Durnwalder tiferà per la Spagna in finale? (e chissenefrega?)

“In Alto Adige, terra bilingue italo-tedesca, non tutti tifano per gli azzurri in vista dell’incontro con la Germania. Il governatore Luis Durnwalder, ad esempio, dice di provare simpatia per molti giocatori italiani, incontrati durante i ritiri estivi in montagna: «Ma personalmente tengo per la Germania», dice sulla partita di stasera. Il quotidiano Dolomiten ha interpellato alcuni personaggi di lingua tedesca: non mostra tentennamenti Ulli Mair, segretaria del partito dell’ultradestra Freiheitlichen: «Non importa chi vince – afferma – basta che sia la Germania». Apparentemente più decoubertiniano è Elmar Pichler Rolle, personaggio di spicco della Svp: «Vinca il migliore», dice. Ma poi aggiunge: «In questo caso il migliore è certamente la Germania»”.

http://altoadige.gelocal.it/cronaca/2012/06/28/news/durnwalder-io-tifo-per-la-germania-1.5330681

“L’elemento decisivo non è quindi l’unità amministrativa, ma ritorna con prepotenza in primo piano il richiamo a una supposta e auspicata unità etnolinguistica della propria “parte”.  Si potrebbe inoltre chiosare che in passato fu Magnago ad opporsi decisamente all’idea di definire i sudtirolesi una “minoranza austriaca”. Lui infatti parlava sempre di “minoranza tedesca” o di “lingua tedesca”. Mentre solo con Durwalder il discorso della “minoranza austriaca” pareva diventato il centro di una nuova identificazione culturale e politica.

Certo, sarebbe possibile obiettare che alcuni sudtirolesi tifano Germania, e non Austria, solo perché l’Austria è calcisticamente insignificante e spesso assente dalle grandi competizioni internazionali. Eppure il sospetto che quanto abbiamo appena sottolineato indichi una tendenza non dettata da mero opportunismo rimane. Dobbiamo preoccuparci? No, ammesso che tutta questa faccenda dell’appartenenza legata al calcio sia solo una metafora. Ma le metafore sono “solo metafore”? Comunque la vediate: buona partita a tutti”.

Gabriele Di Luca, Corriere dell’Alto Adige, 28 giugno 2012

http://sentierinterrotti.wordpress.com/2012/06/28/partita-di-calcio-o-metafora/

“Lo storico dell’Università di Pisa Alberto Mario Banti, uno dei massimi esperti italiani del  Risorgimento, è rimasto coinvolto in un’accesa diatriba sulla bontà ed opportunità di questo risveglio neo-risorgimentalista.  Ha vergato una critica  senza appello al nazional-patriottismo di Benigni, che andrebbe letta alla luce delle sue analoghe obiezioni alla narrativa patriottica di Carlo Azeglio Ciampi, contenute nel bel “Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo” (Laterza, 2011).

Da Luis Durnwalder si è preteso un autodafé patriottico, come quando gli inquisitori spagnoli esigevano una dimostrazione di fede dai marrani ebrei e musulmani. Chiederemo agli immigrati di prostrarsi di fronte ad un crocifisso o di recitare a memoria la costituzione?

In prima battuta devo ammettere di aver avuto uno scatto patriottico: l’ho trovato irritante. L’Alto Adige ha avuto notevoli riconoscimenti e benefici economici ed un rappresentante delle istituzioni dovrebbe avere un altro comportamento. A mente fredda, però, non c’è dubbio che se si preme il tasto delle radici si fa il gioco di Benigni, dell’italianità eterna: i Sudtirolesi non hanno potuto esercitare una scelta nel 1919 ed hanno dovuto subire tutto il peso dell’oppressione fascista. Per questo il terreno comune dovrebbero essere la carta costituzionale e lo stato di diritto, non la storia: a tutela di tutte le minoranze. A scuola, come s’impara la matematica e Manzoni, si dovrebbe anche imparare la costituzione e magari si potrebbe anche estendere il giuramento di lealtà alla costituzione a tutti i cittadini, non solo a certe categorie”.

http://ricerca.gelocal.it/trentinocorrierealpi/archivio/trentinocorrierealpi/2011/02/25/AT6PO_AT601.html

La disputa sulle lealtà calcistiche di Durnwalder dimostra che il totemismo è vivo e vegeto nelle società contemporanee. L’aquila americana continua a contrapporsi all’orso russo, l’orso trentino è vilipeso e Durnwalder è già stato trasformato in un totem clanico vivente. Dellai farà verosimilmente la stessa fine in Trentino.

Ci consideriamo moderni, ma non lo siamo. Tra i “primitivi” aborigeni australiani la sopravvivenza della comunità è affidata ad una corretta riproduzione dell’ordine modellato dagli antenati totemici e i loro simboli devono essere fedelmente riproposti, nelle immagini e nelle ritualità. Analogamente, tra noi “moderni” riscontriamo le logiche tribali, il feticismo, il ritualismo elaborato, l’idolatria, il totemismo, la venerazione della natura e degli antenati, lo spirito del clan, i pellegrinaggi, i percorsi iniziatici, la sacra toponomastica e i sacri simboli, la fede nell’Età dell’Oro e nella Terra Promessa, ecc.

È inevitabile: totem e simboli sacrali servono anche a rassicurare una società sulla bontà e validità della sua visione del mondo. Per il celebre etnografo Clifford Geertz l’esistenza stessa dell’uomo sarebbe salvaguardata dai simboli, nei confronti dei quali si è sviluppata una tale forma di dipendenza che il privarsene equivarrebbe alla morte psichica, al caos assoluto. Il che spiega come mai sono in grado di determinare la nostra esistenza.

Durnwalder poteva dire di non essere interessato al calcio e il Dolomiten poteva fare a meno di fare il suo “sondaggio” sugli orientamenti del tifo dei politici sudtirolesi. In una società matura ci sono delle alternative, in Alto Adige non ci sono: è d’obbligo prostrarsi al cospetto del proprio totem. Durnwalder non ha mai avuto una vera scelta: qualunque risposta avesse dato avrebbe creato malumore. Anche astenendosi dal rispondere avrebbe generato sospetti. Durnwalder, come ciascun residente dell’Alto Adige, è ostaggio più o meno consenziente dei totem clanici e dei miti etnici, una condizione particolarmente problematica in un Alto Adige che si trova a cavallo tra un’eurozona forte ma calcisticamente debole ed un’eurozona debole ma calcisticamente forte.

*****
https://versounmondonuovo.wordpress.com/2012/07/22/contro-i-miti-etnici-alla-ricerca-di-un-alto-adige-diverso-un-libro-preveggente/

Berlusconi, le due eurozone e la nazionale tedesca

Richard Koo, capo-economista dell’Istituto di Ricerca Nomura, la più grande agenzia di consulenza giapponese nel settore IT, spiega che la crisi dell’eurozona è nata nel 2000 con un grande bailout da parte della Banca Centrale Europea a beneficio della Germania, che rischiava di essere affossata dall’esplosione della bolla informatica.

Luigi Zingales: L’ipotesi più probabile è la formazione di una unione monetaria alternativa, in cui la Germania abbia di fatto potere di veto. La Germania, con i Paesi del Nord Europa e la Francia, rappresentano un’area economicamente omogenea per una moneta comune. Per minimizzare il costo politico di “distruggere l’Europa”, la Germania può presentare questa manovra come un passo in avanti, invece che un passo indietro. Con questi Paesi, la Germania entrerebbe in un’unione non solo monetaria ma anche fiscale. Sarebbe disposta a farlo non solo perché questi Paesi sono più omogenei e meglio governanti, ma anche perché creando una nuova unione sarebbe in grado di ridefinirne la governance. Il principio di uno-stato un-voto e quello di unanimità per tutte le decisioni sarebbe rimpiazzato da voto pesato per popolazione o Pil e decisioni a maggioranza. In entrambi i casi, i tedeschi controllerebbero di fatto l’unione.

L’attuale euro rimarrebbe la moneta del Sud Europa. D’altra parte il governatore della Bce sarà un italiano, il vicegovernatore portoghese, e, con Stark dimissionario e Trichet a fine mandato, l’executive board, è composto solo di rappresentanti del Sud Europa, con l’eccezione del belga Peter Praet. Questi Paesi rimarrebbero in un’Europa di serie B. Solo dopo aver dato prova di essersi riformati, migliorando la competitività e il bilancio pubblico, potranno essere ammessi all’Europa di serie A. È quello che sarebbe dovuto succedere con Maastricht, se non fosse stato per le pressioni politiche, soprattutto dell’Italia.

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-11/muro-berlino-spostato-francoforte-081031.shtml?uuid=AaiCbS3D&fromSearch

Berlusconi propone di uscire dall’Euro: attenti a non cadere nella trappola

di Aldo Giannuli

“Era nell’aria: Berlusconi prepara la sua campagna elettorale sul tema dell’uscita dell’Italia dall’Euro e spera che l’euro affondi da solo già entro l’anno, in modo da potersi presentare come il primo che aveva proposto di prendere il largo dall’insicura moneta comune. Ma punta anche sull’attuale impopolarità della moneta comune, vista come la ragione della crisi italiana: “in altri tempi avremmo dato fiato alle esportazioni con una bella svalutazione”, “L’Euro è la causa delle tasse con cui Monti ci sta massacrando”, “Restare nell’Euro significa accettare la dittatura della Germania”. Sono discorsi che sentiamo tutti i giorni. Discorsi che hanno dentro molta verità, ma anche molto semplicismo e molta fede nei miracoli. Il punto è che una uscita improvvisa dall’Euro –o peggio ancora un suo crollo improvviso- determinerebbe molti più mali che benefici e rischieremmo di spezzarci la schiena. Detto questo, attenzione a non cadere nella trappola che il Cavaliere ci sta tendendo: presentare la sinistra come gli ultras dell’Euro, scaricandogli addosso tutta l’impopolarità che da questo deriva, soprattutto in caso di naufragio della moneta. Ed allora che si fa? Calma e gesso, ragioniamoci su. La caduta dell’Euro ed il ritorno alle monete nazionali non è una cosa che dice solo Berlusconi, ma anche molti altri. È ormai una ipotesi sul tappeto, nel campo delle cose possibili e persino probabili. È possibile salvare l’Euro? Ne vale la pena? E come? Ma se dovessimo uscirne, sarebbe proprio una così grave catastrofe? Ed a quali condizioni?

Personalmente, resto dell’idea che l’Euro sia stata una idea poco intelligente sin dal principio, che sta giungendo al suo epilogo.

[…].

L’euro, diciamocelo francamente, è stato un fallimento politico ed economico perché ha mancato i principali risultati che si proponeva: l’unificazione politica e la convergenza delle economie europee. E nulla lascia intendere che questi due risultati possano essere raggiunti in tempi politicamente prevedibili. Anzi, la situazione presente mostra due blocchi di paesi  che hanno esigenze opposte: Grecia, Spagna, Italia, Portogallo hanno bisogno di svalutare per curare l’ascesso del debito, mentre la Germania ed il Nord Europa hanno l’esigenza di una moneta forte per l’acquisto delle materie prime e la tutela del livello di consumi interno.

Dunque è ragionevole porsi il problema di come uscire dall’Euro. Infatti, si può uscire da una esperienza ordinatamente oppure, al contrario, con una rotta disordinata e rovinosa. Possono esserci politiche di riduzione del danno che, tempestivamente attuate, potrebbero garantire un’ uscita, se non proprio indolore, almeno non drammatica.

In primo luogo non è detto che all’attuale situazione di moneta unica debba succedere un puro e semplice ritorno alle monete nazionali.

[…].

Un’altra soluzione potrebbe essere l’articolazione della attuale moneta in due: l’Euro forte del Nord e l’Euro debole del sud, legati da un rapporto reciproco di cambio, determinato in modo da conservare l’attuale potere di acquisto all’Euro del nord e di svalutare quello del Sud, per ridare fiato alle economie deboli. Se ne parlò già due anni fa e fra i sostenitori ci fu anche Zingales. Personalmente non mi convince molto questa soluzione perché perpetua l’errore della moneta sovra-statale, ma sarebbe già una cosa più razionale dell’attuale soluzione”.

Il che ci riporta alla nostra esclusione dall’eurozona forte ed alla Neuordnung Europas, il nuovo ordine europeo, con pesantissime conseguenze per la stabilità del Paese (cf. Alto Adige e Padania desiderosi di agganciarsi all’euro forte). Queste sono cose di cui già si discute in certi ambienti trentini, a porte chiuse.

E la nazionale tedesca?

E’ la dimostrazione vivente del fatto che tutto questo non è inevitabile. L’umanità ha fatto dei notevoli passi in avanti rispetto agli anni Trenta del secolo scorso e la Germania è un’altra nazione, un’altra società, un’altra civiltà, degna di ammirazione, non di odio. Anche noi siamo molto diversi dai tempi di Mussolini. Qualche lezione l’abbiamo imparata. Loro sono più simili a noi, noi più simili a loro. Però ci vogliono dividere. Questo progetto non è nell’interesse dei cittadini europei, ma solo di élite autocratiche votate alla conservazione dei privilegi, dei paradisi fiscali, dell’immunità, del potere. L’unità europea (confederale) dovrà essere realizzata sulle macerie del nuovo ordine europeo.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: