La storia d’America, il futuro del mondo, lo scriviamo tutti noi
9 giugno 2016 a 14:43 (Verso un Mondo Nuovo)
Tags: American Soul, Elizabeth Warren, futuro dell'America, Hillary Clinton, Israele, M.P. Hall, Needleman, Obama, oro cinese, Putin, renegade, Sanders, secret destiny of America, Xi Jinping
Apocalisse = Rivelazione – per chi ha avuto o avrà esperienze che non sa spiegare
3 aprile 2013 a 07:51 (Antropologia, Jacob Needleman, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: America, anima, animali domestici, apocalisse, Cartesio, Chihiro, comunità, conosci te stesso, consapevolezza, coscienza, Critica della ragion pura, Descartes, ego, empirismo, empirismo interiore, evoluzione, facoltà mentali, facoltà psichiche, fisica quantistica, Hayao Miyazaki, impersonalità, individualismo, io, Jacob Needleman, Jung, Kansas, Kant, La Città Incantata, Mago di Oz, mente, Miyazaki, Needleman, neurotrasmettitori, Oz, Platone, psiche, realtà, Sé, scienza, scienza dell'anima, scienze cognitive, Senofonte, Socrate, trascendenza
esperienze come queste, ad esempio:
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/05/11/di-che-vita-parlava-gesu-della-vita-della-morte-e-delle-esperienze-extracorporee/
Jacob Needleman intervistato da Richard Whittaker, Parabola, Autunno 2012
Jacob Needleman ha abbandonato una carriera in medicina per dedicarsi alla filosofia, studiando ad Harvard e Yale, per poi insegnare alla SFSU.
Richard Whittaker: Ho pensato che, visto che lei insegna filosofia, potrei chiederle di parlare un po’ dell’ignoto nella tradizione filosofica occidentale.
Jacob Needleman:…Quando sento la frase “l’ignoto” penso prima di tutto ad Immanuel Kant, forse il più grande filosofo moderno. Ha definito qualcosa di essenziale per la modernità del mondo occidentale attraverso un libro straordinario chiamato “La Critica della Ragion Pura”. Si tratta di un vasto e complesso capolavoro, è come camminare in una grande cattedrale per l’immensità e la profondità di pensiero e di comprensione in esso contenute. Per dirla in breve, ha sostenuto con insuperabile forza di persuasione che la struttura della mente plasma la nostra realtà, che ci sono categorie con cui opera la mente, organizzando i dati che ci provengono dai nostri sensi.
Organizza tutti i dati automaticamente al di sotto del livello cosciente in modo che nel momento in cui otteniamo una percezione del fiore o del tal oggetto, essa è già stato ordinata dalle categorie attraverso le quali opera la mente. Tutta la nostra esperienza prende forma passando attraverso queste funzioni plasmanti. Quindi non possiamo veramente mai sapere come sono le cose indipendentemente dalla nostra percezione di esse….Qualunque sia il grado di certezza sul mondo che ci sembra di avere – come ad esempio la legge di causalità – è semplicemente una certezza che la mente sovrappone irresistibilmente alla nostra percezione…Per molte persone è stata e rimane ancora una presa di coscienza (!) sconvolgente pensare che l’umanità non avrà mai la possibilità di conoscere la realtà così com’è.
[…].
Mi sono reso conto che avevo una specifica capacità della mente, la capacità di ritrarre la mia attenzione da tutto ciò che si trova all’esterno, al di fuori di “Io”, rivolgendola verso me stesso.
Ora, ho trascorso molto tempo a contatto con grandi insegnamenti spirituali, come i sermoni di Meister Eckhart, la Bhagavad Gita e molte altre fonti. A un certo punto, e in alcuni contesti, quasi tutti parlano dell’opera di distogliere l’attenzione da quelli che Eckhart chiama “gli agenti dell’anima”, dai dati che ci portano i sensi, i pensieri, per rifocalizzarla su se stessi.
[…]
È stata un’esperienza di estremo interesse. Potevo separarmi – in maniera molto sana – dall’esperienza di essere preso, ingoiato dai pensieri, dalle immagini emotive e dal mondo esterno. Ciò ha avuto una grande influenza su di me. Non c’era alcun senso di alienazione dalla natura o dalla vita intorno a me, ma solo la sensazione di una nuova capacità mentale, personale, che non sapevo di avere.
[…]
Penso che Cartesio sia stato demonizzato per questo, perché ha fatto una distinzione radicale tra mente e materia, queste due realtà fondamentali che, a suo dire, non hanno nulla in comune l’una con l’altra. E questo ha generato un paradosso. Come interagiscono tra loro, visto che ovviamente lo fanno
ogni volta che ci muoviamo intenzionalmente? Un paradosso che è rimasto con noi.
[…]
RW: Socrate è questa figura basilare grazie a Platone. Da dove spunta fuori? Dove ha trovato la sua conoscenza? So che è una domanda che non trova risposte definitive, ma resta una domanda interessante, non è vero?
JN: Dobbiamo riconoscere di Socrate, prima di tutto, che tutto quello che sappiamo di lui e della sua grandezza è qualcosa che si è svolto in forma di dialogo con altre persone. Era un maestro nel mostrare alle persone che non sapevano quello che credevano di sapere. Era un maestro nel togliere alle persone le loro certezze, in particolare nelle questioni morali, ma anche più in generale. Questo modo di interrogare, in un faccia a faccia, era un aspetto fondamentale di Socrate, e Platone ha colto un suo tratto, ma forse non l’intera cosa. Un altro scrittore greco, Senofonte, ha scritto dei suoi incontri con Socrate e di un altro aspetto della forza di Socrate come persona: indagava e sapeva ascoltare.
[…]
Ed è questa la liberazione che ci dona. Approfondire realmente una questione ci mette in contatto con un’altra parte di noi stessi che le nostre “risposte” normalmente occultano; questa è la libertà dal noto di cui parlano Krishnamurti ed anche altri. La grande risposta è avvertita come una domanda, quando è un maestro che ve la offre. Il noto può essere uno schiavista.
L’altra cosa principale di Socrate è che lui invitava ogni persona a conoscere se stessa – a prendersi cura di ciò che egli chiamava l’anima, prendersi cura del vero sé. Il primo obiettivo di chiunque avrebbe dovuto essere quello di essere solleciti nei confronti dell’anima. Tutto il resto ci porta fuori strada…Prenditi cura del tuo vero sé, della tua vera coscienza e spogliati delle cose che pensavi di conoscere, non solo riguardo al mondo, ma su di te. Queste due cose vanno di pari passo.
RW: Quindi, questa idea di conoscere me stesso – che cosa significa? Chiaramente, l’implicazione è che io non mi conosco.
JN: La grande incognita sono io, me stesso. Possiamo parlare quanto vogliamo di Kant e della Critica della ragion pura e di come non conosciamo le cose in sé, ma questa è la grande incognita: me stesso. […]. Ha a che fare con la coscienza. Ed è una grande incognita, questa cosa chiamata coscienza. Noi non sappiamo cosa sia la coscienza. Questo è incredibile! Non so cosa sia la coscienza, ma sono sicuro di essere consapevole! La mente, i pensieri, le categorie, le parole che riguardano ogni tipo di conoscenza specificamente umana e l’azione…Una delle grandi questioni della filosofia è come facciamo a sapere? Ma questa classica domanda filosofica è in realtà una domanda inerente alla coscienza. La coscienza è l’uomo [sta parlando dei più elevati stati di coscienza: cani e gatti sono spesso più consapevoli degli scimpanzé non in cattività, pur essendo geneticamente più distanti dall’uomo, in virtù della loro frequentazione dell’ambito umano, NdT]. Questa è la sua specificità. Quindi penso che l’idea della mente, la conoscenza, la certezza, l’ignoto, abbiano a che fare prima di tutto con la coscienza.
RW: È bellissimo. A volte mi stupisce che non si riconosca il fatto che ogni cosa esiste, prima di tutto, come esperienza.
[Questo è esattamente il punto che hanno cercato in ogni modo di farci capire i fisici quantistici, con scarso successo, purtroppo:
http://fanuessays.blogspot.it/2011/10/fisica-quantistica-e-trascendenza.html – NdT]
JN: È sorprendente che questo non sia in cima ai nostri pensieri. Il mio “essere io” [“Iness”] si perde nella mia vita. Potrei trascorrere un intero mese, un anno, una vita intera, senza rendermi conto della mia esperienza dell’esistenza. La coscienza sono io in un senso profondo della parola. Io non sono le braccia e le gambe, il mio naso, le mie opinioni. Non sono le mie parole, i miei pensieri, le mie sensazioni. Io non sono i miei organi. Io sono un essere umano. Un essere umano è definito dalla coscienza.
[…].
Nelle neuroscienze ora è quasi di moda affermare che si possono cominciare a vedere molte cose all’interno del cervello. È notevole, ma ancora non hanno spiegato l’esperienza della coscienza. Si può dire tutto quello si vuole sui neurotrasmettitori e tutto il resto, ma come si dà conto della qualità esperienziale della coscienza, anche a suoi livelli più semplici, come l’esperienza, per esempio, di vedere un colore rosso, o blu, o qualunque altro colore?
[…]
RW: Parliamo di comunità. La comunità ed una sua possibile funzione, quella di avere una cosa di cui ho bisogno ma non conosco e manco me ne rendo conto. Questa è una realtà importante.
JN: Certo che lo è…Ma troppe comunità sono semplicemente punti di incontro di similarità e diventano un po’ come una folla. Una massa è una comunità di persone che hanno tutte la stessa illusione, la stessa paura. E c’è l’inflazione dell’ego anche lì [cf. Jung, ma anche “la rana e il bue” di Fedro – NdT].
http://www.lefiabe.com/fedro/larana-ilbue.htm
Quindi, una comunità che non abbraccia l’altro non è una comunità.
RW: Una vera comunità potrebbe abbracciare l’altro e diventare migliore nel farlo, giusto?
JN: Sì. E ci sono molti livelli in questo processo. Penso che la grandezza dell’America sia quella di rendere ancora possibili le comunità. È una qualità molto grande per una nazione quella di tutelare la libertà delle persone di costituire comunità spirituali, altri tipi di comunità. La speranza è che l’America permetta alle persone di cercare coscienza. Questo è il suo grande ideale. Il pericolo è che se lo perdiamo, allora l’America diventerà solamente un altro grosso e potente dinosauro che scomparirà.
RW: C’è un articolo di Philippe Lavastine intitolato “I due Vedanta: Il meglio e il peggio dell’India”. È notevole. Scrive che qualcosa è andato storto nell’Induismo forse alcune centinaia di anni fa. Prima la ricerca della liberazione era fatta nel contesto della comunità, assieme agli altri. Ma qualcuno ha introdotto l’idea di singoli che perseguono la loro via per conto loro. È diventato un qualcosa di individualistico.
JN: Sta parlando di come la liberazione di sé sia diventato l’obiettivo principale, piuttosto che l’integrazione della vita interiore e delle esigenze della comunità. È un articolo molto potente [sono d’accordo ma occorre fare comunità in modo intelligente, con senso critico: Lavastine, 30 anni prima nella Francia di Vichy collaborò entusiasticamente con le politiche culturali degli occupanti nazisti, NdT].
[…].
Può sembrare assurdo dire che la scienza non funziona. Sembra funzionare in maniera fantastica. Guardate tutto quello che fa. Ma un qualcosa che non serve a portare l’amore, la bellezza, il porsi al servizio del prossimo è, nel migliore dei casi solo una mezza verità in un senso profondo, e non è davvero pragmatico.
[…].
Abbiamo bisogno di un linguaggio basato sull’esperienza, su ciò che vorrei chiamare un empirismo interiore. La scienza si basa su un empirismo esterno. Ma c’è anche un empirismo interiore che ci mostra la verità su noi stessi. E quando questo è risvegliato, inizia a mostrare anche la verità del mondo. Allora gli strumenti impiegati dalla scienza cominciano a servire scopi di altro genere [più nobili, NdT].
[…].
Rivelazione [“apocalisse”, NdT] è un altro termine per quella coscienza superiore che incontra gli strumenti di cui ci ha dotato l’evoluzione o qualcos’altro, e li umanizza e divinizza trasformandoli in qualcosa di straordinario. Quindi c’è un significato dell’interiorità che non è affatto quello comune. Non è solo l’insieme dei miei pensieri, dei miei sentimenti, è un energia di una qualità molto elevata e sottile che quando entra in contatto con gli strumenti del sé, li divinizza. Si pongono spontaneamente al servizio di una causa. In questo senso, la pratica spirituale è una forma di empirismo interiore. Quindi è corretto definirla una scienza, la scienza della vita interiore.
[…].
La questione legata a questi doni e poteri speciali è a cosa ci servono, che uso ne vogliamo fare, se li abbiamo? Le persone con questa sensibilità hanno uno scopo che è onorevole e corrisponde a ciò che è meglio per il mondo? Quindi è una specie di intelligenza del cuore quella su cui dobbiamo lavorare molto sul serio, perché ci sono questi poteri, ci sono queste cose che accadono. Non c’è proprio nessun dubbio su questo.
Se uno non ha mai provato quell’esperienza, naturalmente, è libero di essere un cinico. È qui che diventano fondamentali le grandi idee, la grande filosofia, la grande musica, la grande arte: per ricordarci chi siamo.
Ci sono tante idee tossiche, tanta arte tossica, tante cose che ci fanno dimenticare quel che dobbiamo ricordare.
[In “La Città Incantata” di Hayao Miyazaki, Chihiro accetta il cambiamento di nome e l’oppressione della strega Yu-Baaba, si dimentica della sua missione, del suo vero nome, della sua vera identità, della sua origine. Solo quando un biglietto le ricorda che il suo vero nome è Chihiro e non Sen, tutto riaffiora alla memoria, assieme al coraggio ed al senso di responsabilità e dedizione alla causa. Così può salvare i suoi genitori immemori e tornare con loro in “Kansas” (cf. Il Meraviglioso Mago di Oz), NdT]
C’è un blocco nella cultura contemporanea. Non importa quali fenomeni avvengano, si cerca di spiegarli tutti riducendoli a qualcosa di inferiore rispetto a quello che sono.
[…].
Al giorno d’oggi, giovani e adulti, quando fanno esperienza di quest’altra energia, un evento che si verifica anche accidentalmente, non sanno come chiamarlo. Non ne conoscono il significato. Non si rendono conto che la loro vera natura li sta chiamando e che è questo il loro destino.
http://www.jacobneedleman.com/storage/pdf/J-Needleman_w-Whitaker_Parabola_Fall_2012.pdf
L’America come doveva essere e come un giorno sarà
28 marzo 2013 a 08:57 (Diritti umani e bioetica, Jacob Needleman, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: America, American Soul, ascoltare, bussola morale, cittadini, conversazione, coscienza, democrazia, dialogo, diritti fondamentali, dirittidoveri, egoismo, fondatori, Frederick Douglass, individualismo, individualità, Jacob Needleman, libertà, Lincoln, miseria, moralismo, moralità, Needleman, Obama, obblighi, politici, povertà, psicopatici, sanità, sociopatici, Stati Uniti, tagli, Temenos, welfare
Entro settembre fino a 750.000 madri saranno tagliate fuori dai programmi di welfare che garantiscono dei pasti nutrienti ai figli di madri povere e alle madri incinte. Succede negli Stati Uniti, nel 2013.
1,6 miliardi di dollari di tagli alla ricerca biomedica, 173 torri di controllo aeroportuali in via di chiusura, altri 10 miliardi di tagli alla sanità e Obama è pronto ad offrirne ulteriori 500 per far star buoni i repubblicani. 125mila famiglia non saranno più assistite nel pagamento degli affitti, fino a 100mila resteranno senza tetto.
Lo vogliamo chiamare genocidio?
http://www.presstv.ir/detail/2013/03/10/292854/cuts-paint-bleak-picture-of-us-economy/
Intervista a Jacob Needleman, filosofo e docente alla San Francisco State University, membro della prestigiosa Temenos Academy,
http://www.temenosacademy.org/temenos_key_individuals.html
a proposito del suo libro “The American Soul. Rediscovering the Wisdom of the Founders”
http://www.amazon.com/American-Soul-Rediscovering-Wisdom-Founders/dp/1585422266
Sui diritti
“Individualismo e individualità vanno separati. L’individualismo può prendere una brutta piega e diventare egoistico. Io, io, io, io, e quello che voglio e quello che mi interessa, quello che penso e quello che mi piace. Oh, certo, abbiamo bisogno di avere la libertà di esprimere tutto questo, ma un vero individuo è una cosa diversa. E per essere veramente se stessi occorre essere realmente in contatto con il Sé interiore, la divinità interiore. Ed il paradosso della vera individualità è che più si è in contatto con ciò che tutti gli esseri umani hanno in comune, più si è genuinamente se stessi. Ed è per questo che dico che dobbiamo recuperare gli obblighi che accompagnano i diritti al fine di comprendere la profondità del significato dei diritti umani”.
Sulla libertà
“Un cittadino democratico non è un cittadino che può fare tutto quello che vuole. Si tratta di un cittadino che ha degli obblighi, allo stesso tempo. E, tanto per fare un esempio, se mi è consentito, la libertà di parola: qual è il dovere ad essa associato? Beh, se … io ho il diritto di parlare, ho anche il dovere di farvi parlare. Ora, questo non è così semplice. Ciò non significa solo aspettare fino a che l’interlocutore ha terminato e poi tornare all’assalto e metterlo con le spalle al muro. Significa che ho un obbligo interiore – ed è di questo che stiamo parlando, è la dimensione interiore. Interiormente, devo sforzarmi di ascoltarti. Non c’è bisogno che io sia d’accordo con te, ma devo lasciare che il tuo pensiero entri nella mia mente in modo che ci sia un reale scambio democratico tra noi. E questa è un’attività umana davvero molto interessante, non credi?”
Sulla coscienza
“Per i padri fondatori e per tutti gli insegnanti spirituali – e parlando di “fondatori”, tra parentesi, vorrei includere anche persone che sono venute in seguito, tra le quali, ovviamente, Lincoln e anche – il che potrebbe sembrare strano – Frederick Douglass e tutte quelle persone che si sono espresse vigorosamente a proposito della coscienza. La coscienza è quel potere assoluto all’interno della psiche umana di intuire i veri valori del bene e del male, del giusto e dello sbagliato. Siamo nati con questa capacità. Non è solo il risultato del condizionamento sociale [NOTA BENE: gli psicopatici/sociopatici, a causa dell’assenza di empatia, sono privi della naturale bussola morale di cui parla Needlemann e la cui esistenza è stata ampiamente dimostrata da innumerevoli studi pedagogici – per questo alcuni di loro diventano degli intransigenti moralisti, inquisitori, censori e terroristi di stato o per fede]. Questo è ciò che ci insegnano le grandi tradizioni. Questo è quello che penso. Ma la coscienza è incrostata di egoismo e del caos prodotto dalla nostra vita interiore imprigionata”
Sull’importanza del “pensiero” nella vita pubblica e politica
“Gridare non significa pensare. “Vieni, discutiamone assieme” è l’invito di Dio ad Isaia … Penso che il momento in cui si inizia a pensare insieme a qualcuno, i suoi occhi si illuminano … devo confessare di aver parlato – non dirò con chi, ma ho parlato con alcuni membri del Congresso non molto tempo fa. Abbiamo trascorso assieme una serata molto tranquilla ed abbiamo iniziato ad aprirci, proprio quello che tu e io stiamo facendo ora. E in effetti mi hanno detto: ‘Noi non abbiamo mai la possibilità di farlo. Siamo là a cercare di parlare, sai, per le telecamere, per gli elettori, per i gruppi di pressione, ma non abbiamo mai …”. “Intendete dire che non vi trovate mai a riflettere assieme?” E hanno risposto di no. Per me, questo è lo scheletro nell’armadio d’America in questo momento. Questo è il problema”.
http://www.onbeing.org/program/inward-work-democracy-jacob-needleman/journal/4736
Jacob Needleman sul nostro rapporto patologico con i soldi e con il tempo
11 marzo 2013 a 08:24 (Antropologia, Economia e Società, Jacob Needleman, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: Benjamin Franklin, bisogni indotti, capitalismo, consulenza finanziaria, consumismo, demonizzazione, denaro, desideri, etica protestante, Giampiero Mughini, illusioni, interiorità, Jacob Needleman, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, materialismo, Max Weber, Microsoft, monetizzazione, Mughini, Needleman, poveri, protestantesimo, protestanti, qualità, quantità, retribuzione, ricchi, rispetto, salario, Silicon Valley, soldi, sterco del demonio, stipendio, superfluo, tecnocrazia, tecnologia, tempo, tempo libero
The Meaning of Money in the 21st Century
An Interview with JACOB NEEDLEMAN
By Alexander M. Dake
Filosofo in un’università statale, mistico ma anche consulente finanziario. È Jacob Needleman, che ha previsto correttamente l’esplosione della bolla della new technology (il boom finanziario legato ad internet che ha preceduto l’ultima bolla dei subprime e le cui conseguenze sono state neutralizzate dall’11 settembre e dalla Guerra al Terrore – una buona ragione per attendersi qualche altro incidente internazionale nei prossimi mesi).
Intervistato sul significato dei soldi, per un interessante confronto con l’approccio di Giampiero Mughini
AD: Cosa c’è di così attraente e seducente nei soldi?
JN: Il denaro ha il potere di far sentire le persone potenti, felici ed importanti. Ecco dove sta il pericolo, perché si tratta di un falso senso di comfort. Se ti preoccupi di piccole cose quando sei povero, continuerai a preoccuparti di cose più grandi quando sarai ricco. Il denaro non cambierà la vostra interiorità ed è lì che la maggior parte delle persone cade in errore. Pensano che il denaro cambierà la loro vita e questo è vero, ma non nella maniera attesa. Se non sai come ti poni nei confronti del denaro e comprendi questo rapporto, non sai chi sei veramente. Un ansioso rimarrà tale, una persona sicura resterà tale, indipendentemente dal suo benessere.
AD: Lei spiega nei suoi saggi che l’importanza del denaro è aumentata sostanzialmente a causa del protestantesimo. Può chiarire meglio questo punto?
JN: Mi si consenta innanzitutto di spiegare che cosa vuol dire che il denaro è diventato più importante che mai. Prima di tutto il denaro entra in ogni tipo di relazione nella società, molto più che in qualsiasi altra epoca e civiltà. Tutto è stato monetizzato. C’è stato un tempo in cui le questioni che riguardavano le relazioni personali, i medici e la medicina, le relazioni accademiche, la vita artistica erano esentate dalle considerazioni monetarie. Un artista poteva essere apprezzato per quello che faceva senza riscuotere un successo finanziario. Un medico era disposto a curare senza necessariamente essere pagato subito o l’intera somma, se il paziente non se lo poteva permettere. Ora, però, se si parla di malattie, spesso il costo della sanità è una parte importante della discussione. Per esempio, parlando delle morti causate dal tabacco, il fatto che le imprese produttrici di tabacco debbano pagare miliardi di dollari di danni sembra più importante delle morti e malattie causate dal tabacco. Tutto ha un prezzo al giorno d’oggi. Questo non è necessariamente un male, ma mostra come il denaro si sia insinuato in ogni angolo della nostra vita. Parte di questo processo ha a che fare con la polverizzazione dei valori nella nostra cultura. Il denaro ha colmato un vuoto. Di nuovo, questo potrebbe non essere un male: invece di uccidersi a vicenda, ci si fa causa. Il potere del denaro sta nel fatto che ha iniziato a quantificare la vita, cancellando gli aspetti qualitativi della vita. Questo coincide con un altro sviluppo nella nostra cultura: usiamo le nostre menti sempre di più e il nostro cuore sempre di meno quando prendiamo delle decisioni. Comunque, è stato all’inizio del XX secolo che il sociologo Max Weber ha detto che il protestantesimo è stato la causa principale del capitalismo. Il capitalismo esisteva anche in altre culture, ma la cultura protestante è stata l’unica che ha dato un significato religioso ai guadagni.
AD: Come si spiega la differenza tra l’atteggiamento nei confronti del denaro nei paesi protestanti dell’Europa occidentale, come la Svizzera e l’Olanda, e negli Stati Uniti, dove l’importanza del denaro pare endemica?
JN: Quando Weber faceva le sue osservazioni in merito al protestantesimo faceva uno specifico riferimento agli sviluppi negli Stati Uniti, in cui il denaro aveva quasi assunto il ruolo della religione. Ciò era cominciato con l’inizio della storia americana, con leader come Benjamin Franklin, che aveva fatto dei soldi una misura del proprio rapporto con Dio. Questo esiste in misura limitata in Svizzera e anche in Olanda, ma negli Stati Uniti gli americani hanno interpretato lo spirito del protestantesimo a modo loro ed accresciuto l’importanza del denaro ed il suo ruolo religioso.
AD: Avendo appena stabilito l’influenza pervasiva del denaro nella nostra società, continua a sostenere che abbiamo bisogno di rendere i soldi più significativi nella nostra vita. Perché?
JN: L’uomo deve dimostrare maggior rispetto per il denaro. Il denaro di per sé non è male, diventa una cattiva influenza solo quando distrugge o sostituisce ciò che è prezioso nella nostra vita. Il denaro è un mezzo attraverso il quale il desiderio umano si esprime in tutto il mondo e il desiderio umano di per sé è una grande cosa, che merita rispetto. Per questo la gente deve prendere più sul serio i soldi, in quanto mezzo (per un fine). Non sul serio nel senso di mettere le mani su quanto più denaro sia possibile, ma sul serio nel senso di riconoscere che il denaro è una parte importante della vita umana. Al fine di comprendere la propria vita è necessario capire il ruolo del denaro nella propria vita.
AD: Lei consiglia tante persone diverse su come gestire i soldi nella loro vita. Da dove comincia quando fornisce una consulenza? Esamina la loro vita personale o il modo in cui trattano i soldi nella loro vita?
JN: Parto dal secondo punto. La gente nutre ogni sorta di paura, illusione ed auto-inganno in materia finanziaria. Esiste un’enorme ipocrisia riguardo ai soldi. Il tabù che circonda il sesso ora circonda il denaro. Si deve avere il coraggio e l’onestà di studiare il proprio atteggiamento verso i soldi, senza giudicarsi. Nella mia esperienza questi atteggiamenti sono spesso basati su nozioni molto primitive sepolte nella psiche delle persone: gli esempi più ovvi sono le persone che credono veramente che il denaro sia sporco [lo “sterco del demonio”, lo si chiamava nel Medio Evo, NdT] e poi ci sono persone che credono che il denaro sia la cosa più importante nella vita. Soprattutto quest’ultima è la visione radicata nella cultura americana. E poi ci sono molte persone che credono vere entrambe le cose e diventare ancora più ipocrite sui soldi. Non ci si può sbarazzare in fretta di questi preconcetti.
AD: Come spiega la spontanea ammirazione, in particolare negli Stati Uniti ma anche in altri paesi, per le persone facoltose, spesso senza sapere altro su di loro?
JN: Questo è un altro esempio di ipocrisia intorno al denaro. Quando negli Stati Uniti si incontra qualcuno che si rivela essere un miliardario, l’atteggiamento cambia improvvisamente. Non è una risposta razionale, ma profondamente emotiva. Le persone rispettano i ricchi più di chiunque altro. Una volta ho chiesto a un miliardario, che aveva iniziato la sua carriera con niente in mano, qual è stata la cosa più sorprendente che ha scoperto quando è diventato ricco. Ha detto che la gente lo trattava con immenso rispetto e valutava le sue opinioni come se fosse ben informato su tutto. Ha poi aggiunto che l’unica cosa che sapeva fare era far soldi. L’autopercezione della gente è legata a quanti soldi fanno. Questo è molto più forte negli Stati Uniti che in Europa, anche se l’Europa si sta muovendo in questa direzione pure lei. Il rovescio della medaglia è che gli uomini d’affari americani possono essere molto più diretti ed onesti nel loro business, mentre gli uomini d’affari europei sembrano nascondere l’importanza di realizzare un profitto. Ma anche lì le cose stanno cambiando.
AD: Come pensa che gli storici del futuro giudicheranno quest’epoca in cui i soldi governare la nostra cultura?
JN: Come uno straordinario periodo di ricchezza, ma anche decisamente barbaro. Non possiamo sopravvivere se diamo importanza solo al denaro ed al potere. Non credo che nessuna società o cultura possa esistere senza dei valori spirituali come suo fondamento. Penso che stiamo raggiungendo una situazione di crisi, se non cambiamo il nostro amore per il denaro [profetico: pochi anni dopo è arrivata la Seconda Depressione NdT].
AD: Qual è la sua esperienza con la nuova ricchezza guadagnata e persa negli ultimi anni da molti manager della Silicon Valley?
JN: Due anni fa sono stato invitato da Microsoft per offrire consigli su come trattenere i loro giovani dirigenti sui 30-35 anni di età, che se ne andavano perché erano diventati ricchi per conto loro. Era chiaro che non sarebbe stato il denaro a trattenerli. Forse solo un lavoro pieno di significato avrebbe potuto farcela. La Silicon Valley è stata descritta come il più grande accumulo legale di ricchezza della storia.
[…]
AD: Cos’è il successo per questi specialisti della conoscenza [knowledge workers]?
JN: Sorprendentemente, non lo definiscono solo in termini monetari. Pensano di avere successo quando fanno qualcosa di pionieristico, qualcosa di nuovo ed interessante, e possibilmente che sia di beneficio per il genere umano e per la società. Sono prigionieri dell’illusione che, se lavorano ad un computer o modem più veloce, sarà automaticamente un bene per l’umanità. La chiamo l’illusione delle nuove tecnologie. Noi, come società, crediamo che la nuova tecnologia ci abbia assicurato ogni genere di vantaggio, ma ci potremmo chiedere che cosa abbia ottenuto, oltre ad accelerare la vita delle persone. La tecnologia risolve spesso un problema per crearne due di nuovi, che a loro volta richiederanno nuova tecnologia per risolverli. E questo processo continua imperterrito. Invenzioni progettate per risparmiare tempo e fatica, eppure la maggior parte degli americani lavora più a lungo e non ha mai avuto meno tempo libero.
AD: Perché la nostra società non sembra valorizzare alcune professioni molto importanti, come l’insegnamento, la sanità e la cura dei bambini, delle arti e della scienza, se monetizzate?
JN: Le persone che toccano i punti più deboli della natura umana sono quelle che fanno di gran lunga più soldi di tutti gli altri messi insieme. Le persone sono disposte a pagare di più per dei servizi che soddisfano il desiderio di eccitazione, l’autoinganno, la vanità, il piacere. Sono quelle le situazioni in cui le persone si sentono più vive, non quando ascoltano un’insegnante premurosa o sono assistite da un infermiere capace in ospedale. Questo potrebbe apparire come ingiusto, ma il denaro non ha a che fare con la giustizia, bensì con le emozioni e con l’apprendere a gestirle.
AD: Il denaro è il modo giusto di valutare il lavoro? Per esempio, un insegnante in una cittadina non sarà mai in grado di estendere i suoi servizi o il suo pubblico e ha quindi un limite massimo al suo reddito, mentre una pop star teoricamente può ampliare il suo pubblico fino ad includere il mondo intero, con un reddito virtualmente senza limiti.
JN: Usare altri mezzi per premiare le persone non cambierà la natura umana alla base di queste grottesche differenze di retribuzione. Non so se apprezzeremo mai il valore di un insegnante in termini paragonabili al valore che diamo ad una pop star. Forse è meglio così. Forse un insegnante insegna meglio se non guadagna due milioni di dollari all’anno. Inoltre la gente potrebbe arrivare a rendersi conto che il punto non è pagare di più gli insegnanti, ma capire che hanno una vita migliore di una pop star. Ci sono esempi di persone che hanno abbandonato posti di lavoro ben retribuiti per fare delle cose che gli piacevano molto, ma con una paga molto inferiore.
AD: Lei si è anche occupato del tempo e dell’esistenza di una povertà di tempo. I problemi associati al tempo sono paragonabili a quelli collegati al denaro?
JN: Sì, tempo e denaro sono al centro di analoghe illusioni. La proliferazione del desiderio è stata la base della nostra economia capitalistica. Non è la soddisfazione del desiderio, ma la creazione di desideri artificiali. Le persone non hanno bisogno del 99% dei prodotti immessi sul mercato. Se i cosiddetti desideri “normali” fossero soddisfatti, allora l’economia crollerebbe. L’economia si basa su illusioni e falsi desideri. Chi ha bisogno di 20 tipi di succo d’arancia al supermercato? È qui che entra in gioco la questione del tempo. A causa di tutti questi desideri dobbiamo lavorare per molte più ore e molto più duramente per poterceli permettere e poi abbiamo troppo poco tempo per acquistare i prodotti o servizi, per non parlare di goderne. Questo, a sua volta, è un riflesso della vita nelle nostre teste che ci mantiene continuamente impegnati con i nostri desideri di futuri possibili. Il tempo sembra quindi scorrere sempre più velocemente. Semplicemente non abbiamo abbastanza tempo per fare tutto quello che pensiamo di dover fare, non abbiamo nemmeno il tempo di fare ciò che realmente dobbiamo fare. Questa è la povertà di tempo. Proprio come nel caso del denaro, con il tempo stiamo assistendo alla perdita di valori e del senso di cosa sia un essere umano.
AD: Sembra una situazione miserevole, all’inizio del 21° secolo.
JN: È una crisi molto grave, e non potrà andare avanti così ancora a lungo.
La missione dell’America, dopo la sua caduta e risurrezione
9 marzo 2013 a 08:08 (Etnofederalismo/Etnopopulismo, Jacob Needleman, Verso un Mondo Nuovo)
Tags: America, American Soul, anima, Benjamin Franklin, caduta, cammino spirituale, consumismo, Contro i miti etnici, coscienza, costituzione americana, democrazia, Dichiarazione d'indipendenza, Emerson, fondatori, Franklin, Frederick Douglass, indiani d'America, individualità, Irochesi, Jacob Needleman, Jefferson, Lincoln, Madison, massoni, materialismo, militarismo, missione, nativi americani, Needleman, padri fondatori, ricerca della felicità, ricerca della verità, riformismo, San Francesco, Sant'Agostino, schiavismo, schiavitù, spiritualità, Stati Uniti, Stati Uniti d'America, Thomas Paine, Thoreau, trascendentalismo, verità, Vietnam, vocazione, Washington, Whitman
Quel che mi disturba quando si parla di America è il riflesso condizionato tra molte persone di sinistra che le spinge a descrivere gli USA come i neocon o i leghisti descrivono l’Islam.
Un riflesso uguale e contrario a quello dei commentatori di destra che amano appassionatamente USraele.
Non ho scritto “Contro i miti etnici” assieme a Mauro Fattor perché ero disposto a tollerare questi dogmatismi e questo post dedicato a Jacob Needleman è il secondo di una lunga serie che lo vedrà protagonista, perché è uno dei pensatori che più ammiro in assoluto.
Mitch Horowitz intervista Jacob Needleman sulle tematiche trattate nel libro intitolato “The American Soul. Rediscovering the Wisdom of the Founders”
Mitch Horowitz: Il suo libro si apre con un aneddoto dell’epoca del Vietnam, in cui presenta ad un gruppo di studenti un uomo di cultura. Uno studente si lamenta amaramente dell’ipocrisia della nazione. A un certo punto, l’uomo si rivolge a lui e gli dice: “Tu non sai quello che hai qui”. Come l’ha intesa lei quest’affermazione e perché cominciare proprio da quella scena?
Jacob Needleman: Questa persona era un uomo molto saggio, ma anche un uomo di mondo, un uomo d’affari ed un grande maestro. Lo conoscevo da molti anni e lo consideravo la figura che più mi ha aiutato a comprendere la natura del cammino spirituale. Non ha mai parlato molto di politica, ma più che altro della via della tradizione spirituale. Volevo che questi giovani studenti lo incontrassero per via della saggezza delle sue idee filosofiche e spirituali. Saltò fuori il tema della guerra in Vietnam, come succedeva sempre con i miei studenti – questo era un momento in cui il paese era veramente straziato ed i giovani erano indignati. Nella mia vita, non ero mai stato in grado di coniugare spiritualità e questioni politiche. Le ho sempre considerate due mondi completamente separati e vedevo la politica come un mondo prevalentemente pieno di illusioni. Quest’uomo era venuto dalla Scozia e scherzosamente si definiva come “l’ultimo americano”. Ha davvero amato questo paese.
Gli studenti si rivolgevano a me condannando veementemente l’America e all’improvviso disse, in un modo che intimava ai presenti di fare attenzione: “voi non sapere quel che avete qui”. Sbalordì tutti. Ci fu un momento di silenzio assoluto. Venendo da quest’uomo sapiente e di profonda comprensione spirituale, le sue parole si insinuarono in noi come un grande interrogativo, un profondo shock spirituale che ci faceva riflettere e ci spingeva a porci delle domande.
È successo 30 anni fa. Quell’affermazione mi è rimasta dentro, come una bomba a orologeria, nel corso degli anni. E poi, una decina di anni fa, mi sono reso conto che nel tentativo di creare un ponte tra le idee spirituali e le problematiche del mondo contemporaneo – di vedere come le grandi tradizioni di saggezza del mondo potevano illuminare i problemi attuali – mi trovavo di fronte a delle questioni scottanti: Che cos’è l’America? Che cosa significa? A cosa serve? Chi siamo noi americani? Che cosa abbiamo qui? Queste domande, che erano lievitate in me in tutti questi anni, erano affiorate nella mia mente e mi avevano spinto a scrivere questo libro.
Nel libro lei descrive l’America come parte di una catena di grandi civiltà che nel corso della storia sono state influenzate dalle tradizioni sapienziali. L’America può rivendicare una maggiore o diversa affiliazione a quelle tradizioni rispetto ad altre prospere nazioni democratiche della contemporaneità?
Sì, penso di sì. C’è qualcosa di speciale nell’America, nel senso che questo paese è nato con uomini e donne che erano in parte o in larga misura spiritualmente motivati. Per molti di loro la motivazione della spiritualità era in un certo senso fondamentale e anche le nostre icone, i Washington, Madison, Jefferson, possedevano ragioni di natura spirituale frammiste a pragmatismo e motivazioni economiche e politiche. I fondatori erano profondamente interessati, in un modo o nell’altro, alle questioni relative al cuore, alla ricerca spirituale, e questa passione si è fatta strada nella formazione dei loro ideali, influenzati in larga misura dalle idee che hanno la loro radice nelle tradizioni spirituali dell’umanità, nella filosofia perenne, nella saggezza antica [il libro di Needleman offre abbondanti prove documentarie dell’impetuosa spiritualità degli architetti della dichiarazione d’indipendenza e della costituzione americana, i quali, aspetto non secondario della questione, erano in buona parte massoni o, come nel caso di Jefferson, amici di massoni, NdT].
Le loro motivazioni principali non erano solo di mera convenienza politica, necessità economica, o del bisogno di fare in modo che le persone potessero fruire in parti eguali delle risorse della società. Gli ideali dell’Illuminismo erano molto più esplicitamente o fortemente sviluppate nella fondazione dell’America. Le sue radici affondano in una dimensione spirituale che riecheggia le tradizioni sapienziali. In questo senso, l’America è la madre di tutte le democrazie, anche quando le democrazie assumono forme diverse. Come genitrice di queste democrazie, l’America possiede ancora una dimensione spirituale come parte integrante della sua natura, una dimensione che non è così forte nelle altre democrazie, più recenti.
Oltre alla prosperità materiale ed alla democrazia politica, quali condizioni cercavano di creare in questa nuova società i suoi fondatori?
Stavano cercando di creare una condizione della vita umana in cui uomini e donne fossero liberi di cercare la propria verità, la verità della coscienza, un rapporto con ciò che c’è di più elevato e migliore in loro, di fronte a Dio. I fondatori non erano legati ad una particolare religione settaria, poiché sentivano che esse erano degenerate in dogmatismi e tirannie mentali. Volevano che le persone fossero libere di cercare la propria verità e di associarsi tra loro in modo tale da facilitare questa ricerca. Volevano delle condizioni in cui le persone fossero libere di interpretare Dio, non con partigianeria, ma in quei termini che riflettono una divinità interiore ed un Dio esteriore.
Il libro è popolato da molte delle icone della storia americana: George Washington, Abraham Lincoln, Frederick Douglass, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson – Lincoln sembra essere una spanna sopra gli altri. Quali influenze spirituali vede nella sua vita e nel suo lavoro?
Quando ero bambino mi bastava guardare il viso di Abraham Lincoln per avvertire quel senso di grandezza che gli esseri umani sono in grado di raggiungere. Sapevo che era un grande uomo. C’era qualcosa nella sua presenza o individualità, nel suo essere, una qualità di essere pienamente umano, che rivelava la sua grandezza. Era il mio primo contatto con una persona di un altro livello di esistenza, un altro livello di presenza.
Lincoln rappresenta l’individualità nella sua forma più matura: il significato dell’essere un individuo, non un’idea puerile di qualcuno che si limita a fare cose intelligenti od originali, o che non si cura di nessun altro parere, salvo il suo – nulla di tutto ciò. Fu un uomo che rappresentava nel suo volto, nel suo sguardo, nel suo corpo e nella sua presenza il diritto di dire: “Io sono”. È questo che mi ha impressionato, e che penso impressioni molti americani.
Lei descrive Benjamin Franklin come un uomo che ha creduto nella costante ricerca del proprio miglioramento. Che tipo di contributo ha dato all’anima americana?
Franklin è un meraviglioso rompicapo. Più lo studio, più complesso diventa. A volte ti chiedi se è solo un astuto, materialistico imprenditore della politica. Oppure è un esploratore scientifico che ama la conoscenza e la sperimentazione, o un diplomatico ed ambasciatore estremamente intelligente. È una figura come quella di Merlino o un uomo profondamente spirituale, alla ricerca di un contatto con il Dio della natura e del Dio che dimora nell’essere umano?
Penso che sia tutte queste cose e un uomo profondamente spirituale che è anche straordinariamente pratico delle cose del mondo. Mi piace ri-mitologizzarlo come il simbolo americano della ricerca della verità spirituale nel bel mezzo di un’attiva, impegnata ed efficace esistenza mondana. È un mago, in un certo senso, un imbroglione, un uomo che è legato a Dio in modo molto stretto, fortemente non convenzionale ma altrettanto robustamente genuino. È nel mondo, ma non vi appartiene. Tale principio, che si trova in tutte le tradizioni spirituali, si applica a Franklin in maniera estremamente dinamica.
Esiste, oggi, un’anima americana?
Se usiamo il termine “anima americana” per indicare il significato spirituale del paese, direi, sì, il paese ha un significato spirituale. Il paese rappresenta un’idea del sé umano che circola da migliaia di anni, un’idea del sé definita in una nuova lingua, una lingua americana calata in un’esperienza americana – quella che troviamo ben articolata in alcuni dei discorsi di Lincoln e anche da Emerson, Thoreau e Whitman.
L’anima americana esiste come parte delle nostre ossa e dei nostri tessuti – è nella nostra natura, in quanto americani – ma è stato soppressa, coperta ed oscurata dal consumismo, dal materialismo, dal militarismo e da tutte le cose che sono sbagliate nell’America e che continueranno ad esserlo. Ma il materialismo ed il consumismo fuori controllo della nostra cultura ci hanno fatto vergognare più di una volta di essere americani e ci hanno impedito di vedere l’anima americana celata sotto la superficie della nostra psiche. Ora, quest’anima sta riemergendo. Esiste, certo, ma in un certo senso del termine, è ed è sempre stata in procinto di rinascere, di essere riscoperta.
Quale reputa sia un giusto uso della forza degli Stati Uniti nel mondo di oggi?
L’America è una nazione e le nazioni operano nel mondo delle nazioni. Il mondo delle nazioni è una giungla. Si obbedisce ad una legge molto dura. Non si può giudicare una nazione come si giudica una persona. Alcune persone immaginano che l’America dovrebbe essere santa, ma una nazione non ha alcuna chance di esserlo. Una nazione deve proteggere i suoi cittadini, deve proteggere se stessa, deve lottare a volte, deve avere denti e armature, e ogni nazione che ne è priva viene immediatamente inghiottita o sconfitta dalle altre. Un governo esercita la sua forza: è lì per difendere, punire e proteggere. La società è molto diversa, molto più morbida, molto più umana, molto più etica e, vorrei aggiungere, spirituale.
Quindi mi sento di potermi rifare a Thomas Paine e dire che lo scopo del governo americano, della nazione americana, è quello di proteggere lo spirito americano, l’anima americana, per permetterle di crescere e prosperare. Quel che l’America può fare per noi, e quindi per il mondo, dal momento che è la nazione più potente del mondo e culturalmente la più influente, è continuare a proteggere e favorire la diffusione di condizioni che permettano la ricerca della verità che avrà luogo non solo nel nostro paese, ma anche all’estero. L’America può favorire chi cerca di divenire un essere umano autentico e le condizioni che rendono gli esseri umani felici. La ricerca della felicità non significa la ricerca del piacere. Significa la ricerca di una vita in cui si è in contatto con quegli aspetti di sé che, soli, possono rendere felici. L’America può proteggere quella ricerca e consentire che essa continui ad esistere nel mondo, così come all’interno dei suoi confini, ma non certo per mezzo di maldestre ingerenze.
Un’altra cosa che l’America può fare è essere più generosa verso i poveri del mondo. La qualità che contraddistingue gli americani è la loro buona volontà. Gli americani, con tutti i loro difetti, vogliono davvero aiutare, e sono abbastanza bravi a sistemare le cose. Quindi ci sono molti modi in cui la nostra forza può e dovrebbe essere utilizzata, perché se non riusciamo ad esprimere la nostra natura spirituale, la nostra forza scomparirà.
Lei ci ricorda che i nativi americani avevano una mitologia ed una metafisica pari a quella di qualsiasi altra nazione nella storia. Che cosa abbiamo perso con la distruzione della cultura degli indiani americani?
Abbiamo sicuramente perso la loro influenza spirituale. La forma di governo irochese può aver influenzato la nostra Costituzione, in quanto trova molti sorprendenti riscontri nella nostra Costituzione. Questa cultura si è formata a partire da una visione spirituale della natura dell’universo e delle forze divine operanti nel mondo – le forze cosmiche che gli esseri umani devono comprendere interiormente ed articolare nella forma in cui indirizzano le loro esistenze, il lavoro, il governo e la società. Quindi direi che una cosa che abbiamo perso è il significato cosmico del governo, delle leggi, dell’etica e delle relazioni umane.
Vi è una legge morale inscritta nella natura dell’universo e nella natura dell’essere umano, e il nostro modo di convivere deve rifletterla. È una cosa che ho appreso studiando la cultura degli indiani d’America. Per quanto riguarda il rapporto dei nativi con la natura, lo sanno tutti che, per molti versi, avevano una straordinaria civiltà immersa nella natura. La loro conoscenza della natura era pari a quella di molte delle nostre intuizioni scientifiche al riguardo. Tuttavia, avevano compreso la natura non solo attraverso la mente analitica, razionale e logica, alla quale abbiamo fatto così abbondante ricorso e che ci ha donato il tipo di potere che abbiamo, ma anche attraverso l’attivazione di una qualità della mente di cui sappiamo poco.
Parlano di “visioni” e noi subito pensiamo a qualche sorta di fantasia New Age. Eppure è una qualità della mente che interpreta la natura delle cose e comporta uno stato qualitativamente diverso di coscienza di quello in cui tendiamo a vivere. Le culture premoderne possedevano una visione, un potere, una conoscenza, una comprensione che a volte è superiore a quello che abbiamo. Non hanno usato la logica, l’approccio analitico che privilegiamo, ma l’indiano ce l’abbiamo nel sangue, nelle ossa. Dobbiamo renderci conto che la cultura indiana non se n’è davvero andata, anche se è stata distrutta.
L’atteggiamento americano verso la nostra storia è come un pendolo che oscilla da un estremo all’altro. Quindi o lodiamo George Washington come il ragazzo che ha abbattuto l’albero di ciliegio o denunciamo Thomas Jefferson per il suo schiavismo. Quale delle icone della storia americana direbbe che esemplifica meglio delle altre la nostra incomprensione?
Chiaramente Jefferson, al momento attuale. È stato buttato giù dal piedistallo e penso che le calunnie ai suoi danni indichino un malinteso non solo nei suoi confronti, ma anche circa il il tipo di simbolo che dovrebbe incarnare. È chiaro che i grandi riformatori del genere umano, per quanto ho potuto vedere, sono senza eccezione parte del problema a cui stanno cercando di porre rimedio. Capiscono il dolore e l’orrore del problema che fronteggiano, perché ne fanno parte e forse ne sono responsabili, ed è proprio questa constatazione che alimenta la loro energia riformatrice. Non dico che questo sia vero per tutti, ma Jefferson è stato invischiato nella schiavitù, come tutti i padri fondatori, in un modo o l’altro. Penso che proprio perché ne era intrappolato divenne uno dei maggiori formulatori di quegli ideali e valori e del linguaggio in cui furono espressi, sulla scorta dei quali, per ironia della sorte, oggi viene condannato. I suoi critici non avrebbero gli strumenti per giudicarlo se non avesse articolato quegli ideali. Non si rendono conto che i loro standard di uguaglianza e di equità sono dovuti in larga misura al pensiero di Jefferson ed alla sua mente.
Sì, è stato coinvolto nella schiavitù, e deve aver sofferto lui stesso, perché è noto che dichiarò che se Dio è giusto, allora non poteva che temere per il futuro del suo paese. Sapeva che con la schiavitù era come cavalcare una tigre. La storia dell’America inizia con un compromesso, perché l’America non avrebbe mai potuto prendere l’avvio senza un compromesso intorno a questa questione al momento della formulazione della Costituzione. Quindi Jefferson aveva questa grandezza, questa visione, i suoi ideali e al tempo stesso era coinvolto in quello stesso problema e probabilmente ne aveva tratto profitto. Ma questo non significa che non ne riconoscesse l’erroneità. Infatti, si potrebbe dire che la sentisse ancora più intensamente di chi, come noi, non si vede nei panni dell’oppressore. Ma noi siamo l’oppressore.
Quindi penso che Jefferson debba essere ripensato, proprio per i motivi che servono a condannarlo: era sia un visionario sia un responsabile del problema che stava cercando di correggere. Sant’Agostino e San Francesco divennero santi dopo essere stati peccatori; avevano un atteggiamento verso il loro peccato che li aveva trasformati. Perciò la santità o la virtuosità non derivano dalla capacità di astenersi dal peccare: ma dalla coscienza e dal rimorso. Questa è l’energia che ci guarirà.
Quale domanda crede che noi americani dovremmo tenere sempre al centro dei nostri pensieri?
Dovremmo porci quella domanda d’inizio intervista: “sappiamo che cosa abbiamo qui?”. Se riesaminiamo la storia e diamo un’occhiata al mondo vediamo che sono molto rari i luoghi in cui si è liberi di informarsi, di associarsi, nella ricerca della verità. L’America, ad onta di tutti i suoi difetti, è ancora un posto in cui possiamo farlo. E’ ancora un luogo in cui possiamo lavorare insieme e cercare la verità. Abbiamo bisogno di apprezzare questo paese per questa ragione molto più di quanto lo stiamo facendo. L’America è il luogo dove possiamo ravvisare i nostri obblighi nei nostri confronti, verso Dio e verso la Terra. Questo è quello che vorrei fare io, nel mio cuore.