Il Grande Riaggiustamento Finanziario andrà in porto?

a cura di Stefano Fait, direttore di FuturAbles

memo

L’insolvenza privata si è trasferita sui conti pubblici (locali e nazionali) passando per le banche (banche zombie). Ora nessuno può più far fronte all’esplosione della prossima bolla. Nessuno tranne il FMI, che è solvente e può stampare denaro (Diritti Speciali di Prelievo) per il prossimo giga-bailout planetario e ristrutturazione del debito mondiale (l’alternativa sarebbe un caos incontrollabile e non sarebbe gradita a chi governa le sorti del mondo).

Questa è la relazione ciclica (30-40 anni: l’ultimo evento è del 1971) tra caos finanziario, guerre e ristrutturazioni sistemiche globali

http://www.econ-pol.unisi.it/~bosco/int/mat/SMI.pdf

Il petrolio sarà presto pagato in Diritti Speciali di Prelievo del Fondo Monetario Internazionale (DSP; Special Drawing Rights, SDR) e non più in dollari.

Questa opzione era già stata valutata alla fine degli anni Settanta in una nota confidenziale per il presidente Carter: il prezzo del petrolio non sarebbe cambiato, ma il dollaro si sarebbe deprezzato. Perciò conveniva evitare un tale scenario. L’OPEC aveva precedentemente rinunciato a questa mossa per via della forza del dollaro. Avrebbe cambiato idea solo nell’eventualità di un forte indebolimento del dollaro (ci siamo). Da notare comunque che la nota accenna anche a dei “pro” in caso dell’abbandono del dollaro come valuta di riserva globale. Perciò la posizione implicitamente possibilista di Obama non è sorprendente.

Odiernamente il mondo sta abbandonando il dollaro e quindi è pressoché inevitabile che il petrolio sarà sganciato dal dollaro.

In una prima fase si useranno valute regionali, come il rublo e lo yuan. Poi si richiederà ufficialmente uno stabilizzatore dei mercati, ossia i DSP, appunto, con un paniere che verosimilmente includerà anche i dollari canadesi e australiani, perché il nuovo ordine sarà più produttivo (economia reale) che parassitario (rendite finanziarie) e avrà bisogno di risorse energetiche e minerarie.
[NOTA BENE: di per sé, questa soluzione non è male: andava bene a Roosevelt, De Gaulle e Keynes. Come sempre, però, dipende dall’uso che uno ne fa: con una corda posso aiutarti a uscire da un fosso, oppure posso impiccarti].

Se Ucraina, Siria, Libia, Egitto, Nigeria e, più recentemente, il Vietnam sono al centro di dispute interne ed internazionali è perché – per via della loro produzione energetica o della loro posizione geostrategica in relazione al commercio energetico – sono dei tasselli cruciali per la costruzione di questo nuovo ordine incentrato sul FMI.

Quando la transizione sarà completata assisteremo a un boom del mercato energetico e delle risorse estrattive.

Questa priorità annulla qualunque altra contesa, reale o fittizia che sia (es. sanzioni contro la Russia, respinte da Canada, Giappone e Germania perché danneggerebbero le loro imprese).

Il mondo va avanti anche se il Congresso americano si rifiuta di ratificare la riforma del FMI che ridurrebbe il peso americano e aumenterebbe quello dei BRICS. Il G20 aveva avvertito: dovremo ricorrere a misure aggressive casomai non ci fosse la collaborazione del Congresso ed è precisamente quel che sta accadendo

http://www.reuters.com/article/2014/04/11/us-g20-economy-idUSBREA3A1FC20140411

Nei prossimi mesi il FMI sopprimerà il diritto di veto statunitense e ristrutturerà il suo consiglio di amministrazione per diventare una banca centrale mondiale, in vista di una conciliazione degli interessi euro-atlantici con quelli euro-asiatici (tesi > antitesi > sintesi), sotto l’egida della Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI)

http://www.bancaditalia.it/studiricerche/coop_intern/partecipa_org_int/bri

Le aree di crisi sono quelle in cui il dollaro e i vari interessi in competizione per accaparrarsi la fetta più grossa della torta stanno lottando per conservare o migliorare le loro posizioni prima del Grande Riaggiustamento (leggi: Grande Accentramento post-nazionale)

http://www.futurables.com/2014/04/24/la-grande-trasformazione-del-2015-2016-due-scenari/

Da notare che Russia e FMI erano/sono favorevoli a concedere prestiti all’Ucraina in DSP, invece che in dollari

http://www.reuters.com/article/2013/12/27/us-ukraine-bailout-idUSBRE9BQ09F20131227

Ucraina, 2014: prima volta che i DSP di un prestito FMI non sono convertiti in dollari o euro ma direttamente in oro e poi nella valuta nazionale

https://www.imf.org/external/np/sec/pr/2014/pr14189.htm

Attendiamo la dichiarazione congiunta sino-russa della prossima settimana (alla presenza di Ban Ki-moon)

http://thediplomat.com/2014/05/iranian-russian-presidents-to-visit-china/

Come andrà a finire?

Resto pessimista. Anche se numerosi grandi manovratori avessero davvero a cuore il nostro migliore interesse (da “ciò che va a mio vantaggio beneficia tutti” /trickle down –  a “ciò che va a vantaggio di tutti beneficia anche me”/ama il prossimo tuo…) non credo che abbiano il pieno controllo della situazione.

Mutamento climatico; Cintura di Fuoco in subbuglio; umanità sempre più sospettosa delle intenzioni dell’1%; incapacità di valutare oggettivamente certe variabili (tipica di personalità sociopatiche); la maggior parte dei politici che non ha la più vaga idea di quel che sta succedendo oppure non può permettersi di dire quel che pensa; i media che distorcono la realtà invece di descriverla…Qualunque sia il piano, non credo che dobbiamo attendere alcuna soluzione dall’alto. O ci diamo da fare noi, oppure affonderemo assieme ai capitani del bastimento.

FONTI:

http://philosophyofmetrics.com/2014/05/16/oil-sdrs-and-the-new-currency-basket/

http://philosophyofmetrics.com/2014/05/16/the-america-dollar-is-dumping-vietnam/

http://blogs.reuters.com/breakingviews/2014/03/21/review-a-world-of-reasons-for-the-dollar-to-crash/

http://www.financialsense.com/contributors/jim-rickards/death-of-money-china-gold-financial-warfare

http://www.financialsense.com/contributors/jim-rickards/death-of-money-interview-part-2

Siamo tutti rossobruni! Nazioni Unite, Unione Europea, Brasile e India…tutti alleati di Assad?

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La Crisi di Suez è un conflitto che nel 1956 vide l’Egitto opporsi all’occupazione militare del Canale di Suez da parte di Francia, Regno Unito ed Israele. La crisi si concluse quando l’URSS minacciò di intervenire al fianco dell’Egitto e gli Stati Uniti, temendo l’allargamento del conflitto, costrinsero inglesi, francesi ed israeliani al ritiro. Per la prima volta USA e URSS si accordarono per garantire la pace.

http://it.wikipedia.org/wiki/Crisi_di_Suez

La maggior parte dei combattenti ribelli siriani non vuole la democrazia e la guerra civile sta producendo sempre maggiori atrocità ed una crescente radicalizzazione

Inchiesta delle Nazioni Unite

Testimonianze raccolte dal nostro team di monitoraggio indicano che gruppi armati ribelli hanno usato i civili come scudi umani, che i rapimenti sono in aumento, che alcuni gruppi di opposizione hanno costretto giovani donne e ragazze minorenni a sposare dei combattenti. Continuiamo a ricevere segnalazioni di gruppi anti-governativi che commettono crimini raccapriccianti come la tortura ed esecuzioni sommarie

Navi Pillay, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani

http://www.guardian.co.uk/world/2013/may/27/eu-arms-embargo-syrian-opposition

Il segretario generale delle Nazioni Unite si è sempre opposto a riversare altre armi in una situazione di guerra. Fornire più armi all’opposizione significa assicurare più armi al governo. Questo non risolverà il problema.

Lakhdar Brahimi, mediatore di Onu e Lega Araba per la crisi siriana 

http://www.guardian.co.uk/world/middle-east-live/2013/mar/29/un-envoy-says-arming-rebels-not-the-answer-live

Togliere l’embargo sulle armi dell’UE per gli insorti siriani potrebbe avere conseguenze devastanti. Non ci sono rimedi facili per lo spargimento di sangue in Siria, ma l’invio di altre armi e munizioni chiaramente non è uno di quelli. Gli sforzi internazionali devono essere concentrati sul blocco integrale delle forniture di armamenti e per una soluzione politica alla crisi. Ci sono seri rischi che le armi potrebbero essere usate per commettere violazioni dei diritti umani…le probabili conseguenze umanitarie sono molto reali stiamo già vedendo il catastrofico impatto umanitario di questa crisi sui civili. Il trasferimento di altre armi alla Siria può solo esacerbare uno scenario già infernale per i civili. Se il Regno Unito e la Francia intendono essere all’altezza dei propri impegni internazionali, compresi quelli che figurano nel nuovo trattato sul commercio delle armi, devono semplicemente non inviare armi in Siria
Anna Macdonald, Oxfam
http://www.oxfam.org.uk/blogs/2013/05/eu-foreign-ministers-must-bite-the-bullet-and-extend-the-arms-embargo-on-syria-says-oxfam

Stando alle testimonianze raccolte i ribelli hanno usato armi chimiche, facendo ricorso al gas sarin
Carla Del Ponte, ex procuratore del Tribunale Penale Internazionale per la ex Jugoslavia dal 1999 al 2007 e membro della commissione d’inchiesta Onu per le violazioni dei diritti umani in Siria
http://www.unimondo.org/Notizie/Siria-Carla-Del-Ponte-sotto-attacco-140636

Steve Bell 28.5.2013

Chiunque tifi contro gli insorti siriani perché non vuole vedere quel paese ridotto come la Libia, la Somalia, l’Afghanistan, l’Iraq, il Mali, ecc. viene accusato di rossobrunismo. Se le agenzie umanitarie dell’ONU, l’Oxfam, Svezia, Olanda e Brasile sono rossobruni, allora essere rossobruno è un vanto. Al contrario è più che probabile che i supporter di Francia, Regno Unito, Israele, Qatar, Turchia e Arabia Saudita stiano dalla parte sbagliata: C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra (Calvino, “Il sentiero dei nidi di ragno”)

“Gli eventi siriani successivi al marzo 2011 hanno cagionato notevoli esigenze umanitarie che si sono ormai diffuse in molte aree del paese, e si sono ulteriormente accresciute dopo la stesura del piano di assistenza umanitaria (ARPA) nel settembre 2012. Il governo della Siria, in collaborazione con le agenzie delle Nazioni Unite, sta lanciando un nuovo ARPA per il periodo che va dal 1 ° gennaio 2013 alla fine di giugno 2013. Questo piano servirà circa quattro milioni di persone, secondo le stime delle Nazioni Unite, che sono state direttamente o indirettamente colpite dagli eventi attuali, compresa la siccità, tra le quali quei due milioni che hanno dovuto abbandonare le loro abitazioni…L’assistenza umanitaria è, e continuerà ad essere, fornita nel pieno rispetto della sovranità della Repubblica Araba di Siria. Questo piano ha lo scopo di sostenere l’azione di assistenza umanitaria del governo siriano alle popolazioni colpite. Esso copre il periodo dal 1° gennaio 2013 fino alla fine di giugno 2013. L’importo finanziario erogato ammonta a 519.627.047$“.
http://www.unocha.org/cap/appeals/humanitarian-assistance-response-plan-syria-1-january-30-june-2013

Gran Bretagna e Francia hanno chiesto una revoca dell’embargo sulle armi, al fine di fornire armi a quella che identificano come l’opposizione “moderata” al regime di Bashar al-Assad, incontrando l’opposizione di 23 Stati membri dell’Unione Europea (Italia e Germania si sono astenute).
http://www.guardian.co.uk/world/2013/may/27/syria-eu-weapons-embargo-deadlock

PROPAGANDA: i media franco-inglesi (BBC, France 24) stanno spacciando il MANCATO ACCORDO sul prolungamento dell’embargo che scadeva a fine mese, causato dall’intransigenza di Francia e UK, come una decisione collegiale europea di togliere l’embargo. E’ finita 23 a 2 (con 2 astenuti). La Bonino era cautamente e selettivamente pro-fornitura armi: siamo timidamente dalla parte del MALE. [aggiornamento: il giorno dopo ha criticato i franco-inglesi]

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Persino Israele teme che le armi vadano a finire nelle mani sbagliate e siano poi usate contro gli israeliani e Obama resta contrario ad armare direttamente i ribelli
http://www.guardian.co.uk/world/middle-east-live/2013/may/28/eu-lifts-arms-embargo-on-syrian-rebels-live-updates#start-of-comments

Si può dare torto agli Israeliani? Jugoslavia, Afghanistan e Libia sono prove storiche documentate che le armi finiscono sempre in mano a cricche mafiose ed estremiste che le usano contro la popolazione e per ricattare l’Occidente. Li combattiamo in Afghanistan, Iraq, Libia, Somalia, Yemen, Mali (+Algeria) e ora anche in Niger: ma li armiamo in Siria!!!

Dopo il voto i Russi hanno reagito annunciando che doteranno l’esercito siriano delle migliori armi difensive, precisando che non potranno essere usate contro i ribelli, che non possiedono navi ed aerei, ma serviranno invece per impedire a qualche “testa calda” (!) di farsi venire strane idee (es. Israele?)
http://www.guardian.co.uk/world/middle-east-live/2013/may/28/eu-lifts-arms-embargo-on-syrian-rebels-live-updates#start-of-comments

“Il regime ha utilizzato armi chimiche in numerose città. Siamo alla vigilia di un disastro” insiste il portavoce dei ribelli.

Evidentemente Svezia, Olanda, Austria, Finlandia e Repubblica Ceca, per citare solo i più tenaci oppositori sono governate da “irresponsabili” (responsabilissimi!) che non prendono per buone le accuse dei ribelli.

Quando diventeremo meno vassalli e più simili ai paesi nordici, almeno in questo?
O anche ai paesi emergenti – ci si può anche accontentare: Brasile, Sudafrica, Argentina, Uruguay, Nigeria, Nepal, India e Indonesia – 59 nazioni in tutto (incluso il Mali!) – si sono astenute dal votare una risoluzione di condanna al regime siriano, con un voto che si è concluso 107-12 a favore della risoluzione (cioè 107 – 71).
http://www.newsit24.com/notizie/siria-assemblea-onu-approva-risoluzione-di-condanna-governo

NATO e Israele contro BRICS, Nigeria e Pakistan

Questi saranno, presumibilmente, gli schieramenti della Terza Guerra Mondiale, come si sono delineati al recente voto sulla Siria.

Il presidente di turno dell’assemblea generale è il rappresentante del Qatar, paese fortemente coinvolto nella destabilizzazione della Siria.

Il rappresentante della Siria ha notato il curioso paradosso che gli sponsor della risoluzione (Arabia Saudita, Qatar, Bahrein – paese, quest’ultimo, che ospita il comando della Quinta Flotta e 2.300 soldati americani ed ha soffocato nel sangue le proteste della popolazione) siano proprio i paesi che gli stessi media occidentali hanno indicato come i principali fornitori di armi agli insorti. Ha anche aggiunto che il suo paese applicherà le norme della convenzione sulle armi chimiche quando lo farà anche Israele.

I 12 voti contrari sono quelli dei soliti noti, gli “stati canaglia”, incluso il Nicaragua.

Tra i 133 favorevoli, il rappresentante del Sudafrica ha deplorato le violenze da entrambe le parti, precisando che in una guerra civile entrambe le parti sono tenute a rispettare le norme del diritto internazionale, ed ha escluso qualunque soluzione militare della crisi.

Anche i rappresentanti del Cile e del Brasile hanno condannato la violenza di entrambe le parti e precisato che continueranno ad appoggiare le vie diplomatiche ed umanitarie proposte da Kofi Annan.

Il rappresentante di Israele ha accusato l’Iran di aver organizzato la repressione siriana e si è rammaricato del fatto che la comunità internazionale non abbia ancora riconosciuto questo stato di cose

I rappresentanti di Uruguay ed Argentina hanno escluso categoricamente l’uso della forza nella soluzione del conflitto siriano ed invitato gli stati ad astenersi da azioni che promuovono la violenza in Siria.

Il rappresentante della Nigeria ha parimenti richiesto una soluzione pacifica della crisi e stigmatizzato la parzialità della risoluzione che accusava solo una parte (il governo siriano) di violare i diritti umani dei Siriani e la posizione della Lega Araba che, avendo come unico obiettivo un cambio di regime, impedisce qualunque soluzione diplomatica.

Il rappresentante della Serbia esclude l’intervento armato.

Tra i 31 astenuti figurano l’India, il Pakistan, l’Algeria, il Ghana, il Libano, la Tanzania, il Vietnam, lo Sri Lanka, l’Uganda, l’Armenia.

Il rappresentante dell’India ha accusato entrambe le parti di violazioni dei diritti umani e rifiutato ogni azione unilaterale.

Il rappresentante della Tanzania ha spiegato di essersi astenuto dal voto perché l’assemblea non ha tenuto nel giusto conto le interferenze esterne che hanno impedito di perseguire le vie della negoziazione.

Tra chi non si è presentato al voto (17), troviamo le Filippine, l’Etiopia e lo Yemen

http://www.un.org/News/Press/docs//2012/ga11266.doc.htm

Dopo che Kofi Annan ha gettato la spugna, ora la strategia occidentale si avvarrà quasi certamente della R2P, il dovere di intervento per ragioni umanitarie, che si è già dimostrato molto utile in innumerevoli occasioni in passato, e si verificherà un’escalation dell’impegno euro-americano nella regione (come in Vietnam).
Un attentato terroristico in qualche capitale europea o negli Stati Uniti potrebbe anche venire incontro all’urgenza israeliana di attaccare l’Iran:

“Il New York Times reintroduce il classico motivo della rappresaglia terroristica iraniana, spiegando che ci sono esperti che valutano improbabile un contrattacco iraniano diretto esplicitamente contro le forze armate statunitensi, che fornirebbe un facile pretesto per un intervento americani. Per qualche “bizzarra” ragione, questi asseriti “esperti”, ritengono che sia più probabile un’offensiva iraniana per mezzo di autobombe fatte esplodere in diverse capitali mondiali”
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/22/il-new-york-times-prepara-il-terreno-per-il-prossimo-11-settembre-dove-sono-kennedy-e-kruscev-quando-ne-hai-bisogno/

“L’esito finale di questa deriva sarà probabilmente un conflitto con l’Iran e con gran parte del mondo islamico. Uno scenario plausibile di uno scontro militare con l’Iran presuppone il fallimento [del governo] iracheno nell’adempiere ai requisiti [stabiliti dall’amministrazione statunitense], con il seguito di accuse all’Iran di essere responsabile del fallimento, e poi, una qualche provocazione in Iraq o un atto terroristico negli Stati Uniti che sarà attribuito all’Iran, [il tutto] culminante in un’azione militare “difensiva” degli Stati Uniti contro l’Iran“.
Zbigniew Brzezinski, dichiarazione davanti ad una commissione del senato americano (1 febbraio 2007)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/02/21/nella-malaugurata-evenienza-di-un-altro-11-settembre-ma-peggiore/

Il piano prevedeva un bombardamento preventivo israelo-statunitense dei siti nucleari iraniani ed un possibile attacco terroristico con uso di armi di distruzione di massa sul suolo americano di cui i media avrebbero incolpato l’Iran“.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/03/30/perche-proprio-ora-riguardo-alla-pubblicazione-di-uno-studio-sullimpatto-di-un-attacco-terroristico-nucleare-a-washington/

L’Unione Europea prima distrugge le economie del Terzo Mondo, poi condanna il razzismo

 

In Ghana il concentrato di pomodoro che arriva dall’Italia costa cinque volte meno dei pomodori locali. In Nigeria la carne più economica è quella importata da Germania e Inghilterra. E ancora: il 67% del latte consumato in Giamaica è di provenienza europea, e gli allevatori locali devono buttar via migliaia di litri di latte. Effetti perversi del dumping, cioè la vendita di beni al di sotto del costo di produzione e del prezzo di mercato. Frutto di una politica che tutela le grandi imprese del Nord, affossando i piccoli produttori del Sud.

 Si scrive dumping, ma si può tranquillamente leggere “concorrenza sleale”. Si tratta di un termine inglese che spiega come mai, in un mondo dove oltre un miliardo di persone deve sopravvivere con meno di un dollaro al giorno, una mucca europea ne riceva invece ben due e mezzo e una sua collega giapponese addirittura sette. Grazie a questa cospicua dote, l’Unione europea è diventata il secondo produttore e il primo esportatore di carne bovina. In seguito alla crisi della mucca pazza e al crollo del 20% dei consumi di carne bovina in Europa, gli stock comunitari sono ulteriormente aumentati e le mucche del continente hanno girato ancora di più il mondo. Germania e Inghilterra hanno pensato bene di smaltire le loro eccedenze in Nigeria, esportandole al patetico prezzo di 0,2 euro al chilo e destabilizzando i mercati locali. Bingo? No, più semplicemente, dumping.

Il problema delle eccedenze

Nei manuali di economia, il dumping viene definito come la vendita di prodotti al di sotto del costo di produzione e al di sotto del prezzo mondiale di mercato. Nella vita di tutti i giorni questo si traduce, ad esempio, nel fatto che in Ghana il concentrato di pomodoro prodotto in Italia costi cinque volte meno rispetto ai pomodori freschi locali. Difficile da giustificare con il costo di manodopera più basso, o con minori spese di produzione e trasporto. Il trucco sta infatti nei sussidi che i paesi industrializzati concedono ai loro produttori per favorire lo smaltimento delle eccedenze agricole. In Europa, tutto ha origine negli anni ’50, quando i sei paesi fondatori dell’allora Comunità economica europea, ancora traumatizzati dal recente passato di guerra e fame, danno vita alla Politica agricola comunitaria (Pac). Gli obiettivi principali sono garantire l’autosufficienza alimentare, migliorare la produttività e il tenore di vita dei contadini. All’inizio è un successo, ma negli anni ’70 gli alti livelli di produttività raggiunti si traducono in saturazione del mercato e crescenti surplus. Oltre alle eccedenze agricole crescono anche le polemiche e si moltiplicano progetti e tentativi di riforma del sistema. Fino ad arrivare ai nostri giorni, quando la Pac costa 40 miliardi di euro all’anno, e comporta 23 euro in più di spesa settimanale per ogni famiglia europea. Un sacrificio per i consumatori che si traduce in un guadagno generale per i produttori europei? Non sempre, visto che il 70% dei sussidi della Pac finisce nelle tasche del 20% dei più grandi agricoltori europei. I piccoli produttori, che rappresentano il 40% dell’agricoltura europea, ricevono soltanto l’8% dei sussidi.

Concorrenza insostenibile


Ma a rimetterci sono soprattutto i paesi in via di sviluppo. In base ai dati del Rapporto sullo sviluppo umano 2002, i sussidi alle esportazioni praticati dai paesi industrializzati, in particolare Unione europea e Stati Uniti, si traducono in 100 miliardi di dollari l’anno di perdite per mancati introiti da parte dei paesi in via di sviluppo. Una somma pari al doppio dell’intero ammontare dei fondi stanziati per la cooperazione allo sviluppo. Ma prezzi più bassi non dovrebbero favorire i consumatori e migliorare l’accesso al cibo di una buona fetta della popolazione ancora malnutrita? Il problema è più complesso, perché i prodotti sovvenzionati rappresentano una concorrenza insostenibile per i produttori locali: chi ci rimette sono soprattutto i piccoli agricoltori, che perdono mercati e lavoro, con pesanti ripercussioni per il tessuto sociale e la sicurezza alimentare del paese. Più della metà della popolazione mondiale dipende dall’agricoltura o dal lavoro agricolo per il suo sostentamento. Inoltre, non sempre i prezzi per i consumatori alla fine sono più bassi: i prodotti venduti sottocosto spesso vengono utilizzati dagli intermediari locali per manipolare i prezzi a proprio vantaggio, importando e stoccando grandi quantità prima del raccolto per abbassare i prezzi da corrispondere ai produttori locali. Una volta comprati a basso costo i raccolti locali, le importazioni diminuiscono e i prezzi risalgono. I contadini ci perdono, e i consumatori non ci guadagnano.

Dumping alimentare/1 – Cotone e riso: l’Africa non compete


La coltivazione di un ettaro di cotone negli Stati Uniti costa 1.100 dollari, contro i 250 dollari di un ettaro in Mali o in Ciad. Eppure gli Usa sono diventati il primo produttore e, soprattutto, il principale esportatore mondiale di cotone. Le sovvenzioni promosse dall’Unione europea attraverso la Pac (Politica agricola comunitaria), e dagli Usa attraverso il Farm Bill, hanno stimolato artificialmente la produzione, causando sovrapproduzione e una vertiginosa caduta del prezzo del cotone sui mercati, ridottosi di due terzi dal 1995. Con grave danno per quei paesi, come il Burkina Faso, per cui il cotone rappresenta la principale coltura d’esportazione. «In Burkina – spiega l’agronomo Riccardo Capocchini, responsabile del Cisv nel paese – i produttori di cotone hanno da sempre ricevuto fertilizzanti e sementi a credito da una società, la Sofitex, originariamente con capitale francese e oggi con capitale statale e privato. I rimborsi avvenivano al momento del raccolto, sulla base del prezzo d’acquisto stabilito dall’impresa cotoniera. A partire dal 1998, i contadini si sono organizzati nell’Unione nazionale dei produttori di cotone burkinabé (Unpcb), acquistando il 30% del capitale della Sofitex e riuscendo a imporre condizioni più eque per i produttori. Ma, come risultato del dumping praticato negli ultimi anni e dell’abbassamento del prezzo di vendita, la Sofitex non riesce più a fornire sementi e fertilizzanti a prezzi agevolati, per cui i produttori non possono più coltivare il cotone. L’unica alternativa è quella di rivolgersi direttamente al mercato, dove i prezzi sono carissimi. L’aumento dei costi di produzione ha poi fatto salire il prezzo finale del cotone africano, ormai meno competitivo rispetto al prezzo mondiale». Ma le pratiche di dumping non arrivano soltanto da Stati Uniti e Unione europea: in Africa, nell’area saheliana, si sta imponendo il riso proveniente dai paesi asiatici, in particolare dalla Tailandia, a seguito della tanto celebrata “rivoluzione verde”. Nei paesi dell’Africa occidentale la produzione di riso locale si era molto sviluppata a partire dalla fine degli anni Settanta, ma oggi il riso tailandese, grazie alle sovvenzioni statali, si sta imponendo grazie a un prezzo inferiore. «Il riso tailandese è preparato in modo diverso da quello locale – racconta ancora Riccardo Capocchini – e siccome i suoi semi non si rompono, all’apparenza sembra più appetibile, facendo sì che i consumatori lo preferiscano».

Dumping alimentare/2 – Latte europeo, Giamaica in polvere


Secondo i dati della Commissione europea, nel 2001 un terzo dei sussidi europei all’esportazione sono stati destinati alla produzione di latte e derivati. In particolare, l’Unione europea risulta essere il maggior esportatore di latte scremato in polvere. Ciò ha causato non pochi problemi, ad esempio, ai produttori della Giamaica, che nel 1992 ha abbassato le barriere doganali all’importazione di latte, e per compiacere la Banca mondiale ha eliminato i sussidi ai produttori locali. Ciò si è tradotto in una rapida crescita della quota di latte importato dai paesi europei, che nel 2000 ha raggiunto il 67% del totale. La disponibilità di latte in polvere importato ha spinto l’industria alimentare giamaicana a voltare le spalle al latte fresco locale, con particolare danno per i piccoli allevatori costretti a distruggere buona parte della loro produzione: 500.000 litri di latte sono andati buttati tra il 1998 e il 1999″.

Emanuele Fantini

http://www.abassavoce.info/notizie_149.shtml

La tirannia umanitaria e i falsi profeti – cosa ci ha insegnato Kony 2012?

Antologia di testi a cura di Stefano Fait

Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi sotto le spoglie di pecore, ma dentro sono lupi rapaci.

Li riconoscerete dai loro propri frutti

Matteo 7, 15-16.

GUSTAVO ZAGREBELSKY, “Sulla lingua del tempo presente”, 2010, pp. 27-28

Se le posizioni sociali sono squilibrate, al punto che da una parte sta la libertà illimitata di concedere o non concedere un beneficio e, dall’altra, la necessità riaccettarlo; se c’è libertà contro necessità; se l’uno può tutto, l’altro niente, si può parlare, in questi casi, di dono? Il dono che si fa con la mano del potere è davvero un dono? Sì, ma solo se rimane in superficie. In realtà si tratta dell’esercizio d’una supremazia che approfitta d’una condizione di bisogno per manifestarsi. Quel “dono”, al quale non si ha diritto ma che è frutto d’una concessione graziosa e, pertanto, può essere in ogni momento revocato, sta nell’essenza d’un rapporto servile. È violenza che si esercita tramite mezzi non maligni, ma benigni. Anche con i doni si può far del male. È sfruttamento di uno stato di necessità in cui altri versano; cioè è violenza di natura morale: una violenza da cui ci si aspetta un tornaconto la cui materia è il sentimento di obbligazione verso il donante. Non è vera gratitudine, perché la gratitudine dettata dalla necessità è finta, malata. Se poi il “dono” è reso pubblico, pubblicizzato, diventa violenza usata a fini pubblicitari.

FERNANDO SAVATER, Discorso di accettazione del Premio Van Praag 1997

L’umanesimo non è la stessa cosa dell’umanitarismo. Non nego l’importanza delle imprese umanitarie nel loro assistere gli affamati, feriti, malati ed emarginati del mondo orribile in cui viviamo. Ma penso che il destino migliore di questo pianeta non sia quello di convertirsi in un ospedale o in un ricovero: deve diventare la città degli uomini, la casa e l’impresa di tutti. A tal fine, è imprescindibile recuperare il respiro umanista, combattendo non solo per proteggere le vite, ma anche per istituire le libertà, educare ai valori universali, gestire gli affari umani in maniera non-tribale, ma sovranazionale.

ALBERT CAMUS, introduzione a “L’uomo in rivolta”

Siamo nel tempo della premeditazione e del delitto perfetto. I nostri criminali non sono più quei bimbi inermi che adducevano la scusa dell’amore. Sono adulti, al contrario, e il loro alibi è irrefutabile: è la filosofia, che può servire a tutto, fino a tramutare in giudici gli assassini…Ai tempi ingenui in cui il tiranno radeva al suolo qualche città a propria maggior gloria, in cui lo schiavo aggiogato al carro del vincitore sfilava per le città festanti, e il nemico veniva gettato alle belve davanti al popolo adunato, di fronte a delitti così candidi, la coscienza poteva essere salda, e chiaro il giudizio. Ma i campi di schiavi sotto il vessillo della libertà, i massacri giustificati dall’amore per l’uomo o dal sogno di una super-umanità, disarmano, in certo senso, il giudizio. Il giorno in cui il delitto si adorna delle spoglie dell’innocenza, quella cui viene intimato di fornire le proprie giustificazioni, per una strana inversione propria al nostro tempo, è l’innocenza stessa.

LUIGI ALFIERI, “La stanchezza di Marte. Variazioni sul tema della guerra”, 2008, pp. 185-190

L’Italia non è mai stata, in tutta la sua storia, talmente impegnata in operazioni militari all’estero come in questi ultimi decenni; con pochi uomini e mezzi, di solito, ma tenendo conto del gran numero di operazioni a cui si è voluta o dovuta decidere una partecipazione almeno simbolica, il livello complessivo di proiezione militare oltre i confini è paragonabile se non superiore a quello delle guerre coloniali: un precedente che dovrebbe far riflettere. La presentazione di queste attività come iniziative umanitarie è in molti casi del tutto risibile, e in almeno tre casi – la prima guerra del Golfo sicuramente, e malgrado grossolane ipocrisie anche l’infelicissima spedizione in Somalia e il coinvolgimento nei bombardamenti della Serbia durante la crisi del Kosovo – si è trattato di guerra esplicita e aperta, anche con aspetti specie nel caso somalo – di vergognosa brutalità. […]. È difficilissimo, ormai, ricordarle tutte: non dovrebbe farci paura questo dato così elementare? […]. Anche le legioni romane eseguivano una politica di pace, a modo loro. E dove finisce la politica di pace e comincia una politica di potenza?

MICHELANGELO BOVERO, “L’ideologia capovolta. Dalla pace attraverso i diritti ai diritti attraverso la guerra”, 2006, p. 134

La barbarie ritornata che ci troviamo a fronteggiare è duplice: quella di chi viola i diritti fondamentali e quella di chi li viola due volte con la pretesa di difenderli, o addirittura di instaurare manu militari il regno universale del diritto e dei diritti.

TEJU COLE, “The White Savior Industrial Complex”

Il salvatore bianco appoggia politiche brutali al mattino, fa beneficenza al pomeriggio e riceve onorificenze la sera.

La banalità del male si trasmuta nella banalità del sentimentalismo. Il mondo non è altro che un problema da risolvere con entusiasmo.

Questo mondo esiste semplicemente per soddisfare le esigenze – specialmente i bisogni sentimentali – dei bianchi.

L’Industria del Salvatore Bianco non ha nulla a che vedere con la giustizia. Si tratta di avere una grande esperienza emotiva che giustifica il privilegio.

Una febbrile preoccupazione per un terribile signore della guerra africano [cf. Kony], mentre fino a 1 milione e mezzo di iracheni sono morti per una guerra americana che poteva essere evitata. Sarebbe bene preoccuparsi di questo.

È giusto rispettare il sentimentalismo americano, proprio come si rispetta un ippopotamo ferito. È necessario tenerlo d’occhio, perché sai che è mortale.
è lecito parlare di peccati, ma è politicamente scorretto fare i nomi dei peccatori. Perciò c’è il razzismo ma è sconveniente dare del razzista a qualcuno, c’è la misoginia, ma non ci sono misogini, nessuno è omofobo ma gli omosessuali sono vittime di omofobia. Se uno osa puntare il dito su qualcosa di così manifesto come il privilegio bianco, è bollato come provocatorio. Così gli emarginati hanno sempre meno possibilità di parlare di ciò che li fa soffrire, a causa di questo “decoro coatto”.

Non è che tutti gli operatori umanitari sono razzisti. Alcuni lo sono inconsapevolmente, altri no. In genere sono persone di buon cuore, ma è proprio il sentimentalismo che semplifica ingiustificatamente la loro visione del mondo. Così vedono solo bocche affamate che devono essere sfamate al più presto. Tutto quel che vedono è bisogno, ma non le cause ultime di questo bisogno.

Fare un buon lavoro umanitario comporta qualcosa di più di “fare la differenza”. Prima di tutto viene il dovere di non nuocere e di conseguenza il diritto di chi viene aiutato di essere consultato in merito alle questioni che lo riguardano.

L’Africa è un luogo in cui le regole sono diverse: un signor nessuno americano o europeo può andare in Africa e diventare un salvatore semidivino o, quantomeno, soddisfare i suoi bisogni emotivi.

I problemi africani sono strutturali, sono intricati, sono locali e non si risolvono con gli slogan. Per dare un aiuto concreto, occorre una certa umiltà verso le persone che vivono in quelle aree, il rispetto per la loro capacità di essere protagoniste delle loro vite e di risolvere i loro problemi. Gli Ugandesi hanno fatto e continuano a fare moltissimo per migliorare il proprio paese e commenti ignoranti come “dobbiamo salvarli noi perché non possono salvarsi da soli”, non può alterare questo fatto. I Nigeriani hanno recentemente protestato, molto civilmente, contro il governo, la corruzione e l’inflazione. Uomini e donne, di tutte le classi ed età, si sono mobilitati per quello che sentivano era giusto, hanno marciato pacificamente, si sono scambiati cibo e bevande e protetti l’un l’altro; i cristiani montavano la guardia mentre i musulmani pregavano e vice versa, parlavano senza timore ai loro leader circa il tipo di paese in cui volevano vivere. Tutto questo è avvenuto senza l’intervento di un qualche giovane supereroe americano.

Joseph Kony non è più in Uganda e non è più la minaccia che è stato, ma è un cattivo molto utile per chi ne ha bisogno. Non sono queste denunce che servono all’Africa, ma una società civile più equa, una democrazia più robusta, un sistema giudiziario più giusto. È su queste fondamenta che si possono costruire infrastrutture, sicurezza, sanità ed educazione.

Se gli Americani vogliono davvero prendersi cura dell’Africa, dovrebbero valutare la politica estera americana, per votare con cognizione di causa, prima di imporre il loro volere agli Africani. I manifestanti nigeriani sono stati virtualmente ignorati dall’amministrazione americana, il sostentamento dei coltivatori di mais in Messico è stato distrutto dal NAFTA, i coltivatori di riso haitiani hanno subito perdite spaventose a causa del riso sovvenzionato americano. Poi si può citare il colpo di stato in Honduras, appoggiato dagli Americani, che ha causato la morte di centinaia di attivisti e giornalisti, la giunta militare filoamericana che opprime l’Egitto post-Mubarak e riceve annualmente 1 miliardo e 300 milioni di sussidi dagli Stati Uniti.

Quel che gli innocenti eroi dell’umanitarismo devono capire è che fanno spesso il gioco di chi è guidato da motivazioni molto più ciniche.

La sindrome del Salvatore Bianco è una valvola di sfogo in un sistema fondato sulla rapina e sul saccheggio. Per anni gli Americani hanno partecipato alla distruzione economica di Haiti, ma dopo il terremoto si sono sentiti in obbligo di donare 10 dollari per la ricostruzione. Quando si interferisce nelle vite degli altri bisogna sapere che cosa questo comporta. Il sostegno alla campagna Kony 2012 implica una crescente militarizzazione del governo antidemocratico di Yoweri Museveni, al potere dal 1986, uno dei principali responsabili della guerra in Congo ed una pedina americana nei conflitti in Sudan e in Somalia.

Tutto questo ci porta molto lontano dall’idealismo dei giovani americani che vogliono impiegare la forza di YouTube e Facebook per cambiare il mondo.

Se vogliamo davvero fare la differenza dobbiamo andare oltre il sentimentalismo e sfidare le strutture ed i sistemi che perpetuano la disuguaglianza in tutto il pianeta. La disobbedienza civile serve, appunto, a salvare noi stessi e consentire ad altri di fare lo stesso.

http://www.theatlantic.com/international/archive/2012/03/the-white-savior-industrial-complex/254843/

RONY BRAUMAN, «Humanitaire, diplomatie et droits de l’homme», 2009

Il Terzo Mondo è visto come un territorio desolato, popolato da eterne vittime bisognose di incessante soccorso.

Occorre evitare che al potere vadano persone affetta da cinismo amorale (Machiavelli) e da idealismo intransigente (Robespierre): non c’è nulla di più sanguinario di queste due patologie della coscienza, che hanno una radice comune nel narcisismo, nell’esaltazione del proprio ego e della propria prospettiva sul mondo.

L’umanitarismo obbedisce alla legge dei gas perfetti: un’espansione infinita se non ci sono forze che lo limitano.

La violenza è sempre quella altrui, perché noi siamo democratici, civili ed umanitari. La nostra violenza è meno violenta di quella degli altri. È un male minore che in fondo è un bene e quindi si giustifica da sé. Ma il diritto non coincide sempre con la giustizia.

L’umanitarismo è la degradazione dell’umanitario, allo stesso modo in cui il moralismo è una perversione della morale.

L’umanitarismo elimina i dubbi e gli scrupoli, scredita le critiche e divide il mondo gerarchicamente tra vittime e soccorritori – non è più una moda, ma un modo di leggere il mondo.

È lecito parlare di cannibalismo umanitario – l’orco filantropico, l’ha chiamato Octavio Paz (Premio Nobel per la Letteratura nel 1990): fornire il nostro aiuto, rimediare ai misfatti, diventa una dipendenza. Abbiamo bisogno di un contingente di vittime per continuare a sentirci dei salvatori. L’ingerenza umanitaria diventa un dovere (dobbiamo farlo), un diritto (possiamo farlo) ed un vizio (non possiamo non farlo).

L’umanitarismo è un’industria, con le sue logiche ed i suoi metodi interni, è inquadrata, normativizzata, tecnicizzata, tecnocratizzata, arida e gelida: c’è un ingente budget disponibile, serve una crisi che lo giustifichi.

In Cambogia, in Etiopia, in Ruanda e nel Congo-Zaire l’umanitarismo è rimasto implicato in politiche criminali.

ALBERT CAMUS, La Caduta (La Chute) (1956)

http://fanuessays.blogspot.it/2011/11/il-narcisista-umanitario-parte-prima_14.html

MARCO DERIU, “Dietro aiuti e cooperazione sta una visione del mondo”, Solidarietà Internazionale, nov./dic. 2005

Negli ultimi decenni, secondo i dati dell’UNDP si è registrato un aumento degli indici di povertà in 37 dei 67 paesi di cui si disponeva di dati. A questo punto una domanda è d’obbligo: come spiegare la diffusione della miseria e di condizioni di esistenza sempre più drammatiche proprio nei decenni in cui si sono registrate i maggiori tassi di produzione, di consumo, di crescita? Il mondo non è mai stato così ricco, eppure sono milioni le persone che continuano a morire di stenti. Non ci deve venire forse il dubbio che le tradizionali categorie interpretative – legate all’idea di sviluppo, di crescita, di lotta alla povertà, di emergenza umanitaria – non riescono a spiegare quello che è successo, non permettono di dar conto di ciò che ci troviamo di fronte?
Le condizioni di miseria in cui vive una gran parte della popolazione mondiale non sono il risultato di una condizione di sottosviluppo, ma il risultato stesso delle strategie di sviluppo.

Le politiche di sviluppo concretamente hanno determinato in molti paesi del sud del mondo la distruzione sistematica delle forme di povertà conviviale praticate dalle comunità locali svalutando e soppiantando le forme di produzione per la sussistenza e delle forme di scambio locale per imporre l’imperativo della crescita. Hanno quindi gettato le basi di un’economia di mercato orientata alla crescita, che significa un’economicizzazione della società, una moltiplicazione dei bisogni, una maggiore dipendenza individuale e sociale dalla produzione, dal reddito monetario e dal consumo in una competizione di tutti contro tutti che alza le chance di arricchimento per alcuni, mentre condanna alla miseria tutti gli altri.

Man mano che si afferma l’economicizzazione della società non è più l’economia a dover corrispondere ai bisogni delle persone, ma piuttosto questi ultimi a dover corrispondere ai bisogni dell’economia. La produzione, l’induzione e la moltiplicazione dei bisogni è addirittura indispensabile al buon funzionamento dell’economia di mercato.

Le Ong e le agenzie internazionali hanno impiantato il verbo della crescita e dello sviluppo quasi in ogni angolo del pianeta. Assieme agli aiuti materiali ed economici hanno riversato sulle altre società soprattutto una visione del mondo. I cooperanti sono stati solerti spacciatori di illusioni: lo sviluppo, la crescita, la globalizzazione, la ricchezza.

Il giudizio di arretratezza che abbiamo imposto alle nostre alterità e la mentalità che ci porta a guardare noi stessi come rappresentanti di una civiltà più evoluta ci spingono a credere che gli altri popoli debbano in fondo imitarci per diventare come noi e accedere al nostro mondo di benessere. L’idea dell’aiuto, del dono, dunque non è altro che lo strumento attraverso cui il cooperante occidentale pensa si possa colmare questo gap “temporale” tra “noi” e “gli altri”. In altre parole, attraverso il dono si cerca di rendere gli altri simili a noi. Gli aiuti non sono semplicemente oggetti o beni, ma sono segni, simboli, strumenti performativi, agenti attivi di colonizzazione culturale.

L’unico imperativo morale che abbiamo non è quello di salvare il mondo per renderlo uguale a noi, ma quello di costruire relazioni rispettose e generose con le nostre alterità.

http://www.solidarietainternazionale.it/anno-xvi/n-06-novdic-2005/848-la-faccia-piu-subdola-della-colonizzazione.html

MARCO DERIU et al. (a cura di), “L’illusione umanitaria. La trappola degli aiuti e le prospettive della solidarietà internazionale”, 2001.

L’aiuto umanitario si rivolge non alla persona nella sua umanità complessiva, ma al solo “essere sofferente”. Mentre cerca di lenire o estirpare il dolore, contribuisce in realtà alla trasformazione ed alla riduzione simbolica dell’essere vivente a puro essere bisognoso. L’ascolto, l’aiuto, non riguarda più le persone ma solamente coloro che sono riconosciuti come vittime sofferenti. In altre parole si riconosce l’altro solo nella forma estrema della vittima. Si assiste dunque alla creazione di un ordine vittimale. […]. L’aiuto umanitario contribuisce alla riduzione dell’essere umano a nuda vita, cancellando ogni forma di alterità. La relazione che viene messa in gioco nell’assistenza umanitaria è in realtà un rapporto di tipo funzionale e non una relazione umana vera e propria. I soggetti cui dovrebbe essere rivolta l’azione umanitaria non hanno voce in capitolo. Non è previsto l’ascolto, il confronto, il conflitto, lo scambio, ovvero tutto ciò che può rendere accettabile e dignitoso per una persona il ricevere aiuto da un’altra persona. […]. Questa ignoranza è sintomo di un’implicita presunzione degli occidentali nei rapporti con le alterità (p. 25).

I paesi autosufficienti o esportatori di cibo divengono dipendenti dalle importazioni di prodotti occidentali (Somalia, Haiti, Bangladesh).

Nel 1995 Care, una delle più grandi agenzie di aiuto statunitensi affermava nel suo rapporto annuale: “i paesi che sono stati beneficiari di aiuto umanitario oggi acquistano il 31% delle esportazioni agricole degli Stati Uniti”.

È molto difficile convincere le persone che mentre credono di stare aiutando qualcuno in realtà gli stanno facendo del male. Che mentre pensano di migliorare la loro condizione in realtà la peggiorano. Spesso la gente non vuole saperne nulla. È incatenata a quello che sta facendo. È prigioniera delle sue buone azioni. Preferisce non interrogarsi sulle conseguenze delle proprie azioni (p. 90).

Il fatto di donare ci fa credere automaticamente di dover avere una qualche forma di potere sul nostro beneficiario (p. 92).

Se davvero – come abbiamo cercato di mostrare – l’umanitario serve a coprire, allora sarebbe meglio far esplodere i conflitti. È fondamentale infatti mettere la gente di fronte a quei problemi, a quelle contraddizioni e a quelle ingiustizie che l’umanitario cerca in tutti i modi di nascondere: la violenza del mercato e del totalitarismo economico, l’ingiustizia e il carattere egemonico delle attuali relazioni nord-sud, la riduzione della politica a un gioco di potere, l’utilizzo della retorica dei diritti umani e dei buoni sentimenti per coprire una strategia di dominio e gli interessi economici dei paesi ricchi (p. 176).

L’imperativo “dare!”, deve essere sostituito da “conoscere” e “ascoltare”. La conoscenza e l’incontro sono l’unica garanzia possibile per una reale amicizia e per un sostegno reciproco rispettoso, quando si rende necessario. […]. Inoltre instaurare un’ottica di reciprocità significa riconoscere che la cultura e le società occidentali hanno molto da apprendere dalle culture e dalle società del sud del mondo, e che parte di questo sapere può essere fondamentale per affrontare in maniera più saggia i problemi che tormentano le nostre società (pp. 186-187).

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