Elysium e il mio modesto interesse per la mirmecologia

A cura di Stefano Fait

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L’unico merito di “Elysium” è che ci rammenta che le società egoiste fondate sull’arrivismo e sulla prevaricazione sono intrinsecamente instabili.

La base della piramide preme per prendere il posto di chi risiede sulla sua sommità.

L’apice non può disfarsi della base e dei corpi intermedi se vuole continuare a “vivere alla grande” e quindi è condannato a vivere in uno stato di ansia e diffidenza.

Non è una società, è un incubo sociopatico: come un magnete, può solo attirare disgrazie, deprimere la natalità, moltiplicare la violenza e la paura, cronicizzare un’insoddisfazione inappagabile, a ogni livello.

È come essere prigionieri di un videogioco in cui – anche da protagonisti – si recita la parte di una comparsa unidimensionale, non si riesce a passare di livello nemmeno con i trucchi e, giorno dopo giorno, vita dopo vita, si batte il muso contro l’eterno ritorno dell’uguale a se stesso.

La fiera della prevedibilità e quindi del tedio esistenziale, un insulto all’intelligenza umana, postumana, transumana, ecc. L’antitesi delle utopiche aspirazioni di Elysium, che sarebbe dovuta essere un’oasi di pace, benessere, serenità, ordine, armonia ma, date le premesse, non può essere qualcosa di diverso da un nido di serpi, o da una banda di parassiti che, spolpata la carcassa, cominciano a consumarsi tra loro.

Il concetto di fondo è che nessuno ha valore di per sé, ma solo in quanto possessore/proprietario e quindi nella misura in cui è capace di sottrarre ad altri ciò che la cultura dominante considera degli status symbol. Un’esistenza falsamente attiva, che in realtà è passiva, a rimorchio di bisogni indotti che formano un guinzaglio attorno al collo di tutti i combattenti della lotta di classe. Chi è libero? Nessuno. Chi è schiavo? Tutti, ciascuno a modo suo.

Una caricatura neomarxista del capitalismo e del feudalesimo, dove né gli uni né gli altri vedono i propri antagonisti come esseri umani degni di rispetto, se non di cameratismo, ma come avversari da disprezzare e sottomettere, cioè a dire come cose, in conformità con quel feticismo degli oggetti che li porta a idolatrare la materia che vogliono dominare al fine di stabilire la propria superiorità. Perché è questo che desiderano più di ogni altra cosa: vincere, fortissimamente vincere. E quindi bramano l’altrui disfatta. Questa è la mentalità che guida le loro azioni.

Elysium è un cantico dell’invidia, del cliché, del materialismo e della totale assenza di senso dell’umorismo, creatività, inventiva, empatia. È lo specchio di Hollywood, la fabbrica degli sbadigli e dello spreco di risorse (un potlatch del terzo millennio). L’anti-Mida: ogni ispirazione immaginifica che tocca riesce a trasmutarla in qualcosa di dozzinale, puerile e decerebrante.

La Hollywood decadente di un Occidente decaduto richiama alla mente quelle file di auto parcheggiate nelle nostre città: più o meno tutte uguali, più o meno tutte dello stesso colore (grigio, bianco o nero).

Non c’è alcuna ragione di interessarsi alle vicende di una tale società – Elysium, come l’Occidente decaduto –, se non sulla scia di uno stravagante e transitorio slancio mirmecologico. L’antropologia s’interessa di esseri umani a tutto tondo e deve quindi rivolgersi altrove.

Ed è precisamente quel che ho fatto, delineando un’alternativa alla società zombie, necrofila e decadente che certuni, morbosamente eccitati dalla mania del controllo, del possesso, del dominio, tentano di spacciare come inevitabile (“non ci sono alternative” – TINA)

La pace si conquista ogni giorno, dicendo no alle menzogne

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Le preghiere degli uomini sono una malattia della volontà. La preghiera che implora un particolare rendiconto è viziosa. La preghiera è la contemplazione degli eventi della vita dal punto di vista più elevato. Ė il soliloquio di un’anima che percepisce ed esulta. Ma la preghiera usata come mezzo per ottenere un soddisfacimento privato è un furto e una meschinità. Essa suppone dualismo e non Unità nella natura e nella coscienza. Quando l’uomo sarà uno con Dio, allora non implorerà più, ma trasformerà ogni preghiera in azione.

Ralph Waldo Emerson

Nessuno può fare esperienza per un altro, nessuno;
Nessuno può progredire per un altro, nessuno!”

Walt Whitman

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Un grande no come quello del Parlamento britannico. La prima volta che un governo del Regno Unito subisce una sconfitta in Parlamento in materia di iniziative belliche dai tempi di Palmerston (1784 – 1865)
https://theconversation.com/commons-rejects-cameron-plea-for-syria-strikes-rewrites-special-relationship-17674

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Un grande no come quello dell’ex primo ministro francese Dominique de Villepin in quest’intervista televisiva [in francese]

Tutta l’umanità deve concordare sul fatto che ci stanno mentendo, chiamare le menzogne e le montature con il loro nome e smetterla di servire questi poteri. Gli esempi sono numerosi, da Mandela a Martin Luther King a Étienne de La Boétie a Aung San Suu Kyi. Il semplice atto di non credere alle loro falsità e deriderli li rende impotenti. La loro forza deriva unicamente dal nostro volontario asservimento, dalla nostra credulità, dall’oblio di chi siamo veramente e di quel che potremo fare una volta liberi

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Nessun paese può fare una guerra se la popolazione è contraria e blocca la nazione con scioperi continui, nessun governo/regime può restare al potere se la popolazione non collabora (per questo Assad è ancora lì dopo due anni e mezzo; per questo i golpisti egiziani saranno spazzati via entro primavera e al loro posto s’insedierà un governo misto di unità nazionale, con diversi ministeri assegnati ai fratelli musulmani).

Basta con la scusa che loro e i loro burattinai sono onnipotenti. La colpa è nostra! Votiamo turandoci il naso (voto utile), continuiamo a leggere quotidiani faziosi pro-establishment nella convinzione che è quello che fanno le persone istruite, continuiamo a comprare prodotti delle multinazionali, continuiamo a credere che non ci siano alternative, che così va il mondo, che c’è poco da fare se non ricavarsi una nicchia e rispettare regole e relazioni di potere rivoltanti, ad ogni livello. 

Il nostro futuro è nostro. Siamo noi che lo determiniamo, non loro. Ci volevano far credere che siamo piccoli, deboli, vulnerabili, impotenti e ce l’hanno fatta. Un grande successo. Milioni di persone credono che l’unico cambiamento possa provenire da fuori (da una catastrofe, dagli alieni, dal Cristo, ecc.), non da loro stessi.
Ma, badate bene, se hanno inscenato tutto questo gigantesco teatrino è perché sanno che c’è qualcosa di incredibile potente in noi, che non possono controllare e che non vogliono che scopriamo che c’è e come usarlo.
Altrimenti come si spiegano i loro immensi sforzi? Forse sono loro i piccoli, deboli, vulnerabili, impotenti, perennemente tormentati all’idea del nostro risveglio, della nostra presa di coscienza, della nostra maturazione?
La loro ossessione per il controllo, per la sorveglianza, per la prevenzione è tipica degli insicuri, dei vigliacchi, di chi deve convincersi di essere quello che non è e di poter controllare tutto ciò che lo circonda, perché le incertezze della vita e del futuro lo terrorizzano. I loro think tank, le loro intelligenze artificiali, i loro modelli, i loro media, l’intera macchina della propaganda, della paura, del senso si colpa e di inadeguatezza è costruita a loro immagine e somiglianza.
Il loro è l’unico linguaggio che conoscono: potere, sfruttamento, paura, subordinazione, prevaricazione, possesso, dominio.

Ci accusano di invidiarli, ma le loro esistenze sono l’inferno di chi investe ogni sua energia nel negare ciò che sa essere vero: la destinazione finale è l’estinzione fisica e la perdita di tutta la loro “roba”.

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La macchina della paura e del controllo è comunque riuscita a farci fessi, ossia a farci pensare e agire come loro: reattivamente, aggressivamente, paranoicamente, psicopaticamente, territorialmente. È il cervello rettiliano / R-complex:

http://it.wikipedia.org/wiki/Triune_Brain

Invece di pensare alla vita, agli affetti, ai sogni, alla creatività, inventiva, ecc., siamo sempre più maniacalmente concentrati su ciò che decade, sulla morte, proprio come questi necrofili. Da creatori siamo diventati distruttori, proprio come loro, proprio come ogni essere demonico.

L’orrore di guardarci allo specchio, di capire che il loro mondo ideale, quello delle loro pubblicità e della loro “arte”, è entropico, satanico, privo di qualunque sbocco che non sia l’involuzione e il degrado della coscienza e di tutto il resto. Non c’è nulla, nel loro mondo, per cui valga la pena di battersi. Il loro è un futuro vuoto, fittizio come le loro anime, simulacri di anime.

Sono la pelle di serpente abbandonata dopo la muta, sono un involucro dall’apparenza umana, ma che non pensa, non sente, non si comporta umanamente:

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/05/15/cose-il-male/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/14/legoista/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/09/16/la-banalita-del-male-e-una-cagata-pazzesca/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/28/del-potere-della-pedofilia-del-male-categorico/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/15/psicopatia-portami-via-la-gente-ce-lha-sotto-il-naso-ma-non-la-vuole-vedere/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/03/06/alcibiade-il-rottamatore/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/10/tea-party-il-totalitarismo-anarchico-alla-conquista-degli-stati-uniti/

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/06/perche-non-ce-pace-perche-non-ce-liberta/

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Intanto un nuovo mondo sta prendendo forma, come frutto collettivo di un diverso modo di intendere il mondo e il nostro ruolo in esso

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/12/20/un-mondo-nuovo-sta-prendendo-forma-canti-da-mat-chants-for-a-nut/

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Una delle ragioni per cui la gente è apatica è per sfuggire alla disperazione. D’altra parte gli speranzosi idealismi non supportati da sano pragmatismo non hanno mai un lieto fine.

Il problema, a mio avviso, è che spesso ci facciamo governare dalla speranza (“l’audacia della speranza”, diceva un Nobel per la Pace degno di Kissinger) e/o dalla disperazione e così affidiamo il nostro destino a queste forze emotive, invece che alla nostra creatività ed inventiva. Paura, senso di colpa, speranza messianica, apatia/indifferenza e disperazione sono probabilmente le migliori armi di distruzione di massa delle coscienze e sono usate precisamente a questo scopo e per indirizzare la civiltà umana sulla via della perdizione, la via dell’egoismo, del materialismo, della violenza, del sopruso, della dismisura.

È per questa ragione che diventa necessario che almeno una minoranza di persone competenti e motivate da buona volontà e dalla volontà di servire l’interesse generale si coordini per realizzare un cambiamento positivo nelle loro rispettive aree di competenza.

Questo può avvenire solo se il pragmatismo sconfigge la disperazione (bastone, poliziotto cattivo) e la speranza fideistica (carota, poliziotto buono) in un cambiamento che non provenga da noi e dalle nostre iniziative.

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Per esempio, una volta che tutto ciò che ostacola la ricerca e lo sviluppo di fonti di energia abbondanti ed economiche – non mi riferisco alle rinnovabili: c’è di meglio: http://peswiki.com/index.php/Main_Page – sarà rimosso, l’intero sistema di infrastrutture e modello socioeconomico globale (che si fonda sul profitto derivato da un regime di scarsità e competizione creato artificialmente – la “decrescita felice” eccita i plutocrati) sarà rivoluzionato in maniera completa e definitiva, a meno che le oligarchie non riescano ad imporre un ulteriore monopolio.

Dobbiamo capire, tra le tante cose, come sostituire un’economia di scarsità e concorrenza basata sulle risorse, in un’economia dell’abbondanza basata sull’energia, ossia l’esatto opposto di quel che crede Luca Mercalli (che è davvero poco stimato tra i ben informati, ma continua ad essere invitato ovunque, purtroppo):

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Molti pensano di dover combattere contro qualcosa, ma quello di cui hanno bisogno è lottare per qualcosa.

Inoltre molti non sanno che farsene dell’ideale della libertà, perché pensa di essere già libera a sufficienza: ciò che li può motivare è la presa di coscienza della loro miseria, o della prospettiva del loro impoverimento. Su questa cosa non possono ingannarsi a lungo, non possono tollerare che così va il mondo e molti ricevono le briciole mentre pochi se la spassano. Se sapessero come potrebbe essere trasformato il mondo una volta che certe tecnologie, conoscenze e risorse fossero rese disponibili, potrebbero cominciare a pensare ad un’esistenza in termini più concreti e lungimiranti.
Capire queste semplici verità e agire conseguentemente significa essere pragmatici, non cinici.
Una minoranza guidata dalla voglia di capire, dalla buona volontà, dall’empatia, dal sapere, dalla capacità di trasformare responsabilmente, costruttivamente e di rendere partecipi tutti, nei loro modi e nei loro tempi, senza paternalismi e autoritarismi neogiacobini (“noi sappiamo cosa è meglio per voi”).
Una maggioranza la seguirebbe a ruota se capisse che è nel suo interesse farlo e se potesse dire la sua
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Nessuna mobilitazione di massa è possibile senza questa presa di coscienza.

Un vantaggio della propaganda immaginifica dei potentati è che ha creato un terreno fertile per immaginare il nuovo in termini concreti anche in persone che non sanno neanche che per andare da Trento a Trieste servono 3 ore d’auto, perché non sono come Massa e Carrara.

Siamo entrati nell’era dei tecno-miti, della mitologia scientifica. Mentre Omero trasmetteva una visione del mondo parlando delle gesta degli eroi e degli avventurieri, gli Omeri del nostro tempo possono avvalersi della fantascienza e delle invenzioni al servizio del nostro spirito, delle nostre coscienze. Le possibilità di cambiamento sono infinite, nel bene e nel male. “Non ci sono alternative” è un mantra che ormai convince solo chi vuole crederlo vero. I nostri orizzonti si stanno espandendo, inesorabilmente: il futuro è sempre più aperto. Si tratta di scegliere e, soprattutto, di voler scegliere, rifiutando la falsa alternativa tra un futuro neo-medievale e un futuro tecnocratico.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/10/05/la-democrazia-nella-via-lattea-dirittidoveri-di-un-mondo-nuovo/

Bersani o Renzi? Ma anche no!

I DISPERATI – Senza Soste

“Il grandissimo Elias Canetti [uno che cita Canetti per parlare di Renzi e Bersani è già indiscutibilmente un grande, NdR] parlava della disperazione come dell’unica forma disinteressata di esistenza. Insomma, un sentimento così profondo da superare, in importanza, l’interesse e il potere. Si trattava di un modo di esistenzializzare la disperazione. Come se fosse esclusivamente legata alla viva percezione della mortalità e al deperimento, alla caducità del senso del proprio agire. Nell’Italia della politica istituzionale la disperazione è invece legata al mantenimento, ad ogni costo, di ciò che si pensa essere interesse e potere. Persino a prescindere dal fatto che, una volta portato a compimento un piano, interesse e potere ci siano davvero. La disperazione rappresenta così i tratti complessivi di una antropologia del declino della ragione strumentale della politica mainstream, sedimentatasi nell’Italia dell’ultimo trentennio, quella dove le forme di soggettivazione si riproducono solo in tattiche di potere senza visione e senza uscita. Infatti, come non definire un disperato Mario Monti che parla di uscita dalla crisi entro pochi mesi?

Le revisioni delle stime del Fmi sull’Italia, che si presume conosca, proiettano al ribasso sia la recessione del 2012 che quella del 2013. Non solo: almeno due fattori globali, il rallentamento della “crescita” cinese (ai tassi più bassi dall’inizio degli anni ’90) e il fiscal cliff americano (la fine delle agevolazioni fiscali alla “crescita”, pari al 4% del Pil, entro il 2012) fanno capire che, a differenza di altri periodi anche recenti, la stagnazione non è solo italiana ma riguarda le locomotive economiche globali. Inoltre lo stato delle banche europee, se si segue la recente inchiesta del Wall Street Journal, è persino peggiore di quelle americane. I titoli tossici, spazzatura, inesigibili, speculativi affollano disordinatamente i portafogli delle banche del continente, se si sta all’inchiesta del WSJ, maggiormente rispetto a quelli delle consorelle americane. Dove siano le condizioni strutturali della ripresa, specie quando la governance continentale delle banche resterà ufficialmente in pieno caos per tutto il 2013 (come da compromesso recente nel vertice eurozona), lo sa solo Monti.

Ma in fondo lo sappiamo anche noi: le ragioni della ripresa stanno nella propaganda della disperazione. Di quel genere di disperazione di chi sa che ha un ruolo solo reiterando all’estremo l’unica politica che conosce. Mario Monti è l’Heinrich Brüning dei nostri tempi: similmente al cancelliere del Reich dal ’30 al ’32 attua una politica di tagli di bilancio e di deflazione salariale a prescindere dalla dinamica centrifuga che queste politiche provocano nel cuore della società. Brüning, a capo di un governo di centristi appoggiato dalla sinistra “responsabile”, sfuggì a stento da Hitler, il prodotto sociale maturo di quella stagione di austerità e rigore da lui promossa. Vedremo cosa accadrà a Mario Monti. [qualcuno potrebbe insinuare che Monti sia stato messo al potere proprio per generare quel tipo di clima – Monti è troppo intelligente per fare tutto questo in buona fede, NdR].

Comportamento simile lo troviamo in altri due disperati della politica italiana: Pierluigi Bersani e Matteo Renzi. Il primo ha sostenuto, nelle scorse settimane, con la copertura della discrezione di Repubblica e Unità, uno dei più robusti e silenziosi, almeno a livello di opinione pubblica, tentativi di salvataggio di banche tossiche della storia d’Italia. Stiamo parlando di una iniezione di liquidità superiore ai tagli delle pensioni della recente riforma Fornero a favore di uno dei feudi piddini: il Monte dei Paschi.  Allo stesso tempo, a differenza della Gran Bretagna (che è IL paese liberista) la decisiva immissione di liquidità non ha comportato che la banca passasse sotto controllo pubblico. Insomma, la società italiana ha compiuto uno sforzo immenso per pagare le avventure di MPS, e di riflesso del Pd, nel mondo della speculazione finanziaria.  Di fatto ha dovuto pagare anche il disastro MPS dell’acquisizione di Antonveneta (costata 9 miliardi), ma il controllo del Monte, a differenza di quanto accaduto in Gran Bretagna per casi analoghi, resta privato. Nonostante questo Moody’s ha declassato nei giorni scorsi i titoli MPS a spazzatura. Un’operazione da serio, serissimo dibattito politico. Lusi, Penati e lo scandalo Enac, di un altro collaboratore stretto di Bersani, rispetto a quanto è costato alla società italiana  MPS, e a fondo perduto, a confronto sono questioni da ricettazione di un camion trafugato pieno di salumi.

Non fosse che i titoli dei giornali di area centrosinistra sono tutti sulle regole delle primarie. E nel frattempo, con la defiscalizzazione dei crediti inesigibili delle banche (crediti inesigibili dove, già indirettamente, ci sono molte avventure di borsa) la società italiana paga un’altra cifra pari alla riforma Fornero. Già, e in questo scenario che ti tira fuori Bersani? La polemica con Renzi per le cene elettorali organizzate da un finanziere. Perché qui siamo su un altro piano di realtà: il campo di forza della creazione di consenso. E in quel campo di forza tornano utili, per vincere alle primarie, i servizi di Repubblica, ad uso dell’elettorato di centrosinistra quindi sterilizzati dalla realtà, su Occupy come il malcontento nei confronti dell’austerità genere Ballarò o Piazzapulita. Ecco quindi che, per estrarre il consenso necessario, Bersani il timoniere politico del crack MPS, già nella sala di comando ai tempi dell’operazione BNL-Unipol (quella della telefonata Fassino-Consorte “abbiamo una banca”), fautore della rapacità delle multiutility sui territori attacca Renzi perchè fa le cene promozionali con i finanzieri proprietari di società off-shore. Quando si dice la disperazione di Bersani: per vincere le primarie usando il tema delle banche bisogna tentare di tenere separato il campo della polemica da quello della realtà. Ridurre la questione a comportamenti che fanno effetto sugli spettatori di un televoto, dove si votano i personaggi meglio riusciti, e far evaporare il resto. Quello che paghiamo noi, tutti i giorni.

Su Renzi, il cui programma politico esporrebbe il paese ad una fine simile a quella dell’Argentina sotto Domingo Cavallo, bisogna dire che i tratti antropologici della disperazione del potere italiano sono di una particolare profondità che si agita  giusto sotto la superficie del non detto. La disperazione di Renzi, e di chi lo segue, che traspare da interviste sempre meno lucide, è quella di un potere anni ’90, blairiano che non ha mai avuto cittadinanza in Italia e che percepisce nervosamente di non avere futuro, qualsiasi sia l’esito delle primarie, viste le ristrutturazioni politiche ed economiche che abbiamo di fronte.

E qui, sotto le affermazioni renziane di disprezzo del fascismo e di desiderio di una vera democrazia, vediamo agitarsi dei tratti di disperazione che appartengono alle stagioni originarie delle squadracce fiorentine che riunivano futuristi e reduci della prima guerra mondiale. Basta guardare il pubblico di Renzi in sala e sentire le loro interviste, a volte ben fatte: l’adrenalina sale quando si parla di “decisione”, concetto sulla cui appartenenza a destra ci sono pochi dubbi in antropologia politica specie se, come qui, declinato con la consapevolezza di mandare a mare pezzi interi di società dopo un processo decisionale. L’eccitazione raggiunge l’acme nel modo con cui, Renzi dal palco e i fan nelle interviste, si coniuga il concetto di “merito”: come cavallo di Troia per farne passare uno nuovo di gerarchia.

Molto simile a quello espresso nella propaganda aziendale più autoritaria. Possiamo dirlo senza problemi: nel tentativo ansioso di riproporre schemi blairiani, applicabili fuori tempo massimo, alla società italiana il renzismo rielabora, nella forma della democrazia delle primarie, i trattici archetipici presenti nel fascismo della squadraccia della “Disperata” di Firenze: disprezzo per il lento sedimentarsi della vita sociale, selezione gerarchica degli appartenenti, mistica futuristica verso il nuovo. Allora quella tipologia comportamentale si nutriva del pensiero, comunque originale, di Marinetti. Oggi la sua sottile riedizione passa attraverso un pensiero importato e rimasticato, espresso da uno slang spaghetti marketing della politica pure cognitivamente povero. Renzi della squadraccia fiorentina ha rielaborato la disperazione politica ma non la sinistra originalità: il brand più importante di un raduno alla Leopolda era di Apple, gli slogan sono vintage fine anni ’90, l’organizzazione potrebbe indifferentemente essere applicata per una raccolta fondi fatta di titoli tossici o per il casting di un reality. L’immaginario della camicia, reiterato da Renzi con un bianco troppo acceso, rivela poi inavvertitamente l’antico eco della Disperata. In questo senso, il nero, il bruno e questo genere di bianco sono politicamente colori più vicini di quanto si osi pubblicamente dire. E questo in un paese che sembra più vicino all’Italia de Il Conformista di Bertolucci, una nazione apparentemente inerte in mano ad una propaganda ossessiva e a musica banale, che a qualsiasi altro periodo precedente.

[…].

Non guardiamo i dettagli, come lo spessore anonimo dei personaggi in scena o la formale fedeltà alla democrazia, piuttosto cerchiamo di capire quanto, e come, questo passato oscuro riesce a tornare sulla scena. In questo senso i briefing per la stampa dopo i vertici a Bruxelles, le conferenze della politica indoor fatti ad uso delle telecamere, i rapidi commenti a cascata su twitter su questi eventi, i blog dei giornalisti tipo “non ci sono alternative al rigore” che si richiamano a vicenda, la stampa intrisa di scandali da furto nella canonica rappresentano qualcosa di diverso dall’esercizio democratico della sfera dell’opinione pubblica. Perché c’è un modo disperato, un tratto antropologico dell’esercizio di questa democrazia che rischia di portarci direttamente frutti, materiali e sociali, prodotti da altri regimi”.

per Senza Soste, nique la police

21 ottobre 2012
http://senzasoste.it/internazionale/i-disperati

Le presunte virtù della mortificazione – l’ideologia che guida gli eurocrati intenti a distruggere l’Unione Europea

[Kendell Geers T.W. (I.N.R.I.), 1995-2002. Crocifisso in legno, nastro stradale, 205 x 118 x 28 cm. San Gimignano – Beijing]

“Le presunte virtù della mortificazione” di Mona Chollet – Le Monde Diplomatique – (traduzione dal francese di José F. Padova) – 13 marzo 2012

Il 21 febbraio l’Unione Europea ha acconsentito ad accordare un nuovo aiuto finanziario alla Grecia, a condizione che questa accetti una «sorveglianza rafforzata» sulla sua gestione del bilancio. Questo piano aggraverebbe ancor più la recessione in un Paese esangue. L’ostinazione nell’esortare al rigore non si spiegherebbe forse con certezze morali più forti della ragione?

Rigore, austerità, sforzi, sacrifici, disciplina, regole restrittive, misure dolorose… A forza di assediare le nostre orecchie con le sue forti connotazioni moralizzatrici, il vocabolario della crisi finisce per intrigare. Lo scorso gennaio, alla vigilia del Forum economico di Davos, il suo presidente, Klaus Schwab, parlava addirittura di «peccato»: «Noi paghiamo i peccati di questi ultimi dieci anni», diagnosticava, prima di chiedersi «se i Paesi che hanno peccato, in particolare quelli del Sud, hanno la volontà politica di intraprendere le necessarie riforme» (1). Su Le Point, per la penna di Franz Olivier Giesbert, il conteggio dei nostri sfrenati baccanali è più ampio: l’editorialista deplora «trent’anni di stupidaggini, di follie e d’imprevidenza, quando si è vissuto al di sopra dei nostri mezzi (2)».

Dirigenti e commentatori ripetono in continuazione il medesimo racconto fantasmatico: mostrando di essere pigri, spensierati, spendaccioni, i popoli europei avrebbero attirato su sé, come giusta punizione, il flagello biblico della crisi. Adesso essi devono espiare. Occorre «stringere la cinghia», rimettere al primo posto le buone vecchie abitudini di risparmio e di frugalità. Le Monde (17 gennaio 2012) cita come esempio la Danimarca, Paese modello al quale una «dieta forzata» ha permesso di ritornare a godere i favori delle agenzie di rating. E nel suo discorso d’insediamento, nel dicembre 2011, il presidente del governo spagnolo, Mariano Rajoy, arringava così i suoi compatrioti: «Siamo messi davanti a un compito ingrato, come quello dei genitori che devono cavarsela per nutrire quattro persone con i soldi per due».

Numerose voci si levano a sottolineare l’impostura di questo ragionamento che pretende di uniformare il comportamento di uno Stato a quello di una famiglia. Esso elude la questione della responsabilità della crisi, come peso insopportabile che l’austerità fa pesare su popolazioni, la cui sola colpa è di aver voluto curarsi o pagare gli insegnanti dei loro figli. Per un comune cittadino il rigore del bilancio può essere fonte di fierezza e soddisfazione; per uno Stato significa la rovina di centinaia di migliaia di cittadini, quando non arriva, come nel caso della Grecia, a un suicidio sociale puro e semplice. In Danimarca, precisava Le Monde, la «cura dimagrante» si è esplicata in una esplosione della disoccupazione e in una drastica riduzione dei programmi sociali; «sessantamila famiglie hanno perduto la loro abitazione». Così questo falso buon senso non soltanto cancella magicamente le disuguaglianze sociali e occulta le devastazioni dell’austerità, ma raccomanda caldamente, di fronte alla crisi, una politica economica che finisce per aggravarla, impedendo qualsiasi ripresa mediante i consumi. «Risparmiare e investire sono virtù per le famiglie, è difficile per la gente immaginare che, a livello delle nazioni, troppa frugalità può causare problemi», osserva l’editorialista di Bloomberg Businessweek Peter Coy (26 dicembre 2011).

Irrazionali, assolutamente deliranti, i richiami alla contrizione non hanno alcun rapporto con la realtà. Come spiegare allora il fatto che essi continuano a risuonare da un capo all’altro dello spazio europeo? Perché servono gli interessi dominanti, si risponderà. E nei fatti essi offrono l’occasione per completare, con il pretesto del debito, la distruzione, avviata una trentina di anni fa, delle conquiste sociali del dopoguerra. Prima di tutto ciò essi avevano già permesso, nella Francia di Vichy, di sotterrare il funesto ricordo del Fronte popolare. Il processo di Riom, che si tenne nel 1942 in quella cittadina del Puy-de-Dôme, mirava a dimostrare che i dirigenti «rivoluzionari», come Léon Blum e Edouard Daladier, erano responsabili della disfatta del giugno 1940 inferta dall’esercito tedesco. Il passaggio alle quaranta ore [settimanali] nell’industria degli armamenti e non le decisioni degli Stati maggiori sarebbero stati fatali alle truppe francesi… In vista del «raddrizzamento nazionale» il maresciallo Pétain aveva l’intenzione di sostituire, già allora, con lo «spirito di sacrificio» lo «spirito di godimento». All’apertura del processo il quotidiano Le Matin indicava Blum come «l’uomo che ha inoculato il virus della pigrizia nel sangue di un popolo (3)». I francesi settant’anni prima dei greci…e i portoghesi, che il loro primo ministro Pedro Passos Coelho ammonisce in questi termini: «Vi ricordate certamente di quell’episodio grottesco, quando, mentre la “troika” europea lavorava a Lisbona per elaborare un programma d’aiuti al Portogallo (nel 2011), tutto nel Paese era chiuso, perché tutti approfittavano di qualche giorno di ferie per fare il ponte. La “troika”, che prestava denaro al Portogallo, lavorava, il Paese sfruttava i ponti. Per fortuna ciò che è accaduto in seguito è avvenuto contrariamente a questa immagine, molto brutta (4)» .

Una promessa di rigenerazione

Ma l’invito alla fatica, alla mortificazione e all’abnegazione non è un trucco per fare accettare a più gente possibile la loro spogliazione? I suoi accenti sinceri, appassionati, danno a pensare che essa non è totalmente debitrice al cinismo e che si radica su un solido retroterra culturale. «Questo umore “sacrificale”, che partecipa dell’ethos altrettanto che del ragionamento, suscita da parte di numerosi commentatori una specie di esultanza morbosa, come se la sofferenza popolare avesse anche una dimensione “purificatrice”», constata il sociologo Frédéric Lebaron a proposito dell’attuale situazione (5). Pétain voleva ricordare ai francesi che, «da Adamo in poi, il castigo è una chiamata al raddrizzamento, una promessa di rigenerazione (6)». Più vicino a noi, Rajoy profetizza: «Lo sforzo non sarà inutile. I nuvoloni scompariranno, noi risolleveremo la testa e verrà il giorno in cui si parlerà bene della Spagna, il giorno in cui guarderemo indietro e non ci ricorderemo più dei sacrifici».

La rivendicazione da parte del popolo di condizioni di vita decenti non fa altro che mettere in allarme coloro gli interessi dei quali essa ostacola: ispira loro una specie di terrore superstizioso, come se rappresentasse una trasgressione impensabile. Al tempo della disfatta del 1940, riferiva lo storico e membro della Resistenza Marc Bloch, i quadri militari, provenienti dall’alta società, avevano accettato il disastro perché vi trovavano queste atroci consolazioni: schiacciare sotto le rovine della Francia un regime vilipeso; piegare le ginocchia davanti alla punizione che il destino aveva inviato a una nazione colpevole (7)».

Coloro i quali, per la loro posizione nella società, non hanno alcun interesse obiettivo a sottoscrivere questa lettura degli eventi, sono tuttavia numerosi nel mostrarsene recettivi. Riguardo ai danni inflitti alla collettività, i movimenti degli «indignati» possono perfino apparire come una risposta molto timida, lasciando subodorare che la retorica della necessaria espiazione trova, malgrado tutto, un terreno favorevole. Nel maggio 2011 un funzionario greco, che aveva già visto il proprio salario passare da 1.200 a 1.050 euro per un periodo di lavoro settimanale passato da trentasette ore e mezza a quaranta ore, dichiarava, per esempio, di essere «pronto a sforzi supplementari (8)».

Qualcuno non ha mancato di fare rilevare che un substrato culturale, addirittura religioso, determina gli atteggiamenti dei protagonisti della crisi dell’euro. «Esperti e politici trascurano un fattore: Dio. Insomma, la religione e, nella fattispecie, il protestantesimo luterano. Figlia di pastori, [la cancelliera tedesca] Angela Merkel ha il senso del peccato, come molti dei suoi compatrioti. Vi è un modo tedesco di parlare dell’euro che emana il buon odore dell’influsso del Tempio. E che evidentemente non è senza conseguenze sulle soluzioni proposte per soccorrere l’unione monetaria europea», così scrive Alain Frachon su Le Monde (23 dicembre 2011).

Eppure si può dubitare che l’influsso del protestantesimo si limiti all’area geografica nella quale prese l’avvio nel XVI secolo. Il sociologo tedesco Max Weber ha dimostrato in un celebre saggio, nel 1905, come l’etica protestante aveva contribuito a mettere in sella il capitalismo, modellando uno «spirito» che gli era favorevole (9). In seguito e fino ai nostri giorni questo spirito è perdurato e prosperato in modo autonomo, al di fuori di qualsiasi referente religioso. Ed è finito per diventare tanto onnipresente e invisibile quanto l’aria che respiriamo. La storica Jeanine Garrisson cita l’esempio di Jean-Paul Sartre, che ironizzava sulla fede protestante di suo nonno materno, pur essendo egli stesso «molto più vicino di lui al suo puritanesimo e al suo gusto della conoscenza di quanto non volesse ammettere. Non è forse lo stesso Sartre che proclama alto e chiaro che un intellettuale il quale non lavori almeno sei ore al giorno non può rivendicare questo prestigioso titolo (10)?».

In effetti la tesi di Weber sostiene che il protestantesimo ha «fatto uscire l’ascesi dai conventi» dove il cattolicesimo l’aveva confinata. La dottrina calvinista della predestinazione, secondo la quale ogni essere umano è eletto o condannato da Dio per l’eternità, senza che alcuno dei suoi atti sia suscettibile di cambiare alcunché, avrebbe potuto condurre a una forma di fatalismo. Produsse invece l’effetto contrario: sottomettendo ogni aspetto della loro vita a una stretta disciplina, i fedeli investirono tutta la loro energia nel lavoro, accattando nel successo economico un segno della loro salvezza. La fortuna cessò allora di essere condannabile – anzi, al contrario. Solamente il fatto di goderne era reprensibile. Weber ricorda il caso di un ricco fabbricante al quale il medico aveva consigliato di mangiare ogni giorno, per la sua salute, qualche ostrica, ma che non poteva risolversi a una simile sontuosità, non per avarizia, ma per scrupolo morale.

«L’idea del dovere professionale», scrive il sociologo, «vaga nella nostra vita come un fantasma delle credenze religiose di una volta». Perché la mano d’opera, anch’essa, dovette imparare a «eseguire il lavoro come se fosse un fine assoluto – una “vocazione”». Questa mentalità, oggi dominante, non s’impose se non al prezzo di una «pesante lotta contro un mondo di poteri ostili» e in particolare con l’aiuto di una politica di bassi salari: Calvino stimava che la massa degli operai e artigiani «doveva essere tenuta nello stato di povertà, per restare obbediente a Dio». Il protestantesimo scavò fra eletti e dannati un fossato a priori più insuperabile e più inquietante di quello che separava dal mondo il monaco del Medio Evo – un fossato che impresse un’orma profonda in tutti i sentimenti sociali». Il puritanesimo inglese forgiò ugualmente «una legislazione sulla povertà la cui durezza era in radicale contrasto con le norme anteriori».

Ricchi o poveri che si fosse, ormai riposarsi, approfittare della vita, «perdere il proprio tempo» non si poteva più fare senza cattiva coscienza. Si misura ciò che il mondo attuale deve a questo concetto quando si legge che il pastore luterano Philippe Jacob Spener, fondatore del pietismo, denunciava come moralmente condannabile «la tentazione di andare in pensione prematuramente»…

Insomma, come l’aveva già intuito fin dal XVI secolo l’umanista tedesco Sebastian Franck – citato da Weber – la Riforma ha imposto a ogni persona di essere un monaco durante tutta la sua vita». L’ascendente del cristianesimo e della sua squalifica dell’esistenza terrena se ne ritrovò fortemente potenziato. Si può presumere che questa eredità spirituale e culturale non agisca senza inibire le risposte possibili agli attacchi portati contro le società [civili]. Dopo la laicizzazione degli Stati, che dire della laicizzazione degli spiriti?

(1) Interview à L’Hebdo, Lausanne, 18 janvier 2012.

(2) Le Point, Paris, 23 novembre 2011. Cf Mathias Reymond, «Les éditocrates sonnent le clairon de la rigueur», Acrimed.org, 12 décembre 2011.

(3) Cité par Frédéric Pottecher, Le Procès de la défaite. Riom, février-avril 1942, Fayard, Paris, 1989.

(4) Expresso.pt, 6 février 2012.

(5) Frédéric Lebaron, «Un parfum d’années trente… ». Savoir/Agir. n° 18. Bellecombe-en-Bauues.

(6) Cité par Gérard Miller, Les Pousse-au-jouir du maréchal Pétain, Seuil, coll. «Points Essais», Paris, 2004.

(7) Marc Bloch, L’Etrange Défaite, Gallimard, coll. «Folio Histoire », Paris, 1990.

(8) « Comment les Grecs se sont mis au régime sec», La Croix, Paris, 8 mai 2011.

(9) Max Weber, L’Ethique protestante «(l’esprit du capitalisme, traduit et présenté par Isabelle Kalinowski, Flammarion, coll.« Champs classiques», Paris, 2000. De même pour les citations suivantes de cet auteur.

(10) Janine Garrisson, L’Homme protestant, Complexe, Bruxelles, 2000.

http://www.liberacittadinanza.it/articoli/le-presunte-virtu-della-mortificazione

Per una mia analisi integrativa del fanatismo puritano che impregna di sé le dinamiche capitaliste e della società contemporanea, in combutta con uno sfrenato edonismo (la classica trappola del Giano bifronte – sfuggi ad uno per cadere nell’altro):

http://www.informarexresistere.fr/2012/01/11/ma-chi-ce-lo-fa-fare-terry-gilliam-max-weber-marx-e-la-fuga-dallincubo/#axzz1pGlBdQGa

per un’analisi delle tecniche impositive di questa ideologia:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/13/il-mito-del-consenso-unanime-e-la-crisi-del-patto-civile-con-lo-stato/

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