Se ami la scienza, emancipala dall’ateismo/materialismo

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L’Universo è immateriale – mentale e spirituale. Vivetelo e godetevelo.

Richard Conn Henry, fisico, Johns Hopkins University, NATURE, Vol 436, 7 July 2005

http://henry.pha.jhu.edu/The.mental.universe.pdf

Credo che soddisfino i requisiti standard di validità di un’affermazione ordinaria, ma sono insufficientemente convincenti per un’affermazione straordinaria.

Richard Wiseman, il mastino degli “scettici”, ammette che i fenomeni parapsicologici sono reali ma, arbitrariamente, non li considera scientificamente dimostrati

http://en.wikipedia.org/wiki/Talk%3ARemote_viewing

La Terra non può che essere al centro dell’universo = la mente non può essere altro che il cervello

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Io sono panenteista (non panteista), come Pitagora, Plotino, Whitehead, ecc. (e credo anche Gesù e Origene, uno dei padri della Chiesa ripudiati)

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/08/26/il-mondo-non-starebbe-meglio-senza-gli-umani/

http://www.mb-soft.com/believe/txc/panenthe.htm

http://www.estropico.org/index.php?option=com_content&view=article&id=204:alla-f

Prima di tutto vorrei togliere di mezzo un grosso equivoco. Che io sappia, Richard Dawkins non ha mai detto che alla religione non dovrebbe essere accordato alcun rispetto o che la tolleranza della religione è parte del problema. È un laico e quindi, giustamente, riafferma il diritto di ciascuno di credere in ciò che vuole senza che lo Stato o chi per lui stabilisca se uno ha il dovere di essere ateo/noncredente o credente in qualcosa di specifico.

I credenti dovrebbero essere grati a tutti quelli che si battono per una società laica – incluso Dawkins –, perché una società laica è una società in cui si è liberi di scoprire se stessi e la realtà che ci circonda.

Non tutti gli atei/noncredenti militanti sono così illuminati e tolleranti. Alcuni, quasi sempre maschi, sembrano davvero infuriati, in cerca di capri espiatori e si comportano come i fondamentalisti che combattono, ad esempio descrivendo/concependo la società in senso dicotomico, come se esistessero solo due fazioni: i credenti e i non credenti, con questi ultimi che sono dalla parte del vero e del giusto e i primi che nascondono intenti tirannici.

Sono però in minoranza – o almeno questa è la mia impressione – e comunque nel pieno diritto di prendersela con chi vogliono, finché non violano la libertà altrui di professarsi credente, o semplicemente agnostico.

Non penso che potrebbero avere mai la meglio, se non altro perché l’influenza benefica della religiosità personale su salute mentale, benessere fisico, convalescenza, longevità, riuscita sociale (vita di coppia, relazioni interpersonali, ecc.) è abbondantemente documentata (Kenneth I Pargament [a cura di] APA Handbook of Psychology, Religion, and Spirituality, Washington, D.C. : American Psychological Association, 2013).

Inoltre la concezione degli esseri umani come entità meccaniche prive di libero arbitrio, il cui senso di sé è un’illusione e la cui coscienza è solo un epifenomeno, un effetto collaterale privo di senso, è una visione troppo tragica e fatalistica (se non nichilista) del destino umano. Per miliardi di persone, credo a buon diritto, continuerà a essere intollerabile: creare significati in un universo del tutto privo di un senso alto, è compito ingrato (i non-credenti si sentono eroici e in un certo senso hanno ragione, anche se a me pare sia un eroismo abbastanza futile) e non privo di pericoli.

La storia è davvero fin troppo piena di intellettuali che hanno giustificato ogni mostruosità e fanatismo sulla scorta del diritto alla sopravvivenza e affermazione di sé e del proprio gruppo di riferimento, o specie: si può fare tutto, purché la specie prosperi, anche, per esempio, terraformare/colonizzare altri pianeti [è del tutto plausibile che qualcuno che si considera la massima autorità nell’universo possa agire come se fosse fosse padrone dell’universo]?

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/06/22/la-verita-sulla-nostra-conquista-di-caprica/

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Il mondo di questi primi anni del 21° secolo sta lottando fieramente per liberarsi dal giogo del fondamentalismo, dell’interpretazione letterale delle scritture, e finora ha solo trovato un’alternativa, l’ateismo, che però risulta insoddisfacente e teoreticamente deludente, associato com’è a paradigmi scientifici antiquati (Newton, Maxwell, Darwin)

http://www.thegreatdebate.org.uk/DarwinDarwinitis.html

Retaggi di un’epoca in cui fisica e biologia sembravano molto più facilmente comprensibili e in una certa misura prevedibili. Questo prima dell’avvento di fisica quantistica, epigenetica, bioastronomia e studi della coscienza.

Ateismo e scientismo sembrano d’altronde combattere l’integralismo su un terreno antiquato, quello di un dio dell’età del bronzo (o medievale) che interessa davvero a pochi. Forse per questo le loro dispute sono in genere noiose e poco edificanti.

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Affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie” è un aforisma coniato (pare) da Marcello Truzzi, sociologo alla Eastern Michigan University, fondatore dello CSICOP, il CICAP americano. La cosa interessante è che in seguito Truzzi fu scacciato dallo CSICOP per aver chiesto che al suo interno fossero accolti anche studiosi seri del paranormale, in modo da poter confrontare le posizioni in maniera sistematica ed affinare le tesi.

Da quel momento si definì uno “zetetico” (volto alla ricerca della verità), perché considerava gli “scettici” come degli “pseudo-scettici” privi di velleità scientifiche, che si rifiutavano a priori di verificare le sperimentazioni nell’ambito del paranormale e che erano i principali responsabili dell’involuzione semplicistica del dibattito.

Un esempio tra i più noti è quello del confronto tra Stephan Schwartz, che sostiene di essere un “remote viewer” (una persona capace di vedere a grandi distanze, anche qualcosa che succede all’altro capo del mondo) e l’ateo militante Daniel Dennett che, sfidato a dimostrare che gli articoli sul remote viewing erano effettivamente fraudolenti e anti-scientifici scegliendone uno e discutendolo con lui, ha risposto: “non penserà che io legga roba del genere, vero?”

Queste sono le cose che facevano imbestialire Truzzi. È come se lo pseudo-scettico si auto-mutilasse il cervello pur di non “cadere in tentazione”, un atteggiamento inquisitoriale, non certo agnostico.

Come sostiene un mio caro amico: “l’ateismo è una posizione insostenibile perché parte da un assunto di fede esattamente analogo a quello del credente, per quanto specularmente opposto. L’agnosticismo è l’unica scelta razionale e di buonsenso”.

Truzzi la pensava come lui e morì disilluso nel 2003.

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In altre parole, la scienza è un metodo di indagine e un insieme di modelli di realtà in costante evoluzione. Come tale, è neutrale in relazione al piano metafisico. Non dovrebbe mai essere concepita come legata ad una specifica visione filosofica del mondo (es. materialismo).

Tra l’altro se, nel corso della storia, l’umanità si fosse rifiutata di considerare prove aneddotiche, vivremmo ancora nelle caverne.

Per questo è ragionevole ipotizzare che la scelta del non-credente senza se e senza ma sia di natura psicologica, non scientifica.

Può essere una scelta di ribellione ad un contesto familiare o scolastico soffocante, o all’assenza di una figura paterna importante (cf. Paul Vitz, “The faith of the fatherless”).

Può essere una scelta modaiola: oggi dirsi atei fa fico, fa “uomo di mondo”, fa adulto che non crede più a certe sciocchezze infantili.

Può essere una reazione inconsapevole al timore di una possibile vita dopo la morte, di un giudizio, di una prospettiva reincarnativa incontrollabile.

Può essere una necessità in un ambiente in cui non si è accettati o non si fa carriera se non la si pensa in un certo modo.

Sospetto che molti “atei” siano più intimoriti che rassicurati dall’evidenza empirica. Credono che le loro convinzioni si basino sull’evidenza empirica, ma in realtà si basano unicamente sul caparbio e perciò emotivo/irrazionale rifiuto di vagliarla.

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Sono tempi molto interessanti.

Dawkins è una di quelle figure che un giorno non sarà più ne venerata né odiata o disprezzata, ma apprezzata per i suoi sinceri sforzi di abbattere dogmi obsoleti, agendo, in parte, spinto da un autentico desiderio di rendere il mondo un posto migliore. Il suo contributo sarà riconosciuto in particolare da chi, come me, si augura che questo ariete possa spianare la strada a una teologia scientifica e a un rinascimento spirituale (cosa che lui certamente non auspica: si chiama “eterogenesi dei fini”).

Questa teologia scientifica ha preso forma già da alcuni decenni. Chi cerca sinceramente Dio lo può trovare anche nella scienza. Gli esempi sono innumerevoli: Max Planck, Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger, Wolfgang Pauli, Arthur Eddington, Casey Blood, David Bohm, Amit Goswami, Shimon Malin, Eugene Wigner, Fritjof Capra, Richard Henry, Henry Stapp, Hans-Peter Durr, ecc.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/10/03/fisica-paolina/

In assenza di un impulso teleologico, non pare davvero esserci alcuna ragione per cui, in un universo che tende all’entropia, cioè l’antitesi dell’ordine e della complessità, dalla materia debba emergere la coscienza, una forma superiore di ordine, enormemente complessa.

Se si scoprissero tracce di vita intelligente nel cosmo la cosa diventerebbe ancora più singolare.

Se le restrizioni autoimposte alla scienza in Occidente non cambieranno, la fiaccola della scienza del 21° secolo passerà nelle mani dei BRICS e succederanno molte cose eccitanti.

Certe persone hanno avuto l’opportunità di esperire un fenomeno per il momento inusuale: i normali confini della mente si allontanano e la persona ha una improvvisa, travolgente e ineffabile esperienza panenteistica della vera natura della realtà: tutte le cose sono collegate, l’universo è olografico, benevolo e propositivo, e dietro a tutto questo c’è una grande mente di cui siamo tutti frammenti.

La realtà è verosimilmente molto meno scettica degli “scettici” riguardo a quel che è e quel che può fare. Se ne fa un baffo della nostra nozione di “normale” e “paranormale”.

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In conclusione, il materialismo e il fondamentalismo religioso sono impegnati in una lotta per la sopravvivenza e si sostengono a vicenda combattendosi, per poter restare sotto le luci della ribalta, per restare rilevanti. Purtroppo per loro milioni di persone si sono accorte che queste visioni del mondo hanno superato la data di scadenza e che, pur con tutte le ingenuità, distorsioni, furbizie, manipolazioni, ecc. della New Age, qualcosa di nuovo e importante sta emergendo e non ci è ancora dato di sapere cosa sia.

Materialisti e fondamentalisti se ne staranno lì, ai margini del dibattito, con le loro bandiere, a difendere la teologia dell’età del bronzo e la scienza del diciannovesimo secolo, mentre il mondo procede oltre e li consegna alle curiosità museali.

Dunque non c’è bisogno di combattere gli uni o gli altri, a meno che non intendano dominare la scena: le loro rispettive visioni del mondo cadranno a pezzi nel giro di una generazione. Il tappo sta già saltando, grazie alla fisica/astrofisica, alla biologia, alle scienze cognitive, che stanno inoltrandosi sempre di più in un terreno in cui si realizza una stimolante sintesi di scienza e spiritualità, loro malgrado.

Quello è il futuro, loro sono il passato.

Lo sfaldamento del PD, il rischio di cattura cognitiva del M5S e il recupero della Concordia

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Inizia la fase decisiva per il recupero della nave da crociera: alla fine sarà raddrizzata e fatta galleggiare.

RomagnaNoi, 17 aprile 2013

L’Italia può essere raddrizzata a fatta galleggiare, se ci sarà concordia, rispetto e fiducia tra un PD rinnovato e il M5S.
Ci sono forze non-democratiche che avrebbero tutto da guadagnare da una giacobinizzazione del M5S e dalla formazione di un fossato invalicabile che separasse queste due espressioni della politica italiana:

Provo un certo godimento, degli orgasmi, a vedere Grillo sfasciare tutto. Il nostro sistema politico è talmente marcio che spero che dal grande caos rinasca tutto. Oggi voterei per lui.

Vittorio Feltri a La Zanzara, 6 novembre 2012

Dobbiamo riuscire a costruire, innovare, democratizzare e unire ciò che viene separato dai seminatori di zizzania.
Ho già spiegato che Fabrizio Barca-Mirabeau può essere la persona giusta (N.B. Non è l’unico! Non ci servono salvatori, ci si salva assieme o si affonda insieme):
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/15/a-roma-serve-un-barca-non-un-alcibiade-la-terza-repubblica-in-33-comode-rate/

A questo proposito, mi trovo, come sempre più spesso mi capita, in sintonia con Barbara Spinelli:

L’accordo fra sinistra e 5 Stelle sul nome del Presidente è infecondo solo se teniamo il naso schiacciato sull’oggi, anzi sull’ieri (le larghe intese erano solo con la destra). Se guardiamo lontano, se vediamo lo sfaldarsi del Pd non come una sciagura ma come un’opportunità, l’accordo con Cinque Stelle può essere reinvenzione democratica. Tra le righe è quel che dice Fabrizio Barca, nel programma presentato il 12 aprile in favore di un Pd disfatto e rifatto a nuovo.

I militanti di 5 Stelle preconizzano ad esempio l’immissione nella democrazia rappresentativa di esperienze sempre più estese di democrazia deliberativa, diretta. Non siamo lontani dallo sperimentalismo democratico che secondo Barca deve innervare il futuro Pd

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/04/15/a-roma-serve-un-barca-non-un-alcibiade-la-terza-repubblica-in-33-comode-rate/

[…].

Chi adotta il metodo minimalista non crede che lo Stato possa molto, per curare la democrazia malata o attenuare la povertà sociale. Quel che gli importa, è preservare una chiusa élite (di esperti politici, di tecnici) che prenderà decisioni senza curarsi se funzionino, convinta com’è che i piani di austerità daranno ineluttabilmente frutti anche se immiseriscono popoli interi.

Il candidato al Colle preferito da simili élite non deve essere popolare, non deve nemmeno rappresentare un emblema ideale per i cittadini: deve essere abile, e soprattutto omogeneo alle oligarchie che lo faranno re. Meno popolare sarà, più sarà scongiurato il pericolo, temuto dai benpensanti del vecchio ordine, del populismo. A parole, i minimalisti si augurano uno Stato leggero, non invadente. Nei fatti, le oligarchie partitocratiche vivono in osmosi con lo Stato e rendono quest’ultimo più che pervasivo, indifferente alla voce di chi (localmente, nelle Azioni Popolari, nei voti online) reclama cambiamenti.

Tutt’altra l’idea degli sperimentatori, o della democrazia deliberativa: è il metodo sfociato nel voto, da parte degli attivisti di M5S, dei candidati al Colle. L’esperimento è difficile, ma innovativo e molto più onesto di quel che era stato pronosticato. Non tutti i candidati vincenti erano graditi ai vertici del Movimento: tuttavia il verdetto è stato accolto democraticamente e con responsabilità istituzionale.

[…].

Stupidità fanfaronesche s’incrociano spesso sul web. Ma ancor più funeste dilagano nei non meno virtuali palazzi del potere. Le cerchie partitiche, o tecniche, mostrano una conoscenza del pubblico interesse infinitamente meno vigile. Sono le cerchie contro cui si scaglia Barca, quando denuncia i “partiti di occupazione dello Stato, dove si vende e si compra di tutto: prebende, ruoli, pensioni, appalti, concessioni, ma anche regole, visioni, idee”. Berlinguer usò parole quasi eguali, quando ruppe col compromesso storico e denunciò la degenerazione dei partiti, Pci compreso (“I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo”, disse a Eugenio Scalfari su Repubblica, il 28-7-81).

[…].

Non sappiamo ancora se le strade di Barca e di Grillo si incontreranno. Se dall’eventuale incontro la democrazia uscirà più forte. Se il M5S intirizzirà, a forza di rifiutare alleanze. Resta che l’Italia ha bisogno di sperimentatori, non di minimalisti. Che solo i primi sono in grado di guardare in faccia la crisi, e di mutare anche l’Europa. Di ripensare l’austerità come aveva provato Berlinguer nel 1977, quando il capitalismo aveva appena cominciato a vacillare.

http://www.repubblica.it/speciali/politica/elezioni-presidente-repubblica-edizione2013/2013/04/17/news/coraggio_solitudine-56800260/?rss

L’alternativa è la giacobinizzazione…

Io ho amore per la ragione, ma non ne ho per il fanatismo. La ragione ci guida e ci illumina, ma quando ne avrete fatto una divinità, essa vi accecherà e vi indurrà al delitto.

Brotteaux (da Anatole France, “Gli dèi hanno sete”).

GIACOBINISMO

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I popoli non giudicano come le corti giudiziarie, non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non condannano i re: li piombano nel nulla… quale altra legge può seguire il popolo se non quella della giustizia e della ragione sostenute dalla sua onnipotenza?

Maximilien Robespierre, “Discorso per la condanna a morte di Luigi Capeto”, 3 dicembre 1792.

Io ho sostenuto, tra persecuzioni incredibili e senza appoggi, che il popolo non ha mai torto, io ho osato proclamare questa verità in un tempo in cui non era ancora riconosciuta; il corso della rivoluzione l’ha dimostrato.

Maximilien Robespierre, 25 febbraio 1793

Il fine della rivoluzione è il trionfo dell’Innocenza.

Robespierre

Questa nostra Rivoluzione è una religione e Robespierre è il capo della setta. È un prete che governa i devoti…Robespierre predica, Robespierre censura, è furioso, solenne, melanconico, esaltato – ma tutto freddamente; i suoi pensiero fluiscono con regolarità, le sue abitudini sono regolari; tuona contro i ricchi e i grandi; vive con molto poco; non ha bisogni. Ha una sola missione – parlare, e parla incessantemente; crea discepoli…parla di Dio e della Provvidenza; si definisce amico degli umili e dei deboli…riceve la loro venerazione…è un prete e non sarà mai altro che un prete.

Condorcet (1743 –1794) su Robespierre, articolo apparso su Chronique de Paris

Voi dovete punire non solo i traditori, ma anche gli indifferenti; dovete punire chiunque sia apatico nella Repubblica e non faccia nulla per essa; giacché, dopo che il popolo ha manifestato la sua volontà, tutto ciò che si oppone ad essa si pone fuori del popolo sovrano, e tutto ciò che è fuori del popolo sovrano è nemico.

Saint-Just, “Sulla necessità di dichiarare il governo rivoluzionario fino alla pace”, 10 ottobre 1793

La rivoluzione deve fermarsi quando abbia raggiunto la perfezione della felicità e della libertà pubblica per mezzo delle leggi. I suoi slanci non hanno altro scopo, e devono spazzar via tutto ciò che vi si oppone.

Saint-Just, “Frammenti sulle istituzioni repubblicane”, 1794

Quello che costituisce una Repubblica è la distruzione di tutto ciò che la contraria.

Saint-Just

Molti dei Francesi che ci avevano appoggiato ci guardavano come dei pazzi, come degli energumeni, spesso persino come degli scellerati.

René Levasseur de la Sarthe, giacobino, 1795.

La rivoluzione francese mi ha influenzato molto e in special modo Robespierre…Robespierre è il mio eroe. Robespierre e Pol Pot: entrambi hanno la medesima qualità di determinazione ed integrità.

Suong Sikoeun, uno dei leader dei Khmer Rossi (1975-1979)

Il problema non è il terrore in quanto tale, il nostro compito è precisamente quello di reinventare il terrore emancipatore.

Slavoj Zizek, “In difesa delle cause perse: materiali per la rivoluzione globale”, 2009.

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Saint-Just, orfano di padre e di origine contadina, giunto squattrinato a Parigi e col vizio del gioco d’azzardo, si iscrive ad una loggia massonica che gli finanzierà le pubblicazioni sovversive e libertine e l’acquisto di 8 ettari di terreno.

“Intanto l’abilissimo Jean de Batz, che sembra avere innato il genio dell’intrigo e della corruzione, sta preparando il suo piano: suscitare di continuo tali dissensi e sospetti in seno alla Convenzione da spingerla a disfarsi, in fasi successive, di tutti i suoi uomini più rappresentativi. […]. De Batz ordina ai suoi agenti, che ostentano di proposito un esacerbato giacobinismo (tutti o quasi, si noti, ricchi banchieri e uomini d’affari come Dufourny, Proly, Desfieux, pereyra, Gusman, d’Espagnac e i due fratelli Frey), di spingere sempre più gli estremisti a favorire, con ogni mezzo, un’insurrezione popolare che faccia sparire i deputati della Gironda, tutti irrequieti partigiani della monarchia costituzionale”.

[Da: “Saint-Just”, di Mario Mazzucchelli. Milano : Dall’Oglio, 1980, p. 109].

GRILLISMO

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“Siamo la rivoluzione francese senza la ghigliottina” (Grillo 29 marzo 2013)

“Il Movimento 5 Stelle è il cambiamento che non si può arrestare, è il segno dei tempi. È l’avvento di una democrazia popolare che pretende di decidere, di controllare il destino del suo Paese, del suo Comune, della sua vita”

“In parlamento pronti alla rivoluzione”

 “Arrendetevi! Siete circondati dal popolo italiano. Uscite con le mani alzate. Nessuno vi toccherà. Il vostro tempo è finito, non abusate della fortuna che vi ha assistito finora. Di voi, ormai, nelle piazze, tra la gente, si parla al passato, come di persone estinte. Quando apparite in televisione scatta l’insulto che equivale al vilipendio di cadavere. Quello che stupisce è la vostra folle ostinazione a non farvi da parte come se foste investiti da una missione divina. C’è in ciò qualcosa di patologico, che richiede l’intervento di uno psichiatra”.

“Siete terrorizzati, in preda di attacchi d’ansia al pensiero di perdere il potere, di qualcuno che potrà rovistare nei vostri cassetti, capire, scoprire, denunciare. Vi consiglio comunque uno, due, tre, cento passi indietro. Se anche vinceste queste elezioni avrete solo rimandato il cambiamento, durerete un anno, forse meno, ha senso? Fate una pubblica ammissione di colpa e chiedete agli italiani di perdonarvi. Arrendetevi. La vostra stessa presenza è diventata insopportabile. Il vostro tirarvi fuori da ogni responsabilità, lo scuotere le piume e minacciare come dei guappi, lo stalking a cui sottoponete gli italiani sono al di là di ogni sopportazione. Arrendetevi. Non potrete dire che non vi ho avvisato”.

Apriremo il Parlamento come una scatola di tonno”

“Siamo i pasdaran anti casta”

“Siamo i marziani a cinque stelle”

“So perfettamente che nei prossimi giorni ci sarà la fila di pennivendoli, di zoccoli dell’informazione, di specialisti della macchina della merda all’attacco del M5S. Lo so benissimo. Sono l’ultima barriera della Casta prima dell’urna. Ci vediamo in Parlamento e subito dopo in tribunale. Preparate il quinto dello stipendio se ne avete uno”.

“Un po’ Don Chisciotte e un po’ Savonarola”

“Il loro tempo è finito. Ci riprenderemo i nostri soldi”

“Niente onorevole, sarà Cittadino del MoVimento 5 Stelle, il leader sarà il MoVimento”.

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Ci sono numerose analogie tra giacobinismo e grillismo più radicale: fede rivoluzionaria, esigenza di sovversione totale, epurazioni, “dispotismo della libertà”, magistero di ortodossia, implacabilità, radicalismo, assolutismo, egualitarismo radicale, messianismo, antiliberalismo, antiparlamentarismo, meccanismi di produzione dell’unanimità, centralismo decisionale, cinismo (e nichilismo rottamatore), sospensione della realtà e trionfo del principio sul fatto, virtù indivisibile del MoVimento che perciò deve restare unito, fanatismo, violenza verbale, terrorismo psicologico.

I leader rivoluzionari più estremisti sono più spesso ventenni-trentenni, con poca esperienza di vita, che impongono la loro rozza, inesperta visione del mondo a tutti gli altri. Coltivano orgoglio, a volte crudeltà, quasi sempre un appetito di dominazione. Sono tigri erudite che non hanno ancora avuto tempo di diventare adulte.

Un fanatico austero, dal cuore freddo come la sua morale, Saint-Just si paragona a Tarquinio e Muzio Scevola. Lui e Robespierre usano spessissimo i termini “cuore”, “sensibilità” e “virtù”, come se dovessero supplire verbalmente alla loro mancanza di cuore, sensibilità e virtuosità. Saint-Just si attribuisce una ragguardevole dose di virtù, ma è un pessimo giudice di se stesso – come tutti gli esseri umani.

Sfortunatamente le rivoluzioni spesso nutrono mostri in forma umana e da esse sono fatte degenerare. La rivoluzione è anche l’habitat per gli psicopatici integrati, quelli che s’irrigidiscono nei moralismi e si fissano intransigentemente sulle virtù etiche perché non hanno empatia e quindi non possono sapere cosa sia un comportamento spontaneamente morale.

I pifferai di Hamelin sono responsabili della conversione della rivoluzione in una crociata teocratica, in un moloch che divora gli esseri umani. In nome della loro certezza che siccome c’è una sola verità e loro sono riusciti a comprenderla, ad impadronirsene definitivamente, chiunque sia in disaccordo è motivato da propositi maligni.

Robespierre si considera e dichiara vittima di persecuzione tutte le volte che qualcuno lo contraddice, si sente investito di una sacra missione, e patisce un’immensa frustrazione quando il mondo si rifiuta di sottomettersi al suo volere.

Lo stesso discorso vale per Saint-Just. Sono entrambi sicuri che la cosa giusta da fare sia ridurre la diversità del mondo al proprio denominatore individuale. Il loro ego ipertrofico proietta sul gruppo la loro esigenza di uniformità, di una singola volontà, di un carattere unitario: la premessa di ogni politica genocidaria.

Sono l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine.

Notiamo la stessa logica in molti dittatori ma anche in Karl Rove. Nel 2002, un consigliere di George W. Bush, presumibilmente Karl Rove, spiegò a Ron Suskind: “Ora noi siamo un impero e quando agiamo, creiamo la nostra realtà. E mentre voi state giudiziosamente analizzando quella realtà, noi agiremo di nuovo e ne creeremo un’altra e poi un’altra ancora che potrete studiare. È così che andranno le cose. Noi facciamo la storia e a voi, a tutti voi, non resterà altro da fare che studiare ciò che facciamo”.

O tutto o niente, o con noi o contro di noi, ora o mai più.

Non c’è rivolta senza una filosofia del limite. Sono gli psicopatici che rifiutano i limiti e non sanno distinguere tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato.

Il M5S va salvato dalla giacobinizzazione, prima che intossichi la vita del paese ed apra la strada a soluzioni autoritarie di giovani leader “salvifici”.

I due fuochi, l’uovo di serpente, la lotta per un Mondo Nuovo

Le autonomie europee alla sfida dell’immigrazione. Quali diritti-doveri per i nuovi cittadini glocali?

21 settembre 2012, 18.00

Incontro pubblico

La crisi europea offre una grande opportunità per le autonomie locali come Trentino e Alto Adige, ma anche Catalogna, Baviera, Scozia, Paesi Baschi, Corsica. Queste regioni sono protagoniste di un processo di costruzione di una identità propria sempre più fortemente proiettata sullo scenario internazionale. Tale processo crea tuttavia una fortissima tensione attorno al concetto di cittadinanza: aperta all’inclusione degli immigrati come nuovi cittadini delle autonomie europee, o chiusa su una concezione attenta alla difesa della propria identità storica e delle radici etniche e territoriali?
Ne parliamo con Lorenzo Piccoli, Stefano Fait e Piergiorgio Cattani. Introduce Michele Nardelli.

Organizza: Forum Trentino per la Pace e i Diritti Umani

Luogo: Sala Aurora, c/o Sede Consiglio Provinciale – Trento

http://www.tcic.eu/web/guest/eventi/-/asset_publisher/8ZdO/content/storie-di-immigrazione-appunti-di-cittadinanza?redirect=%2Fweb%2Fguest%2Feventi

LINEE GUIDA DEL MIO INTERVENTO

La crisi dell’eurozona e la crisi globale aprono scenari nuovi per il futuro.

Un cambiamento positivo è quello che consente di diventare più liberi, più consapevoli, più responsabili e più miti (ossia meno prevaricatori).

Un cambiamento negativo è quello in cui la piramide sociale diventa più ripida, la dignità delle persone è mortificata, la libertà è compressa, l’iniquità è diffusa, la fratellanza umana è vilipesa.

Al momento attuale il Trentino-Alto Adige, come il resto del mondo, si trova preso tra due fuochi: quello della destra neoliberista, esportato dal mondo anglo-americano (Wall Street e la City di Londra) – il suo verbo è incapsulato in quel “a me non interessano i poveri” di Mitt Romney – , e quello della destra etnopopulista/etnofederalista, particolarmente forte nell’area che si estende tra i confini settentrionali della Baviera ed il Po e che, localmente, preme per la soppressione della regione Trentino-Alto Adige e vuole che il Trentino sia escluso dalla candidatura alle Olimpiadi Invernali del 2022.

Il rischio che corriamo è quello di un ritorno al passato, addirittura ad un sistema neo-feudale su base etnica-sciovinista che si proponga come rimedio (falso) alle catastrofi prodotte dal neoliberismo (vere); cioè a dire, ad una ridotta alpina (Alpenfestung) in un’Europa unita di stampo “imperiale” (“Fortezza Europa” la chiamano i critici), tenuta insieme solo dalla bramosia di potere e risorse e dalla paura di ciò che sta fuori e di ciò che è sgusciato dentro (milioni di immigrati, molti di loro musulmani).  

Alcune citazioni aiuteranno a delineare meglio i contorni e la natura del problema.

Vergérus, “L’uovo del serpente”, di Ingmar Bergman:

Il mio esperimento è come un abbozzo di ciò che avverrà nei prossimi anni. Tuttavia nitido e preciso: proprio come l’interno dell’uovo di un serpente. Attraverso la sottile membrana esterna, si riesce a discernere il rettile già perfettamente formato.

Lucio Caracciolo (prefazione a “I confini dell’odio”, 1999):

In discussione non è la dimensione geopolitica, economica o demografica della mia, della vostra, o forse della nostra patria di domani. In gioco è il carattere delle sue istituzioni e della sua società civile. Prima di decidere pro o contro l’Europa – l’Europa delle nazioni, l’Europa delle Regioni, lo Stato europeo o l’Europa ineffabile ed esoterica degli europeisti – dobbiamo decidere per o contro la democrazia liberale. Il resto viene dopo.

La decisione, come abbiamo oramai capito, non è purtroppo così scontata.

Ho parlato di due fuochi.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012, pp. 89-90) descrive il primo fuoco:

Noi non sappiamo se la crisi attuale sia una di quelle cicliche che investono il mondo capitalistico, oppure se sia qualcosa di completamente nuovo, come nuove saranno le uscite. In ogni caso, ne constatiamo già gli effetti, più o meno evidenti, nella vita delle nazioni, i cui governi, da rappresentanti delle istanze popolari, decadono a strumenti amministrativi dell’ordine dell’economia finanziaria mondiale. Alla cementificazione del pensiero, all’espulsione delle alternative dal campo delle possibilità, all’omologazione delle aspirazioni, alla diffusione di modelli pervasivi di comportamento, di stili di vita e di status e sex symbol nelle società del nostro tempo, lavorano centri di ricerca, scuole di formazione, università degli affari, accademie, think-tanks, uffici di marketing politico e commerciale, in cui vivono e operano intellettuali e opinionisti che sono in realtà consulenti e propagandisti, consapevoli o inconsapevoli, ai quali la visibilità e il successo sono assicurati in misura proporzionale alla consonanza ideologica. La loro influenza sul pubblico è poi garantita dall’accesso a strumenti di diffusione capillari e altamente omologanti. Non è forse lì che, prima di tutto, si stabiliscono i confini simbolici del legittimo e dell’illegittimo, del pensabile e dell’impensabile, del desiderabile e del detestabile, del ragionevole e dell’irragionevole, del dicibile e dell’indicibile, del vivibile e dell’invivibile? Da qui provengono le forze simboliche potenti che, fino a ora, cercano di tenere insieme le nostre società….come in una religione, per di più monoteista.

Bruno Luverà (“Il razzismo del rispetto”, Una Città, 1999) descrive il secondo fuoco:

Nel nuovo regionalismo europeo ci sono due correnti: il regionalismo autonomista della Svp in Alto Adige o di Pujol in Catalogna, che hanno come idea-guida quella dell’autonomia dinamica, con l’acquisizione di sempre maggiori competenze per arrivare a forme forti di autogoverno, senza però che si arrivi a mettere in discussione la lealtà rispetto allo Stato nazionale, se non in una prospettiva lontana (per esempio, il diritto di autodeterminazione viene posto come valore, ma non se ne chiede l’esercizio immediato). L’altra corrente è quella, invece, micronazionalista, secondo la quale la regione diventa sinonimo di nazione, di piccola nazione, di piccola patria, e il richiamo alla regione serve per creare dei meccanismi di esclusione, serve per innalzare dei muri attorno a un luogo molto facile da controllare, potenzialmente più sicuro, in cui il criterio fondante la cittadinanza è quello dell’omogeneità etnica… La Baviera ha giocato fino in fondo la carta dell’Europa a due velocità perché questa poteva aprire scenari geopolitici interessanti. I quali, guarda caso, sarebbero andati nella direzione dell’Europa delle Regioni; l’Europa delle due velocità era uno scenario che poteva rimettere in discussione i confini.

Lucio Caracciolo, in un dibattito con Enrico Letta (Caracciolo/Letta, 2010, p. 22), illustra il punto di contatto tra i due fuochi: la distruzione del progetto europeo pluralista, democratico e liberal-socialista e degli stessi stati-nazione che lo compongono, attraverso la creazione di un’Europa a due velocità:

L’attuale crisi economica, che è sempre più una crisi sociale, rischia poi di mettere in questione il senso concreto degli Stati nazionali, a cominciare dal nostro. Quando i tedeschi riscoprono l’Euronucleo come insieme riservato ai Paesi connessi all’economia e alla cultura monetaria germanica, constatiamo che ne risulta rafforzata la tesi «padana» per cui il Nord Italia pertiene a questo spazio, il Sud niente affatto. […]. Se davvero si costituisse un Euronucleo paracarolingio, forse ne saremmo esclusi. In tal caso metteremmo a rischio l’unità nazionale. Perché se il criterio di quel nucleo è l’appartenenza alla sfera economica tedesca, fino a Verona ci siamo, più a sud molto meno. Bossi avrebbe buon gioco a rispolverare i suoi argomenti secessionisti. Per la Lega l’Euronucleo tornerebbe a rivelarsi la leva per dividere l’Italia, non per unire l’Europa.

Zbigniew Brzezinski, architetto della politica estera statunitense in Eurasia dagli anni Settanta, mentore del giovane Obama e co-fondatore con David Rockefeller della Commissione Trilaterale, ha espresso la sua approvazione per questo genere di sviluppo, che si integra perfettamente nelle strategie della NATO (Christian Science Monitor, 24 gennaio 2012):

Io credo che, alla fine, la risoluzione della crisi odierna in Europa non funzionerà poi tanto male…Inevitabilmente, una vera unione politica prenderà gradualmente forma, all’inizio probabilmente attraverso un trattato di fatto, che sarà raggiunto con un accordo intergovernativo nel prossimo futuro. Sarà un’Europa a due velocità. Non c’è niente di male in un’Europa che è in parte e contemporaneamente un’unione politica e monetaria nel suo nucleo centrale e che accetta di essere diretta da Bruxelles, circondata da un’Europa più ampia che non fa parte dell’eurozona ma condivide tutti gli altri vantaggi dell’Unione, per esempio la libera circolazione delle persone e delle merci. È un progetto in linea con la visione post-Guerra Fredda di un’Europa in espansione, unita e libera.

Questo è un progetto che piace molto alle fondazioni e think tank neoliberisti e che potenzierebbe a dismisura le spinte secessioniste nei paesi relegati in “serie B”. Catalogna, Paesi Baschi, Scozia, Alto Adige e “Padania” difficilmente tollererebbero l’esclusione.

In un’intervista per il Corriere della Sera (“Ispiratevi alle città del Rinascimento”, 14 luglio 2012), Marcia Christoff Kurapovna, sfegatata paladina del neoliberismo residente a Vienna, ha perciò esortato la Grecia e l’Italia a seguire l’esempio jugoslavo, smembrandosi in piccoli staterelli sul modello dell’Alto Adige/Sudtirolo. Ha sorvolato però sul dettaglio che tali micro-entità sarebbero istantaneamente e completamente alla mercé dei mercati, delle oligarchie finanziarie, delle multinazionali.

Esaminiamo dunque questo progetto di uno Stato Libero del Sudtirolo.

Il politologo Günther Pallaver, intervistato nel febbraio del 2009 da Gabriele Di Luca, in vista di un dibattito pubblico sul tema “Stato libero: una visione” ha dichiarato, in modo piuttosto perentorio:

Chi rivendica il diritto all’autodeterminazione sottolinea in continuazione che gli italiani – in uno Stato autonomo o nell’ambito dello Stato austriaco – sarebbero tutelati come lo sono i tedeschi in Italia. Ciò significa che la tutela attuale non può essere poi così male. Ma se penso a come l’Austria tutela le sue minoranze, allora il mio scetticismo si acuisce. Basta dare uno sguardo alla Carinzia, dove vive la minoranza slovena. Confesso che in uno Stato sovrano avrei paura del nazionalismo tedesco, dei suoi impulsi vendicativi. Solo fino a pochi anni fa gli Schützen dichiaravano che gli italiani sono solo ospiti in questa terra, un’assurdità che contrasta con i diritti fondamentali dell’uomo, poiché ogni cittadino dell’Unione Europea ha il diritto di residenza in tutti i suoi Stati membri. Preferisco dunque le certezze di oggi: garanzie costituzionali e internazionali e una cultura politica europea di democrazia e tolleranza. Alle promesse di un radioso futuro preferisco le sicurezze del presente.

I Freiheitlichen hanno commissionato la stesura della bozza di una possibile costituzione per lo Stato Libero del Sudtirolo. Tale bozza corrobora i timori di Pallaver, stabilendo che lo strumento referendario consentirebbe di emendare la costituzione: il che introduce la prospettiva di una tirannia della maggioranza che stravolga quegli articoli che tutelano i diritti civili di chiunque risieda in Alto Adige – in primis gli immigrati, che non sono particolarmente ben visti –, lasciando intatti quelli più problematici, come quello che consente ai ladini veneti di chiedere l’annessione al nuovo stato, generando ulteriori tensioni con l’Italia e quello che sancisce il diritto per ogni gruppo etnolinguistico di difendere la propria identità, aprendo la strada ad ogni possibile interpretazione. Infatti, molti si ricorderanno della famosa vicenda della rana verde che stringe un boccale di birra ed un uovo tra le zampe, autoritratto dell’artista Martin Kippenberger, torturato dall’alcolismo, la sua croce. Fu esposta al Museion di Bolzano e scatenò la furia di una parte della popolazione locale. Il presidente del Consiglio Regionale, Franz Pahl, arrivò a dire che “la Rana è un oltraggio alla nostra cultura. Se continueremo di questo passo arriveremo alla totale anarchia”. Ora, al di là del fatto che la stessa destra che mandava gli Schützen a presidiare l’accesso al Museion ora bolla come primitivi i musulmani che si sentono ingiuriati da una pellicola trash che ritrae Maometto come un pedofilo-stupratore-pappone-sterminatore, questa è una dichiarazione che esplicita la bizzarra credenza che non insegnare ai bambini la (presunta) verità di una particolare religione equivalga ad educarli al nichilismo. Bizzarra perché c’è da augurarsi che molti concordino nel dire che la fonte più affidabile per una condotta autenticamente morale è imparare a metterci nei panni degli altri – pur tenendo conto dei loro gusti. Chiunque dovrebbe essere in grado di farlo, ma sono proprio le militanze ed identificazioni forti (incluso l’ateismo) ad essere di grave ostacolo. Pichler-Rolle, il presidente del partito di governo in Alto Adige, l’SVP, chiese la rimozione dell’opera perché “troppi sudtirolesi si sono sentiti feriti nei loro sentimenti religiosi”.

Gustavo Zagrebelsky (“Simboli al potere”, 2012,  p. 45) ci ragguaglia rispetto al potere dei simboli ed alla necessità di democratizzarli:

“Il simbolo che non è di tutti, ma è solo di qualcuno, cessa di essere simbolo e diventa diabolo. Viene meno ai suoi compiti d’unificazione, di diffusione di sicurezza e di promozione di speranza…Se qualcuno se ne impadronisce, governandone i contenuti, inculcandoli come propaganda o come pubblicità nella testa degli altri, facendone così strumento di governo e di dominio delle coscienze, il simbolo cambia natura…Il simbolo-diabolo può diventare il diapason del potere totalitario.

Chi controlla certi simboli controlla le coscienze attratte da tali simboli; può così dominare intere nazioni (pensiamo ad Hitler, alla swastika, all’Ariano) e magari perfino interi pianeti.

Quel che vogliono i Freiheitlichen è, molto semplicemente, una piccola fortezza, una ridotta alpina, all’interno della Fortezza Europa.

Proprio sul tema delle fortezze in Alto Adige e della loro vacuità, la celebre scrittrice indiana Arundhati Roy ha qualcosa da dire (da “The Briefing”, Manifesta 7, 2008):

Cosa custodivano qui, care compagne e compagni? Cosa difendevano? Armi. Oro. La civiltà stessa. Questo è ciò che dice la guida…Quando le ossa di pietra di questo leone di pietra saranno interrate nella terra inquinata, quando la Fortezza-che-non-è-mai-stata-attaccata sarà ridotta in macerie e la polvere delle macerie avrà formato dei cumuli, chissà che non nevichi di nuovo.

Per concludere, un intervento (Alto Adige, 25 luglio 2012) di Luigi Gallo, assessore alla Partecipazione, al Personale e ai Lavori Pubblici del comune di Bolzano, che va dritto al cuore del problema. Rispondendo a due lettori impregnati di luoghi comuni xenofobici, mostra il nesso tra i due fuochi, l’immigrazione e l’unica, concreta, attuabile soluzione ai nostri problemi, un autentico viatico verso un Mondo Nuovo:

I due lettori hanno sacrosanta ragione a lamentare una drammatica crisi economica che colpisce giovani, pensionati, lavoratori; ma dovrebbero rivolgere i propri strali verso altri bersagli; mentre loro guardano male il carrello della spesa del vicino immigrato o notano con invidia la marca della sua auto di “seconda mano”, qualche decina di speculatori a livello mondiale – con un clic sulla tastiera di un computer – guadagna miliardi di euro con operazioni di Borsa che mandano sul lastrico interi paesi, Italia compresa; le conseguenze sono poi che i governi di quei paesi devono tagliare gli ospedali, le scuole e le pensioni per risparmiare e pagare interessi astronomici sui titoli di stato. Forse i due lettori potrebbero prendersela con queste politiche economiche che tagliano pensioni e diritti del lavoro mentre gli evasori fiscali rimangono salvi. Certo, è più facile guardare il vicino di casa che viene dal Marocco o dal Pakistan e pensare che sia colpa sua, ma non è così. Piaccia o meno, semplicemente non è così. Avete tante ragioni cari signori ma la guerra fra poveri serve solo a distruggere la solidarietà fra le persone e a far ridere “quelli in alto, ma molto in alto” che decidono la nostra vita. Sta a voi decidere da che parte stare

Anarchismo di destra, anarchismo di sinistra – due ideologie magnifiche e terribili

Giannino

Il nostro spettacolo è finito. Questi nostri attori,

come ti avevo detto, erano tutti spiriti

e si sono dissolti nell’aria, nell’aria sottile.

E, come l’edificio senza fondamenta di questa visione,

le torri ricoperte dalle nubi, i palazzi sontuosi,

i templi solenni, questo stesso vasto globo, sì,

e quello che contiene, tutto si dissolverà.

Come la scena priva di sostanza ora svanita

tutto svanirà senza lasciare traccia.

Noi siamo della materia di cui sono fatti i sogni;

e la nostra piccola vita è circondata da un sonno.

Prospero, “La Tempesta” (William Shakespeare ci insegna che le nostre battaglie sono lo sfondo di qualcos’altro)

Grosso modo, l’umanità si colloca variamente lungo un asse che collega due estremità che in natura molto probabilmente non esistono, almeno non su questo pianeta. Ad una estremità si trova il debitore radicale, quello che si sente in debito con il mondo e deve continuare a farsi gli affari degli altri per meglio aiutarli. All’altra estremità si trova il creditore radicale, ossia quello che si sente in credito con il mondo e vede nel prossimo uno strumento per il proprio tornaconto.

L’anarchismo di sinistra è l’ideologia di riferimento del debitore radicale, l’uomo che “i bambini, i bambini, pensate ai bambini!”.

L’anarchismo di destra è l’ideologia di riferimento del creditore radicale, l’uomo che “non deve chiedere mai”, perché tutto gli spetta.

L’anarchico di sinistra è facilmente manipolabile facendo leva sul suo eterno senso di colpa e sul suo narcisismo. L’anarchico di destra si manovra sfruttando l’odio e la paura.

Se militanti, entrambi sono a rischio di diventare perdenti radicali: “Convinto della propria superiorità e animato da cieco vittimismo, [il perdente radicale] chiede a gran voce rispetto per sé senza riconoscerlo agli altri. Riservando solo alla propria minoranza di eletti la salvezza da un mondo che condanna alla morte”

http://books.google.it/books/about/Il_perdente_radicale.html?id=j3qr2y3BjTUC&redir_esc=y

[A proposito di nichilismo: “The End”, dei Doors, è la sigla del programma di Oscar Giannino, in onda sulla radio del Sole 24 Ore, il giornale di proprietà di Confindustria, ossia dell’establishment].

Entrambi, se militanti, sono tendenzialmente totalitari. Infatti non possono che ricercare una rivoluzione dell’esistente. Non possono tollerare gli esseri umani come sono, né le istituzioni democratiche, quel giusto mezzo che media tra gli estremi, che fa incontrare gli opposti: “L’ego umano fatica a mantenere assieme gli opposti contrastanti (riconciliazione degli opposti, coincidentia oppositorum, interdipendenza dei contrari: Baldur e Loki, Osiride e Set, Apollo e Dioniso, Pesci e Gemelli), perché questa coesistenza lo rende insicuro, incerto; la percepisce come caotica. Per questo tende a polarizzarsi: o bianco o nero, o sionismo o antisemitismo, sebbene non ci sia luce senza oscurità, verità senza errore, bianco senza nero. Ci risulta difficile credere che Dio possa contenere tutti gli opposti, trascendere ed armonizzare le dualità, anche se per definizione lo fa (cf. Paracleto)”.

https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/04/10/lantisemitismo-lanti-sionismo-e-la-mentalita-apocalittica/

L’anarchismo di sinistra, per poter essere realizzato, come aveva ben capito Marx, necessita di una dittatura che riformi la natura umana ed elimini o soggioghi gli irriformabili.

L’anarchismo di destra, per poter essere realizzato, come aveva ben capito Hitler, necessita di una dittatura che protegga gli eletti ed elimini o soggioghi gli impuri.

Per questo entrambe le dottrine devono restare nell’ambito teorico e non entrare mai in quello pratico.

Il rischio di furia nichilista rilevato dai sondaggi europei è reale e va contrastato

Un sondaggio per le Acli da Ipr Marketing, realizzato tra il 22 ed il 25 aprile del 2012 e pubblicato il 2 maggio 2012, mostra che il numero di Italiani che ritiene che l’unico mezzo per cambiare il paese sia una rivoluzione (32,5%) non si discosta molto da quello di chi preferirebbeinterventi graduali e condivisi” (35,7%). Il 49,7% degli Italiani non crede più alla capacità o volontà dei politici di migliorare la società. L’opzione rivoluzionaria è di gran lunga maggioritaria tra i giovani (18-34 anni) dove raggiunge il 41,4% e tra gli adulti di età compresa tra i 35 ed i 54 anni (36,7%); anche tra le persone più anziane (oltre i 54 anni) è comunque condivisa da un ragguardevole 22,1%. Il 32,3% delle donne approverebbe una rivoluzione.

L’opinione pubblica greca si è orientata nella stessa direzione già nel 2011. Uno dei principali istituti demoscopici del paese, “Questioni Pubbliche”, ha rilevato che un terzo dei Greci (33%) desiderava una rivoluzione e che, complessivamente (includendo anche i contrari), la sensazione è che la rivoluzione sia in ogni caso assai probabile (78% contro un 21% di chi la considera improbabile), un valore in aumento del 7% rispetto al 2010.

Questo sondaggio è stato pubblicato nel maggio 2011, prima che si verificasse il tracollo socioeconomico che ha costretto Poul Thomsen, il capo della missione dell’FMI incaricata di monitorare il risanamento delle finanze della Grecia, ad ammettere che la via dell’austerità intransigente si è rivelata una scelta sbagliata (“IMF official admits austerity is harming Greece”, Guardian, 1 febbraio 2012).

In Spagna, un sondaggio pubblicato da El País il 30 aprile del 2012 registra un aumento del 10% (al 70%) degli intervistati, rispetto all’ottobre del 2011, che rispondono che le misure di austerità stanno solo distruggendo l’economia del paese. Solo un 21% degli intervistati crede che non ci siano alternative (-9%).

Il rapporto speciale dell’Eurobarometro 379 (dicembre 2011, pubblicato nell’aprile del 2012), dal titolo “Il futuro dell’Europa”, conferma che il 33% vuole cambiamenti anche radicali e rapidi (44% in Italia).

Gli altri indicatori misurati nel sondaggio descrivono un umore molto cupo in tutto il continente.

Poco più della metà degli europei concorda sul fatto che la sua voce conti nel proprio paese (52%) e solo un terzo sente che questo è il caso nell’Unione Europea (33%). In Italia i due valori crollano rispettivamente al 18% ed al 16%. L’89% dei cittadini europei reputa che esista un’ampia discrepanza tra il sentire dell’opinione pubblica e le decisioni prese dai leader politici. Spagnoli, Francesi e Tedeschi sono, a sorpresa, mediamente più severi degli Italiani nel valutare l’estensione di questo gap. Il 42% non pensa che i dirigenti europei siano in grado di gestire le sfide globali. In Francia, Paesi Bassi, Svezia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Grecia prevale la sfiducia. In Germania il valore è del 49%.

Il 52% pensa che la vita sarà più difficoltosa nel 2030, una crescita del 20% rispetto al 2009.

L’Europeismo è ancora flebile. Anzi, come vedremo nel capitolo sui miti europeisti, si sta indebolendo. Solo il 4% si sente già cittadino europeo, senza alcuna affiliazione nazionale. L’8% si sente prima di tutto europeo e poi cittadino della propria nazione. Il 46% antepone la nazione all’Europa e ben il 39% non sente alcun tipo di legame con l’Europa o le è ostile. Grecia, Portogallo e Ungheria si sentono sempre meno europei (-6%) rispetto al 2009.

Coerentemente, rispetto al 2007, l’importanza della diversità culturale tra le qualità che devono essere centrali nel progetto europeo è cresciuta dal 32% al 44%; è anche il valore che è salito maggiormente, a testimonianza del fatto che gli Europei sono molto affezionati alle proprie specificità.

Anche il governo economico unificato auspicato dai leader europei arriva al terzo posto tra le priorità degli Europei (33%), dietro maggiore equità (51%) ed una migliore istruzione (38%). Un esercito comune è in fondo alle priorità degli Europei.

Un sondaggio di Metroscopia riguardante l’immagine dell’Unione Europea in Spagna indica che la percentuale di cittadini che credono che l’adesione all’UE sia una buona cosa è scesa al 55% (10 punti percentuali in meno nel corso di tre mesi e 25 punti in meno rispetto al 2009). Al contrario, il 37% crede che appartenere all’Unione sia negativo per il paese. Un dato senza precedenti che rappresenta un aumento di 33 punti percentuali dall’inizio della crisi e 15 solo negli ultimi tre mesi.

Il rapporto 76 “Europa 2020” (marzo 2012) dell’Eurobarometro avvalora il dato spagnolo. Solo un 38% degli Europei pensa che l’Unione stia andando nella direzione giusta nel tentativo di risolvere la crisi, un valore in discesa di 8 punti percentuali rispetto ad un anno prima.

La cosa non deve sorprendere. Il Rapporto Flash dell’Eurobarometro numero 338 (ricerca sul campo dicembre 2011, pubblicazione aprile 2012), intitolato “Monitorare l’impatto sociale della crisi: percezione dell’opinione pubblica nell’Unione europea”, rileva che il 63% degli intervistati europei sostiene di correre il rischio di non riuscire a far fronte a spese impreviste di € 1.000 per il prossimo anno, il 45% dice di non potersi permettere di pagare le bollette ordinarie o acquistare cibo, il 43% dice di non essere in grado di pagare l’affitto o un mutuo e il 31% pensa che ci sia il rischio che non riesca a saldare i suoi debiti. Guardando ai prossimi 12 mesi, poco meno della metà (47%) si aspetta che tutto rimanga come prima e più di un terzo (36%) prevede un peggioramento, rispetto al 26% dell’ottobre 2010. Quasi un quinto (18%) degli intervistati non è sicuro di poter mantenere il suo posto di lavoro nei prossimi 12 mesi. Il 48% crede che, in quel caso, avrebbe difficoltà a trovare un altro impiego. La maggioranza (57%) degli intervistati europei teme che non avrà un reddito sufficiente per vivere la propria vecchiaia dignitosamente (53% a ottobre 2010). In Germania il dato è del 58%. In Europa, 1 cittadino su 6 nel corso degli ultimi 12 mesi ha dovuto scegliere tra pagare le bollette e comprare generi di prima necessità.

Nel 2011, in Grecia, si era ventilata l’ipotesi di un referendum. L’uomo dietro questa proposta era l’allora Ministro degli Interni Charalambos “Charis” Kastanidis, figlio di una vittima delle persecuzioni della dittatura dei Colonnelli. Paladino dei diritti umani, era determinato a sentire il parere dei Greci su quanto fossero disposti a rinunciare ed in più di un’occasione aveva messo in discussione l’efficacia di una terapia a base di misure di austerità, incolpato i grandi interessi finanziari di imporre la loro volontà a paesi sovrani e suggerito di seguire altre vie, per evitare che il tenore di vita greco crollasse istantaneamente a livelli disumani. Quel governo fu sostituito da un governo guidato dal banchiere Papademos. Oggi le cose sono cambiate e le obiezioni di Kastanidis sono diventate patrimonio di una maggioranza di elettori in diversi paesi europei (es. Francia, Olanda, Grecia e Irlanda).

È il segnale che almeno una parte dell’opinione pubblica europea sta entrando in una nuova fase in cui comincia a farsi sentire l’esigenza di espandersi, di formulare obiettivi chiari, di rivedere sì il proprio stile di vita ma senza distruggere il futuro delle nuove generazioni. La mia speranza è che questo blog possa assistere questo processo di elaborazione concettuale ed in particolare serva a mettere in crisi quella parallela e crescente propensione ad auspicare un’esplosione di furia cieca contro tutto e tutti, inclusi quei politici che vorrebbero sinceramente migliorare le cose. L’umore diffuso, oggigiorno, è incapsulato in un motto semplice ed incisivo: “ora basta”. Ma è inaccettabile che si faccia di tutte le erbe un fascio anche se è comprensibile che ciò avvenga, date le attuali tragiche circostanze.

IL RIGETTO DELL’EUROPA

I dati dell’eurobarometro del novembre 2011 mostrano che, alla domanda se siano o no in favore di un’unione economica e monetaria con una valuta comune, l’euro, i favorevoli sono passati dal 63% della primavera del 2007 al 53% della fine del 2011. I contrari sono passati dal 31% (2007) al 40%. Ad una domanda riguardante le loro personali previsioni in merito alla crisi, il 68% ha risposto che “il peggio deve ancora arrivare”. Solo il 23% crede che le cose miglioreranno a breve. La domanda su quali istituzioni siano più in grado di gestire la crisi, vede l’Unione Europea al 23% contro il 20% dei governi, che già godono di scarsissima fiducia. Una percentuale analoga ha scelto altro, nessuna o non lo so. Gli eurobond interessano davvero a pochi (44%) rispetto alla lotta all’elusione fiscale (88%), una maggiore trasparenza dei mercati finanziari (87%), la tassazione sui profitti bancari (81%) e la regolamentazione dei salari nel settore finanziario (79%). La fiducia dei cittadini europei nei confronti dei loro governi ha raggiunto un minimo di 24%, verso i loro parlamenti è al 27%, verso l’Unione Europea è al 34%. Richiesti di dare un giudizio sull’Unione Europea che includa anche una posizione neutrale, il 26% si è detto ostile, il 31% favorevole, il 41% neutrale. Gli ostili sono cresciuti del 6% in soli sei mesi, i favorevoli sono crollati di nove punti percentuali. In pratica, siamo entrati nel 2012 con il 72% dei cittadini europei che non dà un giudizio positivo dell’Unione Europea, con una tendenza prevalente nel segno di un ulteriore calo delle impressioni favorevoli.

I dati statistici raccolti periodicamente dall’Unione Europea indicano che già nel 2010 il 47% Europei non si fidava dell’Unione Europea, contro un 42% in favore. Il tasso di fiducia era in caduta libera (-7%) rispetto all’autunno del 2009. Tra i più scettici figuravano Grecia, Germania, Austria, Regno Unito, Francia e Svezia. Tra i più favorevoli: Estonia, Slovacchia, Bulgaria e Danimarca. In ogni caso, tra il 2000 ed il 2006, il numero di coloro che avevano un’immagine positiva dell’Unione Europea non ha mai superato il 50%, oscillando intorno al 46%. Le nazioni con l’opinione migliore includevano, ai vertici, Irlanda (73%), Grecia (58%), Italia (56%), Spagna (51%) e Portogallo (50%), tutte nazioni successivamente colpite duramente dalle politiche europee e che ora sono tra le più scettiche. Se si osservano questa variazioni di fiducia si può constatare che i popoli meglio disposti sono quelli che ci guadagnano di più. L’europeismo, per i cittadini europei, sembra aver ben poco a che fare con aneliti morali e molto a che fare con considerazione di ordine esclusivamente pratico, come peraltro è normale che sia: le istituzioni devono servire i cittadini, non il contrario. Così, gli Italiani, in pochi anni, sono passati dalla condizione di entusiastico europeismo al più robusto euroscetticismo e, tra i Greci, il 64% ha un’immagine negativa della Commissione Europea, il 65% della Banca Centrale Europea. Alla domanda se l’Unione Europea abbia avuto un impatto positivo sull’impiego e sulle politiche sociali, i sì sono crollati del 19% in Italia, 20% in Francia, 25% in Portogallo, 29% in Grecia, 31% a Cipro. In Spagna il valore si è quasi dimezzato, passando dall’84% del 2009 al 44% del 2011.

Un recente sondaggio di YouGov-Cambridge segnala che quasi due terzi degli inglesi vorrebbero allentare i legami con l’Unione Europea o, addirittura, sarebbero pronti ad abbandonare la nave. Il 60% domanda un referendum sulla permanenza nell’Unione, il 40% sarebbe felice di stabilire accordi commerciali e di cooperazione con l’Unione Europea, ma dall’esterno (attualmente circa il 50% delle leggi promulgate dal parlamento inglese ha origine da iniziative europee). Solo il 27% sarebbe felice che le cose restassero come sono. Un sondaggio tedesco commissionato dalla Frankfurter Allgemeine indica che tre quarti dei tedeschi non pensano che l’euro abbia un futuro e che solo il 19% ha ancora fiducia nella valuta comune. Il 68% non crede che la Grecia possa essere salvata. Un altro sondaggio per Die Welt vede l’opinione pubblica tedesca divisa tra un 50% che desidera tornare al marco e un 48% che sarebbe felice di tenersi l’euro. Nove svedesi su dieci non hanno alcuna intenzione di abbandonare la corona in favore dell’euro.

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