare tutte le creature del mondo così come vorrebbe essere trattato” (gianismo, Sutrakritanga)
“una condizione, che non è gradita o piacevole per me, non lo deve essere nemmeno per lui; e una condizione che non è gradita o piacevole per me, come posso imporla ad un altro?” (buddismo, Sanyutta Nikaya)
“Non bisognerebbe comportarsi verso altri in un modo che non è gradito a se stessi: questa è l’essenza della morale” (induismo, Mahabharata).

“La carità non risolve la povertà, perché perpetua il rapporto di dipendenza. Nessuno è perfetto e nessuno ha perfettamente ragione. Condividere le esperienze personali è l’unico modo per cambiare le cose. L’interesse personale sarà sempre al centro delle umane azioni, ma può essere indirizzato verso la cooperazione e la condivisione. La radice dei conflitti non è l’egoismo o l’avidità, ma la nostra incapacità di porci nei panni del prossimo. L’altruismo trova applicazione pratica in una molteplicità di piccole cose che poi si espandono per diventare sempre più grandi”.
Lü K’un (1536-1618)

“Posso dirvi questo: il poco che io so non l’ho imparato all’università, ma in compagnia di uomini come voi. La fraternità è la verità sacra dell’uomo. L’uomo mutilato della sua fraternità è un albero senza radici e senza rami, una pianta sterile… Per non morire bisogna ricominciare col riscoprire la fraternità. Amici, io sono venuto per dirvi questo: è necessario, è urgente stare assieme, metterci insieme, creare in questo paese cellule viventi di uomini interi cioè fraterni, difenderci dal contagio della morte”.
Ignazio Silone, “Ed Egli si nascose”

Per prima cosa lasciate che vi suggerisca che se vogliamo avere pace sulla terra, il termine fedeltà per noi deve avere un significato ecumenico, non parrocchiale. La nostra fedeltà deve trascendere la razza, la tribù, la classe sociale, la nostra patria stessa: e questo significa che dobbiamo sviluppare una prospettiva mondiale. Nessun individuo può vivere solo; nessuna nazione può vivere sola; è provato che se qualcuno tenta l’isolamento, questo qualcuno perpetua la guerra. Ecco perché io ho ancora un sogno. Ho il sogno che un giorno gli uomini si rizzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli
Martin Luther King, “Discorso della Vigilia di Natale 1967 ad Atlanta”

“Ognuno di noi è irripetibile ed unico, non c’è nessun volto uguale ad un altro, e proprio per questa unicità e singolarità siamo tenuti tutti ad assumerci le nostre responsabilità nei confronti della storia”
Alex Zanotelli

“L’oggetto dell’obbligo, nel campo delle cose umane, è sempre l’essere umano in quanto tale. C’è obbligo verso ogni essere umano, per il solo fatto che è un essere umano, senza che alcun’altra condizione abbia ad intervenire; e persino quando egli stesso non ne riconosce alcuno. Quest’obbligo non si fonda su nessuna situazione di struttura sociale, né sui rapporti di forza, né sull’eredità del passato, né sul supposto orientamento della storia. Perché nessuna situazione di fatto può suscitare un obbligo. Quest’obbligo non si fonda su nessuna convenzione. Perché tutte le convenzioni sono modificabili secondo la volontà dei contraenti, mentre in esso nessun cambiamento nella volontà degli uomini può nulla modificare. Quest’obbligo è eterno. Esso risponde al destino eterno dell’essere umano. Soltanto l’essere umano ha un destino eterno. Le collettività umane non ne hanno. Quindi, rispetto a loro, non esistono obblighi diretti che siano eterni. E’ eterno solo il dovere verso l’essere umano come tale”.
Simone Weil, “Obbedire all’amore nella giustizia”

“Mi sono spesso domandato perché mai gli esseri umani abbiano dei diritti. E sono sempre giunto alla conclusione che i diritti umani, le libertà umane e l’ umana dignità hanno le loro radici profonde da qualche parte al di fuori del mondo percettibile. Questi valori sono tanto potenti perché in determinate circostanze, la gente li accetta senza esservi costretta ed è pronta a morire per essi. Questi valori hanno un senso solo nella prospettiva dell’infinito e dell’eterno”.
Vaclav Havel, “L’idolo infranto dello Stato sovrano”

“Il mondo non si muove sui piccoli viottoli, sui piccoli viottoli si muovono le persone che valorizzano se stesse, però passeggiano da sole”
Oscar Luigi Scalfaro

“Siamo così pochi. Qualche miliardo in tutto. Una manciata! Forse siamo qui per fare esperienza delle persone come una ragione per amare”.
Andrei Tarkovsky

“So we’ll live and pray and sing and tell old tales and laugh at gilded butterflies”
[King Lear, let’s away to prison – Il re Lear si converte finalmente alla saggezza, dopo una vita di vanità ed ossessione per lo status/prestigio. Si rende conto che ora non gli interessa più e che preferisce vivere nell’anonimato con l’unica figlia che lo ama sinceramente, Cordelia – tatuato sulla spalla di Megan Fox].

“Tutti gli uomini hanno il sentimento della pietà e della vergogna (per i propri difetti) e della repulsione (per i difetti altrui), della reverenza e del rispetto, del diritto e del torto. Il sentimento della pietà e della commiserazione è la benevolenza, il sentimento della vergogna e della repulsione è la giustizia, il sentimento della reverenza e del rispetto è il rito, il sentimento del diritto e del torto è la sapienza. La benevolenza, la giustizia, il rito, la sapienza non sono infusi in noi dall’esterno: noi li possediamo sicuramente, (solo che) non ci pensiamo. Perciò si dice: “cercali e li otterrai, trascurali e li perderai”. Gli uomini non sanno esprimere tutte le loro capacità, chi il doppio di altri, chi il quintuplo, chi innumerevoli volte”.
Meng-tzu (Mencio)

“Capite che la vostra coscienza è quella del resto dell’umanità. L’umanità, come voi, affronta ogni genere di difficoltà, dolore, travaglio, ansia, solitudine, depressione, afflizione, piacere – ogni essere umano le affronta, ad ogni latitudine. Perciò la nostra coscienza, il nostro essere, è l’intera umanità. Siamo così riluttanti ad accettare questo semplice fatto, perché siamo abituati all’individualismo – io, per primo”.
Jiddu Krishnamurti

Philip K. Dick ricorda di quando tormentava uno scarafaggio che si era andato a nascondere nel guscio di una lumaca. Quando lo costrinse ad uscire, la credulità fu soppiantata dalla comprensione che la vita era una sola e che tutto dipende dalla gentilezza: “Voleva vivere, proprio come me, e io lo stavo ferendo. Per un istante – fu come per Siddharta, come per quello sciacallo morto – fui quello scarafaggio. Nel momento immediatamente successivo ero diverso. Non fu mai più lo stesso”.

“Ero venuto qui per sparare ai fascisti, ma un uomo che si tiene su i pantaloni non è un fascista, è manifestamente una creatura come me, e uno non si sente di sparargli”.
George Orwell, vedendo un miliziano franchista che fugge con i pantaloni in mano

“Avevo di fronte un uomo. Un uomo! Un uomo! Ne distinguevo gli occhi e i tratti del viso. La luce dell’alba si faceva più chiara ed il sole si annunziava dietro la cima dei monti. Tirare così, a pochi passi, su un uomo…come su un cinghiale! Cominciai a pensare che, forse, non avrei tirato. Pensavo. Condurre all’assalto cento uomini, o mille, contro cento altri o altri mille è una cosa. Prendere un uomo, staccarlo dal resto degli uomini e poi dire: “Ecco, sta’ fermo, io ti sparo, io t’uccido” è un’altra. …Uccidere un uomo, così, è assassinare un uomo”.
Emilio Lussu, quand’era soldato nella Prima Guerra Mondiale

“Fra gli junghiani si chiama “partecipazione mistica”, un termine ripreso dall’antropologo Levy-Bruhl, usato per designare una relazione in cui “una persona non può vedersi come individualità separata dall’oggetto o dalla cosa che contempla”. Tra i freudiani si chiama “identificazione proiettiva”. Fra gli antropologi si chiama “magia simpatetica”. Con tutte queste definizioni s’intende la capacità della mente di allontanarsi per un poco da suo Io e di fondersi con un’altra realtà, cioè con un altro modo di comprendere”.
Clarissa Pinkola Estés, “Donne che corrono coi lupi”.

“Sappi per vero che lo spirito libero, quando permane in un autentico distacco, costringe Dio a venire al suo essere e, se potesse permanere senza forma e senza accidente alcuno, assumerebbe l’essere proprio di Dio”.
Meister Eckhart, “Del distacco”

“Perché i re non hanno pietà per i sudditi? Perché pensano che non saranno mai essere umani. Perché i ricchi sono così severi coi poveri? Perché non hanno paura di diventare poveri. Perché i nobili disprezzano così i contadini? Perché non saranno mai contadini”.
J.J. Rousseau, “Emilio”

La trance catalettica (esperienza mistica) dell’ateo Bertrand Russell, scatenata dalla visione empatica della sofferenza della moglie di Alfred North Whitehead: “Sembrava tagliata fuori da tutto e da tutti da muri di agonia ed improvvisamente fui sopraffatto dal senso di solitudine di ogni anima umana. Da quanto mi ero sposato la mia vita emotiva era stata calma e superficiale. Mi ero scordato di tutte queste questioni più profonde, accontentandomi di frivole arguzie. All’improvviso mi sentii mancare il terreno sotto i piedi e mi trovai altrove…Al termine di quei cinque minuti ero diventato una persona completamente differente. Per un momento, una sorta di illuminazione mistica s’impadronì di me. Sentivo di conoscere i pensieri più intimi di tutte le persone che incontrato per strada ed anche se questo era indubbiamente un’illusione, mi trovai effettivamente a più stretto contatto con tutti i miei amici e molte delle mie conoscenze. Da imperialista, in quei cinque minuti, divenni un sostenitore dei Boeri ed un pacifista. Dopo aver passato lunghi anni interessandomi solo alla precisione ed all’analisi, mi ritrovai inondato di sensazioni semi-mistiche riguardanti la bellezza, con un intenso interesse per i bambini, e con un desiderio quasi altrettanto profondo di quello del Buddha di trovare una quale filosofia che rendesse tollerabile la vita umana. Fui preda di una strana eccitazione  che conteneva in sé un dolore intenso ma anche degli elementi di trionfo per via del fatto che riuscivo a dominare la sofferenza, trasformandola, così credevo, in un cammino di sapienza. Da allora l’intuizione mistica che immaginavo di possedere si è annebbiata e l’abitudine all’analisi si è riaffermata. Ma qualcosa di quel che ho pensato di vedere in quel momento mi è restato dentro, motivando il mio atteggiamento nei confronti della prima guerra mondiale, il mio interesse per i bambini, la mia indifferenza per i piccoli inconvenienti ed un certo tono emotivo in tutte le mie relazioni umane”
Bertrand Russell, “The autobiography of Bertrand Russell”, vol. 1, London: Allen and UNwin, 1967.

“Il mondo intero non è niente se messo a confronto con la personalità umana…con il suo fato esclusivo”.
“L’uomo è personalità non di natura, ma di spirito. Di natura è solo individuo”.
“La dimensione personale dell’uomo è solo ciò che in lui non è in comune con gli altri, ma in ciò che non è condiviso con altri è compreso anche il potenziale dell’universo”.
“L’universo è parte della personalità, è la sua qualità”.
“Il segreto dell’esistenza della personalità risiede nella sua assoluta insostituibilità, il suo aver luogo una sola volta, la sua unicità, il suo essere senza paragoni”.
“Il valore dell’uomo è la sua personalità. Non c’è altro di valore nell’umanità al di fuori della personalità”.
“La personalità come centro esistenziale presuppone la capacità di sentire la sofferenza e la gioia. Nulla, nel mondo degli oggetti, la nazione, lo stato o la società, o istituzioni social o la chiesa, possiede questa capacità”.
“La personalità è comunitaria; presuppone la comunione con altri e la comunità con altri. La profonda contraddizione e difficoltà che affligge la vita umana è dovuta a questa comunitarietà”.
“La liberazione spirituale dell’uomo è la realizzazione della personalità nell’uomo. È il conseguimento dell’interezza ed al tempo stesso è incessante conflitto”.
Nikolaj Aleksandrovič Berdjaev, “Schiavitù e libertà”, 1939

“Egli è Dio dell’eterno. Tu, invece, con le tue opere compiaciute, sei legato al tempo e al luogo, al fine e all’intenzione, così come il frutto del matrimonio, che, legato al tempo, ha bisogno di nove mesi per maturare. Tu guardi col tuo proprio io al tuo modo di agire, e cerchi e vuoi qualcosa con esso: te stesso e la tua ricompensa. Tu pretendi di cercare Dio; in verità fai di Dio una candela, con la quale cerchi qualcos’altro e, quando lo hai trovato, getti via la candela. Tu abbassi Dio al ruolo di una vacca da latte, che l’uomo custodisce per il proprio profitto, per il latte e per il formaggio.”
Meister Eckhart

“Possedere tutte le cose come se ci fossero imprestate, non donate: senza alcuna proprietà –corpo o anima, sentimento o facoltà, beni esteriori, onori, case e terreni, amici o parenti.”
Meister Eckhart

“Provavo un senso di estraneità, lo stupore e la meraviglia di esserci. Nello stesso tempo, percepivo di essere immerso nel mondo, di farne parte, e che il mondo si estendeva dal più piccolo filo d’erba fino alle stelle. Il mondo mi era presente, intensamente presente. Molto più tardi avrei scoperto che questa presa di coscienza del mio essere immerso nel mondo, questa impressione di appartenenza al Tutto, era ciò che Romani Rolland ha chiamato il “sentimento oceanico…Un sentimento di coappartenenza essenziale tra me stesso e l’universo circostante”
Pierre Hadot

“Perché Gino Strada è triste? […]. Strada ha capito che la sua predicazione pacifista non approderà a nulla. E non perché lui sia un cattivo predicatore, non perché i suoi argomenti non siano persuasivi, non perché le persone di buona volontà non si riconoscano in lui. Ma lui deve aver capito che la brama di potere, la volontà di potenza, lo scontro con gli altri e infine la guerra sono un istinto della nostra specie. Non è un vizio, non un’indole perversa da rieducare: un istinto che convive con quello della generosità e con l’amore per gli altri. L’uomo è un groviglio di due amori: quello per gli altri e quello per se stesso. E se mai ci si chiede quale sia il più forte e il più irruente di questi due istinti amorosi, s’arriva presto a concludere che l’amore per sé è quello dominante. Lo si può contenere, si può fare in modo di arginarne la pericolosità, ma non si riuscirà mai a spegnerlo perché si dovrebbe trasformare l’uomo in un angelo, dotarlo cioè di un’altra natura che estingua la natura umana”.
Eugenio Scalfari, “L’amore per sé e quello per gli altri”, L’Espresso, 22 aprile 2011
Commento di un lettore: “A me sembra che dalla filosofia dei Vangeli, espressa in parabole, risulti chiaramente che non la violenza su sé stessi, controproducente e fonte di nevrosi, bensì solo la conoscenza di sé e dei propri meccanismi profondi, possa portare al superamento dell’egoismo e ad un giusto amore per sé stessi, imprescindibile da quello per gli altri”.

“Se le posizioni sociali sono squilibrate, al punto che da una parte sta la libertà illimitata di concedere o non concedere un beneficio e, dall’altra, la necessità riaccettarlo; se c’è libertà contro necessità; se l’uno può tutto, l’altro niente, si può parlare, in questi casi, di dono? Il dono che si fa con la mano del potere è davvero un dono? Sì, ma solo se rimane in superficie. In realtà si tratta dell’esercizio d’una supremazia che approfitta d’una condizione di bisogno per manifestarsi. Quel “dono”, al quale non si ha diritto ma che è frutto d’una concessione graziosa e, pertanto, può essere in ogni momento revocato, sta nell’essenza d’un rapporto servile. È violenza che si esercita tramite mezzi non maligni, ma benigni. Anche con i doni si può far del male. È sfruttamento di uno stato di necessità in cui altri versano; cioè è violenza di natura morale: una violenza da cui ci si aspetta un tornaconto la cui materia è il sentimento di obbligazione verso il donante. Non è vera gratitudine, perché la gratitudine dettata dalla necessità è finta, malata. Se poi il “dono” è reso pubblico, pubblicizzato, diventa violenza usata a fini pubblicitari”.
Gustavo Zagrebelsky, “Sulla lingua del tempo presente”

“La generosità dell’amore consiste nel dono all’altro della sua libertà, nel riconoscimento del suo bisogno (che è costitutivo di ogni essere umano) di espandersi, di crescere, di trascendersi”
Aldo Carotenuto, “Attraversare la vita”

“Meglio astenersi dal governare il destino degli altri, dal momento che è già difficile ed incerto pilotare il proprio”
Primo Levi, “La chiave a stella”.

“È da se stessi, non dagli altri, che bisogna innanzitutto esigere l’onestà, lo zelo e l’intrepidezza; queste virtù, quando le possediamo cessano molto rapidamente di sembrare amabili se pretendiamo troppo dagli altri”
Li Zhi

“Sai bene che il dolore e la colpa non possono essere eliminati dal gesto di una mano fatata. Le cose che portiamo con noi ci rendono ciò che siamo. Perdendole, perdiamo la nostra identità. Non voglio che mi portino via il mio dolore, ne ho bisogno!”
James T. Kirk

Morpheus: Lo leggo nei tuoi occhi. Hai lo sguardo di un uomo che accetta quello che vede solo perché aspetta di risvegliarsi. E curiosamente non sei lontano dalla verità. Tu credi nel destino, Neo?
Neo: No.
Morpheus: Perché no?
Neo: Perché non mi piace l’idea di non poter gestire la mia vita.
Morpheus: Capisco perfettamente ciò che intendi. Adesso ti dico perché sei qui. Sei qui perché intuisci qualcosa che non riesci a spiegarti. Senti solo che c’è. È tutta la vita che hai la sensazione che ci sia qualcosa che non quadra, nel mondo. Non sai bene di che si tratta ma l’avverti. È un chiodo fisso nel cervello. Da diventarci matto. È questa sensazione che ti ha portato da me. Tu sai di cosa sto parlando.
Neo: Di Matrix.
Morpheus: Ti interessa sapere di che si tratta? Che cos’è? Matrix è ovunque. È intorno a noi. Anche adesso, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai al lavoro, quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità.
Neo: Quale verità?
Morpheus: Che tu sei uno schiavo, Neo. Come tutti gli altri, sei nato in catene, sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore. Una prigione per la tua mente. Nessuno di noi è in grado, purtroppo, di descrivere Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos’è.
* Matrix è un sistema, Neo. E quel sistema è nostro nemico. Ma quando ci sei dentro ti guardi intorno e cosa vedi? Uomini d’affari, insegnanti, avvocati, falegnami…. le proiezioni mentali della gente che vogliamo salvare. Ma finché non le avremo salvate, queste persone faranno parte di quel sistema, e questo le rende nostre nemiche. Devi capire che la maggior parte di loro non è pronta per essere scollegata. Tanti di loro sono così assuefatti, così disperatamente dipendenti dal sistema, che combatterebbero per difenderlo.
* Neo: Cosa cerchi di dirmi? Che posso schivare le pallottole?
Morpheus: No, Neo. Cerco solo di dirti che quando sarai pronto, non ne avrai bisogno.

“Tu puoi essere pacifista fino all’estremo ed essere disposto al martirio per testimoniare la tua fede, ma ti sentiresti di rimanere inerte quando altri che non partecipano della tua fede sono esposti alla violenza? Ti sentiresti di dire loro: in nome di ciò che io credo, tu lasciati massacrare? Non sarebbe questa, a sua volta, un’estrema violenza, per di più rivestita di buoni sentimenti?”
Gustavo Zagrebelsky, “La felicità della democrazia: un dialogo”, 2011

“Da dove ha preso tanti occhi, con i quali vi spia, se non glieli offrite voi? Come può avere tante mani per colpirvi, se non le prende da voi? I piedi con cui calpesta le vostre città, da dove li ha presi, se non da voi? Come fa ad avere tanto potere su di voi, se non tramite voi stessi? Come oserebbe aggredirvi, se non avesse la vostra complicità? Cosa potrebbe farvi se non foste i ricettatori del ladrone che vi saccheggia, complici dell’assassino che vi uccide e traditori di voi stessi?… Siate decisi a non servire più, ed eccovi liberi. Non voglio che lo scacciate o lo scuotiate, ma solo che non lo sosteniate più, e lo vedrete, come un grande colosso al quale è stata tolta la base, piombare giù per il suo stesso peso e rompersi”.
Étienne de La Boétie, Discorso sulla Servitù Volontaria

“Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; temete di più chi può far perire sia l’anima che il corpo”.
Matteo 10, 28

“La differenza [fra sinistra e destra] è fra chi prova un senso di sofferenza di fronte alle disuguaglian¬ze e chi invece non lo prova e ritiene, in sostanza, che al contrario esse producano benessere e quindi debbano essere sostenute. In questa contrapposizione vedo il nu¬cleo fondamentale di ciò che è sinistra e di ciò che è de¬stra”.
Norberto Bobbio, “La sinistra nell’era del karaoke”

“La misura della vita non sta nella sopraffazione reciproca o nella prestanza bellica, ma nella misura, nella socialità, nella gentilezza e perfino nell’eleganza, che non è una colpa ma una disciplina. […]. Si tratta di scegliere come stare al mondo; con quali idee, quali speranze, quali gusti e quali disgusti”
Michele Serra, Il Venerdì, 1152, 16 aprile 2010

“Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.
K. Marx- F. Engels, Opere scelte, Roma, 1969, pag. 962

“Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno”.
Atti degli apostoli 4, 34-35

“Lévinas mostra come il nazismo consista nella filosofia dell’asservimento al corpo, nell’accettarne l’incatenamento, nel cancellare ogni esigenza di evasione. L’appello all’eredità, al passato, al sangue, l’idea della società a base consanguinea, annientano la libertà, precludono ogni possibilità di presa di parola, di critica, di scarto, di rimorso, di pentimento. Le idee che legano l’Io lo legano in maniera indissolubile, egli vi aderisce perché scaturiscono dalla sua carne e dal suo sangue, dal suo passato, dalla sua razza. L’Io non ha più il potere di sfuggire a se stesso. E se le idee con cui si identifica completamente, assumendole come la verità stessa del proprio corpo, pretendono in quanto verità di essere universali, malgrado il loro razzismo, la loro diffusione diviene espansione, diventa violenza, guerra, sterminio. L’origine del nazionalsocialismo è da ricercarsi fondamentalmente nella dedizione all’essere, nell’adesione incondizionata all’essere, da cui solo il peso della responsabilità per altri può disancorarare l’io, schiodarlo. La “filosofia dell’hitlerismo” non è un’anomalia contingente, ma si iscrive come una stabile minaccia nella filosofia occidentale, affetta com’è da allergia all’alterità. Senza il superamento di tale allergia, il liberalismo e la democrazia non possono nulla, dato che essi si sono costituiti fondamentalmente per la difesa dei diritti dell’Io, piuttosto che di quelli dell’Altro; si sono attestati a difesa degli appartenenti, dei comunitari, e non dei non appartenenti, degli extracomunitari”.
Augusto Ponzio, introduzione a “Dall’altro all’io” di Lévinas, Roma, 2002, p. 28

“Diretta conseguenza dell’emigrazione di massa è stata la creazione di tipi completamente nuovi di esseri umani – individui che si radicano in idee piuttosto che in luoghi, tanto nelle memorie quanto nelle cose materiali; gente che è stata obbligata a definirsi – perché così vengono definiti da altri – sulla base della loro alterità; gente nel cui io più profondo avvengono strane fusioni, unioni senza precedenti fra ciò che sono stati e il luogo nel quale si vengono a trovare. L’emigrazione comprende la natura illusoria. Per vedere le cose così come sono, è necessario attraversare una frontiera”.
Salman Rushdie, “Patrie Immaginarie”.

“E di nuovo Trimbali avvertì il privilegio della sua cultura – e della sorte che gli permetteva di sapere molto di più, di potersi sentire, in ogni caso, ovunque, come un “io”. Altre volte, parlando con i soldati, lo aveva colpito il senso totale di sradicamento che, allontanati dalle famiglie, e dal paese, sembravano coinvolgerli; quasi una pianta che, strappata dalla terra, dall’humus, in cui era cresciuta, si inaridisce improvvisamente. Sempre lo avevano attratto questi frammenti di vita, questi ambiti così, ancora, chiusi, ristretti. Eppure c’era un’esistenza, in loro; e affetti; amori; passioni, a volte; più forti, all’occorrenza, delle sue, filtrate com’erano dalla cultura, dalla lontananza”.
Mario Spinella, “Lettera da Kupjansk”

Altre citazioni utili per la creazione di un Mondo Nuovo:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/13/citazioni-per-un-mondo-nuovo-2/

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